Capitolo 13: Predatori e prede
"Che zona del vostro tempio sarebbe questa?", domandò la voce di Ludwig del Centauro, guardandosi intorno.
Da un breve lasso di tempo, infatti, il cavaliere di origini tedesche era arrivato, assieme all’Areoi che per primo avevano incontrato, Kohu dell’Istioforo, in una zona dove lo stretto corridoio si apriva a diverse porte, alcune delle quali socchiuse, altre completamente aperte, che si affacciavano su delle stanze.
Uno sguardo veloce aveva dato al giovane cavaliere di Atena la possibilità d’intravedere dei letti piuttosto semplici, oltre che i segni delle battaglie che, anche in quella zona, si erano combattute da quando l’esercito nero aveva invaso il tempo subacqueo di Ukupanipo.
"Questa è l’area dell’Avaiki in cui riposiamo noi guerrieri. Qui vicino ci dovrebbero essere anche la camera mia e di Aitu, il mio amico caduto durante questa invasione.", spiegò, con voce rattristata il giovane polinesiano del Pesce vela.
"Dormite due per camera?", domandò il compagno d’addestramenti di Wolfgang, "Sì. In fondo una famiglia non dovrebbe fare così? Condividere tutto? Una era la stanza mia e di Aitu, in un’altra riposavano i fratelli Aremata, Io del Barracuda e Tuna dell’Anguilla in quella vicina.
Maschi con maschi e ragazze con ragazze, eccetto i potenti Maru e Tara, naturalmente.", rispose con un tono decisamente più rilassato il giovane Areoi, fermandosi dinanzi ad una porta spalancata.
"Questa era la camera di Kanae e di Paro.", affermò, prima che un rumore catturasse l’attenzione di entrambi i giovani guerrieri, il rumore di qualcosa che vibrava nell’aria, stridendo contro le pareti della stanza stessa, prima di distruggerne la porta.
"Attento!", urlò semplicemente, avvertendo per primo il pericolo, il giovane santo del Centauro, saltando addosso al nuovo alleato e spingendolo lontano, così da salvare entrambi, mentre dei fasci d’energia vorticanti andavano a schiantarsi contro la parete dietro di loro frantumandola.
"La camera della potente Tartaruga Marina …", balbettò sorpreso l’Areoi dell’Istioforo, osservando il foro a spirale nel muro dietro di loro, "Se sopravviviamo, ti scuserai con lei, ma per ora, pensiamo ad allontanarci da questa trappola!", ordinò secco l’allievo del Sagittario, prendendo per un braccio l’altro e spingendolo verso un’altra stanza.
"Pensi che potesse essere uno dei tuoi compagni, rimasti in queste stanze?", domandò con un filo di voce Ludwig all’altro, "No, non credo che qualcuno di noi potesse trovarsi qui, e poi come avrebbe potuto non riconoscermi? Anche vedendo te, avrebbe capito che non c’era pericolo.", osservò Kohu, con un leggero fiatone.
"Lo credo anch’io, in fondo stavamo parlando della vostra disposizione in queste stanze, impossibile non capire che uno di noi era un Areoi. Quindi siamo finiti in una trappola, direi.", osservò, stavolta con più preoccupazione, il giovane tedesco.
"Trappola? Forse eravamo solo sulla medesima strada. E comunque questo non m’impedirà di vendicare quanti miei compagni costui possa aver ucciso!", minacciò deciso il guerriero polinesiano, rimettendosi in piedi.
"Spirale degli Artigli!", fu l’unica frase che i due sentirono, prima che un nuovo vortice di lame energetiche gli si lanciasse addosso, perforando il muro alla loro destra e costringendoli a gettarsi al suolo.
Questo secondo attacco ebbe più fortuna per il misterioso nemico: Ludwig ne subì, infatti, una leggera ferita alla spalla sinistra, che lo costrinse a stringere i denti per non urlare, mentre già Kohu si rialzava in piedi, espandendo il proprio cosmo.
"Brina Oceanica!", evocò il guerriero dell’Istioforo, sollevando la nebbia protettiva che già aveva usato precedentemente in battaglia.
"No!", fu l’unica parola che riuscì appena a dire il cavaliere del Centauro, prima di avvertire dei veloci movimenti, così leggeri che solo l’udito ben allenato, che aveva avuto modo di sviluppare sotto gli insegnamenti di Munklar gli permise di sentirli, passi che mi dirigevano proprio verso l’Areoi.
Kohu non ascoltò nemmeno l’avvertimento del nuovo alleato: sollevare la Brina Oceanica avrebbe confuso la vista del nemico, dandogli la possibilità di attaccarlo, non appena quello avesse emesso il minimo suono, o almeno questo era il suo piano.
Grande fu lo stupore del giovane guerriero polinesiano quando avvertì non un rumore, bensì uno spostamento d’aria, come se il nemico fosse arrivato con un balzo dinanzi a lui!
Non ebbe il tempo di sollevare il braccio con la struttura cartilaginea difensiva, né di provare a sferrare un affondo con la lama disposta sull’altro arto, poté a malapena comprendere che quel misterioso avversario stava affondando una mano nelle sue carni, dilaniando con facilità le vestigia dell’Istioforo senza nemmeno usare un attacco particolare; forse anche grazie ai colpi nei precedenti scontri, l’armatura bianca dell’Areoi s’era frantumata all’altezza dell’addome, lasciando facile passaggio a quel nemico che con un singolo colpo lo schiantò al suolo, ferendolo.
