Capitolo 17: Fulmine e Luce
La sua meta era una sola: l’Avaiki di Ukupanipo.
Stava viaggiando alla massima velocità che il corpo, provato dalla battaglia nel precedente tempio polinesiano, permetteva, una battaglia, però, da cui nessun altro era sopravvissuto: né Areoi che difendevano la loro divinità, né traditori, alcuni uccisi per sua mano, altri che non aveva potuto proteggere da quelli che un tempo erano compagni, o dagli invasori africani. Ora sarebbe stata la volta di quello che era il luogo centrale di quella guerra fra le nere armate e le bianche schiere, una guerra in cui aveva ancora una parte da compiere perché un Nuovo Mondo avesse inizio.
La sua meta era ormai vicina.
***
"Interessante.", l’unica parola che Ntoro, Generale della Quinta Armata, disse, per catturare l’attenzione dei suoi parigrado, "Che succede d’interessante?", chiese lesto Acoran, guardando il maestoso interlocutore.
"Tre battaglie sono finite, quelle che riguardavano gli allievi di alcuni di noi e sapete come si sono concluse? Con la morte di questi tre discepoli, di altrettanti maestri.", spiegò sghignazzando il colosso.
Con uno scatto, Moyna dell’Aquila Urlante gli fu addosso, facendo schiantare violentemente quella nera sagoma sulle rocce e quasi scomparendo con lui nell’ombra, "Shango, anche lui ora è nel Guscio Infinito?", ruggì furioso, quasi strangolando il parigrado, che dovette scagliare un’emanazione d’energia cosmica, che fece brillare le grosse ed imponenti vestigia che gli coprivano il petto con delle sorta di immani squadrate scaglie, spingendo via l’altro, che aprì le ali sulle sue spalle, atterrando agilmente al suolo.
"No, Comandante della Seconda Armata, Shango si è perso nel cielo della Polinesia, travolto dall’esplosione del cosmo della sua avversaria, che, credo, si sia sacrificata a sua volta per abbatterlo. Non ho potuto seguire fino in fondo la loro sorte, poiché non al Guscio Infinito hanno fatto ritorno le anime di costoro, bensì nelle stelle sono andate scomparendo.", spiegò, schiarendosi la voce, Ntoro.
"Immagino che anche chi ha vinto su Heitsi abbia dovuto sacrificare la propria vita.", rise distaccato Gu, volgendo lo sguardo ai due, "In realtà, il tuo più giovane discepolo, Comandante della Terza armata, ha dovuto combattere contro il supremo guerriero di questo tempio, l’Areoi più potente di questi luoghi, escluso probabilmente l’ospite del nostro Sovrano, quindi, come puoi immaginare, non è stato quello nemmeno una sfida il Savanas della Genetta.", replicò saccente il gigante, ricevendo una smorfia di disappunto dall’altro.
A quel punto, Ntoro, Gu ed Acoran si volsero verso Mawu: tutti sapevano che Akuj era la sua ultima discepola, anzi, più correttamente era l’ultimo membro della Prima armata e la morte di questa avrebbe lasciato la guerriera con un occhio da sola rispetto alle loro schiere, che ancora contavano almeno un elemento ognuna.
La guerriera del Mamba Nero, dal canto suo, era in silenzio, ricordando mentalmente il primo incontro con quella piccola schiava liberata, il modo in cui quella s’era dimostrata coraggiosa e pronta alla lotta, i lunghi addestramenti per sviluppare un cosmo che non le era proprio, un cosmo che la rendesse simile a lei, Mawu. Ora, dopo Chuku e Kwoth, anche la sua ultima discepola l’aveva abbandonata; dopo Chikara, anche l’ultimo membro delle sue schiere era caduto per onorare il suo Re.
Cosciente di ciò, la donna alzò lo sguardo verso quelli che le si rivolgevano, ma non disse loro alcunché, quando però s’avvide di un sorriso divertito di Acoran, allora espanse il proprio cosmo, costringendoli tutti, anche Moyna che si struggeva nel proprio dolore, ad allontanarsi di qualche passo da lei, per non essere mortalmente infettati.
"Gli altri membri del nostro esercito, i sopravvissuti, dove si trovano?", chiese secca la Comandante della Prima armata, "Deng, discepolo di Acoran, ha trovato un qualche bersaglio, al pari del mio allievo Anansi.", rispose velocemente Ntoro.
"E Nyame?", domandò curioso Gu, ricevendo un cenno negativo con il capo da parte del gigante, prima che ancora una volta fosse il Comandante della Seconda Armata a farsi avanti: "Akongo, dov’è Akongo? Anche lui sta combattendo?", incalzò Moyna, "No, ancora nessun avversario sembra averlo raggiunto.
Per ora ci sono degli Areoi che combattono fra loro e contro i cavalieri di Atena, probabilmente dei seguaci dell’ospite del nostro Sovrano.", rispose secco l’altro, lasciando tutti alle loro riflessioni.
***
Correva, veloce come sempre, ma, a quanto sembrava: non abbastanza!
