Capitolo 14: Valori
Shango seguiva ancora la direzione presa poco prima, quando con Akongo avevano discusso sul muoversi o meno dalla posizione in cui si trovavano, ma era riuscito a convincere l’amico a seguirlo, o, quantomeno, a lasciarlo andare senza obbiettare.
Non sapeva dove si trovasse l’altro, né come stesse Ayabba, si augurava solo che entrambi non fossero al momento intenti in battaglie, per quanto, dalla sua posizione rialzata, riusciva a distinguere più e più scontri in atto, malgrado non riuscisse a percepire chi stava combattendo, a causa del rito del loro Sovrano.
La curiosità per quella strana esplosione di luce e fuoco lo aveva spinto ad alzarsi in volo per dirigersi alla ricerca di un avversario, ancora si chiedeva chi avesse potuto scatenare una tale potenza: Garang, Chikara, forse uno degli indigeni che affrontava gli stranieri europei? Non lo sapeva, ma desiderava comunque affrontare il vincitore di quello scontro, così da ottenere gloria, non per se stesso, quanto per il comandante Moyna, suo maestro.
Quest’ultimo pensiero lo fece sorridere: proprio colui che guidava la Seconda Armata aveva più volte mostrato il proprio disappunto dinanzi al loro Sovrano per quelle innumerevoli campagne di guerra, fino all’inizio dell’ultima, l’attuale, quando in quel tempio sull’altura aveva visto morire Lebe del Fennec, un ragazzino, o poco più, che aveva perso la vita combattendo con tutto se stesso per il desiderio di rendere onore al proprio nome, al proprio comandante ed a tutti i compagni caduti in quei lunghi anni di guerre, che li avevano sempre più allontanati da casa.
Anche per lui Shango voleva vincere contro un nemico potente, oltre che per il proprio maestro, poiché era ben sicuro di ciò che sarebbe successo alla fine di quella giornata di battaglie, quando l’Esercito Nero avrebbe esposto le perdite e le vittorie personali dinanzi al Leone Sovrano.
I pensieri del combattente della Seconda Armata, però, s’interruppero quando intravide due sagome avanzare dal medesimo punto verso cui lui si stava dirigendo: probabilmente aveva trovato chi cercava, per quanto fu sorpreso nello scoprire che erano donne europee, come si poteva intuire dalle vestigia non bianche e dalle maschere che ne celavano il volto, caratteristiche che non contraddistinguevano gli Areoi di quelle terre.
Ora che aveva il suo nemico, doveva solo presentarsi loro!
Agesilea non sapeva nemmeno da quanto stavano camminando, si rendeva solo conto che sua sorella Cassandra era ancora debole, stremata dallo scontro con quel gigantesco africano, uno scontro in cui lei non aveva potuto fare molto di più che restare a guardare, neppure un suo attacco aveva avuto successo, niente!
Avvertiva cosmi esplodere ogni dove, da quando si era conclusa la battaglia fra quel Garang e sua sorella, c’erano stati altri due, forse tre, scontri, ma non riusciva a riconoscere nessuno dei cosmi intenti a combattere e, anche per questo motivo, aveva preferito proseguire per il percorso che avevano scelto all’inizio, malgrado le condizioni di Cassandra, poiché non sapeva se, avvicinandosi ai luoghi in cui le varie battaglie erano ormai concluse, avrebbe trovato degli alleati o dei nemici ad attenderle.
Avvertiva l’opprimente presenza di quel tetro rituale che riempiva l’aria, impedendole di percepire perfettamente i cosmi circostanti, ma, a ben pensarci, anche riuscendo ad avvertirli, lei quante volte aveva avuto modo di incontrare i suoi compagni in quella missione? Era la prima volta per tutti loro di collaborare, eccetto che nel caso di Vincent dello Scudo, discepolo di Degos d’Orione, l’unico che proveniva anche dal Grande Tempio, o che, comunque, era rimasto presso il Santuario in tutti gli anni che vi avevano vissuto anche lei e sua sorella.
"Agesilea …", sussurrò Cassandra, d’un tratto, richiamando l’altra sacerdotessa dai propri pensieri, "Sono qui, sorella, non preoccuparti.", le disse l’altra, tenendola per un braccio, preoccupata che non riuscisse a tenersi in piedi, ma la maggiore delle due fece un cenno con la mano, indicandole una sagoma che stava letteralmente atterrando dinanzi a loro, una sagoma dalle vestigia nere, un nemico che, di certo, avrebbero dovuto affrontare.
Nemico che si fermò dinanzi a loro, con un violento spostamento d’aria che le costrinse ad indietreggiare di qualche passo, senza riuscire nemmeno ad osservarne a pieno le vestigia.
"Buongiorno, guerriere, sono Shango del Nibbio Reale, membro della Seconda Armata, giunto fin qui per affrontarvi ed ottenere gloria per il mio comandante.", si presentò l’africano, bloccando loro il cammino.
***
Una risata fu l’unica cosa che emise Ntoro, comandante della Quinta Armata, catturando l’attenzione di tutti i presenti.
"Che succede?", domandò preoccupato Moyna, mentre già la curiosità di Gu ed Acoran si poteva distinguere nei loro sorrisi maligni, "Un altro guerriero è giunto nel Guscio Infinito, un membro della Prima Armata.", spiegò sibilino, volgendo, al pari dei parigrado della Terza e Quarta Armata, lo sguardo verso Mawu.
"Chi?", fu la secca risposta della donna con un occhio solo, "L’Istrice.", rispose semplicemente l’altro, attendendo una reazione della guerriera del Mamba Nero.
Per alcuni istanti, però, la Prima Comandante non disse niente, ricordando, fra se e se, quando aveva trovato quella piccola orfana, dopo aver razziato un campo di venditori di schiavi pronti ad imbarcarsi dalla Costa d’Avorio verso l’America meridionale. Allora era una bambina, niente di più, che però aveva strappato con i denti le corde che la tenevano prigioniera ed era scappata, evitando di essere massacrata durante la razzia guidata da Mawu per volere del proprio Sovrano.
Il Mamba Nero l’aveva scelta come propria seguace, malgrado non l’avesse direttamente addestrata, proprio perché, in qualche modo, era stata lei a strapparle la famiglia, ma soprattutto perché aveva visto in lei lo spirito del guerriero, qualcosa che apprezzava e che riteneva degno di essere lodato ed usato per un fine più grande, cioè seguire il cammino disegnato dal Leone Nero.
Non avrebbe immaginato che anche Chikara, come molte altre prima di lei, avrebbe perso la vita durante quelle campagne di conquista, ma, in fondo, era questo che facevano le guerre: portavano morte e spezzavano vite e legami.
