Capitolo 19: Catene e Lame

"Avanza pure senza di me.", queste le parole che sentì arrivarle incontro quando si voltò verso l’interlocutore, se così si poteva chiamare, "Che cosa intendi dire, cavaliere? Pensi forse che dopo questo scontro non potrei affrontare una nuova battaglia?", domandò di rimando la guerriera.

"No, la sacerdotessa dell’Altare, non per questo, ma piuttosto perché credo che il prossimo nostro nemico sarà un ingannatore che preferirei affrontare da solo, reputo che tu potrai combattere migliori scontri con altri avversari.", suggerì la pacata emanazione cosmica che Amara del Triangolo usava per parlare.

L’impassibile maschera d’argento osservò per qualche istante l’altro, poi con un cenno del capo, Iulia concordò con le parole sentite, "Attento a te, cavaliere del Triangolo, che non debba preoccuparmi della tua dipartita.", replicò semplicemente l’allieva di Sion, correndo nella direzione che le aveva suggerito il santo d’argento, che, a sua volta, si diresse in una differente direzione, puntando ad affrontare il misterioso ingannatore.

***

Cassandra stava accarezzando la testa della sorella; non si erano mosse dal momento in cui Shango del Nibbio Reale aveva sacrificato la propria vita per non prendere quella di Agesilea.

"La battaglia non è ancora conclusa, sorella, dobbiamo muoverci da qui.", suggerì d’improvviso la sacerdotessa dell’Aquila, con voce debole, riuscendo a malapena a far forza sulle braccia che gentilmente la accoglievano fra loro, "No, per te è ormai conclusa, non puoi continuare a combattere così ridotta.", la avvisò di rimando la maggiore, malgrado entrambe sapessero una duplice verità: come sacerdotesse guerriero dovevano comunque andare avanti, in nome della divinità cui avevano giurato fedeltà e, soprattutto, per quanto le ferite sui loro due corpi fossero egualmente molto gravi, nessuna di loro voleva lasciare l’altra indietro.

"Non possiamo restare qui per sempre, sorella.", obbiettò Agesilea, cercando di rialzarsi, aiutata da Cassandra, ben orgogliosa della determinazione della sua consanguinea; fu però una sottile risata, che giunse alle loro orecchie, ad interrompere quel momento in cui si facevano forza vicendevolmente, una risata che ben presto ebbe a suo seguito delle parole: "Permettetemi di togliervi dall’imbarazzo, straniere. Vi ucciderò entrambe, così che non dobbiate tornare alla battaglia!", esclamò una voce divertita.

Tutto ciò che poi le due videro, fu una coppia di lame energetiche che con inaspettata velocità si frantumavano sul muro dove ancora loro stavano sostando, un muro che si sgretolò, come soggetto a ben più di due semplici fendenti, lasciandole cadere nel vuoto, in mezzo alle macerie ed alla polvere che da quel sorprendente attacco furono generati.

Furono gli anni d’addestramento a salvarle entrambe, spingendole a lanciarsi verso il lato opposto del muro, così che, all’ultimo, anziché restare sotterrate dai resti del muro, ne furono solo investite, atterrando malamente al suolo nel corridoio adiacente, lì dove, ora, le stava raggiungendo una nera figura, la stessa che le aveva attaccate.

Era un uomo, alto e slanciato, ben più esile nel fisico di Shango e con vestigia anche più semplici, come poterono subito notare: due spalliere a conchiglia che si congiungevano ad una corazza priva di decorazione, tranne una sorta d’increspatura, simile ad una fitta peluria, sullo sterno, lungi formi coperture per le braccia prive anch’esse di decorazioni, tranne per degli zoccoli, che coprivano i gomiti.

Alla cinta aveva un gonnellino metallico con pochi fronzoli, ma che si connetteva direttamente con due lunghe coperture per le gambe adornate da intarsi a forma di semilune, continuando fino ai piedi, con un’unica interruzione alle ginocchia, dove c’erano altri due zoccoli a protezione delle stesse; infine, sul volto, indossava una sorta di maschera, che copriva gli occhi, il naso e parte della fronte, una maschera dalla forma di una gazzella, o qualcosa di simile, su cui scivolavano parte dei corti capelli rossastri dell’uomo che ora sorrideva malvagio contro le due guerriere, sollevando verso di loro due affilate sciabole che sembravano, a ben vedere, i corni dell’animale ritratto da quelle vestigia, ma ben più lunghi del normale.

"Sapevo che avrei trovato degli avversari feriti seguendo le esplosioni di luce, ma mai avrei creduto d’incontrare due fanciulle in cerca di aiuto persino per restare in piedi. Due volte fortunato sono stato!", rise divertito l’africano dalle scure vestigia, "Chi sei tu? A quale armata appartieni?", domandò, portandosi in posizione di difesa, Cassandra.

"Sapete delle nostre armate? Dunque erano effettivamente dei Savanas quelli i cui cosmi esplodevano in battaglie lungo questo corridoio? E ditemi, chi avete sconfitto e di quali armate?", ribatté curioso l’avversario, incurante di rispondere alla domanda dell’altra.