Aveva visto l’esplodere di diverse battaglie dall’altra parte di quello stesso Avaiki e ben due colonne di pura energia cosmica alzarsi verso il cielo e se una, la più recente, non lo preoccupava affatto, poiché non era nella direzione in cui aveva visto atterrare il compagno d’armi, l’altra lo rendeva decisamente inquieto: possibile che, alla fine, fosse rimasto l’unico membro della Seconda Armata ancora in vita? Che fossero rimasti lui ed il nobile Moyna da soli, di nuovo?
Correva così tanto che quasi non avvertì quel rumore che proveniva da uno dei piccoli laghi interni di quel tempio, fu piuttosto una sensazione a farlo allarmare e rallentare quel tanto da riuscire a vedere una sagoma dalla corazza bianca che fuoriusciva agilmente con un balzo dall’acqua, atterrando a pochi passi da lui, se nonché, una volta inquadrate le nere vestigia di cui era coperto, ambedue fecero un salto indietro, per distanziarsi reciprocamente.
"Chi sei tu?", esclamò l’africano, scrutando quel poco che intravedeva della bianca sagoma, "Le tue scure vestigia mi portano a dire che tu, per primo, dovresti rivelarti a me, invasore, non piuttosto il contrario, poiché qui, non sei certo padrone di casa, o almeno non ancora credo.", replicò l’altro, guardando a sua volta verso la nera figura che aveva davanti a se.
A quelle parole, il guerriero africano fece un paio di passi avanti, entrando nel cono di luce, "Hai ragione, chiedo scusa per le mie maniere. Il mio nome è Akongo della Zebra, guerriero della Seconda Armata d’Africa, al servizio del grande Moyna.", concluse, togliendosi l’elmo e tenendolo sottobraccio.
L’Areoi poté studiare per qualche secondo l’uomo che aveva davanti: era slanciato ed atletico, la pelle di un colore ebano vivo, le vestigia, scure come tutte quelle degli invasori che finora aveva incontrato, ricalcavano un qualche tipo di cavallo, o comunque un animale che agli occhi di chi conosceva solo i territori polinesiani, doveva somigliarci, forse una sorta di mulo.
I gambali, così come le protezioni per le braccia avevano una forma gonfiata nella zona al di sopra delle ginocchia e dei gomiti, quasi che i muscoli in quelle aree fossero ben più grossi del normale, che si andavano ad unire al corpo centrale dell’armatura formando una sorta di gonnellino metallico sulla cinta e delle larghe spalliere sullo sterno.
Il tronco dell’armatura, poi, aveva una conformazione piuttosto semplice, anche se, come anche le altri parti della corazza, era soggetto alla medesima fantasia di nero più e meno intenso a striature che adornavano per intero le vestigia, fino all’elmo, che ricalcava il viso di un equino, per l’appunto, con un’apertura sulla nuca, apertura da cui scivolava fuori la capigliatura bianca dell’uomo, legata in una coda che ricordava, quasi, la criniera di quella specie di animale; il volto della Zebra, infine, costituiva una maschera che nascondeva il viso ben rasato e gli occhi marroni dell’africano, così come poté facilmente notare il polinesiano, nel momento in cui l’altro lo rindossò.
"Ora tu, uomo di queste terre, rivelati.", esordì a quel punto Akongo, attendendo la replica dell’altro, che non tardò a giungere, quando anch’egli si portò nel cono di luce: "Sono Tawhiri della Torpedine.", si presentò.
Un’armatura bianca, con delle macchie grigiastre lungo tutto l’addome, e verosimilmente anche sul dorso, fu la prima cosa che si poté notare; i gambali erano soggetti alla medesima caratterizzazione, solo che due ampie pinne li ricoprivano dalle ginocchia fino agli stinchi, interrompendo quella fantasia.
Altre due ampie pinne, poi, costituivano le spalliere, seguendo la chiazzatura del tronco e coprendo appena l’intera pelle di quella zona del corpo, mentre una pinna ben più ampia, di certo la coda del pesce a cui quelle vestigia erano ispirate, aveva il ruolo di cintura, coprendo la zona dal plesso solare fin quasi alle cosce.
L’elmo, però, era qualcosa che Akongo non avrebbe saputo descrivere: sembrava quasi una sorta di casco che celava la testa in una pentola, paragone migliore all’africano non venne in mente, adornata da due piccole antenne sulla nuca, che lasciava visibili solo gli occhi verdi, attraverso una sottile fessura, questo finché, quasi avesse vita propria, quella obbrobriosa copertura del capo non si ritrasse, lasciando completamente scoperto il volto fiero del polinesiano e richiudendosi sui capelli, di cui qualche ciocca verdognola appena s’intravedeva sotto le bianche vestigia.
Questi i due guerrieri che s’erano trovati, l’uno dinanzi all’altro, in quella zona dell’Avaiki.
"Se posso darti un consiglio, invasore, ora che ci siamo presentati, abbandona subito queste terre e torna da dove sei venuto, così, magari, non avrai di che rischiare la vita. Se, invece, resterai qui, allora dovrai affrontarmi. A tuo rischio e pericolo.", esordì, dopo qualche altro istante di silenzio, l’Areoi, immobile, con le braccia conserte dinanzi al corpo.