"Ti stai forse abbandonando ai ricordi, Primo comandante, ti vedremo anche piangere?", domandò d’un tratto la voce di Gu della Terza Armata, ora molto vicino all’unico occhio della guerriera che, riavutasi dai propri ricordi, lasciò esplodere il proprio venefico cosmo, costringendo l’altro, ed anche i restanti parigrado, ad allontanarsi di una decina di passi.
"Osi forse crede che darò segni di debolezza, Terzo comandante?", incalzò lei, sollevando un braccio, ricolmo d’energia violacea, pronta, se necessario, a sferrarla contro chi avesse messo in dubbio il suo ruolo.
"No, niente del genere, Mawu del Mamba Nero, solo mi chiedevo se sotto la dura scorza della guerriera vi fosse ancora una persona, magari affettuosa verso i propri seguaci. Io non ho fatto una piega quando Garang è caduto, in fondo.", commentò l’altro, sorridendo malefico.
"Ironicamente, giusto ora tre vostri allievi stanno combattendo.", osservò Ntoro, interrompendo i due e catturando di entrambi l’attenzione, "Heitsi, Nyame ed Akuj stanno combattendo?", domandò di rimando Gu, decisamente sorpreso.
"Nyame no, ma Heitsi è nel pieno di uno scontro con due guerrieri feriti, forse gli stessi che hanno eliminato Kalumba e Mulungu, mentre Akuj sta per avvicinarsi ad una delle vittime degli inganni del mio discepolo.", rispose prontamente il gigantesco africano della Quinta Armata.
"Dunque è Anansi, il tuo discepolo, il terzo che sta per combattere?", chiese allora Acoran, "No, è Shango, della Seconda Armata, che ha appena incontrato due guerriere europee, fra cui colei che ha vinto su Garang.", esplicò Ntoro.
"Shango?", ripeté sorpreso, ed insieme preoccupato, Moyna, "Avrà battaglia semplice lui, in fondo dovrà solo affrontare chi è sopravvissuto ad un membro della Terza armata, cioè qualcuno che di certo sarà gravemente ferito. Non hai di che preoccuparti, seppur questo potrebbe falsare le nostre scommesse, ma, fortunatamente io ho ancora Heitsi e Nyame.", rise di rimando Gu, interrompendo i pensieri del parigrado prima ancora che potesse esporli del tutto, pensieri di preoccupazione e timore per la salute di uno degli ultimi due membri delle sue schiere che ancora gli restavano, uno degli ultimi figli, come spesso li aveva considerati.
***
"Shango del Nibbio Reale, hai detto?", ripeté sorpresa Cassandra, che, per quanto si aspettava di trovarsi dinanzi un secondo avversario, non immaginava che sarebbe giunto dall’alto, né in quel modo, ma che, soprattutto, non immaginava di dover combattere con le ferite del precedente scontro che ancora bruciavano sul suo corpo.
"Esatto, europea. Ed i vostri nomi? Il mio maestro mi ha spiegato che è segno di rispetto presentarsi ai propri avversari.", replicò l’altro, con un leggero inchino, quando ormai le vestigia erano completamente visibili, così come chi le indossava.
Era innegabile il bel aspetto di quel guerriero, sia suo, sia dell’armatura che aveva qualcosa di effettivamente regale.
Ampie ali partivano dalle spalliere, aprendosi dietro la schiena, maestose e nere, seppur con qualche piuma di colore più grigiastro, di quando in quando, del medesimo grigio erano anche le piastre, simili a piume, che decoravano il collo alto dell’armatura, per poi scendere, diventando gradualmente più scure, fino al petto ed alla cinta, lì dove l’ampia coda forcuta del volatile faceva da copertura fino a raggiungere le ginocchia, decorati ancora da piume che concludevano sui piedi.
Le zampe artigliate del Nibbio costituivano la copertura delle mani del guerriero, mentre l’elmo rappresentava il fiero volto del volatile, un elmo che, nel parlare con le due sacerdotesse guerriero, Shango si tolse, mostrando il proprio volto ed attendendo una loro risposta.
Aveva corti e sbarazzini capelli verdognoli, che s’agitavano nello scivolare verso l’ampia fronte, occhi di un colore dorato che studiavano le due guerriere che aveva davanti, un naso aquilino che ben si confaceva a quel suo aspetto virile e nobile ed una pelle inaspettatamente più chiara di quella di Garang, per quanto non bianca come la loro.
"Io sono Cassandra di Canis Maior, sacerdotessa guerriero di Atena.", esordì, dopo un’analisi di chi avevano davanti, la maggiore delle due sorelle, "Della stessa dea sacerdotessa, sono Agesilea dell’Aquila.", aggiunse la minore, affiancandosi all’altra.
"Orbene, sacerdotesse guerriero, per caso una di voi due ha affrontato Chikara della Prima Armata, o Garang della Terza, generando quella colonna di Luce e Fuoco che ho visto poc’anzi?", domandò incuriosito l’allievo di Moyna, "Sì, io ho affrontato il Gorilla di Fuoco.", replicò prontamente la maggiore delle due, "Sei qui per vendicarlo?", incalzò, sollevando le braccia, pronta alla battaglia.
"No, non ero così in stretti rapporti con lui, né quelli della Seconda Armata lo sono in generale con quelli della Terza, ma sono qui per affrontarvi, esatto, poiché chi di tali capacità è padrone, o padrona nel tuo caso, può essere un nemico pericoloso se lasciato in vita.", spiegò prontamente Shango, indossando di nuovo l’elmo e preparandosi allo scontro.
Fu però Agesilea a ritardare ancora l’inizio di quella battaglia, ponendosi fra i due, "Lascialo a me, te ne prego!", chiese a Cassandra, "Mi ha sfidato apertamente, non posso.", ribatté l’altra; "Potete anche attaccarmi contemporaneamente.", suggerì allora il guerriero africano, catturando l’attenzione di entrambe.
"Ci sottovaluti forse perché donne?", incalzò Agesilea, "No, anzi riconosco che, almeno colei che si chiama Cassandra, è di certo una guerriera capace, ma sono sicuro dei miei mezzi e delle capacità apprese dal mio maestro, per la cui gloria combatto.", rispose secco Shango, il cui sguardo dorato si puntò sulla sacerdotessa dell’Aquila e le parve quasi che potesse oltrepassare la maschera d’argento.
Fu quella sensazione che la fece scattare all’attacco, senza pensare ad altro, né preoccuparsi della propria incolumità, "Bronté Fteron!", urlò semplicemente, scatenando la pioggia di piume fulminanti contro l’avversario.