Non ebbe nemmeno il tempo di rialzarsi il polinesiano che già un peso lo schiacciò al suolo con maggiore violenza, il peso di un piede che stava premendo contro la ferita appena aperta sul suo addome.
A stento il giovane riusciva a trattenersi dall’urlare dal dolore, non riuscendo nemmeno ad espandere il proprio cosmo per difendersi, tanta era la sofferenza del corpo, solo il ricordo di Aitu e Kaene gli diede la forza di cui necessitava, quella necessaria per scatenare la propria tecnica d’attacco: "Taglio delle Onde!".
Il colpo, però, andò completamente a vuoto, non fu difficile comprenderlo, poiché con un movimento veloce il misterioso avversario abbandonò la pressione sul corpo di Kohu per spostarsi sul suo fianco scoperto, sferrando da lì un violento calcio al volto del giovane Areoi, lasciandolo al suolo.
Le ultime cose che il guerriero polinesiano sentì prima di perdere per qualche istante i sensi furono parole che già aveva udito in precedenza: "Galopp des Rigil!".
Gli ci era voluto qualche secondo per rialzarsi, ma ora era in piedi e pronto a supportare il nuovo alleato contro quel misterioso nemico. Ludwig era pronto alla battaglia.
Per un cacciatore come lui si riteneva, quel guerriero africano risultava essere un discreto conoscitore delle arti della caccia, certo, non hai livelli di Wolfgang, o del loro maestro, né tanto meno ai suoi, però sapeva attendere ed attaccare di sorpresa con cognizione di causa, come il non aver trovato impronte fresche, mentre camminavano per quei corridoi gli aveva fatto dedurre, segno che nessuno passava da tempo per quella strada, quindi lì li aveva attesi con pazienza, forse senza una preda precisa, ma solo per poter sfruttare un ambiente caotico come potevano essere una serie di stanze in cui nascondersi, al pari del fitto di una foresta, o delle fronde di un albero.
In più, questo nemico era veloce e silenzioso, due caratteristiche fondamentali per sorprendere un nemico e catturarlo prima che questi abbia il tempo di reagire ed elaborare un piano; l’unico difetto della tattica di questo cacciatore era, secondo la logica di Ludwig, non aver considerato la sua presenza mentre attaccava Kohu.
Con queste certezze in mente, quando ormai la nebbia attorno a lui s’era diradata, il cavaliere del Centauro scattò all’attacco, dirigendosi con indicibile velocità verso il misterioso avversario senza nome, né aspetto.
Più sorprendente fu però la facilità con cui il nemico evitò il primo calcio sferrato nei suoi confronti, spostandosi ancora una volta con un balzo laterale sul fianco opposto, alle spalle di Ludwig, che non ebbe il tempo di voltarsi di conseguenza, vedendo sfumare nel vuoto il proprio attacco, prima di sentire poche semplici parole: "Spirale degli Artigli!".
Il colpo raggiunse il giovane allievo di Munklar alle spalle, schiantandolo contro la parete con le vestigia d’argento incrinate in più punti, ma non lo fece svenire, tanto che, malgrado le ferite, il cavaliere si voltò, vedendo finalmente il volto del misterioso nemico che adesso prendeva, infine, forma.
Era un uomo e le nere vestigia ne indicavano l’esercito di appartenenza. L’armatura ricordava, in qualche modo, un felino, maculato, date le striature grigie sulla zona delle braccia e delle gambe, oltre che sul busto di quella corazza.
Non aveva caratteristiche particolari, almeno non ad un primo sguardo, permetteva una copertura totale del corpo, celando gli arti ed il tronco, priva di spalliere pronunciate, ma solo con piastre metalliche a difesa delle spalle, che si andavano ad unire con quelle del tronco, appoggiandosi quasi a quelle degli avambracci. A ben osservare, comunque, Ludwig notò una specie di piccola coda che dondolava dalla cinta, sul retro dell’armatura ed una sorta di cresta metallica che si muoveva lungo il percorso della spina dorsale, nei pochi istanti che quel misterioso nemico gli diede le spalle, prima di arrivargli sul fianco sinistro, colpendolo con una violenta artigliata alle costole, schiantandolo alla parete sul lato opposto.
Il volto del Savanas era parzialmente coperto da una maschera felina con dei sottili baffi metallici, che però lasciavano intravedere gli occhi castani e non celavano la capigliatura del medesimo colore, che scivolava fino alle orecchie in lisce ciocche.
"Un europeo ed un indigeno. Di certo dovete essere i due che hanno eliminato i mastodontici idioti della Quinta Armata! Un ricco premio per me, che sono discepolo e seguace del potente Gu della Terza Armata!", rise divertito l’africano.
"Sì, esatto, sono Ludwig del Centauro, cavaliere d’argento di Atena. Ho vinto l’Elefante Nero d’Africa, tu, invece, chi sei?", domandò, cercando di riprendere fiato, il giovane santo tedesco, "Heitsi della Genetta, predatore nella Terza Armata.", rispose secco l’altro.
"Indovino: la Genetta è un felino africano?", incalzò con tono ironico il cavaliere, "Sì, esatto, un carnivoro dell’Africa che preda gli animali dagli alberi.", sentenziò deciso l’africano, mentre un cupo lamento indicava che anche Kohu s’era ormai risvegliato, "E voi siete le mie prede di oggi. Prima tu, europeo, poi il piccolo indigeno lì al suolo, cadrete entrambi, vittime della Spirale degli Artigli!", urlò deciso Heitsi, sferrando nuovamente il proprio attacco.