"Garang, il Gorilla della Terza Armata ci è stato nemico.", esordì la sacerdotessa di Canis Maior, "E Shango del Nibbio Reale, membro della Seconda.", continuò la sorella minore, "Un servo dei Cacciatori e lo sciocco discepolo di uno sciocco comandante, ben poca cosa avete dovuto affrontare in fondo. Temo che nemmeno se foste state pienamente in salute avreste avuto possibilità contro di me, che sono discepolo del Generale della Quarta Armata e membro della stessa e secondo in comando ormai: Deng dell’Orice è il mio nome!", si presentò deciso l’africano, "E delle vostre carni farò macello.", concluse, lanciandosi all’attacco senza altro attendere.

Un primo veloce fendente sinistro fu diretto contro Cassandra, che cercò invano di spostarsi, per evitare l’assalto nemico, ma troppo veloce fu quello e con un tondo dilaniò le carni all’altezza dell’addome, provocando una profonda ferita, oltre, per la violenza dell’impatto, a gettare al suolo la sacerdotessa guerriero.

"Sorella!", urlò di rimando Agesilea, lasciando esplodere il fin troppo debole cosmo e preparandosi ad attaccare, ma troppo tempo le ci volle per caricare l’energia cosmica nelle braccia, tanto da non notare nemmeno Deng, che ormai le era addosso, affondando la sciabola destra nella coscia sinistra di lei.

"Sorella? Interessante!", esclamò il guerriero nero, ritraendo la lama e sferrando, allo stesso tempo, un fendente ascendente con la sinistra, così da crepare il pettorale dell’Aquila, o almeno ciò che ne restava, spingendo al suolo anche la sua seconda nemica.

"Siete sorelle dunque? Allora mi divertirò a farvi decidere chi deve vivere e chi morire.", osservò scherzoso, guardandole entrambe dall’alto della sua posizione, "Anzi, ancora meglio, ognuna di voi dovrà decidere cosa reciderò prima all’altra.", concluse divertito della propria follia, lanciandosi ad altissima velocità verso la sacerdotessa di Canis Maior e portando le spade una verso il braccio sinistro e l’altra verso la gamba destra, mentre premeva con il proprio piede destro sulla ferita che aveva appena inferto alla guerriera.

"Tu!", urlò Deng verso Agesilea, "Dimmi, cosa preferisci che tagli alla tua amata sorella? Un braccio o una gamba? Pensaci bene, perché l’altro lo taglierò a te!", domandò divertito, attendendo risposta.

"Maledetto pazzo …", ruggì, nella più completa disperazione la sacerdotessa dell’Aquila, cercando di rimettersi in piedi, "Non era questo che m’aspettavo come risposta!", ribatté annoiato il Savanas, sferrando un singolo fendente energetico contro la minore delle due, ferendola così alla spalla sinistra e lasciandola ricadere quindi al suolo.

Cassandra provò ad approfittare di quella minore attenzione nei suoi confronti, ma non appena Deng si avvide che l’altra stava per fare alcunché, premette con più forza sulla ferita all’addome, ascoltando con soddisfazione l’urlo di dolore della vittima.

"Poco male, ti staccherò una gamba se ancora hai tanta vitalità.", la apostrofò Deng, sollevando la lama che puntava all’arto inferiore; "Cassandra, no!", urlava nel frattempo Agesilea.

Non furono però le urla della Sacerdotessa dell’Aquila a fermare il guerriero dell’Orice, né ne aveva la forza quella di Canis Maior, no, fu altro a bloccare il suo braccio, qualcosa che nessuno dei tre che erano in quel piccolo corridoio si sarebbe aspettato di vedere: una catena con una sfera chiodata all’estremità, che si lanciò con prontezza verso l’africano, costringendolo ad allontanarsi dall’ateniese, per portare verso chi guidava quella nuova arma la sua attenzione.

"Cavaliere di Cerbero …", queste le poche parole con cui lo accolse la voce di una delle due sacerdotesse al suolo, ferita e sanguinante, queste le poche parole di cui s’interessò prima di focalizzarsi sul proprio avversario: il nero combattente africano.

Quando aveva saputo che sarebbero stati proprio i membri dell’esercito che aveva causato la morte del suo maestro, i nemici che avrebbe dovuto affrontare nella prima vera guerra a cui avesse preso parte, il secondo discepolo di Edward di Cefeo non seppe bene come vivere tale notizia: provava sofferenza per la morte del maestro da molto tempo e le parole con cui Husheif li aveva lasciati, risuonavano ancora nella mente del giovane, assieme ai ricordi ed alle notizie che ad essi si erano aggiunti, su quanto era successo anni prima.

Al di là delle sue emozioni, però, vi era un dato di fatto: da quando era entrato in quel tempio subacqueo, ancora non aveva affrontato uno solo di questi Savanas; prima aveva osservato il santo del Centauro e quel giovane Areoi, combattere assieme contro due di oscuri giganti, l’Elefante ed il Rinoceronte, poi, divisosi dal più dei compagni, si era trovato intrappolato in una galleria senza fine assieme a Rudmil della Corona Boreale.

Nemmeno lui sapeva per quanto tempo aveva corso in quel corridoio, che, solo ora, capiva essere stato semplicemente un’illusione, una trappola per la mente e per il corpo, in cui era caduto come uno sciocco, cosa di certo Husheif, se fosse stato lì, gli avrebbe sottolineato. Alla fine di quel vagare senza meta, si era ritrovato solo e spaesato, finché non aveva visto, poco lontano, un’esplosione d’energia tale da proiettare un qualche guerriero verso il cielo stellato ed in quella direzione s’era mosso, giusto in tempo per giungere in soccorso delle due sacerdotesse guerriero. Ora era lì, con uno dei neri guerrieri che per tanto tempo avevano tormentato i suoi pensieri, dinanzi a lui, pronto a combattere eppure solo una domanda gli balenava in mente.