Il guerriero nero, però, non fece niente di più che muovere le proprie braccia, bloccando, uno dopo l’altro, tutti i vari colpi della sacerdotessa di Atena, senza nemmeno spostare il proprio corpo dalla posizione in cui si trovava.
"Che cosa?", ebbe appena il tempo di chiedersi Agesilea, "Scappa!", le urlò nel frattempo la sorella, cosciente che il nemico stava per andare al contrattacco, infatti, chiudendo le mani, illese, e sferrando un primo violento montante sinistro allo stomaco della sacerdotessa che, presa in contropiede, non riuscì nemmeno a sollevare le proprie difese, o distanziarsi, subendo in pieno quel colpo che la sollevò da terra, prima che un gancio destro alla spalla mancina la schiantasse al suolo, a diversi metri di distanza, con le vestigia incrinate.
"Agesilea!", urlò Cassandra, scatenando la potenza dell’Anghellos Fotou, ma, forse la stanchezza per lo scontro precedente, o più banalmente l’innegabile superiorità del guerriero del Nibbio Reale, permisero a quest’ultimo di evitare il colpo lanciato alla velocità del suono con un semplice e veloce movimento del corpo, lasciando che frantumasse una parete di quel corridoio senza toccarlo.
Ancora una volta, Shango si rivelò il più veloce, portando una violenta gomitata destra allo stomaco di Cassandra, che si trovò senza fiato per l’impatto, incapace di difendersi dal montante sinistro che, entro pochi istanti, le avrebbe colpito la maschera d’argento; montante che però non giunse, poiché l’attenzione del Savanas fu catturata da altro.
La sacerdotessa dell’Aquila, infatti, era di nuovo in piedi e già s’era lanciata contro il nemico, per bloccarlo alle spalle, impedendogli quel secondo colpo, però, solo in parte la sua strategia funzionò: aveva evitato, infatti, che la sorella subisse un secondo attacco, ma non poté bloccare l’avversario, poiché questo già s’era voltato verso di lei e ne aveva bloccato le braccia, sfruttando la velocità di movimento della ragazza stessa, per lanciarla addosso a Cassandra, spingendole entrambe indietro.
"Ed ora preparatevi alla rapida conclusione di questo scontro!", minacciò Shango, le mani colme d’energia cosmica che vorticava come un vento potente, "Venti del Cielo!", urlò ecco, congiungendo le mani, prima che una folata d’energia incredibilmente veloce e violenta investisse in pieno le due guerriere, sollevandole assieme a parte del pavimento su cui erano poggiate e schiantandoli entrambi contro la parete alle loro spalle, che franò su di loro.
In silenzio Shango osservò la scena che si trovava davanti: "Non siete state fonte di gloria per il mio comandante, purtroppo. Sono lieto, però, di non aver proseguito le vostre sofferenze oltre il necessario.", concluse fra se, dopo qualche attimo, pronto ad allontanarsi di nuovo in volo.
"Aspetta!", urlò a quel punto una voce dalle macerie, prima che un’esplosione di scariche elettriche frantumasse le stesse, rivelando le figure delle due guerriere, o almeno ne rivelò una: Agesilea, infatti, era ancora in piedi, fautrice di quel colpo che le aveva liberate, mentre Cassandra era svenuta, fra le braccia della sorella.
Per alcuni secondi, l’allievo di Moyna le osservò in silenzio, poi commentò ciò che aveva davanti: "Dovevo immaginarmi che quella fra voi due meno ferita avrebbe potuto reggere a questo mio attacco, però non credevo che ne saresti uscita pressoché illesa, complimenti.", si congratulò semplicemente.
"Ti sbagli.", fu la prima secca replica dell’altra, "Non le mie capacità mi hanno salvato, ma il sacrificio di mia sorella, che, nel momento stesso in cui stavi scagliando il tuo attacco, mi ha spostato, portandosi davanti a me e subendo per intero la violenza della corrente d’aria che avevi generato.", spiegò chinando il capo celato dalla maschera.
"Aveva già combattuto contro Garang, mentre io ero più riposata nel corpo e nello spirito, eppure ha deciso di subire lei la potenza del tuo colpo, completamente, difendendomi come fa fin da quando siamo nate.
Stavolta non litigate infantili con Dorida erano, ma battaglie mortali contro di voi, neri invasori di terre non vostre, eppure lo stesso lei non ha pensato al rischio che stava correndo, ha gettato la sua vita come una foglia abbandonata al vento !", concluse, poggiando l’altra al suolo.
"Dunque una di voi è caduta, sacrificandosi per la sorella? Ebbene, per rispetto verso di lei, ti lascerò andare. Continua pure la tua corsa, se vuoi, troverai di certo altri nemici e forse, fra loro vi sarà Akongo, mio compagno d’arme, che ti finirà. Oppure voltati e torna da dove sei giunta, per onorare nella vostra terra natia la morte di tua sorella.", consigliò secco Shango, volgendole di nuovo le spalle.
"Aspetta!", urlò ancora una volta Agesilea, "Cassandra non è morta, non ancora, ma di certo non può continuare questo scontro ed io non posso sperperare il suo sacrificio lasciandoti andare senza combatterti. Quindi prepara le tue difese, Shango del Nibbio Reale, poiché ora dovrai affrontarmi in battaglia!", ruggì decisa la sacerdotessa guerriera, partendo all’assalto.
"Broké Fteron!", invocò la guerriera, sferrando ancora una volta la pioggia di piume luminose contro l’avversario che come prima, non ebbe difficoltà a bloccarli con semplici e veloci movimenti delle mani.
Stavolta, però, l’attacco di Agesilea non s’interruppe per la sorpresa, bensì la giovane sacerdotessa caricò frontalmente il guerriero del Nibbio Reale, sferrando contro di lui decine e decine di pugni alla velocità del suono, colpi che andarono perdendosi, uno dopo l’altro, contro le mani dell’allievo di Moyna, o ai lati dello stesso, che con grande abilità indietreggiava, o si spostava leggermente, finché non gli fu chiaro cosa l’altra, in effetti, stesse cercando di fare: allontanarli da dove aveva lasciato la sorella ferita.
"Se ti preoccupavi dell’incolumità della tua consanguinea, sarebbe bastato dirlo.", commentò banalmente Shango, espandendo il proprio cosmo per ricacciare indietro l’avversaria, prima di alzarsi in cielo con un balzo, spalancando le ali, per poi planare su una superficie rialzata poco distante, dove attese l’arrivo della guerriera ateniese.
Agesilea raggiunse l’avversario con una serie di balzi, dopo l’iniziale sorpresa, trovandosi a combattere su quella che, alla fine, era una delle striature simili a quelle di una conchiglia, a cui aveva accennato, all’inizio di quella missione, il guerriero polinesiano che avevano incontrato.