Proprio in quel momento, però, una potente ondata d’energia bianca si schiantò contro il guerriero nero, lanciandolo contro la parete alle sue spalle e lasciando che questi la sfondasse con il proprio corpo, scomparendo fra le macerie, questo, mentre una nuova sagoma dalle vestigia candide entrava nella stanza.
***
Il tempio di Lono, nell’Isola di Tonga, era stato il luogo che aveva giurato di difendere molti anni prima, forse così tanti che ormai nemmeno se lo ricordava, per quanto non fosse poi così anziana.
Era diventata la prima guerriera di quel tempio, lei, Apakura di Uekera, l’Albero del Paradiso, ma mai si sarebbe immaginata che il tempio del dio del Canto e dell’Agricoltura hawaina sarebbe stato assalito da degli invasori come quelli che aveva visto arrivare.
Il tempio del dio dell’Agricoltura era un luogo rigoglioso, dove ogni tipo di frutto e pianta si coltivavano da sempre; persino quando era ancora una semplice seguace del precedente Primo Areoi dell’Avaiki, ricordava che c’erano molti, moltissimi, uomini comuni che visitavano quel tempio in cerca di ciò che nella loro povertà non potevano coltivare, o che l’ambiente precario di quella serie di atolli che componevano il più della Polinesia rendeva difficile da far crescere.
Per anni l’unica preoccupazione di Apakura era stata quella di accogliere con i propri Areoi queste persone, aiutarle, dar loro un sorriso e, magari, rinnovare il loro spirito con gli inni che si trasmettevano in quel tempio, questo finché non furono attaccati da quella tetra orda.
Vestigia nere, simili fra loro nel più dei casi, questo il primo ricordo, poi, per lo più, disperazione e sofferenza.
Un gigantesco guerriero, fra le schiere di quei nemici, sollevò un terribile incendio, distruggendo le coltivazioni che s’andavano sviluppando in quel tempio, altri, rapidi e fieri predatori, così gli erano parsi, assalivano ed uccidevano qualsiasi Areoi si trovassero davanti, diretti nelle loro azioni ad un uomo con un mantello fatto della pelle di un animale, un mantello che non gli serviva per proteggersi dal freddo, ma che utilizzava solo per abbellirsi agli occhi dei propri seguaci.
Apakura aveva tentato di difendere il proprio tempio, assieme ai suoi compagni, ma lei era capace di ben poco in battaglia, sapeva generare e comandare delle rampicanti, simili ai rami dell’Albero del Paradiso, un attacco fisico ed assieme psichico, poiché capace di quietare gli animi più furenti, dando loro una pace senza pari, prima di portarli alla morte, ma quella scura orda d’invasori sembrava non anelare la pace, nemmeno parevano conoscerla, quanta era la loro furia in battaglia!
Ebbe persino l’idea di chiedere aiuto a qualcuno degli Areoi dei quattro Avaiki restanti: i più vicini erano quello di Pili, presso le Hawaii, e quello di Ira, nelle Isole Samoe, per quanto, inaspettatamente, fu proprio il guerriero di un altro tempio, quello della Torpedine, consacrato ad Ukupanipo, a presentarsi loro come alleato, in cerca di aiuto per il proprio tempio, a ciò che diceva.
Apakura, però, non poté portare aiutare né chiederne: l’orda oscura stava distruggendo tutto ciò che aveva di caro al mondo, tutto ciò per cui aveva vissuto e che aveva curato, come le proprie armi e la furia che li distingueva e non solo, poiché all’apparire di quei nemici, come scoprì troppo tardi l’Areoi di Uekera, anche alcuni degli uomini di cui si fidava, persone che vedeva come propri figli e fratelli, tradirono il divino Lono, aiutando nella distruzione del tempio.
Gli ultimi ricordi della donna, dopo che gli affilati artigli di quello che si definiva il Cacciatore Supremo, le avevano inferto una ferita mortale all’addome, lasciandola al suolo, priva di ogni possibilità di opporsi al destino che vedeva appropinquarsi per lei ed il tempio del suo dio, furono ricordi di guerra fratricida e di distruzione. Areoi che venivano uccisi da guerrieri neri, o da loro simili; vide tre figure riunite, non le distingueva bene, una di loro gli parve il guerriero della Torpedine, li sentì parlare, qualcuno discuteva di un Nuovo Ordine che sarebbe sorto in Polinesia, qualcun altro obbiettava a quelle parole, lei non distinse molto, ma avvertì chiaramente l’esplodere di cosmi che si combattevano fra loro, cosmi di gente che proveniva dalle medesime terre e che avrebbe dovuto aiutarsi vicendevolmente.
Una battaglia breve fra Areoi, ecco l’ultima cosa che vide, prima che dei lampi di energia elettrica abbattessero due dei tre litiganti e, da quello scontro si alzasse un’unica parola: "Traditore.".
Forse fu proprio quella parola, più della mortale ferita che le aveva reciso gli organi interni a darle la morte, ma di certo, quella fu l’ultima immagine che gli occhi, bagnati di lacrime, di Apakura di Uekera, videro, prima di spegnersi per sempre, coscienti della distruzione portata ai campi di Lono.