"Gentili le tue parole, indigeno, leggermente superbe forse, ma, purtroppo, per quanto io stesso adorerei tornare nelle vaste pianure dello Zaire, non mi è permesso per ora: ho dei doveri da compiere nei confronti del mio Comandante e fra questi vi è quello di eliminare ogni nemico che si pone sulla mia strada, in suo nome e gloria.", replicò deciso Akongo, espandendo un cosmo ricolmo di luce, "Quindi solleva le tue difese, se ne possiedi, e prega che siano sufficienti a reggere il confronto con i miei attacchi!", concluse minaccioso, lanciandosi in una rapida carica frontale.
Con elevata velocità, l’africano si lanciò alla carica verso l’avversario, spiccando, all’ultimo, un agile salto verso l’alto e, mentre era a mezz’aria, quasi stesse librandosi in cielo, Akongo compì due veloci rotazioni su se stesso, guadagnandone una sempre maggiore forza centrifuga, che, unita alla gravità, incrementò la potenza del calcio con cui stava per investire dall’alto l’orrido elmo dell’avversario.
Tawhiri, dal canto suo, rimase immobile, sollevando le braccia e lasciando espandersi lungo il corpo un cosmo ricolmo d’energia elettrica, "Non sai chi hai dinanzi tu, guerriero d’Africa, se dubiti delle capacità difensive della Torpedine, il più veloce in acqua ed il più abile in difesa fra tutti gli Areoi di Ukupanipo, dopo la Tartaruga marina.", esclamò sicuro di se l’altro, quando ampie scariche elettriche lo circondavano ormai per tutto il corpo.
L’impatto fra i due combattenti non avvenne: furono l’elettricità che difendeva il polinesiano e la luce che circondava l’africano a cozzare a mezz’aria, spingendo entrambi i duellanti indietro di qualche passo, malgrado ciò non fece cadere al suolo la Zebra, che agile, con una capriola, atterrò in piedi, dinanzi al nemico, che, indietreggiando leggermente, riprese la propria posizione di guardia.
"Ora che ti ho mostrato le mie difese, uomo dalle nere vestigia, è tempo che ti presenti anche il mio attacco!", esclamò subito dopo Tawhiri, lanciandosi in una corsa veloce quanto le scariche elettriche che lo circondavano, puntando a sferrare un rapidissimo diretto verso l’addome del nemico, che, però, dimostrando una prestanza pari a quella dell’altro, compì una rapidissima capriola, nel secondo stesso in cui l’altro stava per arrivargli addosso e così oltrepassò l’Areoi, spostandosi alle sue spalle e distanziandosi senza problemi.
"Se speri di raggiungermi basandoti solo sulla velocità, sappi che, esclusi i nostri cinque comandanti, solo Nyame, della Terza Armata rivaleggia con me in rapidità di movimento.", lo ammonì sicuro di se il guerriero nero, osservando l’altro fermarsi a guardarlo.
Con uno scatto, senza dire alcuna parola, Tawhiri si lanciò di nuovo all’assalto verso il nemico, sferrando un velocissimo pugno verso l’addome dello stesso, un colpo che, però, mai raggiunse Akongo, malgrado ciò che l’altro vide, poiché dinanzi a lui solo un’immagine residua dell’avversario era rimasta, un trucco generato dall’alta velocità di movimento mista al cosmo di luce dell’africano.
"Sei lento!", fu il commento del guerriero della Zebra, che, spostatosi sul fianco del suo nemico, sferrò un veloce calcio alla zona del ginocchio destro, ma, come prima per il combattente della Torpedine, ora fu il momento dell’africano perché il colpo si perdesse in mezzo alle scariche elettriche residue dal rapidissimo moto d’evasione con cui l’altro s’era spostato, lasciando solo una parziale immagine di se.
"Lento? Parla per te!", replicò sarcastico il polinesiano dell’Avaiki di Ukupanipo, portando il proprio braccio destro in posizione per sferrare un velocissimo e violento gancio contro il volto dell’invasore, ma perdendo ancora una volta tempo, poiché il pugno affondò nell’immagine residua del seguace di Moyna, che lesto s’era portato sopra di lui, cercando di sferrare un calcio a martello contro l’elmo della Torpedine, per finire, ancora una volta, con il piede ad impattare con il terreno.
Stavolta, però, voltandosi Akongo vide fermo a qualche metro di distanza Tawhiri, che gli sorrideva beffardo: "Se andiamo avanti così, però, non finiremo mai.", commentò beffardo l’Areoi, "Te lo ripeto, abbandona questo Avaiki e non dovrai perdere la vita.", aggiunse serio, lasciando espandersi il proprio cosmo lungo i pugni, "Ed anch’io torno a ripeterti che la ritirata non è fra le opzioni in mio diritto. Posso solo andare avanti in nome del mio comandante, mentre tu mi pari poco affezionato al tempio che dovresti proteggere.", ribatté tranquillo il guerriero della Zebra, la cui luminosa energia cosmica lo circondava.
"Non ai sassi di un luogo di ritrovo per gli uomini va la mia fedeltà, ma al mare in cui i pesci consacrati ad Ukupanipo risiedono. Finché voi attaccate gli esseri umani e non offendete le acque cui sono tanto legato, per me il problema è minimo. Non ho mai dato valore agli uomini e non inizierò certo a farlo ora: combatto, se necessario, per la mia personale salvezza e per mantenere l’ordine costituito, non mi curo di ciò che è delle persone, così come spesso hanno fatto loro con me.", rispose con tono sprezzante Tawhiri, "Se però sei sordo ai miei consigli, africano, allora vedrò di dare i tuoi resti in pasto agli animali che tanto amo nelle acque della Polinesia!", lo ammonì deciso l’Areoi, mentre l’energia cosmica andava a chiudersi sui pugni massicci.
