Capitolo 2: Atene
Era la prima volta che i suoi piedi calcavano le strade del Santuario della dea a cui era consacrato, un’emozione nuova, che lo scuoteva dall’interno, come i piccoli occhi rossi potevano facilmente far intuire.
Si guardava intorno spaesato, come un bambino, si ritrovò persino a sorridere di quel pensiero, per quanto, probabilmente, non lo avrebbe mai ammesso né davanti al maestro, né con chi aveva condiviso il periodo degli addestramenti.
Era giunto ad Atene pochi giorni dopo l’altro cavaliere d’argento allievo del suo stesso maestro, inaspettatamente richiamato dal Santuario, assieme al cavaliere d’oro che lo aveva istruito, ma, altrettanto inaspettatamente, era arrivato al Tempio della dea da solo, portando con se una missiva con le motivazioni per cui era lì senza il proprio insegnante.
La lettera era stata consegnata il mattino del suo arrivo, ad una donna dall’aspetto di certo atletico, la cui casacca da addestramento non celava la magnificenza del corpo, al contrario della luccicante maschera di sacerdotessa guerriero, che impediva di riconoscerne i lineamenti.
Da quel momento, aveva iniziato a girare per le strade limitrofe al Santuario, senza scendere fino al villaggio di Rodorio, meglio non perdersi si era detto, comunque incuriosito da quella gente che viveva vite normali poco lontano da dove si addestravano i guerrieri della dea della Giustizia, i Cavalieri di Atena.
Aveva chiesto informazioni su dove si trovasse chi era giunto prima di lui dalla medesima nazione, ma non aveva ottenuto niente di più di un laconico "E’ in missione per conto del Santuario.", parole che non lo avevano confortato, specie dopo che, poco prima della sua partenza per Atene, il giovane aveva avvertito qualcosa, un’immensa emanazione cosmica, ancora presente, che proveniva dal Mediterraneo, perdendosi al di là dell’azzurro panorama del Pireo.
Erano passati due giorni da quella consegna della missiva e, nel caldo pomeriggio ateniese, il cavaliere d’argento vagabondava solitario, guardandosi attorno, ricambiando i gesti di saluto degli sconosciuti che, vedendo il simbolo sulla sua casacca, accennavano degli inchini verso di lui.
Degos di Orione, il più anziano cavaliere d’argento del Santuario, da quanto aveva capito, quando era giunto lì, lo aveva invitato a lasciare le vestigia presso la stanza datagli per riposare nelle vicinanze dell’accademia adibita agli addestramenti dei cavalieri, poi, con inaspettata gentilezza, gli aveva anche consegnato una casacca da addestramento, suggerendogli di non usare la propria, inadatta al clima del luogo, così gli aveva fatto portare una protezione per busto ed addome di pelle, leggera, con sopra inciso il simbolo relativo alla costellazione di cui era il custode.
Quel pomeriggio, però, non era nella palestra: trovava che fosse un luogo fin troppo caotico, tutti quei giovani aspiranti cavalieri e, oltre loro, un elevato numero di santi d’argento, richiamati dal Santuario per qualche motivazione non chiara, ma vociferata dai più, un’imminente guerra.
Lo scoprire, poi, che ben nove cavalieri d’argento erano stati mandati, in due diversi gruppi, verso la zona da cui proveniva quella stessa energia cosmica così immensa, non lo rendeva nemmeno tanto calmo e rilassato, troppo preoccupato per le sorti di chi, con lui, aveva condiviso gli addestramenti.
Navigando fra questi pensieri, riflettendo su come il suo stesso compagno, di cui tanto si preoccupava, lo avrebbe criticato per queste emozioni, il ragazzo dagli occhi azzurri giunse ai confini di una seconda accademia, da cui sentiva provenire varie urla di scontri; un luogo che non aveva notato prima.
Irretito dalla curiosità, il giovane si avvicinò di qualche passo, prima che due figure si portassero dinanzi a lui, fermandolo.
"Dove stai andando, cavaliere?", domandò la prima delle due, spingendolo indietro con una mano sulla massiccia copertura di pelle.