Una superficie rialzata che sembrava, decisamente, un lungo ponte di pietra che s’inerpicava fra le rocce più basse.
"Orsù, guerriera europea, attaccami con più libertà, adesso che non devi più preoccuparti della salute di tua sorella.", lo invitò Shango, pronto già a difendersi da quale che fosse il prossimo colpo dell’avversaria, che non si fece ripetere l’invito, espandendo il proprio cosmo e spiccando un agile balzo verso l’alto.
"Anotata Altair!", urlò la guerriera a mezz’aria, gettandosi in picchiata con il corpo circondato dall’energia cosmica, "Tutto inutile!", avvisò di rimando il Nibbio Reale, spiccando a sua volta un salto che, coadiuvato dalle ampie ali, gli permise di librarsi persino più in alto dell’altra, ormai in prossimità del suolo.
Fu in quel momento, però, proprio mentre oltrepassava l’avversaria, che Shango si accorse di qualcosa, con la coda dell’occhio, una reazione non prevista, un secco movimento del corpo di lei che sollevava i pugni verso l’alto, convogliando negli stessi l’energia elettrica che la circondava, scagliandola verso di lui sotto forma, quasi, di una stella che, a tratti, sembrava una vera e propria aquila.
La sorpresa fu molta, ma non abbastanza da impedirgli una qualsiasi contromossa, così, convogliando il cosmo nelle braccia ed avvicinando queste alle ampie ali aperte, il guerriero nero mosse gli arti superiori, liberando una corrente di vento che sembrava formata da migliaia di piume oscure, tanto densa era l’energia fra le stesse: "Vento delle Piume, sii la mia difesa!", ordinò l’africano, lasciando che le due fonti d’energia si scontrassero, producendo scintille e disperdendosi a vicenda, quando già i due avversari ritornavano ambedue al suolo, divisi solo dalle ultime folgori disperde dal vento.
"I miei complimenti per la strategia, Agesilea dell’Aquila, mai avrei pensato che quel tuo attacco fosse in realtà una tecnica che andava caricata lungo il corpo, prima d’essere lanciata.", si congratulò l’allievo di Moyna, "Il potere di Altair, stella prima della costellazione di cui sono la custode è grande, in vero, speravo di farti dei seri danni con questo mio colpo. Sei guerriero capace, Shango del Nibbio, ora capisco da dove proveniva la tua sicurezza, per nulla mal riposta.", ammise l’altra, che non poteva negare la superiorità del suo avversario, ma non per questo si sarebbe ritirata da quello scontro.
"Ti ringrazio e, per onorare queste tue parole, che reputo sincere, non alzerò la mano contro tua sorella, alla fine del nostro scontro, quando ne uscirò vincitore, almeno che non sia lei ad attaccarmi per prima.", avvertì con voce seria il guerriero, "Ne ho la tua parola di cavaliere?", domandò l’altra di rimando, "Te lo posso giurare sull’onore e la gloria del mio maestro Moyna, malgrado io non sia un cavaliere, posso assicurarti che la mia parola è una sola.", replicò secco l’africano, pronto a continuare lo scontro.
Resa più sicura dalle parole dell’altro, Agesilea tornò alla carica contro l’avversario, sferrando un veloce diretto contro il volto di lui, ma, ancora una volta, Shango non dovette fare molto di più che un banale spostamento per evitare l’attacco e, di contro, poggiando la mano sull’addome della sacerdotessa guerriero, la travolse con un’ondata d’energia che la schiantò al suolo, a diversi metri di distanza.
"Devi impegnarti più di così, Agesilea dell’Aquila: non difficili da evitare sono questi attacchi.", la ammonì il guerriero nero, sollevando le braccia e le ampie ali, "A te la scelta, comunque: continuare a combattere, o cedere dinanzi alla potenza di cui sono padrone, una potenza di cui già ti ho dato dimostrazione e che ora, subirai di nuovo su di te!", minacciò sicuro l’allievo di Moyna, "Vento delle Piume, travolgi!", urlò a quel punto, scatenando la corrente d’aria arricchita di un piumaggio di tetra energia.
A nulla valsero le difese della giovane sacerdotessa di Atene, che fu nuovamente travolta dalla potenza degli attacchi avversi, venendo sollevata da terra e trovandosi l’armatura e la pelle dilaniata in più punti dalle lame nere di cui quel vento era arricchito, nella sua potenza offensiva.
La giovane guerriera, però, non si diede per vinta, rialzandosi in piedi dopo alcuni istanti, ferita ed ansimante, ma pronta a continuare la battaglia, "Rinuncia, avrai una morte più veloce.", fu l’unico suggerimento di Shango, nel vederla in piedi, "Mai. Sono pur sempre una guerriera consacrata ad Atena, è mio dovere combattere fino all’ultimo, non per me stessa, non per la gloria della mia insegnante, ma per la salvezza di mia sorella e delle genti tutte: dea di Giustizia e Speranza è Atena e per questi valori il mio pugno ancora ed ancora si alzerà.", ribatté lei, lasciando esplodere il proprio cosmo e scatenando ancora una volta il Broké Fteron contro l’altro.
"Belle parole, ma permettimi di credere che tu lo faccia soprattutto per la salvezza di tua sorella, poiché dubito che molto t’importi di questi polinesiani dalle vestigia bianche.", affermò quieto Shango, bloccando i diversi colpi con veloci movimenti delle mani aperte, prima di scatenare contro l’altra il Vento dei Cieli, che la fece indietreggiare ferita, ma non la gettò al suolo, stavolta.
"Vero, la mia preoccupazione va principalmente verso Cassandra, per riconoscenza ed affetto, ma non per questo dimentico i valori che ho appreso, le priorità che un cavaliere di Atena deve avere, le stesse che sono incise nel mio cuore, così come in quelli dei miei compagni d’arme!", affermò decisa, spiccando un nuovo salto verso l’alto, mentre già, alla sua mente, tornavano i ricordi degli addestramenti e delle lezioni ricevute da Olimpia del Leone.
Quello che aveva appena detto a Shango lo aveva appreso alcuni anni prima, dopo uno dei tanti bisticci con Dorida della Sagitta, quando entrambe erano state richiamate dalle rispettive insegnanti perché capissero quali erano i veri doveri delle Sacerdotesse di Atena.
"Pensi che litigare fra voi sia il motivo per cui hai ricevuto l’addestramento? Credi che solo vincendo sulla sacerdotessa della Sagitta avrai gloria e fama? Forse per quello combatti?", le aveva domandato la sorella, in attesa del colloquio con la custode della Quinta Casa.