"Scariche della Torpedine! Eliminate il mio nemico!", ordinò d’un tratto il guerriero polinesiano, aprendo di colpo le mani e lasciando che l’energia dalle stesse fluisse sotto forma di una vera e propria tempesta di fulmine che si gettarono contro il terreno, prima che Tawhiri chiudesse i pugni, richiamandole a se e sferrando una violentissima seria di pugni energetici in direzione dell’africano avversario.
Akongo, dal canto suo, non si mosse, semplicemente sollevò il braccio destro verso l’alto, lasciando che l’energia luminosa scivolasse dallo stesso con fare quasi serpentino, all’inizio, prima di rivelare la vera forma, quella di una criniera, che andava, quasi, a combinarsi con la coda dell’equino che rappresentava.
"Criniera della Zebra. Sii la mia difesa!", replicò semplicemente l’altro, prima che quella barriera di luce lungi forme iniziasse a ruotare attorno a lui, con velocità costante.
"Se speri che quella sottile difesa, così lenta nel muoversi, possa salvarti dal mio attacco, ebbene ti sbagli ed anche di molto, guerriero nero!", avvisò deciso Tawhiri, continuando a scatenare i violenti pugni d’energia, che come meteore ricolme d’elettricità, quasi, si dirigevano verso il comune bersaglio del loro tragitto.
Non rispose niente, però, il fedele guerriero di Moyna, prima che le prime sfere cozzassero contro la barriera di luce, senza superarla, ma venendone, semplicemente, inghiottiti, scomparendo insieme nella stessa, con grande sorpresa dell’Areoi, che, ammutolito, intensificò la vorace carica di attacchi, che, però, finirono tutti per fare la medesima fine.
"Sei sorpreso, indigeno? Eppure non dovresti. Questa è semplice Rifrazione, qualcosa che è stata studiata dalle genti dell’Europa, non hai mai sentito parlare di Snell, o Hendrik Lorentz? Immagino che nel tuo nuotare per i mari, tu non ti sia preoccupato di arricchire la tua cultura.
Ebbene, ti darò una veloce spiegazione di cosa sia la Rifrazione e di come io la usi in battaglia.
Nella fisica la rifrazione è un effetto ottico dovuto all’incontro di due onde luminose che hanno indice di rifrazione, per l’appunto, diverso, il che produce l’inganno ottico che uno dei due oggetti sia deviato dalla propria traiettoria.
Io, quando ho sviluppato questa tecnica difensiva, mi sono basato su una logica simile: ogni attacco energetico ha una diversa ondulazione, dovuta al cosmo di chi lo genera, ed è pressoché impossibile che due uomini abbiano esattamente lo stesso cosmo, forse sarebbe possibile nei gemelli, ma non ho mai constatato ciò.
Al contrario ho fatto in modo che, una volta che la mia Criniera della Zebra va in contatto con un attacco nemico, non semplicemente lo assorbe, come puoi aver creduto, bensì lo devia, esattamente nella direzione da cui proveniva.", concluse deciso Akongo, prima che le scariche elettriche generate dall’Areoi fuoriuscissero dal vortice di luce, dirigendosi proprio contro chi le aveva scatenate.
Inizialmente sorpreso, Tawhiri non fece molto di più che spostarsi lateralmente, evitando i primi attacchi del suo stesso colpo, poi, però, dopo alcuni balzi ad altissima velocità, che comunque Akongo sembrava poter seguire con spostamenti ben più limitati, il guerriero della Torpedine parve riprendersi e, aperte le mani dinanzi a se, sferrò dei violenti colpi contro i suoi stessi pugni energetici, disperdendoli nell’aria circostante, che sembrò quasi riempirsi di una carica elettrostatica, dato i sottili fulmini che, nei pochi secondi di calma successivi, parvero circondare il corpo dell’Areoi.
"Credi che basti lanciarmi contro il mio stesso attacco per vincermi? Ammetto che sono rimasto inizialmente sorpreso da questa tua difesa, ma ciò non mi ha impedito di evitare danni a mia volta. Ora fatti, avanti, guerriero nero, mostrami qualcosa di veramente degno di tale nome, se di me vuoi aver ragione!", lo sfidò sicuro di se Tawhiri, facendogli cenno di farsi avanti.
Un cenno del capo fu l’unica reazione di Akongo, che sollevò ambo le braccia, portandole indietro, prima di congiungerle in avanti con un sonoro impatto dei pugni, "Zoccolo della Zebra! Schiaccia il nemico!", ordinò deciso il guerriero africano, mentre già un sorriso si dipingeva sul volto dell’altro, che, in tutta risposta, rimase immobile a braccia conserte.
"Elettrogenesi!", invocò semplicemente l’Areoi, prima che una condensazione di scariche elettriche circondasse per intero il suo corpo, bloccando l’impatto con l’ammasso di luce scagliato dal nemico, che ora aveva preso la forma della massiccia zampa dell’animale che il membro dei Savanas rappresentava attraverso le proprie vestigia.