Lunghi capelli color verde che scendevano sulle spalle, una maschera d’argento con decorazioni dello stesso colore, che riprendevano qualcosa di simile a dei sottili becchi, e, la prima cosa che notò subito dopo, un’ustione sull’avambraccio destro.
"Avevi intenzione di spiare le sacerdotesse? Non è un’azione molto nobile… se si vuole visitare l’accademia delle sacerdotesse guerriero, di norma, ci si deve presentare all’ingresso, non ad una delle piccole finestre sui suoi fianchi.", lo ammonì la ragazza con un tono derisorio, squadrandolo con attenzione.
Era un giovane chiaramente di origini nord europee, i corti capelli bianchi scivolavano fino alle orecchie, la pelle era leggermente coperta dai segni di una barba poco curata, gli occhi rossi, indicavano una natura albina in quel santo di Atena.
"Chi sei? Non mi pare di averti mai visto prima qui ad Atene.", osservò la seconda figura, un’altra sacerdotessa dalla maschera d’argento, i capelli, anch’essi verdi, erano legati in una specie di cipolla che si alzava sopra la testa.
"Il mio nome è Rudmil della Corona Boreale, sono allievo del cavaliere dell’Acquario, dal mio maestro inviato fin qui al Santuario.", rispose, intontito dalla situazione, il giovane compagno di addestramenti di Leif di Cetus.
La ragazza con i capelli tirati verso l’alto fece un cenno affermativo con il capo, "Devi essere uno dei cavalieri giunti ad Atene per ordine del Sommo Sacerdote. Da quel che ho sentito, dopo la partenza di Dorida e del suo gruppo, sono stati inviati diversi ordini in giro per il mondo conosciuto: il Santuario si sta preparando per qualche potente nemico.", osservò la ragazza.
"Dici davvero, sorella? Dunque ci sarà anche per noi la possibilità di combattere?", domandò l’altra, entusiasta.
"Se di quando in quando prestassi attenzione alle parole della nobile Olimpia, sapresti che a questo si sta preparando l’intero Santuario.", la ammonì subito la prima, prima di voltarsi di nuovo verso il giovane albino.
"Mi scuso se non mi sono ancora presentata; sono Cassandra di Canis Maior, lei, invece, è mia sorella minore, Agesilea dell’Aquila.", esordì con un tono più cordiale, indicando prima se stessa e poi la ragazza con l’ustione.
"Piacere mio, e scusatemi se stavo per entrare nei territori delle sacerdotesse.", replicò lui, un po’ imbarazzato, nuovo a quei limiti, avendo vissuto gli anni della fanciullezza nelle gelide lande della Siberia, assieme al maestro, a Leif ed a Lashnar, l’aspirante alle vestigia del Cigno.
"Non ti preoccupare!", ribatté, con tono più scherzoso, Agesilea, dando una pacca sulla spalla sinistra al cavaliere, che non ne fu sbilanciato, ma, comunque, ne rimase sorpreso.
"Posso farvi una domanda?", chiese, approfittando delle due nuove conoscenze, il cavaliere nordico, "Dicci pure.", confermò di rimando Cassandra.
"Ecco, prima avete accennato ad una missione in cui è impegnata una vostra compagnia, da ciò che ho capito…Dorida, credo abbiate detto. Sapete se, per caso, è stata inviata nel luogo da cui proviene quel cosmo immenso?", domandò perplesso Rudmil, riferendo alla presenza che, in lontananza, ancora aleggiava, sempre più focalizzata su una precisa destinazione.
Le due sacerdotesse guerriero si rivolsero uno sguardo, attraverso la maschera argentea, "Il mio compagno d’addestramenti, Leif di Cetus, è partito qualche giorno prima di me per Atene, per prendere parte ad una missione, ma nessuno mi ha saputo dire di più su cosa gli è stato ordinato di fare…", si affrettò ad aggiungere, un po’ imbarazzato, il ragazzo.
"Nemmeno noi ne sappiamo molto di più.", si affrettò a dire la maggiore delle due sorelle, "Ma di certo una bella battaglia, dove possa penare un po’, male non farebbe a Dorida, quella maledetta ispanica…", ringhiò Agesilea, le cui mani andarono a toccare l’ustione al braccio, prima che un movimento secco di Cassandra la zittisse.