***
"Tutto bene, piccolo Istioforo?", domandò la possente voce del nuovo arrivato, sotto lo sguardo incuriosito, ed assieme grato, di Ludwig, che però non venne minimamente calcolato da quel massiccio individuo le cui vestigia rappresentavano un pesce, come tutti i combattenti di quel tempio subacqueo.
"Potente …", riuscì appena a balbettare Kohu, sorpreso dell’identità di chi lo aveva salvato, ma altresì stremato dalle ferite riportate poco prima, "Non ti affaticare a parlare per ora, ragazzo, ben presto mi spiegherai cosa ti è accaduto dal momento dell’attacco fino ad ora e mi dirai anche chi è questo individuo, straniero, che sembra esserti amico e che, di certo, è ben diverso nell’aspetto e nelle vestigia, dagli invasori neri.", lo rassicurò l’Areoi appena giunto.
"Sono Ludwig del Centauro, cavaliere della dea Atena, venuto fin qui insieme ad altri otto compagni per aiutarvi contro i vostri nemici.", iniziò a spiegare il discepolo di Munklar, non ricevendo, però, la minima attenzione da parte dell’altro, che si volse verso il foro che aveva creato scaraventandovi contro Heitsi della Genetta.
Non vi furono parole, per alcuni istanti, mentre già l’energia cosmica risplendeva nei pugni del guerriero polinesiano, solo il sibilo dei vorticanti artigli dell’africano si udì, all’ultimo, quando sarebbe stato troppo tardi, perché Ludwig o Kohu potessero evitarlo.
"Potente Toru, attento!", supplicò il giovane Areoi, ma il volto deciso del Primo Guerriero di Ukupanipo, osservò con noncuranza quel nuovo assalto, sferrando a propria volta il suo: "Fauci dello Squalo Bianco! Distruggete!", ordinò secco, prima che le feroci zanne del predatore acquatico abbattessero le lame vorticanti del felino africano.
"Resta da parte, piccolo Istioforo, e non ti preoccupare. Riposati, mentre divoro questo invasore.", sentenziò, facendo qualche passo avanti, ancora incurante del cavaliere d’argento, "Qui, micio, micio.", sussurrò poco dopo Toru verso la sagoma che già s’intravedeva fra le macerie, invitandolo a farsi avanti con un gesto delle mani.
Il guerriero africano scattò in avanti con un balzo furibondo, apparendo in pochi istanti ai piedi dell’Areoi e cercando di colpirlo con un’artigliata ascendente destra che, però, l’altro non solo riuscì ad evitare, ma ne bloccò persino il movimento, stringendo nella propria mano il polso dell’avversario.
"Facile fingersi un grande predatore quando la tua preda è più piccola di te, vero? Ma ben diverso è avere come nemico me, Toru dello Squalo Bianco, anziché un giovane seguace del mio stesso tempio!", ruggì con forza l’Areoi, sollevando di peso Heitsi per il braccio e lanciandolo contro un’altra parete, che finì in frantumi, come la precedente.
Il membro della Terza Armata, stavolta, fu ben lesto nel compiere un salto in avanti, recuperando sullo schianto appena fatto per portarsi di nuovo all’attacco, il cosmo che circondava già le braccia oscure, mentre disegnavano il vortice dell’attacco basilare di quel guerriero, la Spirale degli Artigli.
Questa volta, però, l’attacco era combinato con la carica della Genetta che, in un balzo, stava cercando di raggiungere il nemico proprio pochi istanti dopo il suo colpo energetico.
"Pensi che due colpi lanciati di seguito possano intimorirmi? Ho affrontato molti di voi insulsi invasori in questa giornata ed ancora non ho trovato uno che fosse degno di ferirmi sul serio, né di certo lo sarai tu!", minacciò sicuro di se l’Areoi, espandendo il proprio cosmo attraverso i palmi delle mani aperte.
"Predatore dei Mari, abbatti queste irrisorie minacce!", ordinò poco dopo Toru, liberando la devastante energia delle proprie mani, che si rivelò sotto la forma di un gigantesco squalo bianco d’energia, la cui bocca andò a cozzare contro il vortice di artigli, disperdendoli fra le fauci energetiche, prima che il massiccio corpo del Lamnide cozzasse violentemente contro il Savanas, schiantandolo ancora una volta contro una parete della sala, distruggendo anche questa.
"Gattino spelacchiato.", rise sarcastico l’Areoi, osservando i frammenti dell’armatura caduti dinanzi a lui.
"Il tuo compagno d’armi è davvero abile.", osservò Ludwig del Centauro, aiutando Kohu a restare in piedi, mentre si spostavano in un’area di quella piccola stanza ancora non danneggiata dallo scontro, "Lui non è un mio compagno d’armi.", replicò, lesto, l’Areoi dell’Istioforo, "Egli è Toru dello Squalo Bianco, il più potente di tutti noi seguaci di Ukupanipo, colui che comanda su tutti noi. Primo seguace dell’Avaiki, è stato lui ad organizzare le nostre difese, dirigendo le azioni dei potenti guerrieri del Narvalo, della Tartaruga Marina, dell’Anguilla e del Tarpon, che poi, a loro volta, ci hanno diretto verso diversi luoghi da difendere.", spiegò al santo d’argento.
"Interessante.", fu l’unica replica, sorpresa, dell’allievo di Munklar, prima che le urla del guerriero africano, catturassero di nuovo l’attenzione dei due verso lo scontro che si stava svolgendo.