"Pensavi di superare le mie difese con così poco? Gli organi elettrogeni della Torpedine permettono a questo grandioso animale degli Oceani di difendersi dai predatori ed attaccare le prede attraverso le scariche che scaturiscono dal suo corpo e lo stesso vale anche per me!", replicò sicuro di se Tawhiri.
"Superba come difesa, non c’è che dire, indigeno, ma ben poca cosa dinanzi al potere d’Assorbimento della luce, un potere che contraddistingue anche questo mio attacco.", avvisò di rimando Akongo, mentre già le scariche elettriche intorno al corpo del polinesiano sembravano, inspiegabilmente, cambiare colore.
"L’assorbimento della luce è una particolare caratteristica delle onde di luce che vengono assorbite, per l’appunto, da un corpo, trasmettendovi energia e, nel particolare caso del mio attacco, quando quella stessa energia viene assorbita dalla tua difesa, non si piega a lei, bensì si addensa ed addensa finché non esplode!", concluse, poco prima di un’esplosione energetica, l’africano.
O almeno quella sarebbe stata l’impressione del guerriero dei Savanas, prima di notare, all’ultimo, una sagoma bianca che stava per colpirlo al fianco sinistro con un calcio; fu solo la velocità di reazione di Akongo che impedì al calcio dell’altro di colpirlo, ma gli diede comunque il tempo di osservarlo: Tawhiri era vivo, ma ferito, un danno sulle vestigia ed un’ustione sulla spalla sinistra, dove le vestigia erano più danneggiate.
"Sei stato veloce ad allontanarti non appena hai inteso il pericolo, mi complimento.", esordì l’africano, osservando l’altro, "Tutta la tua scienza non può competere con l’istinto di chi ha nuotato per anni ed anni circondato dai pesci più pericolosi. Posso non conoscere la logica dietro i tuoi attacchi, ma la più naturale bestialità del mio agire ti sarà sempre un passo avanti.", ammonì deciso l’Areoi, espandendo ancora una volta il proprio cosmo, "Ed anzi, credo d’aver persino trovato il modo di superare le difese di cui tanto ti fai fregio.", lo minacciò infine, caricando ancora una volta il proprio cosmo elettrico, che scivolò dalle mani aperte sul terreno, per poi condensarsi di nuovo nei pugni chiusi.
"Vuoi tentare ancora le sorti della battaglia con un colpo che già non ha avuto fortuna? Ebbene, guerriero, non sarò io a negarti questo diritto!", replicò deciso l’altro, sollevando il braccio sinistro e lasciando che la scia di luce iniziasse a ruotare attorno a lui.
"Scariche della Torpedine!", fu l’unica replica di Tawhiri nel caricare il proprio attacco, "Criniera della Zebra!", invocò in difesa l’altro. Quello che accadde dopo, però, sorprese non poco Akongo: il suo nemico, infatti, non sferrò frontalmente gli attacchi, bensì, iniziò a muoversi, a sempre maggiore velocità, mentre colpiva, seguendo quella che, inizialmente, agli occhi del Savanas parve una traiettoria per distrarlo, o cercare una pecca in quella difesa, ma, alla fine, si rivelò essere una strategia ben più corretta e, infine, anche efficace, quando alcune scariche elettriche investirono in pieno il guerriero nero, sbalzandolo indietro e solo l’agilità e la prontezza gli impedirono di cadere al suolo malamente.
"Ti faccio nuovamente i miei complimenti, Tawhiri della Torpedine, ti dimostri al fine un avversario dall’intelletto attivo. Hai capito come superare la mia difesa nell’unico modo possibile, cioè condensando tutta l’energia in un unico punto, sicché non potessi rifrangerla per intero.", esordì allora Akongo, osservando con attenzione l’altro, che ricambiò con un po’ di curiosità il suo sguardo: "Non ho fatto una riflessione così complicata, ma semplicemente mi sono ricordato dei cerchi nell’acqua che fa un sasso.", ribatté tranquillo l’Areoi, ricevendo uno sguardo allibito dall’altro.
"Quando lanci un sasso sull’acqua, a seconda di come lo lanci, questa si può increspare, mentre la piccola pietra affonda, puoi vederlo in una traiettoria distorta in quel momento, ma se usi abbastanza forza, l’acqua farà più che incresparsi, si deformerà impedendoti di vedere il sasso, questo sì, ma aprendosi allo stesso e ho pensato che, se avessi concentrato tutti i miei attacchi in un unico punto, avrei potuto ottenere lo stesso contro la tua difesa.", spiegò banalmente il polinesiano.
"Hai delle buone strategie, semplici ed efficaci, ma non per questo vincerai, guerriero che combatte per Ukupanipo.", replicò sicuro Akongo, espandendo il proprio cosmo.
"Ritirati, africano, è l’ultima volta che te lo consiglio. Se non lo farai, per te sarà troppo tardi.", ripeté ancora una volta Tawhiri, "Ti ringrazio della gentilezza, ma ti ho già spiegato che non combatto per me stesso, bensì per il mio comandante, al contrario di te.", tagliò corto il membro della Seconda Armata.