"Purtroppo mia sorella non è in buoni rapporti con la sacerdotessa della Sagitta ed in effetti neanch’io.", volle subito precisare la guerriera di Canis Maior, "Sulla possibilità che sia la medesima missione, credo proprio di sì: proprio il giorno prima, il nobile Ascanus di Scorpio si presentò qui, scegliendola come elemento per una squadra composta da sei cavalieri d’argento, di cui quattro, da ciò che ho sentito dire, erano allievi di altrettanti santi d’oro.
In più, alcuni giorni dopo, altri tre cavalieri, fra cui la maestra Bao Xe, la più anziana di noi sacerdotesse d’argento, furono inviati in loro supporto.", raccontò la ragazza.
"Onestamente, non so in che tipo di missione siano stati coinvolti, ma posso assicurarti che, considerando chi è stato inviato, fossi in te non mi preoccuperei poi tanto per il tuo compagno d’addestramenti.", concluse con un tono rilassato.
Quelle parole fecero nascere un leggero sorriso sul viso di Rudmil, ma non lasciarono fuggire via le nubi di preoccupazione che ne velavano lo sguardo, "Saranno capaci, tutti quei guerrieri, di vincere contro un cosmo così immenso?", quella era la domanda che lo rodeva dentro e, quando la rivolse alle due sacerdotesse, nessuna di loro seppe rispondergli.
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Allontanatosi dall’accademia femminile del Santuario, il giovane cavaliere della Corona tornò presso l’area maschile, quando ormai il pomeriggio era diventato sera.
Lì, nella mensa comune, trovò il solito andirivieni di giovani aspiranti cavalieri, i quali si andavano a portare intorno alla stessa figura, che negli ultimi giorni aveva monopolizzato l’attenzione dei meno esperti, con le sue storie rocambolesche.
Era in piedi su uno dei tavoli di legno, intorno cui si erano riuniti molti giovani, la casacca di pelle che ne copriva gli abiti verdastri, i capelli scuri legati in una leggera coda, che dondolava sul collo ad ogni movimento, gli occhi marroni che scrutavano ognuno degli aspiranti cavalieri lì riuniti, sorridendogli.
"Vi dico che è così! Il maestro mandò me e Wolfgang a caccia di cinghiali per migliorare il nostro cosmo!", esclamò l’intrattenitore, sollevando le braccia, quasi a reclamare il vociare degli astanti.
Era giunto, da ciò che sapeva Rudmil, poche ore prima di lui, assieme al cavaliere del Sagittario; al pari suo, anche quel ragazzo austriaco aveva un compagno d’addestramento inviato nella missione a cui partecipava pure Leif.
Il cavaliere della Corona aveva anche cercato di parlarci, ma, dopo averne sentito il nome, non aveva più potuto ricevere delle risposte specifiche per le sue domande, troppo baldanzoso sembrava, ed incredibilmente chiacchierone, quel parigrado, Ludwig del Centauro.
"Il Maestro Munklar ci mandò a cercare questi due cinghiali, così, Wolfgang, che è di certo il miglior cacciatore che mai sia esistito fra i cavalieri di Atena, ne seguì le tracce, trovando la loro tana, però, a quel punto, dovevamo trovare come attaccarli.", un nuovo silenzio, mentre la mano sinistra si alzava, avvicinandosi con l’indice verso il soffitto.
"Fu allora che il mio compagno d’addestramenti ebbe l’idea: io avrei fatto da esca!", aggiunse, con un sorriso soddisfatto, specie quando qualcuno urlò di stupore fra coloro che lo ascoltavano. "Così, mi preparai: scattante ed agile come aveva appreso durante gli anni di addestramento nella Foresta Nera.
Quando il primo cinghiale uscì dalla sua tana, mi feci ricorrere, istigandolo con una leggera emanazione cosmica e preparandomi agli scarti laterali non appena la bestia avesse caricato e proprio in quel modo feci, togliendomi prontamente dalla traiettoria delle corna dell’animale, che si andò a schiantare contro un albero, staccando addirittura un pezzo di corteccia.", un nuovo susseguirsi di urla sorprese.