Cassandra, quella volta, le aveva divise, anziché prendere le sue parti e, per quel motivo, avevano litigato lungo la strada fino alla loro piccola casa, lì dove per anni si erano addestrate sotto la guida di Olimpia del Leone.
"Non per la gloria ci combattiamo, ma per dimostrare chi è la migliore. Non m’interessa se altri poi lo verranno a sapere, ma voglio che sia lei, quella prepotente spagnola, a capire che non può deridere me, che sono allieva di uno dei Dodici custodi dorati! Dovresti essermi vicina in questo, sorella, non ostacolarmi!", obbiettò Agesilea di rimando, agitandosi per la piccola stanza centrale della casa.
"Esserti vicina? Ostacolarti? Noi non combattiamo per cose sciocche come la soddisfazione personale! Sono queste le lezioni che hai appreso dalla Maestra Olimpia? Perché forse io ero distratta, non ho mai sentito né lei, né nessun altro cavaliere sacro alla dea parlare di questi premi per il proprio ego.", la ammonì Cassandra, prima di avvicinarsi a lei e poggiarle le mani sulle spalle.
"Cosa hai di veramente importante nella tua vita?", domandò con voce più gentile la sacerdotessa di Canis Maior che, in fondo, sapeva bene quale carattere aveva la sorella minore.
"Ci sei tu, sorella, la nostra Maestra e poi quest’armatura.", spiegò Agesilea, che, in fondo, non poteva dire di avere altro se non la sorella, che l’aveva cresciuta da quando, all’età di cinque anni, otto per Cassandra, il loro padre era morto a seguito di una malattia. Da allora erano rimaste sole, l’una doveva vegliare sull’altra, così avevano promesso all’uomo morente e, considerando che la loro madre era morta per difficoltà durante il parto, la maggiore delle due era sempre stata come una figura materna per la minore, ruolo che, a poco a poco, nella giovane mente della sacerdotessa dell’Aquila, fu preso dalla dorata custode della Quinta casa, una madre spesso severa, ma di certo anche affettuosa quando ve ne erano le circostanze.
L’armatura, infine, per quanto fosse un mero oggetto, era stata, nel momento dell’investitura, un premio che le aveva concesso di percepire l’orgoglio di Olimpia e Cassandra, orgoglio per ciò che anche lei era riuscita ad ottenere, per quelle capacità che aveva saputo sviluppare con gli anni, lo stesso orgoglio, si augurava Agesilea, che anche lei aveva provato all’investitura della sorella.
"Ti ringrazio delle tue parole.", fu il primo commento della sacerdotessa di Canis Maior, accarezzando amorevolmente i capelli dell’altra, "Ma sai perché indossiamo queste maschere e queste armature? Non per gloria, o per perdere la nostra identità, se no, avremmo dovuto rinnegare anche i nostri nomi. No, per servire al meglio la Giustizia e la Pace, cioè la nostra dea, Atena.
Per questo la Maestra Olimpia ci ha addestrato in tutti questi anni, per renderci abili a combattere non a bisticciare come ragazzine.
Ricorda la nostra infanzia povera, ricorda come ci siamo sentite perse da sole, senza nessuno se non noi stesse, come questo presente, in cui possiamo fare qualcosa non solo per noi, ma anche per tutte le altre persone che sono sfortunate quanto lo siamo state noi. Questo sono le nostre armature: un simbolo di speranza, così come lo devono essere i nostri pugni ed i nostri colpi.", le spiegò Cassandra, prima che l’arrivo della Sacerdotessa guerriero del Leone la interrompesse.
"Hai perfettamente ragione, allieva: la vostra e la mia forza non ci è stata data per ottenere gloria personale, ma per raggiungere un più alto fine di Giustizia, la stessa Giustizia verso cui è rivolta la nostra fede. Per quello dobbiamo alzare i nostri pugni, se necessario.
Ricordatelo sempre.", queste le poche parole che disse loro Olimpia del Leone, prima di ascoltare un resoconto sui fatti, accettando le scuse della più giovane delle discepole, ma dandole comunque, come punizione, l’ordine, per tutto il giorno seguente, dall’alba al tramonto, di correre intorno ai confini esterni del Santuario, la cui ampiezza era quasi pari alla grandezza della città di Atene, a cui era limitrofo, per quanto invisibile agli occhi di chi non sapeva come e dove guardare.
Agesilea accettò quella punizione e di buon grado vide che la sorella lo condivideva con lei, per quanto non obbligata, solo perché era la sua famiglia.
Questo ricordo, la coscienza di cosa fosse veramente importante e quali le vere ragioni per cui combattere: la Speranza da portare fra le genti e la propria famiglia, queste furono le cose che diedero nuova forza allo spirito della sacerdotessa dell’Aquila, il cui cosmo esplose in lampi di luce, disegnando attorno a lei la sagoma di una di quelle gigantesche regine dei cieli.
Shango rimase leggermente impressionato dall’ampia sagoma d’energia elettrica, che sembrava avere le proprie fonti di cariche in tre punti distribuiti quasi come su una cintura.
"Sahin Tarazu!", urlò, mentre ancora l’altro cercava di capacitarsi di cosa stesse osservando, Agesilea, la cui velocità di movimento aumentò incredibilmente, seppur solo per pochi istanti.
Istanti che, però, furono sufficienti per prendere alla sprovvista il guerriero del Nibbio Reale, danneggiandone le vestigia all’altezza del pettorale e schiantandolo al suolo, per pochi secondi.
"La mia tecnica migliore, Shango, il Sahin Tarazu, nome che proviene direttamente dalla costellazione dell’Aquila, dove indica la combinazione delle prime tre stelle: Altair, Alshain e Tarazed, che insieme formano un asterismo visibile anche nelle notti più oscure.
La loro potenza è quella che ti ha appena costretto al suolo.", affermò con orgoglio la giovane sacerdotessa guerriero, vedendo il suo nemico rialzarsi in piedi.
"Un potere invidiabile, che mi ha colto di sorpresa. Ti faccio i complimenti, Agesilea dell’Aquila, sei di certo una guerriera di cui tener conto. Forse, con qualche altro anno d’addestramento, o più esperienza in battaglia, questo tuo attacco avrebbe potuto capovolgere le sorti della nostra lotta, ma voglio essere schietto con te: nemmeno adesso hai possibilità di vittoria.", la avvisò il Savanas, espandendo il proprio cosmo ed aprendo di nuovo le ali dietro di se.