"Perché combattere per altri? Forse è questo che la tua cultura ti ha spinto a fare? E cosa hai ottenuto? Portare morte e distruzione nelle case di altre genti? Ho visto cosa avete fatto nel tempio di Lono, le vostre armate nere hanno ucciso decine di uomini per cosa? Per il bene di altre genti? Gli uomini si nascondono dietro queste menzogne quando si uccidono fra loro. Meglio vivere come i pesci dell’Oceano, liberi, selvaggi forse, ma non legati a contorte falsità e ragionamenti.", ribatté critico l’Areoi, che nel frattempo sollevava le braccia sopra il capo.
"Strane parole le tue, che ora mi affronti, per il bene della divinità che segui e non delle tue genti, da ciò che mi hai detto precedentemente, parole di chi, comunque, si abbassa ad agire come un uomo, poiché porta battaglia malgrado quello in cui crede.", lo rimproverò Akongo, "Anche le Torpedini, o qualsiasi altro animale dei mari combatte se si sente minacciato e tu, che mi hai apertamente detto di volere la mia vita per chissà quale stupido comandante, sei una minaccia per me.", spiegò banalmente l’altro.
"Non osare sottovalutare il mio comandante!", ruggì di rimando l’africano, il cui cosmo parve per un attimo esplodere di luce, prima di quietarsi di nuovo.
"Vedi, questa reazione più istintiva sembra dimostrare che sei veramente legato all’uomo che ti comanda, ma ciò non motiva abbastanza la volontà di uccidermi, non dal mio punto di vista.", continuò calmo l’Areoi, "E non credo tu possa capire, se ti spiegassi come funzionano il nostro esercito, qual è il metro di misura della qualità di un’armata rispetto all’altra, ma ti parlerò semplicemente di ciò che potrebbe esserti noto, un istinto che è proprio anche degli animali: l’affetto fraterno.", spiegò tranquillo Akongo.
"Sei dunque fratello dell’uomo che ti comanda in battaglia?", domandò incuriosito il polinesiano, "Non per legame di sangue, quello non ci lega, ma il destino ha voluto che lo incontrassi e che per me Moyna ricoprisse il ruolo del genitore, seppur come età era solo un fratello maggiore, che non avevo mai conosciuto.", rispose, prima di continuare, l’africano.
"Devi sapere, infatti, che nel mio piccolo villaggio in Zaire, negli anni della mia nascita, ci fu un periodo di carestia piuttosto grave, che, come ogni malnutrizione, ha portato ad una diminuzione delle difese immunitarie ed ad una successiva epidemia, decimando la mia gente.
Io, uno dei pochi sopravvissuti, fui raccolto da dei missionari europei e passai i primi anni della mia vita in un piccolo orfanotrofio da loro tenuto; anni in cui appresi molto, dal semplice leggere e scrivere, fino ad una basilare cultura sull’Europa.
Poi, a dieci anni, incontrai il grande Moyna, che in quei giorni vagava per le terre dell’Africa, in cerca di pace. Non era ancora diventato un guerriero dell’esercito nero, ma aveva già una conoscenza ampia del mondo.
Non mi ci volle molto per decidere di abbandonare quel luogo e fuggire con lui. Viaggiamo assieme per anni, lui mi fece da fratello e da padre, aiutando anche la mia innata curiosità a saziarsi, permettendomi di leggere libri che barattavamo, o che, lo ammetto, alcune volte rubavamo, quando non avevamo di che vivere.
Poi, quando fu scelto dal Re Nero e vide in questo esercito un’opportunità per unire e pacificare le nostre terre, Moyna accettò ed io con lui; fui iniziato ai poteri del cosmo, che in entrambi si erano naturalmente risvegliati negli anni vissuti all’agghiaccio, e malgrado non divenni mai allievo del mio attuale comandante, ne fui da sempre il secondo al comando, seguendolo in tutto e per tutto, lui, il solo fra tutti i Generali dei Savanas ad avere a cuore il bene dei suoi soldati, probabilmente.
Perché non debba rischiare la propria vita per mano del nostro stesso Sovrano, per non averlo onorato, per questo combatto e per questo motivo devo vincere, sia pure usando la mia tecnica finale.", tagliò corto Akongo, aprendo le mani ai lati del proprio corpo.
"Mimetismo della Zebra, rivelati!", urlò d’improvviso l’africano e solo in quel momento Tawhiri notò delle piccole luci, improvvisamente visibili, circondarlo da ogni direzione e chiudersi su di lui, troppo veloci e troppo ben disposte, perché potesse sperare di spostarsi ed evitarle, o perché potesse in qualche modo difendersi con l’Elettrogenesi.
Lo stesso, però, l’Areoi condensò la propria difesa attorno a se, prima che quella pelle di luce si chiudesse su di lui, schiacciandolo in mezzo ad un agglomerato d’energia cosmica devastante.
Quando la condensazione di luce svanì, l’africano fu comunque non poco sorpreso nel vedere il suo nemico ancora in piedi: "Sei stato veloce nel sollevare le difese, ma a che t’è servito? Hai subito lo stesso un attacco che non ti aspettavi, un attacco che fonda la propria dote mimetica, la stessa che le zebre possiedono per natura grazie alla loro pelle striata, sulle alte frequenze a cui può viaggiare la luce, quella invisibile all’occhio umano. Rinuncia alla lotta e ti darò una morte veloce, poiché non per le tue sofferenze combatto, ma per il sogno di pace che unisce la Seconda Armata.", lo avvisò Akongo, osservando l’altro che, però, si rimetteva in piedi, alzando ambo le braccia sopra di se e fra le stesse s’andava addensando il cosmo elettrico di questi.