"Fu allora che Wolfgang attaccò, per primo, stordendo l’animale con un colpo nemmeno tanto forte, per darmi il tempo di compiere una capriola e saltargli sopra, stordendo la bestia con una doppia ginocchiata alla base del grosso collo nero.", alla conclusione del racconto seguì una mimica dell’azione compiuta da Ludwig e, subito dopo, una lunga ovazione dei presenti.
"Aspettate, ancora vi devo raccontare del secondo cinghiale…", riprese, sornione, il cavaliere.
"La presenza di Centauro rinfranca i cuori degli apprendisti.", esordì d’improvviso una voce alle spalle di Rudmil.
Quando l’allievo dell’Acquario si voltò, vide la figura di Degos di Orione, con i suoi capelli grigi ed il viso ricco di cicatrici, intento ad osservare, con un misto di divertimento e calma, l’estroverso allievo del Sagittario, che tanta attenzione attirava verso di se.
"Dite, nobile Degos? Di certo aiuta a distrarsi ed impedisce la noia.", ammise, con un sorriso imbarazzato, il cavaliere della Corona, accennando un inchino del capo, in segno di rispetto, al parigrado più anziano.
"Siamo in un periodo piuttosto strano, questi ultimi giorni sono stati frenetici qui al Santuario. Prima la richiesta di aiuto di alcuni inglesi, la missione nelle terre mesopotamiche per sei di noi cavalieri d’argento, alcuni, come il tuo compagno d’addestramenti, il cavaliere di Cetus, sono stati addirittura chiamati da territori esterni al Santuario, dai luoghi del loro addestramento, dove risiedevano con i rispettivi maestri.
Poi, nel giro di pochi giorni, è stata organizzata una seconda squadra, di supporto, formata da solo tre cavalieri, scelti di certo fra i più valenti qui rimasti ad Atene.
Su queste due missioni, in più, ha iniziato ad aleggiare una terribile minaccia, manifestatasi con quella stessa emanazione cosmica che da giorni non mi permette quasi di chiudere gli occhi di notte, pensando a Menisteo, il mio primo discepolo, che affronta chiunque stia richiamando una divinità su questa terra.", spiegò con voce seria Degos e, per qualche istante, a Rudmil parve di vedere la sua stessa preoccupazione negli occhi dell’anziano cavaliere, la preoccupazione per le sorti di qualcuno che si era visto crescere, che lo aveva accompagnato negli anni e con cui erano vicendevolmente maturati. Che fosse un compagno d’addestramenti, o un allievo, l’affetto che gli si portava era lo stesso, così come la preoccupazione per la sua sorte.
"In una situazione del genere, con il mistero su quale sia il fautore di questo cosmo, il nemico che ora i nove cavalieri in quelle terre lontane stanno affrontando, mentre tutti i cavalieri d’oro e d’argento in vita vengono richiamati qui al Santuario, per tutti gli apprendisti ed i soldati di Atene è di certo un bene che vi sia qualcuno con il santo del Centauro", concluse il guerriero di Orione, rilassando il proprio volto, prima che una figura gli passasse accanto, a grandi falciate, per raggiungere il tavolo dove Ludwig si esibiva.
L’allievo di Munklar del Sagittario dovette interrompere il suo resoconto sui particolari della cattura del secondo cinghiale quando vide quella figura fermarsi dinanzi a lui.
Il ragazzo, giovane quanto molti degli apprendisti lì presenti, aveva lunghi capelli color viola acceso, che scivolavano fino al centro della schiena, due occhi di un blu intenso come il mare che squadravano il giovane cavaliere del Centauro con fare rabbioso.
"Ebbene?", domandò superbo Ludwig, poggiando le braccia sui fianchi ed allungando in avanti la gamba sinistra, prima di sorridere beffardo dall’alto del tavolo.
L’altro rimase immobile, dopo quella banale domanda, punto nell’orgoglio dal modo di fare del cavaliere di origini austriache, indietreggiò giusto di un passo, portando le braccia a chiudersi in un abbraccio attorno al suo stesso corpo.
"Sei forse tornato per propormi un altro confronto domattina? Quanti giorni di seguito sono che ti stendo al tappeto nella palestra, Vincent?", incalzò divertito l’allievo di Munklar, con fare scherzoso, per punzecchiare il suo giovane interlocutore.