"Vento delle Piume, spazza via la mia avversaria! Donale una velocità morte, priva di sofferenze!", ordinò secco l’allievo di Moyna, scatenando di nuovo l’attacco di nero piumaggio e violenta corrente d’aria; stavolta, però, la sacerdotessa si fece trovare pronta e con un agile salto si alzò di nuovo in aria, "Broké Fteron!", invocò, scagliando la propria Pioggia di Piume contro il colpo dell’altro, annullando una parte degli attacchi nemici e subendo solo gli altri, ma compiendo allo stesso tempo qualcosa che a Shango non sfuggì, malgrado lo meravigliò, per il coraggio necessario nell’eseguire un’azione simile.
Agesilea, infatti, stava sfruttando la corrente avversa del colpo del guerriero del Nibbio Reale per sollevarsi ancora più alta, verso il tetto dell’Avaiki e, una volta conclusa la sua mera difesa, aveva iniziato ad accumulare il cosmo lungo il corpo, segno che avrebbe di nuovo sferrato il medesimo attacco di prima, ipotizzò Shango e, in effetti, non sbagliò nel farlo, giacché, una volta che il Vento delle Piume aveva ormai oltrepassato l’avversaria, questa rivelò la strategia che l’altro immaginava.
"Sahin Tarazu!", invocò di nuovo l’allieva di Olimpia del Leone, lanciandosi in una velocissima picchiata contro il nemico, che, però, stavolta non si fece cogliere impreparato: "Troppi osi tentando due volte lo stesso attacco! Il suo difetto mi è stato chiaro fin da subito; è troppo veloce come colpo per le tue reazioni. Tu controlli la velocità del Suono, te ne do atto, ma questo colpo la supera, seppur non di molto, quindi ti è impossibile manovrarlo per evitare che il bersaglio vi sfugga, se ne è capace. Ed io, purtroppo per te, ne sono capace!", sentenziò deciso Shango, spiccando un lesto volo ed allontanandosi dall’avversaria ormai in caduta verso il semplice terreno.
Solo in quel momento, sicuro del proprio successo in difesa, il guerriero del Nibbio Reale sentì due parole provenire dalle sue spalle: "Broké Fotismou!" e non poté in alcun modo evitare la fitta rete di luce che s’era ormai creata dietro di lui e, inevitabilmente, ne fu travolto, ritrovandosi di nuovo al suolo, con le vestigia danneggiate, seppur in modo solo leggero.
Agesilea, rialzandosi dal terreno dov’era atterrata, trovò accanto a se ora Cassandra, "Sorella, hai combattuto bene finora, ma sono giunta ad aiutarti.", la rassicurò la maggiore; "No! Egli mi aveva promesso che non t’avrebbe attaccato se non fossi stata tu a colpire per prima, perché ti sei intromessa? Lo avevo fatto per te …", specificò triste la minore, ricevendo una gentile carezza dalla prima, dopo un primo istante di sorpresa di questa, "Come potrei vivere se tu ti sacrificassi per me? Che persona, che sorella, sarei in quel caso?", domandò cordiale, prima che l’attenzione di entrambe fosse di nuovo catturata dal rialzarsi del loro nemico.
Shango le osservò per qualche istante, prima di riprendere a parlare: "Tua sorella dice il vero. Ti avrei lasciato vivere, Cassandra di Canis Maior, se non avessi alzato la mano contro di me; ora non posso rischiare che questa macchia, all’onore della Seconda Armata, resti impunita. Mi dispiace, dovrò eliminarvi entrambe, ma cercherò di essere veloce e di non farvi soffrire oltremodo.", sentenziò infine, sollevando le braccia sopra il capo.
"Vento del Nibbio Reale, travolgi le mie avversarie!", urlò secco l’allievo di Moyna, calando le braccia verso di loro e lasciando che la corrente di energia che ne scaturì si lanciasse contro di loro.
Forse furono i lapilli alzati da un vento così maestoso, forse l’energia cosmica del guerriero nero, ma ambedue le sorelle poterono notare un maestoso Nibbio generarsi in quel vorticare d’aria, un Nibbio che calò su di loro ad altissima velocità, travolgendole entrambe con i propri artigli e dilaniando le vestigia, fino ai minimi termini, strappando le carni dal corpo in più e più punti, prima di lasciarle cadere al suolo.
"Possa il Vento che ho generato, portare le vostre anime verso il luogo del loro riposo, prima che il Guscio Infinito possa accoglierle! Questo il mio unico augurio. Siete state forti e coraggiose, sorelle guerriere.", sussurrò soltanto, osservandole al suolo ed immaginandole morte, ma un lamento da parte di Cassandra ed un leggero colpo di tosse di Agesilea, ne tradirono la loro condizione, con grande stupore del membro dei Savanas.
"Non rinunciate ancora alla vita, perché mai? Nessuno aveva retto il Vento del Nibbio Reale prima d’ora! Forse le vostre vestigia? No, ben poco ne rimane, allora cosa vi fa ancora alzare e combattere?", domandò stupito Shango, osservandole rimettersi in piedi, incuranti delle ferite e delle evidenti sofferenze che stavano patendo.
"La Fede nella Giustizia che serviamo, questa ci rianima, ci permette di alzarci ogni volta, dopo aver subito un colpo, incuranti di noi stesse.", rispose lesta Cassandra, "Perché ben sappiamo che se ora cadessimo, senza riportare su di te la minima vittoria, altri compagni rischierebbero la vita nell’affrontarti e, per quanto la vita di mia sorella mi sia più cara di qualsiasi altra, non lasceremo che tu possa nuocere ad altri santi di Atena.", concluse Agesilea, con un cenno di assenso verso la consanguinea.
Dopo il primo attimo di sconcerto, Shango si permise una risata amara, "Molti, nel mio esercito, non comprenderebbero il vostro desiderio di sacrificarmi per i compagni, ma io posso dirmi fiero di combattere contro due guerriere come voi.", affermò semplicemente.
"In vero tu sei ben diverso dal Gorilla con cui ha combattuto mia sorella, eppure, mi hai detto di combattere per l’onore del tuo comandante. Solo questo ti muove?", chiese Agesilea e, per alcuni istanti, l’allievo di Moyna valutò se quella era una sincera curiosità, o solo un modo per riprendere fiato, ma poi non se ne curò, bensì si preoccupò di risponderle: "Il mio bisogno di gloria per chi mi comanda e mi fu maestro è direttamente legato all’affetto che provo per lui, a causa dei ben dissimili valori, che egli possiede, rispetto ai suoi pari.
Vi concederò di sapere la verità sulle mie priorità, ascoltate cosa successe alla fine della nostra precedente campagna di guerra, in Indonesia.", disse, prima di iniziare il suo racconto.