"Invasore nero, dimmi, chi è fra voi la persona con maggiore maestria nell’uso del Veleno, le cui vestigia rappresentano uno scuro serpente?", domandò lesto il santo d’argento, lasciando leggermente sorpreso l’altro, "Domanda sciocca la tua, non vi è nessuno che sappia usare i veleni come la comandante della Prima Armata, Mawu del Mamba Nero.", tagliò corto Deng.

"Mawu del Mamba Nero?", ripeté, più per se stesso, il cavaliere, "E dove posso trovarla?", chiese ancora, "Dove si trovano tutti e cinque i comandanti d’armata, dinanzi alla sala ove il nostro Sovrano sta compiendo un qualche suo rito, in questi luoghi, alla fine di questi lunghi corridoi.", rispose prontamente l’africano, prima di accennare un sorriso.

"Non crucciarti, però, straniero, non avrai modo di arrivare a conoscerla, poiché il tuo cammino si concluderà qui, per mano di Deng dell’Orice, della Quarta Armata! Hai voluto interferire con la mia macellazione e ne pagherai le amare conseguenze!", minacciò infine l’allievo di Acoran, muovendo le sciabole dinanzi a se e creando un’onda d’urto che corse contro il santo d’argento, il quale, però, non si mosse d’un passo, portando a protezione del corpo le catene con cui resse a pieno l’impatto.

"Dolente di rifiutare, ma ho ben più pressanti impegni, guerriero nero. Non contro di te cadrà Juno di Cerbero di questo, come mai nella mia vita, sono certo, se la causa della diaspora fra i discepoli di Cefeo è così vicina.", ribatté convinto il cavaliere, espandendo il proprio cosmo, pronto alla battaglia che stava per iniziare.

"Sembri determinato, guastafeste, ma mi chiedo se tanta determinazione sia unita ad una difesa altrettanto buona, o comunque, a capacità che ti permettano di vincere lì dove le due guerriere al suolo non hanno potuto granché!", lo schernì il Savanas, sollevando ambo le sciabole sopra la testa, "Se ti permettano di sopravvivere al mio primo colpo: Corna dell’Orice!", urlò quindi, calando contemporaneamente le due lame.

I due fendenti d’energia cosmica corsero paralleli e veloci, come un animale pronto a caricare con le affilate corna, dilaniando il terreno che le divideva dal santo di Cerbero, il quale, in tutta risposta, sollevò semplicemente il braccio sinistro, lasciando scivolare con velocità la sfera chiodata che teneva con la stessa mano dinanzi a se, e quindi con un semplice moto del braccio, mentre il cosmo già fluiva lungo il corpo, iniziò a far roteare l’arma, creando un mulinello metallico a propria difesa.

I fendenti d’energia cozzarono con violenza contro quella difesa, scintille s’alzarono nell’aria, mentre le due lame di puro cosmo andavano disperdendosi su quel roteare vorticoso, finché non rimase altro che dei segni al suolo e qualche leggero taglio sul corpo del giovane cavaliere di Atena.

"Ed ora, spetta a me il diritto d’attaccare!", ribatté deciso Juno, "Stomas Catastrophes!", invocò il cavaliere, lanciando in avanti le sfere chiodate, circondate d’energia.

"Speri di battermi con così poco, guerriero con le catene? Sciocco!", rise divertito Deng, scattando in avanti a sua volta ed evitando con un veloce spostamento laterale la prima catena, quella di destra, per poi congiungere le sciabole dinanzi a se e liberare un’ondata energetica che deviò la corsa di quella sulla sinistra, allontanandola dal guerriero nero, che, però, non s’avvide di una terza sfera chiodata, generata dal cosmo del cavaliere, che lo investì in pieno volto, frantumando la maschera a forma di orice e scagliandolo indietro, ferito.

"Cerbero, la creatura che le mie vestigia rappresentano, era una delle antiche costellazioni, poi andate in disuso, ma per il suo legame con la mitologia e con la storia della dea Atena, i cui guerrieri dovettero, fin dalla prima guerra sacra affrontare questo feroce segugio infernale, l’armatura rimase ad immagine del Cane tricefalo dell’Ade. E le tre teste, nel mito, hanno assunto un loro significato: distruzione.

Distruzione per il passato, che ogni uomo lascia dietro di se nel momento in cui la vita gli viene a mancare, così che tutto ciò che è stato gli viene tolto.

Distruzione per il presente, poiché solo le anime dannate sono vittime della presenza di Cerbero, che procura loro tormenti, distruggendo la loro attuale esistenza.

Distruzione per il futuro, infine, poiché per le anime dannate dell’Ade non v’è speranza di salvezza, come un antico poeta italico narra: lasciate ogni speranza, o voi che entrate. Questo l’avviso che si trova sulle porte dell’Ade, questo monito è dovuto anche alla bestia a tre teste.