"Rete degli Artigli! Chiuditi sulla preda!", ordinava, nel frattempo, Heitsi, scatenando, con un secco gesto delle mani, generò un reticolo di fasci energetici che si sarebbe dovuto chiudere su Toru, stringendolo fra le sue pieghe e stritolandolo a morte, ma così non fu: l’Areoi dello Squalo Bianco, infatti, era pronto già al contrattacco.
"Pensi che la misera rete di cui sei padrone possa fermarmi? Non sai forse che è grande follia cacciare il più grande dei predatori marini?", domandò sollevando le mani ricolme d’energia cosmica verso l’assalto nemico, "Predatore dei Mari!", ruggì di nuovo l’Areoi, scatenando la possente figura del candido squalo, le cui fauci divorarono la rete avversaria, pronte a schiantarsi contro il guerriero nero che, però, stavolta fu lesto nel compiere un salto per allontanarsi dal luogo dell’impatto, ritirandosi nel corridoio e scomparendo in una delle stanze antistanti.
"Ebbene, gattino, pensi forse che la fuga sia la soluzione? Te ne do atto, è l’unica speranza di sopravvivenza che hai, fuggire, ma se mi attendi solo in un’altra sala per sferrare un attacco a sorpresa, sappi che le tue sono vane speranze, che affogheranno fra le fauci di cui sono padrone. Le fauci di un vero predatore.", lo ammonì con tono sicuro Toru, uscendo a sua volta nel corridoio e restando lì, immobile, in attesa.
Heitsi non poteva accettarlo: qualcuno che fosse più abile di lui nel cacciare? Questo è possibile, per ora, solo al loro sovrano, il Leone Nero, al suo maestro, Gu della Terza Armata, ed all’altro allievo dello stesso, Nyame. Ben presto, però, Heitsi li avrebbe superati tutti, in fondo, per questo aveva accettato di diventare allievo di Gu, molti anni prima.
Ricordava ancora quel giorno, lui era un ragazzino, che aveva abbandonato la propria casa nelle vaste aree deserte della Namibia per avventurarsi verso il cuore dell’Africa, lì dove vi erano le grandi foreste, con un solo sogno, diventare il miglior cacciatore!
Lo aveva scritto nel suo destino: suo padre gli aveva dato il nome di Heitsi, che per la tribù dei Khoi era il leggendario cacciatore infallibile e lui avrebbe ottenuto quel titolo.
Quel giorno, però, scoprì di essere ancora ben lontano dall’ottenere tale nomea. Era appostato su un albero, in attesa di una gazzella, una rete nella mano sinistra e la lancia nella destra, lì immobile osservava le possibili prede, finché non ne vide una e si lanciò sulla stessa, gettandogli addosso la rete.
Fu allora che accadde: nemmeno se ne rese conto tanto veloce fu quella reazione, ma qualcuno aveva reciso, con le sole mani, la sua rete, e sventrato con incredibile rapidità quel misero animale.
Quando lo vide, un individuo dagli abiti scuri che ne coprivano parte del corpo, celando con un mantello anche il capo, rimase stupefatto: come poteva un uomo avere una tale velocità nei movimenti? Forse era stata pura fortuna, però, si disse, lanciandosi quindi all’assalto, contro chi gli aveva rubato la preda.
La lancia non raggiunse mai, però, quel misterioso uomo, poiché la mano sinistra dello stesso la bloccò, mentre già la destra si stringeva sul collo di Heitsi.
"Cosa hai trovato, Nyame?", esordì allora una voce, mentre ancora la stretta si chiudeva sul suo collo e, con gli occhi arrossati per la mancanza d’aria, il giovane namibiano vide un uomo possente, dai capelli ricci e blu ed i sottili occhi rossi, osservare incuriosito la scena, mentre lui annaspava per un po’ d’ossigeno.
"Questo ragazzino ha cercato di rubarmi una preda con le sue stupide armi!", ruggì colui che lo stava strozzando, "I giovani d’oggi, come non sanno comportarsi.", rise divertito, a quelle parole, l’altro uomo, facendo poi un secco cenno, che portò Nyame a fermare la propria stretta sul collo di Heitsi.
"Dimmi, ragazzino, perché stavi predando quella gazzella?", domandò l’uomo dai capelli blu, avvicinandosi ai due, "Era forse la fame a muoverti? Non hai altri modi per guadagnarti da vivere?", incalzò curioso, "No, non per fame cacciavo, ma per perfezionarmi.", spiegò il giovane namibiano.
"Perfezionarti? In che cosa?", incalzò l’interlocutore dagli occhi rossi, "Come cacciatore. Io diverrò il miglior cacciatore di sempre.", replicò secco il ragazzo fuggito dalle proprie terre, "Tu non arriverai a vedere il tramonto!", ruggì Nyame, gettandosi su di lui con una velocità inattesa e bloccandolo di nuovo al collo.
"Aspetta!", ordinò secco l’uomo, rivolgendosi poi ad Heitsi, "Se davvero vuoi diventare il miglior cacciatore, dovresti superare in abilità Nyame, mio discepolo, me e, soprattutto, il mio Maestro e Sovrano, ma sei ben lungi dal poterci riuscire.", avvisò divertito.
"Ho la mia lancia, voi come cacciate? A mani nude? Pensi che non possa fare altrettanto?", incalzò baldanzoso il ragazzo della Namibia, "Osserva, prima di controbattere.", ordinò semplicemente l’altro, indicando alcuni bufali che si abbeveravano sul versante opposto di un lago, ad una decina di chilometri da loro.