"Nessuna creatura si lascia uccidere senza combattere, nemmeno il più piccolo dei pesci si arrende senza dar fondo a tutte le sue possibilità, quindi aspetta a dichiararmi sconfitto, poiché ora ti mostrerò la più potente delle mie armi! La stessa che ho appreso, come tutto, da solo, nuotando per le vastità dei mari della Polinesia, nel viaggio che mi portò fin qui, in Nuova Zelanda, al tempio di Ukupanipo!", affermò deciso, mentre l’energia prendeva forma fra le sue mani, la forma della creatura marina che lui stesso indossava come vestigia, "Torpedine Selvaggia! Colpisci!", urlò a quel punto, scatenando il proprio attacco.
Il guerriero africano non poteva saperlo, ma se lui era vissuto passando attraverso la disgrazia della morte della propria gente ed andando a vivere in un orfanotrofio, sorte ben diversa era toccata al suo avversario: Tawhiri, infatti, era figlio di pescatori delle Isole Samoa e lì era cresciuto, imparando a nuotare ancor prima che a parlare, amando la natura ed i pesci del mare, più che le case strette e chiuse della sua gente.
Per anni non aveva fatto niente più che nuotare fra i pesci, sfuggendo alla scuola, alla famiglia, alle altre persone, affascinato solo dai pesci, tanto che, quando una notte gli parve quasi che gli animali dell’Oceano lo chiamassero a se, Tawhiri non ebbe dubbi: abbandonò tutto e tutti e si lanciò in acqua e nuotò, per giorni, settimane, sviluppando una forza che si rivelava sotto forma di fulmini, ma che lui, inizialmente, non comprendeva, una forza che lo spinse, infine, fino alle coste della Nuova Zelanda, aiutandolo a raggiungerle ed a sopravvivere, cibandosi dei pesci più piccoli e sfuggendo ai più grandi, come un vero e proprio animale dell’Oceano.
Solo quando arrivò all’Avaiki di Ukupanipo, incontrò Tiotio e fu investito delle vestigia della Torpedine, che parvero rispondergli autonomamente, solo allora lui capì: era stato scelto per essere sia un uomo sia un pesce, in qualche modo, servendo la divinità che regnava sovrana sui pesci, l’unica autorità, in quel tempio di rocce, che realmente riconosceva, la stessa per cui ora stava combattendo.
Queste le certezze dell’Areoi, che stava osservando il suo nemico alzare le proprie difese per bloccare quella gigantesca creatura di pura energia elettrica che gli veniva incontro; tutto inutile, come ben sapeva il guerriero polinesiano, come ben presto capì anche Akongo: la potenza di quella scarica energetica era pari a cento volte più di quella di una delle sfere affrontate fino a quel momento, una potenza che fu tale di superare la Criniera della Zebra, investendo in pieno l’africano e scagliandolo stavolta al suolo con violenza, sanguinante all’addome, dove il più della scarica s’era liberata.
Si scambiarono uno sguardo in silenzio i due guerrieri: entrambi erano feriti, entrambi combattevano per ciò che per loro aveva valore, seppur quello in cui credeva Tawhiri era un’esistenza più libera, spirituale, slegata dalle catene della gerarchia, slegata da tutto ciò che non fosse il mare ed i pesci a cui era tanto affezionato, al contrario di Akongo, il cui unico credo era la logica, unita a quel suo fraterno affetto verso Moyna.
L’uno combatteva per l’istintivo bisogno di pace per i mari, l’altro per il ragionevole legame che aveva con chi vedeva come unica persona a lui cara; istinto e ragione, come pensò lo stesso Savanas della Zebra, riflettendo su quanto più irrazionale fosse una scarica elettrica che si gettava contro un corpo solido, al contrario di una condensazione di energia luminosa ben manovrata e pilotata.
L’uno avrebbe diretto un violento assalto frontale verso il combattente africano, l’altro avrebbe dovuto espandere silenziosamente, ancora una volta, la propria emanazione di luce invisibile attorno all’avversario polinesiano e di questo anche l’Areoi era cosciente, come era cosciente dei danni che entrambi avevano riportato facendo uso delle loro difese nei momenti meno appropriati e di come quella velocità che li aveva contraddistinti all’inizio dello scontro avrebbe segnato il vincitore di quel confronto.
Scattarono entrambi, silenziosi com’erano rimasti fino a quel momento, in una velocissima serie di spostamenti per portarsi l’Areoi al di fuori delle zone in cui l’attacco del nemico potessero bloccarlo ed il Savanas al sicuro dall’assalto del suo avversario.
Quando, però, Akongo intravide l’altro rallentare e scaricare l’energia cosmica verso il suolo, prima di condensarla nei pugni, rimase sorpreso: che il suo avversario volesse sferrare il più debole dei propri attacchi per confonderlo prima di attaccare con la ben più potente tecnica che possedeva? Era una strategia possibile, ma perché usarla in quel momento?