E come tre sono le teste che portano distruzione, altrettante le sfere chiodate che posso lanciare in questo attacco.", spiegò con tono sicuro Juno, osservando il nemico che si rialzava.

Il volto era ormai una maschera di sangue, alcuni frammenti della maschera erano rimasti conficcati nella pelle, che continuava a perdere il rosso fluido vitale, gli occhi, che sembravano avere il color delle prugne, per quanto forse fosse a causa dell’impatto appena subito, studiavano con disprezzo l’uomo che lo aveva colpito.

"Un nemico interessante, in fondo, sei, combattente con le catene, ma proprio perché usi delle catene, non sarai per me difficile vittima, ora che farò sul serio.", affermò con tono furente Deng, lanciandosi all’attacco.

L’allievo di Edward di Cefeo non riuscì a prevenire i suoi movimenti, né s’avvide quasi d’averlo ormai dinanzi a se, non prima che l’oscuro avversario avesse già sollevato le affilate lame, sferrando un violento fendente nei suoi confronti.

Fu l’armatura a difenderlo, subendo in pieno sterno il colpo e reggendo, seppur con una profonda crepa che sulla stessa andò ad aprirsi: un leggero istante di stupore del guerriero nero, che non s’avvide di come, rispetto alle altre due sacerdotesse, quelle vestigia non avevano ancora subito alcun tipo di pressione e quindi erano ben più resistenti, fu quel singolo istante a concedere a Juno il tempo di ritrarre a se le sfere chiodate, stringendole così nelle mani, lasciando che le catene scivolassero dietro di lui.

"Furbo! Pensi così di superare il difetto di possedere armi atte alla lunga distanza quando il tuo avversario è tanto vicino a te? Vedremo!", lo ammonì sicuro Deng, sferrando un veloce fendente destro verso il capo del cavaliere, ma questi fu più lesto nel sollevare il braccio, portando la sfera chiodata ad impattare contro la lama nemica.

Con un secco movimento, poi, fu proprio Juno a tentare un gancio destro verso l’addome del nemico, che, notato il tentativo d’attacco, indietreggiò lesto, provando quindi a sferrare un violento tondo all’altezza della testa del cavaliere d’argento, che, però, fu altrettanto rapido ad abbassarsi, provando, subito dopo, un colpo ascendente con ambo le sfere chiodate che teneva fra le mani verso il mento dell’africano.

L’allievo di Acoran spiccò quindi un salto verso l’alto, compiendo, a mezz’aria, una veloce rotazione sul proprio asse verticale, così da portare le due lame delle sciabole all’altezza del capo del suo avversario, che troppo tardi se ne avvide per riuscire a sollevare le sfere chiodate a propria difesa.

"Cavaliere di Cerbero!", urlò a quel punto Cassandra, che, durante quel veloce scambio di attacchi s’era riavvicinata alla sorella ferita, osservando l’esito di quello che era stato l’ultimo acrobatico attacco del guerriero dell’Orice: la corona delle vestigia d’argento era al suolo, divisa in due metà quasi perfette ed un taglio sanguinante macchiava ora la fronte del santo di Atena, che s’era velocemente voltato verso il proprio nemico.

Le sciabole erano sollevate, la sinistra più indietro, con l’avambraccio che formava un angolo acuto all’altezza del gomito, la destra, invece, distesa in avanti e puntata verso il volto sanguinante del nemico, "Rinuncia, guastafeste, e forse avrai una morte più veloce, per quanto dolorosa.", lo invitò divertito l’allievo di Acoran; ma questi non poteva sapere che, come lui s’era addestrato per un certo lasso di tempo combattendo contro Buadza del Bufalo Nero, ed avendo facile vittoria sulle asce dello stesso, allo stesso modo, Juno aveva passato il proprio addestramento affrontando Husheif di Reticulum e mai una battaglia era stata facile, né simile alla precedente, ma soprattutto ben poche erano state le sue vittorie, poiché tanti erano i difetti che l’altro gli aveva rivelato.

Difetti che, però, con il tempo il cavaliere di Cerbero aveva saputo sfruttare a proprio vantaggio, come le lunghe catene a cui erano connesse le sfere chiodate, di cui molti si dimenticavano durante gli scontri a breve distanza, compreso Juno, un tempo.

Furono proprio quelle catene che, non appena il discepolo di Edward di Cefeo le spinse a se con una secca azione delle braccia, si andarono ad avviluppare alle gambe del guerriero nero, che non aveva notato di esservi atterrato in mezzo, facendogli quindi perdere l’equilibrio e costringendolo a scoprire lo sterno, lì dove feroce e potente sopraggiunse un gancio sinistro del cavaliere, che sbalzò in aria il nemico.

Non vi fu, però, tempo per Deng di riprendere l’equilibrio, ancora piegato dal violento impatto, che già la catena destra volò verso di lui, "Koklò Timorias!", invocò a quel punto il santo d’argento, mentre le spire dell’arma si legavano attorno al corpo dell’altro.

Atterrò al suolo, il guerriero nero, con le catene che continuavano a roteare in circolo, bloccandolo all’interno di quella spirale che, ora più larga, gli dava modo di voltarsi a guardare il perimetro in cui era rinchiuso, un perimetro che fu, d’improvviso, riempito da una violenta corrente ascensionale, che sollevò da terra il Savanas, impedendogli di bloccare la sfera chiodata che, improvvisamente, lo investì allo stomaco.