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Si era da poche ore conclusa la battaglia nell’ultimo tempio delle Filippine che avevano assaltato e lì, in quel luogo, erano radunati tutti i membri restanti della Seconda Armata: Akongo, Shango, Ayabba e Lebe del Fennec, tutti inginocchiati dinanzi al corpo senza vita del loro compagno Agassou del Dromedario.
Anche il comandante Moyna era con loro, osservava in silenzio, con volto triste, quello che era stato uno dei suoi guerrieri e che ora, a seguito della lunga campagna di conquista, andava ad unirsi agli altri quattordici membri della Seconda Armata caduti da quando avevano lasciato i confini africani.
Quattordici, perché ognuna delle cinque Legioni dei Savanas era costituita da venti uomini, generale incluso, ma escludendo dal conteggio i soldati formica; ed ormai, di quei valorosi cento guerrieri ben poco restava, ben pochi sarebbero tornati alle loro case, se, un giorno, quel desiderio di conquista avesse avuto fine.
"Tutti intorno ad un morto, Moyna? Non sai che il nostro Sovrano vuole un resoconto della battaglia?", domandò d’un tratto la voce di Gu, comandante della Terza Armata, "E non penso che parlandogli di un dromedario morto potrai dimostrare alcunché di positivo.", ridacchiò poco lontano Acoran, il Mietitore.
Il comandante della Seconda Armata, a quel punto, si volse di scatto, furioso in volto verso i due parigrado, "Desideri forse dirmi, o farmi, qualcosa? Da tanto aspetto di capire perché a te ed alle tue bestie da preda la seconda armata ed alle mie truppe di cacciatori spetta solo la terza.", ridacchiò l’allievo del Leone Nero.
"Adesso basta!", urlò a quel punto una voce femminile, interrompendoli prima ancora che potessero rischiarare la luce del campo di battaglia con i loro cosmi, la voce di Mawu del Mamba Nero, che precedeva l’arrivo del loro sovrano.
"Che succede qui?", domandò il Re, avanzando di qualche passo ed osservando tutti i membri della Seconda Armata riuniti dinanzi ad un cadavere, "Onoriamo i nostri caduti, mio sovrano.", rispose prontamente Moyna, "E dove sono le vostre armate?", chiese poi agli altri due lì presenti.
"Nyame e Heitsi stanno supervisionando il conto dei cadaveri da noi fatti e si preparano per la divisione dei trofei, mio maestro.", rispose prontamente Gu, "Deng e Buadza, invece, stanno decapitando i nemici le cui teste erano ancora attaccati al resto dei cadaveri, come è abitudine presso le mie truppe, mio signore.", aggiunse il più alto dei due.
"Il generale Ntoro?", chiese quindi, volgendosi verso Mawu, "Sono qui.", esclamò, pochi istanti dopo, la voce del mastodontico ultimo comandante d’armata, che apparve come dal nulla a pochi metri dal gruppo di guerrieri in nere vestigia.
"Dunque siete tutti vivi, miei Generali.", esordì allora il Re Nero, allungando un braccio ricoperto da uno scuro artiglio, "Ebbene, mostratemi la vostra fedeltà. In ginocchio, inginocchiatevi dinanzi al Sovrano d’Africa!", ordinò secco e subito i cinque fecero quanto dettogli, poggiando tutti il ginocchio sinistro al suolo e chinando il capo, mentre alzavano il pugno destro, che andava a toccare la fronte.
"Come mi onorate alla fine di questa battaglia di conquista?", domandò alle figure immobili in quella posizione.
"La Prima Armata ti ha onorato, grande Re, entrando per prima in questi corridoi ed in quelli di tutti i templi indonesiani, uccidendo e cadendo contro i guerrieri più forti e più freschi che queste terre potevano offrirci per dimostrare la nostra forza, che è la tua forza, la forza dell’Africa stessa.", esordì Mawu e, dopo alcuni attimi di silenzio, il Sovrano nero le poggiò una mano sulla guancia segnata dalla profonda cicatrice che la rendeva cieca da un occhio, "Molto bene, come sempre, mia Prima e più fedele seguace.", si congratulò il Leone Nero.
"La Terza Armata, o maestro, ti onora con trofei a tua scelta! Molte sono le vite che abbiamo preso, grande caccia vi è stata oggi, molti uomini sono state le nostre prede ed altrettanti parti di loro potrai prendere, grande Predatore, come segno della tua superiorità. Io ed i miei discepoli accetteremo ciò che ci lascerai per dimostrare che, come te, siamo Predatori e non prede.", affermò deciso Gu, parlando per secondo. "Ben fatto, mio discepolo, capace ed abile come sempre, non mi dai mai di che lamentare sulle tue azioni.", si complimentò il Maestro del Comandante della Terza Armata.
"La Quarta Legione ti onora con il sangue dei suoi nemici. Vittime sacrificate sull’altera della tua potenza e del potere del nostro esercito, decine di teste da cui ancora caldo sgorga la linfa che un tempo li teneva in vita e che ben presto servirà solo per dipingere racconti sulla tua gloria e la potenza della nostra avanzata che tutto spazza via dietro di se!", continuò Acoran, sollevando la mano ancora sporca del rosso liquido. "Ottimo, che le vostre lame siano sempre rosse del sangue dei nemici sconfitti, che nessuno possa mai sopravvivere al taglio del Mietitore e dei suoi discepoli.", replicò soddisfatto il Sovrano Nero.
"La Quinta Armata può offrirti gli echi della disperazione delle vittime, che ora sono per me dolce nenia per i sonni notturni, ma che potranno diventare, ad una tua richiesta, l’inno di lode alla potenza ed alla gloria dell’Esercito d’Africa che tu rappresenti, Leone Nero.", aggiunse Ntoro, "Non ho bisogno di ascoltarlo, so già che sarebbe un perfetto esempio della disperazione di chi è abbandonato al Guscio Infinito.", tagliò corto il Re Leone, volgendosi verso Moyna.
"Come mi onora la Seconda Armata?", chiese all’unico generale che, ancora immobile nella medesima posizione, restava in silenzio.
"Mio sovrano, potrei onorarti raccontandoti di come ha vissuto Agassou fino ad oggi, per le sue genti, abbandonando le proprie terre per seguire un sogno di unità che si sta trasformando in una carneficina indiscriminata verso tutto ciò che è diverso. Oppure potrei narrarti di come Akongo sia abile anche nel creare giochi di luce che fanno sorridere i bambini, oltre che nel dare la morte; o di come nobile sia il cuore di Shango, o gentile lo spirito di Lebe, o ancora di quanto ormai sia capace di perdonare Ayabba, che un tempo era pieno di odio verso il mondo che lo trattava da diverso, ma temo che non siano queste le cose che vuoi sentire.", ammise, lasciando un istante di silenzio, in cui non gli sfuggì lo scambio di sguardi divertiti di Gu ed Acoran, "No, ti onoro dicendo che i miei cinque guerrieri hanno affrontato tutti quei nemici che erano riusciti ad avere ragione di elementi della Terza e della Quarta Armata, uccidendolo e perdendo, nel compiere il loro dovere, la vita di uno di loro, il Dromedario, per l’appunto.", concluse, mentre il sorriso spariva dal volto degli altri due.