Non rimase a porsi quel dubbio, semplicemente accettò l’azzardo dell’altro e decise di rischiare: le nere vestigia della Zebra contro le Scariche della Torpedine, mentre la bianca corazza dell’altro avrebbe dovuto subire il suo più potente attacco, da ogni direzione.
Nel momento stesso in cui, però, Akongo sollevò le braccia, iniziando a condensare l’energia cosmica ad alta frequenza luminosa, Tawhiri accennò un sorriso, sollevando verso l’alto le proprie mani e facendo altrettanto per sferrare il proprio colpo migliore, "Avevo ragione, non puoi preparare questa tecnica mentre ti muovi, esatto?", domandò soddisfatto il polinesiano, "Immaginavo che come molti pesci degli abissi, che necessitano di relativa calma per mimetizzarsi ed attaccare le prede, così anche il tuo colpo, che sul mimetismo fa affidamento, necessitasse del medesimo precetto. Non mi sono sbagliato, ma ora dovrai rischiare molto di più contro la Torpedine Selvaggia!", minacciò infine l’Areoi.
Fu leggermente sorpreso da quelle parole l’africano, ma non indietreggiò di un passo, "Sia pure! Dunque vuoi far concludere tutto in un singolo confronto fra le nostre forze? Bene, avremo entrambi questa possibilità di concludere lo scontro, che la potenza dell’attacco e la resistenza delle vestigia decida le nostre sorti.", concluse il Savanas.
"Torpedine Selvaggia, compi il tuo viaggio!", ordinò deciso Tawhiri, scatenando il proprio attacco, "In nome di Moyna, Mimetismo della …", ma la voce di Akongo fu interrotta da una in avvicinamento, che urlò violenta poche parole: "Danza della Gioia!".
Nessuno dei due combattenti poté fare molto: l’Areoi della Torpedine non riuscì a fermare il proprio attacco, il Savanas della Zebra non ebbe il tempo di scatenare il suo, o sollevare alcuna difesa e delle piume di luce verde, che sembrarono saettare come una pioggia di smeraldo, caddero dall’alto, incontrandosi sul corpo di Akongo con la violenta scarica elettrica dell’altro guerriero. Il risultato di questo duplice impatto fu un’esplosione d’energia tale da schiantare al suolo il cadavere senza vita dell’africano, che rotolò per qualche metro, prima di fermarsi poco lontano dal lago intorno cui s’erano incontrati i duellanti di quella battaglia.
Lo guardò un’ultima volta Tawhiri della Torpedine, "Quale che sia il tuo oltretomba, combattente straniero, ti auguro di trovarlo, che tu possa riposare lì con la pace che hai negato a te, ed ad altri, in vita.", le uniche parole che sibilò l’Areoi, prima di voltarsi verso la sagoma che stava planando dal cielo, una sagoma dall’armatura bianca come la sua.
Era una donna, una guerriera di un qualche Avaiki, di certo non consacrata ad Ukupanipo, poiché le candide vestigia erano costituite da lunghe piume che ne celavano il petto e parte dell’addome, salendo poi verso le spalle, anch’esse ricoperte di quelle piume, che poi si combinavano in ampie ali dietro la schiena.
Le braccia erano leggermente celate da delle placche metalliche per lo più decorative, mentre dei lunghi gambali si intravedevano sotto una gonna di piume che celava quasi fino ai piedi quella guerriera, il cui volto era adornato da un elmo, ora apertosi sul volto, rappresentante una sorta di, agli occhi di Tawhiri, pappagallo minaccioso, per la forma seghettata del becco e la corona di crespe piume in cui si concludeva quel copricapo.
"Chi sei tu, Areoi?", domandò il guerriero di Ukupanipo, "Laka di Poukai, provengo dall’Avaiki di Ira, la dea del Cielo. Unica sopravvissuta dello stesso, credo.", si presentò la ragazza, "E tu, chi sei, guerriero di Ukupanipo?", incalzò poi.
"Tawhiri della Torpedine.", rispose lesto il combattente, "Piacere di conoscerti, e prego per l’aiuto che ti ho dato in battaglia.", tagliò corto la guerriera, atterrando al suolo, "Cosa ti porta qui?", replicò, incurante del commento, l’altro.
"Ho visto il vostro emissario morire nel nostro Avaiki e ho sentito questi neri invasori parlare di riunirsi tutti proprio nel vostro tempio, così ho pensato di dirigermi qui, in cerca di alleati. Il tuo compagno d’arme, Io del Barracuda, è caduto presso il santuario di Ira, per mano di un suo nemico.", concluse, con voce più seria sulle ultime parole, la ragazza.
Il consacrato ad Ukupanipo chinò per alcuni attimi il capo, augurandosi, fra se e se, che l’altro avesse trovato nell’oltretomba i vasti mari che aveva sempre sognato di poter attraversare.
"Lo conoscevi?", domandò curiosa Laka, "Un ottimo nuotatore, spesso abbiamo visitato i mari sacri al nostro divino signore assieme.", rispose semplicemente l’altro, iniziando ad avanzare e rivolgendo solo un’ultima domanda alla ragazza: "E tu, conosci qualcuno dei membri di questo Avaiki?"
"Escluso te ed il Barracuda caduto, nessun altro Areoi di questo tempio.", concluse l’altra, avanzando assieme al guerriero con vestigia del medesimo colore.