"Domani ti lascerò su quel tappeto a riflettere su quante stupidaggini puoi raccontare, tronfio di qualità che non sono tue!", furono le prime parole del secondo, le prime da lui dette.
"Dubiti forse delle virtù di cacciatori di noi, allievi del Sagittario?", domandò sollevando le braccia Ludwig, così da aumentare, volontariamente, il vociare intorno ai due.
"No, non dubito delle qualità di Wolfgang dei Cani Venatici. Per quanto non lo abbia visto di persona, so che è fra i sei cavalieri mandati in missione per conto del Santuario.", replicò lesto Vincent, "Mi chiedo però come mai il tuo maestro non abbia mandato anche te. Forse non sei abile quanto il tuo compagno d’addestramenti?", lo schernì.
"No, al contrario, reputo che il maestro Munklar abbia dovuto rifletterci molto per decidere chi dei due mandare, ma probabilmente la missione richiedeva più un abile cacciatore, quale Wolfgang è, che un rapido guerriero come me.", fu la prima risposta di Ludwig, dopo qualche secondo di esitazione.
Poi il cavaliere del Centauro, continuò spedito: "Ed il tuo di maestro, quando si è formata la squadra di supporto, come mai non ti ha scelto? Probabilmente perché ben sapeva l’abisso fra te ed il suo primo discepolo.", affermò, sollevando lo sguardo verso i cavalieri di Orione e della Corona Boreale.
"Il Maestro Degos ha scelto Menisteo per le sue maggiori esperienze in battaglia!", sbottò Vincent.
"Certo, tu da quante settimane sei diventato un cavaliere d’argento mio pari?", domandò con un sorriso beffardo l’austriaco.
"Adesso basta!", urlò proprio il cavaliere di Orione, quando l’allievo stava per fare un passo avanti, con il pugno ricolmo d’energia cosmica.
"Esiste la palestra per risolvere questi diverbi! Domani avrete modo di confrontarvi, senza attentare vicendevolmente alle vostre vite.", li ammonì con decisione l’anziano cavaliere.
Interrotta sul nascere quella piccola rissa, il giovane Vincent fece un leggero inchino verso il proprio insegnante, prima di rivolgersi, vicendevolmente, uno sguardo rabbioso con Ludwig: la loro diatriba sarebbe continuata il mattino dopo.
"Questa è, purtroppo, l’altra faccia della medaglia...", continuò poco dopo Degos, parlando con Rudmil, "la tensione per quella che probabilmente sarà una guerra è nell’aria, tutti, dagli apprendisti ai cavalieri più giovani, ne sono influenzati, scatenando piccole battaglie, o vere e proprie risse, che poco si adeguano al nostro rango di servitori di Atena.", osservò con fare sconsolato l’anziano.
"Fortunatamente, poi, vi sono alcuni come te, cavaliere della Corona Boreale, o come il giovane francese, che non prendono parte a queste dispute, evitando lo scoppiare di guerre fra parigrado.", aggiunse infine.
"Io sono stato addestrato a mantenere la calma in ogni situazione, ad impedire che i sentimenti interferissero con i miei doveri di cavaliere, ma, temo, che in queste particolari lezioni abbia sempre difettato rispetto a quanto si aspettava il maestro Vladmir. Al contrario, Leif è sempre stato abile nel rendere i propri sentimenti, al pari del cosmo, gelidi come l’aria della Siberia. Questa è una mia mancanza agli occhi del maestro.", ammise con un po’ di rammarico Rudmil.
"Non ho avuto modo di conoscere il cavaliere di Cetus, l’ho appena intravisto al momento della partenza assieme a Cani Venatici, Reticulum, Auriga, Corvus e Sagitta, ma dubito che un maestro possa avvertire le mancanze nei propri allievi, al più vorrà aiutarli a maturare, mai, però, li butterà giù con delle critiche.
O almeno questo è ciò che ho sempre fatto con Menisteo e Vincent, i miei allievi, i figli che non ho mai avuto.", replicò cordiale Degos, accennando un sorriso e quasi lamentandosi con se stesso per tanta loquacità.