L’uomo dagli occhi rossi mosse semplicemente le mani ed un vortice di lame, o almeno così lo avrebbe potuto definire, partì nell’aeree, sfrecciando ed aprendosi un percorso nell’acqua di quel lago, prima di dilaniare la piccola mandria.
"Questi sono i poteri che ho nelle mie mani, pensi di poterli superare?", chiese soddisfatto, ricevendo solo un imbarazzato silenzio in replica.
"Vuoi questo potere, ragazzo?", domandò divertito, rivolgendosi a Heitsi, "Ma … maestro Gu?", incalzò sorpreso l’altro, che aveva ormai lasciato la presa sul giovane namibiano, "Non ti preoccupare, Nyame, il tuo addestramento continuerà finché non sarai pronto per la battaglia, ma perché non addestrare anche un secondo allievo, mi chiedo? In fondo, Acoran ne ha due di discepoli, seppur Buadza non gli dà molte soddisfazioni, perché io dovrei essere da meno? Se questo ragazzo accetterà di seguirmi, anche lui potrà anelare ad un ruolo nella Terza Armata dell’Esercito d’Africa!", esclamò soddisfatto l’uomo dai capelli blu.
"Sì, vi prego, addestratemi!", urlò di rimando il ragazzo, affascinato da tanto potere, desideroso di diventare il migliore dei predatori.
"Ebbene, ragazzo, dimmi, qual è il tuo nome? Così che sappia chi è il mio nuovo allievo.", incalzò ancora l’uomo, "Sono Heitsi, provengo dalla Namibia.", rispose l’altro, mentre il primo sorrideva a sentire quel nome.
"Bene, Heitsi, lui è Nyame, tuo compagno d’addestramenti e diretto superiore, io, invece, sono Gu, primo discepolo e Terzo Comandante nel grande esercito del Leone Nero, il futuro Sovrano d’Africa. Segui le mie indicazioni ed un giorno, quando le nostre truppe saranno pronte, potrai partecipare alle migliori battute di caccia che tu abbia mai potuto sognare, in giro per l’intero mondo.", gli propose allora e fu in quel giorno che lui, Heitsi, iniziò il cammino che lo portò ad ottenere le vestigia della Genetta ed a partecipare a molte battaglie, cacciando e predando uomini, anziché altri animali, per lo più; una sensazione che lo inebriava di gioia e sicurezza sulle sue capacità, emozioni che, però, in quel momento venivano sorpassate dalla rabbia per la propria incapacità dinanzi a quel nemico e dalla preoccupazione per come batterlo.
A Ludwig, che lo osservava dall’uscio della stanza dove lui e Kohu erano stati così facilmente soverchiati da quel guerriero nero, Toru dello Squalo Bianco sembrava, adesso, completamente immobile, aveva quasi il dubbio che, per qualche strano motivo, si fosse addormentato con gli occhi aperti, ma, ogni volta che si voltava verso l’Areoi dell’Istioforo, quello sorrideva, trattenendo le lamentele per le ferite subite, sicuro dell’esito di quella battaglia.
D’un tratto, poi, il comandante del tempio di Ukupanipo si mosse, sfrecciando in una delle tante stanze vicine a quella dove aveva combattuto fino a quel momento.
I due feriti lo seguirono da lontano, curiosi di vedere l’esito di quello scontro, per quanto, complice la sicurezza del giovane Areoi, nessuno dei due aveva dubbi sulle possibilità di vittoria del guerriero dell’Avaiki.
Heitsi, nel frattempo, aveva già sferrato il proprio attacco sul nemico, per niente colto di sorpresa dai passi veloci e silenziosi e dagli scatti agili del membro dell’Esercito Nero.
Con un balzo il guerriero africano si era lanciato sull’avversario, cercando di colpirlo alla base del collo con una violenta zampata energetica, ma Toru era stato veloce nel sollevare a sua volta il proprio braccio sinistro, bloccando sul nascere quel colpo con il cozzare dei loro polsi e sferrando a sua volta un violento gancio destro allo stomaco del Savanas, che, spinto indietro da tanta potenza, non aveva fatto molto di più che una capriola sulla parete alle sue spalle, poggiandovi i piedi e spiccando così un nuovo salto in avanti.
Una veloce rotazione aveva portato il guerriero nero a far vorticare l’intero corpo in una carica violenta contro il nemico, che, però, non rimase immobile, bensì si lanciò a sua volta all’assalto, sferrando un violento montante sinistro proprio contro la testa dell’avversario, lasciandolo volare indietro, contro una parete, con la maschera felina ormai in frantumi ed il naso rotto.
"Prima sembravi un così fiero gattino, ora sei giusto un pezzo di carne maciullata! Ma in fondo questo spetta a chi affronta il più potente dei predatori nel suo territorio; questa la fine che ti accomunerà a tutti i guerrieri che prima di te ho affrontato oggi!", ruggì furioso Toru, espandendo ancora una volta il proprio cosmo.
"Non lo accetto!", urlò di rimando l’altro, lasciando esplodere il nero cosmo di lame che lo circondavano, "Non accetto di diventare una preda! Troppe battute di caccia ho vinto in questi anni, troppe battaglie, troppi templi stranieri ho distrutto, non ultimo quello che poche ore fa abbiamo invaso, pieno d’insulsi coltivatori! Non accetto di morire così, per mano di qualcuno che non è il mio maestro Gu, o il nostro Sovrano!", esclamò furioso, liberando la potenza scaturita da tutta quella immane ira, in un nuovo affondo.