"Come ti ho già spiegato, Cerbero era uno dei guardiani dell’Ade, una valle di disperazione per le anime dannate, lì dove venivano divisi e distribuiti fra i vari gironi, ognuno per subire una diversa punizione per i peccati commessi in vita.

Il Cane tricefalo, dal canto suo, era destinato alla guardia del girone degli ingordi e, per quanto io non mi ritenga giudice, o adatto guardiano, ed ancor meno carnefice, nei confronti di chiunque, ora, fra le spire vorticanti della catena e soggetto alla furia dell’arma alla sua estremità, ti offro una piccola anticipazione delle punizioni che attendono tutti noi nell’Oltretomba.", spiegò con tono serio Juno, espandendo ancora di più il proprio cosmo.

"Ben altra fine attende le anime di chi qui combatte, giovane sciocco! Una fine a cui ben presto ti condurrò, costringendoti a visitare il Guscio Infinito, dove tutto si perde! Ben diversa sarà la tua dannazione! Ma non temere, avrà inizio anch’essa prima che morirai, poiché è tempo che ti mostri cosa ho realmente appreso dal mio maestro!", ringhiò l’allievo di Acoran, riuscendo a riprendere una posizione d’equilibrio e circondando d’energia cosmica le due sciabole, mentre le univa sopra il capo.

Forse era troppo sicuro delle proprie armi, forse fu l’osservare una gigantesca catena montuosa delinearsi alle spalle del nemico, ma Juno fu troppo lento nel ritrarre la catena destra per portarla a propria difesa e non poté far molto di più che sentire l’urlo dell’altro.

"Kilimanjaro!", invocò deciso Deng, calando le due armi in un unico gigantesco fendente d’energia.

Sembrò quasi che la stessa catena montuosa africana calasse sul guerriero di Atena, la cui catena sinistra andò completamente in pezzi, così come la sfera chiodata ad essa connessa, prima che la spalliera sinistra e parte delle vestigia li seguissero in quel percorso di distruzione, che produsse ampi danni anche alla carne del giovane santo d’argento, il quale si ritrovò a volare a diversi metri da terra, prima di schiantarsi al suolo, sanguinante.

In piedi, ferito a sua volta, ma tronfio della prima vittoria, il combattente dell’Orice osservava il proprio avversario a terra, prima di voltarsi verso le due sacerdotesse guerriero, "Bene, fanciulle, dov’eravamo? Se ben ricordo, stavo per recidere la gamba di una di voi!", rise divertito, avanzando, con fare più incerto di prima, verso le due vittime iniziali, che ben più gravi danni avevano subito nelle precedenti battaglie.

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"Alzati, idiota! Pensi che stare lì, sdraiato per terra a leccarti le ferite possa cambiare qualcosa?", una voce rimbombò nella mente di Juno, ma quando il giovane cavaliere aprì gli occhi, non fu il nemico che si vede davanti, ma l’altrettanta scura pelle di Husheif, che lo osservava con sguardo critico e con estremo ed evidente disappunto.

"Ecco cosa ha causato la morte del nostro maestro: l’incapacità dei suoi allievi!", obbiettò furioso il cavaliere di Reticulum, mentre l’altro si rimetteva in piedi, o almeno ci provava, sennonché il giovane di origini egiziane lo rigettò subito al suolo con un ben assestato calcio alla gamba sinistra.

"Che vuoi dire? Il maestro è molto per una malattia, come possiamo esserne noi responsabili.", obbiettò perplesso il giovane, rimettendosi in piedi, "Ecco, vedi? Incapacità di comprendere anche l’evidenza dei fatti!", ruggì Husheif, sferrando un violento calcio al volto dell’altro.

"Fermi!", urlò in quello stesso momento Nirra, appena vide cosa stava succedendo, e bastò quella singola voce per distrarre il cavaliere di Reticulum e permettere a quello di Cerbero d’alzare le braccia a difesa del volto, per poi allontanarsi con un balzo.

"Tu, non t’impicciare!", ordinò secco Husheif, voltandosi verso la giovane sacerdotessa di bronzo, ma il suo braccio fu lestamente fermato dalla catena di Juno, che s’avvolse attorno allo stesso, "Pensi forse che la malattia del maestro sia legata a quel guerriero dalle vestigia di Salamandra nera? Come potrebbe? Hai visto che usava il fuoco in battaglia ed il maestro non hai poi ricevuto particolari ustioni, o almeno non ne abbiamo viste!", ribatté il giovane secondo discepolo.

"Smettetela di litigare, siamo rimasti soli ormai …", sibilava nel frattempo la più piccola degli allievi, in ginocchio, china su se stessa.

Il più anziano dei tre guardò gli altri due e poi si volse verso se stesso e sbuffò: "La sua vita per le nostre, non sarebbe stata poi chissà quale perdita per nessuno. Poi, con te, Juno, forse a perderti, il mondo ci avrebbe anche guadagnato.", lo ammonì, scrollandosi di dosso la catena, con alcuni fili d’energia cosmica, che fece nascere dalle proprie mani.

"Parli bene, eppure non mi sembra che nemmeno tu avessi fatto chissà che contro quel nemico, eppure la tua temibile Pagida Aracné, di cui tanto vai fiero, da non usarla nemmeno in battaglia, avrebbe forse dato un aiuto!", sbottò l’altro, che troppo aveva subito dal compagno d’addestramenti in quei pochi giorni dalla morte di Edward, senza capirne la ragione.