Entrambi, comunque, evitarono di parlare del cavaliere francese, l’allievo di Remais di Cancer, il giovane Gustave della Lyra, poiché sapevano bene che non era la calma ad impedirgli di cadere nei medesimi scatti d’ira di cui erano vittime Ludwig e Vincent, no, bensì quella pulsante superiorità che trasudava da ogni movimento del loro parigrado, che molto spesso neppure si volgeva a guardare coloro cui parlava, tanto li riteneva, palesemente, inferiori.
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La serata scivolò nella tranquillità, tanto che, poco meno di due ore dopo, tutti abbandonarono la mensa, per andare nelle rispettive stanze, a riposare.
Il mattino seguente, quasi tutti gli apprendisti erano in fermento, molti si addestravano, ma alcuni, al contrario, sembravano intenti a preparare due nuove stanze nell’Accademia maschile.
Rudmil, che ormai aveva perso le speranze di ottenere informazioni chiare su quale fosse la missione di Leif, chiese ad alcuni di quei giovani soldati chi fosse giunto così d’improvviso al Santuario e come risposta ottenne i simboli distintivi di altri tre cavalieri d’argento: Cerbero, Altare e Triangolo.
Aveva sentito parlare dell’ultimo dei tre: da quando era arrivato al Santuario, infatti, in molti accennavano alla possibilità che persino il più potente dei cavalieri d’argento, capace di rivaleggiare con la casta d’oro per capacità, sarebbe tornato ad Atene dopo anni.
Alcuni ipotizzavano che la sua missione si sarebbe conclusa dopo quella grande emanazione cosmica che tutto circondava e che sarebbe tornato per guidare molti di loro, della casta mediana, nella futura guerra che stava per scatenarsi.
Rudmil non aveva mai saputo molto degli altri parigrado, l’unico cavaliere d’argento che conosceva, fino a pochi giorni prima, era Leif, il suo metro di paragone, il modello da seguire, assieme al maestro Vladmir, colui che per primo aveva appreso come usare la Polvere di Diamanti dal santo dell’Acquario.
Nella mente del giovane cavaliere della Corona, lui stesso si vedeva come una casta mediana fra i suoi due modelli ed il giovane Lashnar, ancora troppo inesperto per ottenere le vestigia del Cigno.
I pensieri in cui la mente di Rudmil vagava furono interrotti dal contatto di una mano che lo raggiunse alla spalla, facendolo voltare.
Davanti a se, il cavaliere della Corona vide un parigrado, almeno dallo scrigno che aveva sulle spalle, un santo di Atena la cui pelle era color della notte più scura, cosa che, fino a pochi istanti prima, Rudmil non avrebbe mai creduto possibile. I capelli, scombinati, si agitavano leggermente con il vento che entrava in quella palestra.
"Scusa se ti disturbo, cavaliere, ma tu sai dove potrei trovare Husheif di Reticulum?", chiese il nuovo giunto. L’altro lo guardò per qualche attimo: Reticulum era uno dei compagni di Leif nella missione in terra mesopotamica, lo aveva sentito ripetere anche la sera prima da Degos di Orione.
"Purtroppo, cavaliere, da ciò che ho saputo, essendo arrivato qui ad Atene da poco, pare che anche il santo del Reticolo, così come altri, sia in missione presso terre lontane.", spiegò laconico Rudmil.
L’altro, a quelle parole, parve indietreggiare dispiaciuto, "Però, se vuoi sapere qualcosa in più su di lui, posso indicarti con chi parlare.", gli disse subito dopo l’albino, accennando un sorriso.
"Ti ringrazio.", fu la veloce replica del più scuro dei due, "Ad ogni modo, io sono Juno di Cerbero.", si presentò, "Rudmil della Corona Boreale.", rispose lesto l’altro, prima di condurre il nuovo giunto in cerca di Degos di Orione.
Ludwig e Vincent erano al centro dell’attenzione di molti degli apprendisti e dei soldati che, in quel momento, non avevano alcun compito da svolgere; alcuni persino avevano iniziato delle scommesse su quanti minuti sarebbe durato stavolta l’allievo di Degos prima di cadere al suolo sconfitto.
Entrambi indossavano corpetti di cuoio che proteggevano fino in vita, oltre a protezioni per gli arti e le spalle, nessuno dei due, però, indossava un elmetto di cuoio a copertura della testa.