"Bene, questo era ciò che volevo sentire. Ora preparatevi: ho saputo che entro sette giorni da ora il Sole di Accad avrà compiuto il suo ruolo e noi dovremo compiere l’ultima grande battaglia, perché il nuovo ordine del mondo possa avere inizio. Attaccheremo la Polinesia!", concluse allora il Re Nero, allontanandosi, subito seguito da Mawu e, poco dopo, dagli altri tre generali.
Solo Moyna rimase lì dov’era, assieme ai suoi soldati, "Mio maestro, perché avete rischiato tanto?", chiese d’un tratto Shango, "Per cercare di instillare nella mente del nostro Re un concetto che da tempo sembra averlo abbandonato: è facile togliere una vita, specie per guerrieri forti come noi, ma è molto più complicato saper dare il giusto valore alle azioni di chi hai di fronte e lasciarlo vivere. Non siamo delle bestie che massacrano senza motivo, allievo mio, questa è da sempre la prima lezione che ho voluto trasmetterti.", queste le uniche parole che gli disse quel giorno, prima di ritornare alle onoranze funebri per il compagno morto.
"Capite dunque, guerriere di Atena? Non posso tirarmi indietro, se non vincessi contro di voi, cosa ne sarebbe del mio Maestro e comandante? Come dimostrerebbe il proprio valore dinanzi al nostro Re?", domandò rattristito il combattente del Nibbio Reale.
"Leggi folli sono quelle che vi governano, se il vostro Sovrano si considera più potente, tanti più vittime voi gli offrite.", lo ammonì allora Cassandra, "Forse sono leggi folli, ma non per questo posso andarvi contro.", replicò Shango, "Al contrario, proprio perché lo sai devi andarvi contro!", ribatté Agesilea, ma un secco scuotersi della testa del loro avversario, indicò che il tempo delle parole era finito, così come il sollevarsi delle mani di lui indicava.
"Sorella, ti prego, distrailo alcuni secondi, il tempo che mi possa spostare alle sue spalle.", chiese a quel punto la sacerdotessa dell’Aquila, ricevendo un segno d’assenso dall’altra, che ben sapeva come fosse Agesilea quella che, probabilmente, più sapeva sul modo di combattere di quel nemico.
Con un rapido scatto la sacerdotessa di Canis Maior si portò avanti, "Anghellos Fotou!", esclamò, scagliando il proprio attacco, ma il Savanas non si preoccupò minimamente di contrattaccare, semplicemente si spostò lateralmente, evitandolo e volgendosi verso l’altra avversaria.
"Hai tentato troppo, guerriera! Mi dispiace, sarai la prima a cadere.", avvisò Shango, rivolgendosi ad Agesilea ed aprendo le mani verso di lei, "Vento del Nibbio Reale, travolgi!", ordinò secco, notando solo in quel momento che l’attacco che l’altra stava preparando non era il più potente in suo possesso, ma un altro.
"Anotata Altair!", invocò, infatti, la sacerdotessa guerriero, scagliando l’attacco verso il suolo di quel muro dove i tre stavano combattendo, frantumandolo al centro fra se stessa e Shango, così da ridurre l’equilibrio dell’altro, intento a lanciare il proprio attacco e riuscendo a spingerlo nello stesso.
Cassandra osservava sorpresa: la sorella aveva saputo battere in astuzia il nemico! Aveva sfruttato il momento in cui quello sferrava l’attacco per sbilanciarlo e costringerlo a fine nel suo stesso vortice d’aria! L’unica cosa, però, che non capiva, era perché Agesilea non si fosse ancora allontanata, anzi, stava ancora ampliando il cosmo che la contraddistingueva, che ora stava prendendo le ben note forme del suo più potente attacco, cosa voleva fare, si chiese e troppo tardi se ne rese conto.
Nemmeno Shango riuscì a fare niente per evitare quella trappola, né capì, fino all’ultimo, cosa l’altra volesse fare, quando però la sacerdotessa guerriero lo bloccò per le braccia, all’interno del Vento del Nibbio Reale, lasciando esplodere la potenza del Sahin Tarazu, tutto gli fu chiaro: voleva suicidarsi per prendere la vita dell’africano!
"Che cosa vuoi fare, Agesilea? Perché?", domandò Shango, mentre la potenza dei due attacchi combinati distruggeva le sue vestigia e dilaniava le carni dell’altra, "Per salvare mia sorella ed i miei compagni da te. Sapevo fin dall’inizio che non sarei stata una grande sfida per nessuno di voi, ma speravo di poter vincere qualche battaglia e forse, questo è l’unico modo per vincere la più importante, quella che salverà Cassandra! Per questo, raggiungeremo assieme le stelle dell’Aquila e da lì osserveremo il proseguire della battaglia.", urlò, fra le grida di dolore, la giovane guerriera greca.
Dopo alcuni secondi di dolore, però, Agesilea non sentì più niente, se non il sordo rumore di qualcosa che si spezzava e fu allora che vide del sangue, molto sangue, il sangue del suo nemico: Shango si era volutamente reciso il braccio sinistro attraverso le correnti d’aria del suo attacco ed ora che la presa della ragazza era più debole su di lui, la spinse lontana, gettandola al suolo, al sicuro.
"Aveva ragione il mio maestro: è facile uccidere per chi è potente come me, ma più importante è capire il valore della vita di chi ti trovi davanti. Dunque vivi, Agesilea, per il resto del tempo che questa guerra ti concederà. Vivi e, se puoi, dì al mio maestro che, nel momento più importante ho deciso di onorarlo salvando una vita piuttosto che prendendola.", sentenziò deciso l’uomo.
"Le stelle dell’Aquila mi attendono? Bene, un ottimo luogo dove riposare, un luogo che mi terrà per sempre vicino a Moyna dell’Aquila Urlante.", queste le ultime parole che il giovane sussurrò, mentre l’esplosione di energia lo spingeva verso l’alto, strappandogli la vita.
Rimasero ad osservarlo in silenzio le due sorelle guerriere, al suolo, sanguinanti e stremate, ignare che altri avevano visto l’esito di quello scontro ed ora stavano per raggiungerle.