"La Pagida Aracné è un’arma che non posso usare senza attenzione, in un luogo in cui anche un incompetente come te si trova, almeno che non ti voglia morto. E questo il maestro, purtroppo, non l’ha permesso.

In più, le temibili tecniche di Cerbero, non mi pare che siano state tutte ben sfruttate, eppure hanno dei nomi così minacciosi ed altisonanti: Fauci della Distruzione, Cerchio della Dannazione! Sai perché hai dato tali nomi ai tuoi attacchi? Per compensare la tua mancanza di qualità come guerriero.", lo ammonì di rimando l’egiziano, spingendolo indietro con la semplice espansione del proprio cosmo.

"Adesso basta, Husheif! Non capisco ancora il perché di tutto questo rancore, di queste continue critiche, ma se proprio vuoi che ti dimostri le mie qualità, ebbene preparati!", ribatté rabbioso Juno.

Fu così che il cosmo di Reticulum iniziò a brillare di caldi colori, mentre richiamava a se i poteri della Nebulosa della Tarantula e, allo stesso tempo, le catene di Cerbero scivolavano dalle mani del loro padrone, il cui potere cosmico stava ora turbinando intorno a lui, pronto ad essere lanciato.

Solo una cosa impedì che i due discepoli di Edward di Cefeo si lanciassero l’uno contro l’altro i loro colpi migliori: Nirra del Camaleonte che corse fra loro, portandosi in mezzo, "Fermi!", urlò, lasciando esplodere il proprio cosmo, infimo al confronto degli altri due, incapace di bloccarli, come invece fecero le sue parole.

I due, che per lungo tempo avevano condiviso fatiche e problemi, si ritrassero, estinguendo entrambi i loro cosmi prima di sferrare i rispettivi attacchi e poi Husheif voltò ai compagni le spalle.

"Fra pochi giorni partirò per il Santuario di Atene e lì andrò a risiedere.", sentenziò semplicemente l’egiziano.

"Perché?", domandò spiazzato Juno, che, nel frattempo, s’era avvicinato a Nirra, "Noi siamo gli unici allievi dell’Isola di Andromeda, qui dovremmo restare.", continuò la sacerdotessa con il volto, celato dalla maschera, chino verso il suolo.

"Non servirebbe a niente. Andrò al Santuario, compirò missioni per la dea che il maestro ci ha detto di onorare e difendere e chissà che un giorno non incontri il serpente nero che merita di essere ucciso.

Fino ad allora mi allenerò lì, chissà che non diventi più forte del nostro maestro, abbastanza da capire.", spiegò semplicemente l’altro, senza voltarsi, "Tu, Juno, e tu, Nirra, restate pure qui, invecchiate fra queste vuote rocce, senza preoccuparvi di ciò che veramente Edward ci ha donato, al di là della forza e delle vestigia, sprecate il suo ultimo regalo.

Io lo userò al meglio, perché un giorno quella serpe si sciolga fra i fili della Pagida Aracné!", concluse, allontanandosi.

Quelle furono le ultime parole che si dissero prima dell’addio del cavaliere di Reticulum, parole che allora non aveva capito, che solo dopo la scoperta sul nero esercito gli risultarono infine più chiare: il dono ultimo del loro maestro era stato salvargli la vita.

Non se la sarebbe fatta portare via prima di incontrare Mawu del Mamba Nero.

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"Tu chiami questo un attacco, ragazzina? Mi chiedo come possiate voi due aver avuto ragione di Shango del Nibbio Reale. Per quanto fosse discepolo solo di Moyna della Seconda Armata, non l’ho mai considerato così inferiore a me e Nyame, si vede che lo sopravvalutavo davvero troppo.", queste le prime parole che il santo di Cerbero sentì, riprendendo i sensi.

Quello che Juno non poteva sapere era che, in quei pochi minuti, Agesilea e Cassandra avevano cercato di attaccare assieme Deng dell’Orice, sferrando contemporaneamente alcune delle loro tecniche energetiche, ma con ben miseri risultati, considerata l’agilità che, malgrado le ferite, l’altro dimostrava di avere rispetto le stanche avversarie.

Le due sacerdotesse osservavano il nemico che sorrideva, con il volto deformato dal primo attacco subito da Juno, le sciabole sollevate e pronte a colpire, "Vi avevo presso che delle vostre carni avrei fatto macello, ebbene quale modo migliore che scagliarvi contro la potenza della montagna più grande d’Africa? Con i complimenti del mio maestro, il Mietitore!", esclamò divertito Deng, prima di sferrare la devastante potenza del Kilimanjaro contro le due sacerdotesse, troppo stremate per fare alcunché per evitarlo.

Quando, però, ambedue credevano che niente le avrebbe potute salvare, una veloce corrente d’aria le scaraventò ben lontane dal luogo dell’impatto, gettandole al suolo malconce, ma concedendo loro di sopravvivere: furono sorprese nel vedere che il responsabile di ciò era proprio il discepolo di Cefeo.

"Mi scuso per i modi, ma non avevo altri mezzi per allontanarvi in tempo da quella tecnica …", disse semplicemente Juno, prima di voltarsi verso Deng, che lo osservava curioso, notando la rinata determinazione nel suo sguardo.