"Lancia del Cacciatore! Abbatti la mia preda!", ordinò furioso il guerriero nero, scatenando un’unica violenta zampata da cui nacquero cinque artigli che andarono poi ad unirsi in un unico e ben più micidiale affondo diretto contro lo sterno di Toru.
Il comandante degli Areoi sacri ad Ukupanipo, dal canto suo, non si mosse, quasi le parole dell’altro lo avessero sorpreso inizialmente, poi, all’ultimo, sollevò le braccia, sostenendo fra le stesse la violenza dell’attacco nemico, mantenendolo immobile fra queste, "Avete attaccato l’Avaiki di Lono? Il santuario custodito da Apakuera?", domandò sconcertato, ricevendo solo un ghigno soddisfatto in risposta, una risposta che, comunque, la sua mente non aveva acquisito, già persa in passati ricordi.
Tre anni prima, nella sala del Custode del tempio di Ukupanipo, il precedente Comandante degli Areoi, Tiotio della Piovra, una guerriera dall’indiscutibile capacità, aveva richiamato i cinque più promettenti, a detta di molti, fra i membri di quello specifico Avaiki e li aveva fatti sedere dinanzi a lei, prima di parlare con accanto il suo più fidato consigliere: Afa dello Squalo Tigre, il possente maestro della maggioranza dei presenti, Toru compreso.
"Sono molti anni che guido questo Avaiki, ho visto tutti voi unirsi a noi e molti dei membri del culto di Ukupanipo andar via, per l’età, abbandonare questo tempio e tornare a vivere, ormai anziani, fra gli uomini di superficie, sperando che anche per me e per chi avessi conosciuto negli anni, fosse possibile altrettanto ed oggi quella speranza, per ciò che ci riguarda, diventerà una realtà.", esordì, prima che il possente Afa le prendesse la mano destra fra le proprie.
"Viene un tempo in cui un guerriero capisce che non è più suo dovere combattere, in cui sa che c’è altro a cui tiene e che per quello desidera abbandonare tutto, e per noi è giunto quel momento.
Io, come Comandante di questo Avaiki, dovrò, prima di abbandonarlo, scegliere il mio successore ed ammetto, che fra voi cinque, è stata una dura scelta, che, però, alla fine ho compiuto.", esordì la guerriera, osservandoli tutti.
"Tarpon, Narvalo, nessuno di voi due verrà scelto come Comandante: questa è stata la mia prima decisione; come me adesso, voi siete troppo legati ad altre persone che vi sono vicine, altri Areoi, per preoccupavi dell’interezza della nostra gente in modo eguale ed un comandante non deve fare preferenze, deve essere equamente interessato e giusto nel valutare tutti i propri seguaci.", spiegò Tiotio, mentre Maru chinava il capo, comprendendo cosa l’altra stava dicendo e, con un po’ più di titubanza, anche il secondo faceva altrettanto.
"Anguilla, tu sei indubbiamente un uomo abile, spesso ti sei dimostrato abile nelle strategie, ma mi è stato riferito che, per il bene della missione, sei stato capace di lasciare indietro tre degli Areoi mandati con te: per questo motivo la guerriera della Murena è morta ed anche Waru e Peré avrebbero potuto rischiare la medesima fine.
Un comandante deve sempre pensare, prima di tutto, al proprio esercito, solo dopo al bene della missione, quando tutte le tue truppe sono al sicuro; una strategia che pensa solo alla vittoria, senza preoccuparsi del prezzo della stessa, non è per me una buona strategia. Questo mi ha portata a non sceglierti.", spiegò ancora l’Areoi della Piovra, mentre l’altro chinava il capo.
"Restate voi, Squalo Bianco e Tartaruga Marina, mia cara allieva. Ero molto indecisa su chi di voi due scegliere, ma alla fine ho seguito il mio cuore, reso inquieto dalle guerriere che si sono avvertite in questi anni: guerre non fra normali uomini, ma fra guerrieri sacre a diverse divinità, nei luoghi più disparati di questo mondo.
Il timore che queste ombre raggiungano anche questo Avaiki mi ha spinto alla mia scelta: Toru dello Squalo Bianco, la tua forza sarà quella che dovrà tenere unito il tempio e difenderlo, al momento del bisogno.", aveva concluso.
Quelle poche parole, allora, lo avevano stupito, non quanto la tranquillità con cui anche la Tartaruga Marina aveva accettato tale decisione e non quanto ciò che successe due giorni dopo: la presentazione del nuovo Primo Guerriero di Ukupanipo ai custodi degli altri quattro Avaiki.
Toru era stato accompagnato in quei luoghi dalla veneranda Tiotio e dal potente Afa, suo Maestro, presso il santuario di Ira, dea della Volta Celeste, lì dove gli dei avrebbero potuto più facilmente osservare i loro servitori sulla terra mortale; in quel luogo il guerriero aveva conosciuto gli altri quattro suo pari, seppur ancora tale a loro non si sentiva.
Vi erano gli anziani Fafine e Kafika, rispettivamente comandanti del tempio di Ira e di quello di Rongo, dio della Pace, entrambi, l’anno successivo avrebbero lasciato ad altri il loro ruolo, perché troppo vecchi ormai per quei tempi scuri.