"Allora?", domandò d’un tratto il santo del Centauro, sollevando le braccia, come se attendesse qualcosa.
L’altro non si preoccupò nemmeno di rispondere a quella nuova sfida verbale, ve ne era una ben più importante da portare avanti: quella fisica.
Con uno scatto deciso, Vincent si gettò sul cavaliere parigrado, cercando di sbalzarlo con una violenta spallata sinistra, un colpo portato con tutto il corpo per sbilanciare l’avversario.
Il cavaliere del Centauro, però, fu ben lesto nello spostarsi sul proprio lato destro, lasciando che l’avversario lo superasse di qualche passo, prima di sferrargli un potente calcio a girare allo stomaco, sbilanciandolo leggermente, ma senza farlo cadere al suolo.
Con un ringhio di frustrazione, il giovane cavaliere si lanciò nuovamente in una carica frontale.
Ludwig lo attendeva sorridente, calmo nel vedere l’altro gettarsi nel medesimo errore, poi, però, inattesa quanto veloce, vi fu una deviazione nella carica del più giovane dei due, che con un secco movimento delle gambe si portò verso il fianco destro dell’austriaco, sferzando l’aria con un violento movimento del braccio sinistro.
Prima ancora dell’impatto fisico, il cavaliere del Centauro fu raggiunto da un’onda d’urto che lo fece barcollare qualche istante, il tempo necessario perché l’altro gli andasse a sbattere addosso, facendolo volare di qualche passo più indietro.
Ancora a mezz’aria, l’allievo di Munklar dimostrò tutta la propria agilità, compiendo una piroetta, con la sola forza dei muscoli dorsali, prima di riatterrare al suolo con un sorriso, facendo un inchino verso chi gli applaudiva, dopo quella piccola esibizione d’abilità.
Per il più giovane dei discepoli del Sagittario, quello era poco meno di un addestramento, e non perché sottovalutasse l’allievo di Degos di Orione, bensì per la natura stessa del ragazzo che, in situazioni del genere, cercava il modo per rilassarsi, per non pensare a tutto ciò che succedeva intorno a lui: da Wolfgang, inviato in chissà quale missione, alle voci su una nuova guerra, la prima cui avrebbe mai partecipato, malgrado la sua famiglia discendesse da un ceppo cadetto del casato Asburgico e tutti i suoi antenati avessero combattuto per l’Austria, fin dai tempi di Napoleone ed ancora prima, probabilmente.
I dubbi su quella che sarebbe potuta essere la sua sorte, assieme alla curiosità su quella che era la sorte di Wolfgang, per quanto fosse sicuro delle capacità del compagno di addestramenti, portavano il giovane Ludwig a comportarsi sempre in quel modo rumoroso: preferiva che gli altri avessero l’attenzione calamitata su di lui, così da mantenere la propria mente sempre concentrata su altro che non fosse quella gigantesca emanazione cosmica che aveva fatto imbrunire persino il viso del suo maestro Munklar.
Vincent, al contrario, non amava trovarsi al centro dell’attenzione ed il fatto che Ludwig, più perché fosse l’unico cavaliere d’argento, oltre a Degos, che non per altri motivi, lo avesse già due volte sfidato, battendolo, era per lui fonte di una leggera rabbia rivolta nei confronti del parigrado.
Da quando, alcuni anni prima, era arrivato dall’Olanda fino al Santuario, Vincent si era sempre trovato sotto l’ala protettiva del maestro e del compagno di addestramenti Menisteo che, di qualche anno più grande, lo aveva sempre sorretto nel momento del bisogno e, altresì, lo proteggeva da taluni cavalieri d’argento che erano fonte di continui soprusi per chi si trovava sulla loro strada, quali Husheif e Damocle, per quanto il modo in cui si rivolgevano agli apprendisti fosse diverso: tanto feroce l’uno, quanto arrogante l’altro.
Ora che Menisteo, come gli altri due, non era al Santuario, Vincent voleva dimostrare al suo compagno, poiché era certo del ritorno del cavaliere di Eracles, che non era un guerriero da poco, che non si sarebbe fatto mettere i piedi in testa da nessuno, tanto meno da chi era giunto da qualche giorno ad Atene.