"Ebbene? Hai deciso che restare senza sensi ad attendere il tuo turno non era un destino gradito? Vuoi che la potenza del Kilimanjaro cada di nuovo su di te?", domandò divertito il nero guerriero, "No, niente di tutto ciò: come ti ho detto, non cadrò prima di aver ottenuto ciò che io e Husheif abbiamo voluto dalla morte del maestro. Qualcosa di ben diverso dalla vendetta: comprensione.", affermò deciso Juno, espandendo sempre più il proprio cosmo, "Per questo non mi tratterrò dall’usare su di te il mio colpo più potente, invasore.", avvisò infine, aprendo le mani dinanzi a se.

"Floion Trion Epikephales!", urlò il santo d’argento, liberando una gigantesca corrente d’aria che sollevò letteralmente da terra il nemico, schiantandolo più volte contro le pareti, finché questi non affondò con forza la sciabola destra in uno di quei muri, per vedere, con suo immane stupore, quella stessa arma che più volte gli aveva donato la vittoria, spezzarsi dinanzi alla furia di quella corrente, che sembrava portare con se un ululato infernale.

"<<Cerbero, fiera crudele e diversa, con tre gole caninamente latra sovra la gente che quivi è sommersa.>>, così lo descrisse il grande poeta italiano che narrò della creatura di cui le mie vestigia hanno la forma.

E quello stesso latrato è la mia arma più potente, la stessa che ti ho riversato contro.", lo apostrofò Juno, osservando il nemico, schiantarsi al suolo con le vestigia in pezzi in più punti, ben più gravemente delle sue.

"Mi hanno stufato le tue citazioni. Non m’interessa niente di cosa mai le tue vestigia possano rappresentare, né di come tu possa usarne le virtù.", tagliò corto Deng, rialzandosi a fatica, prima di sollevare sopra il capo l’unica sciabola rimastagli ed impugnarla con ambo le mani.

"Rinuncia alla battaglia, guerriero nero, arrenditi e deponi l’ultima arma che ti resta, non è la tua vita che voglio. Come ho detto: non cerco la vendetta, voglio comprendere le azioni del mio maestro, semplicemente, ed ucciderti non credo che mi aiuterà in questo.", lo avvisò il santo d’argento, ricevendo una risata di scherno in risposta.

"Non ad arrendermi sono stato addestrato, né tanto meno mi è concesso questo diritto! Nella quarta armata si combatte finché il nemico è morto, o finché si è vivi per farlo! Inoltre non pensare che avere una sola lama sia per me motivo di debolezza, poiché unendo le braccia su un’unica sciabola la potenza dell’attacco che ora affronterai. La mia tecnica massima, che ha il nome della seconda vetta della catena montuosa africana.", minacciò soddisfatto Deng, la cui energia cosmica fluiva imperiosa nella lama, "Mawenzi, abbattiti sul mio avversario!", ordinò infine, scatenando la potenza devastante di quel singolo fendente che volò rapidissimo, scavando un solco nel terreno, aprendo la dura roccia come fosse burro fuso, prima ancora che Juno riuscisse a rendersene conto.

"Floion Trion Epikephales!", urlò all’ultimo il cavaliere d’argento, liberando il latrato di Cerbero, che riuscì appena a rallentare la corsa della lama nemica, che già lambiva le sue vestigia, creandovi un solco superficiale, da cui iniziava a filtrare il sangue del santo di Atena.

Le due forze, per alcuni secondi, si equilibrarono, finché la potenza della seconda cima d’Africa iniziò a troneggiare sul latrato del tricefalo, costringendo il discepolo di Edward ad indietreggiare di qualche passo, per evitare la violenza della lama che già su di lui premeva; "Anotata Altair!", urlò una voce femminile alla destra di Juno, "Anghellos Fotou!", gli fece eco una seconda voce da sinistra, prima che i due combattenti notassero la coppia di sacerdotesse guerriero in piedi, in supporto del parigrado.

"Non reggeremo ancora per molto, cavaliere di Cerbero, vedi di concentrare il tuo cosmo e potenziare il tuo attacco lì dove noi stiamo puntando, potremmo avere qualche possibilità collaborando tutti assieme!", propose Cassandra, che incideva stanca sulle gambe, avanzando, "Mia sorella ha ragione. Solo assieme avremo qualche speranza contro costui!", continuò Agesilea, che ancora barcollava nel semplice reggersi in piedi.

Li osservava in silenzio Deng, covando in se tutto il proprio disprezzo per chi combatteva per amore fra sorelle e per comprendere: quali menzogne erano mai queste per lui! Solo un motivo c’era per andare in battaglia, come un giorno gli era stato spiegato, cioè uccidere i propri nemici.

Questo gli aveva detto, anni prima, il suo maestro, Acoran, e proprio di quel giorno gli tornarono i ricordi alla mente in quel momento.

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Erano stati scelti, alcuni si erano proposti in vero, ma in generale il centinaio di uomini che si trovavano dinanzi a quella figura così alta e slanciata, erano i futuri membri della Quarta Armata, o almeno quello era ciò che si immaginavano, prima che il loro futuro comandante iniziasse a parlare.