C’era Moko di Tiki, il giovane ed arzillo comandante del tempio di Pili, il dio degli Antenati, e poi c’era lei, Apakuera di Uekera, la donna che comandava sull’Avaiki di Lono, dio del Canto e dell’Agricoltura.
I due più anziani, fra i comandanti, non fecero molto di più che chiacchierare con Tiotio ed Afa, curiosi di sapere cosa avrebbero fatto una volta abbandonate le vestigia che indossavano, Moko, dal canto suo, si divertì a scherzare con Toru, in fondo anche lui, pochi mesi prima, aveva preso il posto del suo predecessore, ma lei, Apakuera, fu l’unica che gli chiese, effettivamente, cosa provasse ad essere diventato un nuovo comandante, che scrutò al di là della dura superficie del guerriero, preoccupandosi di come il giovane uomo vivesse quel momento, rassicurandolo che, per lo più, escluse alcune sporadiche situazioni di pericolo, per lo più calamità naturali che dilaniavano quelle terre, nessun pericolo si sarebbe manifestato dinanzi a loro.
Lo aveva rassicurato e trattato con gentilezza, una cosa rara per lo Squalo Bianco.
Quel ricordo, quelle poche parole scambiate, tutto correva nella mente di Toru ora che, con le mani strette in una presa brillante d’energia cosmica, ancora sosteneva l’attacco di Heitsi.
"Sì, abbiamo distrutto quel tempio di contadini! La donna che li governava, capace di sollevare dal terreno insulse erbacce e fusti di legno, è stata sventrata e lasciata agonizzante dal mio maestro Gu, incapace di far niente di più che osservare, mentre la vita la abbandonava, la propria gente uccisa e massacrata.", esclamò con un ghigno soddisfatto il guerriero della Genetta.
"Dimmi l’aspetto di questo tuo maestro Gu e dove posso trovarlo.", ringhiò secco l’Areoi, tornato in se.
"Gu, comandante della Terza Armata si trova con gli altri suoi pari al di fuori della sala più profonda di questo tempio, in attesa che il nostro Sovrano, il Leone Nero, completi il rito che imprigionerà tutte le vostre divinità.", rispose secco l’africano.
"Questo è dunque il vostro proposito? Nelle mie stanze tale blasfemia si sta compiendo? Maledetti!", ruggì Toru, "Il suo aspetto? Come posso riconoscerlo?", urlò ancora all’avversario, "Ha capelli blu riccioluti ed occhi rossi come il sangue delle sue vittime, indossa la pelle di una fiera come mantello, segno della sua abilità di cacciatore. Ma inutili sono per te queste notizie, poiché non sopravvivrai a questo scontro.", minacciò sicuro Heitsi.
Solo in quel momento, però, l’energia cosmica che avvolgeva le mani dell’Areoi mutò di forma, circondando per intero le braccia ed iniziando a vorticare, "Tu non sopravvivrai, niente di te resterà, preparati piccolo e vile traditore. Nemmeno degno d’essere definito una preda tu sei!", tagliò corto il guerriero dalle bianche vestigia.
"La tecnica suprema del nostro comandante!", esclamò Kohu, che osservava la scena, "Si dice che questo colpo, al pari di quello del suo maestro, Afa dello Squalo Tigre, sia capace di generare devastanti maremoti!", spiegò, prima di farsi indietro, incitando Ludwig a fare altrettanto.
"Imperium Carcharodon!", urlò secco Toru, liberando l’energia che ricopriva i suoi arti.
L’ondata energetica del braccio destro disperse la lancia di Heitsi e divelse di netto le braccia dello stesso dal suo corpo, costringendolo ad indietreggiare urlante di dolore, prima che anche la forza del sinistro si liberasse in un violento colpo dilaniò le carni del guerriero, al pari delle fauci di un vero Squalo, lasciando il suo corpo maciullato al suolo.
"Gu, comandante della Terza Armata? Il Leone Nero? Bene, so chi devo cacciare.", sentenziò secco l’Areoi, guardando per alcuni istanti ancora il cadavere senza vita del guerriero della Genetta, prima di voltarsi verso Kohu e Ludwig.
"Mio comandante Toru, questi è un cavaliere di Atena, una divinità europea. Lui ed i suoi compagni sono giunti fin qui per aiutarci in questa battaglia: sembra che gli alleati dei neri invasori siano loro nemici e che, per questo, si siano mossi in nostro supporto.", spiegò prontamente l’Areoi dell’Istioforo, ricevendo uno sguardo dell’altro, "Stranieri che ci aiutano contro altri stranieri? Dunque questo aumentare di scontri che avevo avvertito, l’esplosione di luce e fuoco, tutta opera loro? Buono a sapersi.", commentò semplicemente lo Squalo Bianco, oltrepassandoli entrambi.
"Io mi dirigo verso le mie sale, per abbattere questo Gu ed il loro sovrano, voi cosa avete intenzione di fare?", domandò a quel punto, volgendosi prima verso Kohu e poi, per la prima volta, verso Ludwig.
"Vi seguirò, comandante.", fu la secca risposta del primo, "Fin dall’inizio il mio compito è riunirmi con i miei compagni in quei luoghi ed impedire il concludersi di questo rituale.", aggiunse il santo di Atena, prima che, con un cenno del capo, Toru indicasse il proprio assenso ed iniziasse ad avanzare, seguito dai due.