Con queste diverse percezioni di quel piccolo confronto, i due cavalieri si lanciarono di nuovo l’uno contro l’altro.
Con una veloce capriola, il santo del Centauro tentò un calcio verso la spalla destra del più giovane che, con inaspettata prontezza di riflessi, volse il braccio destro a protezione della scapola e fece forza con lo stesso, prima che con il resto del corpo, sbalzando indietro il cavaliere tedesco.
Ludwig, leggermente sorpreso, ma pronto di riflessi, fece leva sulle mani, poggiandole al suolo, per tentare un veloce calcio circolare con le gambe, spalancate in una spazzata, prima di ritornare in posizione eretta con una ruota, spostandosi sul lato destro di Vincent.
Il ragazzo olandese, nel frattempo, s’era prontamente abbassato sulle ginocchia per evitare i calci, quindi aveva provato a colpire la mano sinistra dell’austriaco con un calcio a spazzare, ma con risultati nulli, dato il pronto spostamento dell’altro.
Di nuovo faccia a faccia, i due cavalieri si lanciarono l’uno contro l’altro, in una velocissima carica frontale.
Con un secco movimento, che partì dall’addome, Ludwig si portò con la schiena parallela al suolo, spingendo in avanti con i piedi, con la chiara intenzione di colpire con ambo le gambe l’avversario in pieno petto; Vincent, però, non spostò, bensì congiunse le braccia, il destro davanti al sinistro, portandosi alla carica con le stesse che cozzarono contro le gambe del parigrado.
L’impatto spinse entrambi indietro, lasciando sbigottiti tutti i presenti.
Ci volle qualche passo all’allievo di Degos per fermarsi, mentre il discepolo del Sagittario riusciva a rialzarsi con una rapida capriola.
Entrambi si guardarono con decisione, un misto di divertimento e rabbia sul viso di ambo i giovani guerrieri, poi, con immensa sorpresa di tutti gli spettatori, i cosmi dei due ragazzi esplosero: fiamme circondarono le gambe di Ludwig ed una luce argentea ricoprì le braccia di Vincent.
"Cosa cercano di fare?", domandò sorpreso Juno di Cerbero, che era stato rallentato nelle sue ricerche dall’accesa battaglia fra i due.
Le parole dell’allievo di Edward attirarono anche l’attenzione di Rudmil, che fino a quel momento aveva inutilmente cercato con lo sguardo Degos di Orione, "Sono impazziti? Senza armature usare i loro colpi potrebbe essere mortale!", esclamò sbigottito il cavaliere della Corona, catapultandosi in avanti, fra la folla, per cercare di fermare i due.
Non fu però necessario l’intervento dell’allievo dell’Acquario, né di nessun altro: qualcosa di esterno interruppe la concentrazione di tutti, persino quella dei due combattenti, costringendoli a girarsi verso il Pireo, lontano, al di fuori della palestra. Il cosmo che aleggiava su terre lontane si era d’improvviso spento ed ora decine, o più di piccoli cosmi, alcuni più vicini, altri più lontani, di natura di certo più umana, si avvertivano, intenti in diverse battaglie.
Il silenzio era calato nella sala. Tutti i cavalieri d’argento lì presenti, persino Gustave, che era rimasto in disparte, cercavano, chi per preoccupazione, chi per curiosità, di riconoscere fra tutte quelle energie cosmiche qualcuna che gli fosse nota; cercavano notizie in quel modo.
Ed in quel silenzio meditativo rimasero per diversi minuti, finché non entrò Degos di Orione nella palestra.
"Il Sommo Sacerdote ha richiesto la presenza di tutti i cavalieri d’argento presso la Grande Arena del Tempio.", furono le secche parole dell’uomo, che, volgendo il proprio capo verso l’orizzonte, dall’uscio su cui si era fermato, cercò delle conferme alle preoccupazioni che lo avevano divorato fino a pochi minuti prima, conferme sul destino di Menisteo, il suo primo discepolo.
Nel silenzio che riempiva quella sala c’erano, però, ben poche certezze: una guerra era ormai iniziata ed il Santuario si stava preparando ad affrontarla.