"Alcuni di voi sono stati inviati nella mia armata perché, semplicemente, nessun altro li ha voluti, altri, pochi credo, hanno scelto di prendere parte a questo specifico plotone, i più, invece, sono arrivati qui per puro caso.

Come ben sapete, ci sono altri quattro comandanti d’Armata ed ognuno di noi ha un proprio modo di vedere la disciplina sul campo ed il fine ultimo che siamo chiamati a compiere.

Mawu, la Guerriera a capo del Primo Plotone, vede nel successo per il bene del nostro Sovrano il suo unico obbiettivo: non le interessano i nemici, non si preoccupa della loro identità, sono solo ostacoli da abbattere in nome del nostro Re. Un punto di vista corretto, ma troppo distaccato.

Moyna, il Benevolo, si preoccupa del bene dell’Africa e delle sue genti, quindi valuterà sempre il rischio che i soldati a lui sottoposti corrono, si preoccuperà del loro bene, prima di affidargli una missione, valuterà ogni opzione, prima di mandarli a morire. Non aspettatevi che io faccia altrettanto.

Ntoro, custode del Guscio Infinito, al contrario, non valuta nemmeno i propri seguaci, per lui tutti gli esseri non sono che anime in attesa di abbandonare la vita terrena, quindi, come spesso anche i suoi allievi hanno già l’abitudine di fare, più che combattere, conterà i morti, o ingannerà i vivi. Deplorevole.

Gu il Cacciatore, infine, considera tutti gli avversari semplici prede, non uomini, non nemici, ma animali da cacciare, poiché lui è un predatore, come lo sono tutti coloro che da lui vengono addestrati e che per lui combattono. Un punto di vista a cui mi vedo più vicino, ma che non è ancora il mio.

Quello che io, il Mietitore, vi chiederò, non sarà né di considerare i vostri nemici delle entità inutili, né delle bestie, bensì persone da combattere ed uccidere! Non solo per il nostro Re, o per l’Africa, non perché tutti alla fine dobbiamo morire, ma perché, se avete scelto di essere qui, siete qui per bere il sangue di chi vi si porrà sul cammino, finché quello non sarà sgombro. Io non avrò al mio seguito dei soldati che combattono perché devono, ma dei massacratori ed assassini che uccidono perché è l’unico modo che hanno per abbandonare il campo di battaglia. Non vi chiederò di vincere le battaglie, ma di massacrare ogni nemico finché avrete forza di farlo e quando i nemici finiranno, un giorno, vi ordinerò di uccidervi gli uni con gli altri, o di provare ad uccidermi, poiché questo è l’unico modo in cui potrete ancora sentirvi vivi.

Avete capito?", urlò Acoran alla fine di quel crescendo di parole.

Un urlo si alzò fra i presenti che lo ascoltavano, gli stessi che, di lì a pochi giorni, si ridussero della metà, poiché, per saggiare il loro cosmo, il Mietitore li fece combattere, e quindi uccidere, fra loro, finché non rimasero solo venti uomini, fra cui scelse Deng e Buadza, i più capaci, che addestrò come propri allievi.

Quello per lui fu l’inizio di una nuova vita fatta di massacri, la stessa che lo aveva portato allo scontro che stava combattendo ora.

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"Rinuncia, invasore! Non puoi farcela da solo contro tre cavalieri di Atena!", rimarcò Juno, espandendo ancora di più il proprio cosmo, così che il latrato del tricefalo echeggiasse sempre più intenso in quel corridoio, "Mai! Il numero non è problema che mi ponga! Mai indietreggiare, né arrendersi, questo è l’ordine supremo della Quarta Armata. La morte in battaglia è l’unica forma di sconfitta possibile!", ruggì il Savanas dell’Orice, incalzando con la violenza del Mawenzi, a cui anche la potenza di Mirzam ed Altair si contrapposero.

La luce ed il fulmine che dalle stelle prendevano la loro forza, infine, si fusero, unendosi al vorticare del verso proveniente dal cane infernale e quella potenza, nata dal cosmo di tre guerrieri oltrepassò e distrusse la maestosità della seconda vetta africana, investendo con inarrestabile determinazione Deng dell’Orice, fracassandone le vestigia danneggiate e schiantandolo contro la parete di roccia alle sue spalle, morto, prima di seppellirlo sotto le stesse.

Per alcuni secondi i tre guerrieri di Atena rimasero in silenzio ad osservare, stanchi, affaticati e sanguinanti, aspettando quasi che il nemico si rialzasse, poi Agesilea ebbe un mancamento e crollò in ginocchio.

"Sorella!", esclamò Cassandra, avvicinandosi all’altra ed aiutandola ad alzarsi, o almeno provandoci, prima che anche lei crollasse sulle proprie ginocchia; nessuna delle due, però, toccò il suolo con le mani, poiché fu lesto Juno a prenderle ambedue per le braccia, mettendosi in mezzo fra loro, aiutandole a sostenersi in piedi.

"Non c’è vergogna nell’aiutarsi gli uni con gli altri, sacerdotesse guerriero, anche se fino al giorno scorso non ci conoscevamo, oggi siamo compagni d’arme, condividiamo ferite e battaglie, oltre che la comune fede nella Giustizia.", affermò semplicemente l’allievo di Edward, accennando un sorriso alle due ed iniziando ad avanzare con le guerriere ferite accanto a se, sostenendosi fra loro.