Capitolo 12: L’allieva di Sion
"Maestro!!!", questo l’urlo che lo riscosse dalla propria concentrata percezione dei cosmi che duellavano distanti.
In silenzio, solo nelle sale del Sommo Sacerdote di Atene, Sion, l’Oracolo della dea, si disse che dopo secoli passati in quelle ampie e spesso vuote sale, stava effettivamente invecchiando.
Una smorfia preoccupata deformò le sue labbra: aveva avvertito qualcosa, ne era certo, un urlo lontano, a cui non aveva saputo dare origine; non sapeva se fosse stata un’impressione dettata dalla preoccupazione per la sorte dei cavalieri in battaglia, oppure se, effettivamente, grazie al legame che lo univa ai suoi due discepoli, aveva udito la voce di Ilo, o di Iulia.
Il primo era rimasto nel Jamir, luogo dove era stato addestrato per succedergli come fabbro, oltre che come cavaliere: sperava che un giorno il cosmo del ragazzo fosse diventato tanto potente da permettergli di ottenere un’armatura d’oro, per ora, il giovane, non era niente di più che un apprendista cavaliere e quel pericolo inatteso aveva costretto il sopravvissuto della passata Guerra Sacra ad interrompere l’addestramento.
Era impossibile, però, che qualcuno andasse nel Jamir, perché mai avrebbero dovuto dirigersi in quei luoghi sperduti? Solo chi sapeva cosa cercare riusciva a raggiungere il palazzo che lo aveva visto allenarsi sotto le direttive del saggio Hakurei dell’Altare.
Fu il pensiero del maestro ad allontanare le ultime preoccupazioni sul piccolo Ilo dalla mente di Sion, portandolo ad altri vecchi ricordi, sull’incontro con la prima dei suoi allievi: Iulia.
Fin da quando l’aveva incontrata, al Sommo Sacerdote era parso che i compagni caduti gli indicassero in lei una guerriera consacrata ad Atena, attraverso una serie di coincidenze.
La prima era stata nell’incontro stesso: l’unica sopravvissuta al passaggio di alcuni banditi che avevano assalito un piccolo villaggio sull’Aspromonte, era lì, immobile e spenta in mezzo a quel massacro, come se il trauma le avesse tolto la parola; in qualche modo, seppur le circostanze erano state totalmente diverse, questo avvenimento ricordò a Sion ciò che aveva sentito dire una volta da Manigoldo di Cancer su come il suo predecessore e fratello di Hakurei, Sage, lo aveva incontrato.
Fu forse quello il primo motivo che spinse l’Oracolo di Atena a prendere la piccola orfana sotto la propria custodia, addestrandola; poi, quando vide in lei risvegliarsi un cosmo, fu sorpreso nello scoprire quanto rassomigliarsi, nel suo manifestarsi, a quello del primo dei santi d’oro che erano caduti nella passata guerra, Albafica dei Pesci.
Per alcuni anni, Sion cullò persino la speranza che la ragazza diventasse sacerdotessa della Dodicesima Casa, ma fu egualmente felice nello scoprirla legata alla costellazione dell’Altare, la stessa che era stata del suo maestro.
L’esplodere di nuovi cosmi intenti nelle battaglie lontane, richiamò l’Oracolo al presente.
***
Correvano da nemmeno lei sapeva più quanto in quei corridoi e, inaspettatamente, la sacerdotessa guerriero si trovò a pensare che, ormai, si era abituato all’innaturale silenzio che la presenza del suo parigrado generava.
Quando il Sommo Sacerdote le aveva ordinato di unirsi alle ricerche del famoso cavaliere del Triangolo, lei, Iulia dell’Altare, era rimasta quanto meno sorpresa e, decisamente, soddisfatta da quella decisione: lei, allieva di Sion dell’Ariete, avrebbe supportato quello che era riconosciuto da tutti come il più potente dei santi d’argento, chissà che non fosse un modo per sottolineare dinanzi ai suoi pari ed ai custodi dorati che anche la giovane sacerdotessa meritasse un titolo di tale livello, aveva pensato a principio.
A poco a poco, poi, aveva scoperto che quella missione era una missione di ricerca, qualcosa di simile a quanto era stato ordinato, quasi due secoli prima, al santo del Sagittario, Sisiphus, anche se non riguardava gli dei gemelli, ma un nemico più terreno e mortale, ma altrettanto misterioso, questo a detta dello stesso Amara del Triangolo.
Quel piccolo ricordo accese una nota di sarcastica ironia nella mente della sacerdotessa: Amara del Triangolo, in effetti, non parlava, cosa che l’aveva a dir poco stupita quando lo aveva scoperto, che il più potente dei cavalieri d’argento fosse una sorta di ventriloquo era quanto mai deridibile, però Iulia non aveva potuto fare alcunché per impedirgli di portare avanti quel suo strano, ed a suo dire assurdo, modo d’interloquire con gli altri, per quanto parlasse veramente poco.
Quel silenzio, comunque, le permetteva di concentrarsi, tanto che più e più volte fu portata a voltarsi, avvertendo lo scoppiare di scontri generati da cosmi che duellavano in potenza e capacità, scontri, per la maggior parte, che avevano visto uno dei duellanti spegnersi, ne era certa, come fu certa della presenza che, in quel preciso momento, si avvicinava a loro.
Si fermarono assieme, i due santi d’argento, in attesa, prima che un’esplosione di luce frantumasse una parete di fianco a loro, un’esplosione che li avrebbe di certo travolti se non avessero smesso di correre.
Un globo di luce, poco dopo, apparve dal foro creatosi, gettandosi con indicibile violenza contro i due combattenti. "Amara, spostati!", urlò Iulia, scattando a sua volta verso sinistra, mentre già l’altro s’era portato sulla destra.
Il globo luminoso, quasi avesse una volontà propria, dopo aver continuato ad avanzare per qualche metro, compì una rapida rotazione sulla sinistra, lasciando un profondo solco nel terreno e poi sulla parete alla quale era più vicina la sacerdotessa guerriero, mentre già si lanciava contro la stessa.
La guerriera dell’Altare, fu però abbastanza veloce da spostarsi ancora una volta, mentre dalle mani generava il proprio cosmo, quasi a colpire la sfera di luce che le correva contro, ma evitando bene di toccarla davvero.
Una nuova brusca rotazione fu la risposta a quella mossa difensiva, rotazione che portò il globo di luce a gettarsi in un’altra feroce carica verso la sacerdotessa d’argento.
Fu allora che il cosmo di Iulia si espanse al suo massimo, mentre già Amara sorrideva, poiché aveva compreso la tattica della parigrado.
"Sorgete, Speciosae Scudis, ergetevi a difesa e valico inviolabile!", ordinò ed a quelle parole i rossi petali, spessi ed ingigantiti dal cosmo della sacerdotessa, di un Giglio della famiglia Archelirion, si sollevavano a difesa della guerriera, bloccando l’avanzata del globo di luce, che per alcuni brevi secondi continuò a roteare sul posto, impossibilitato a continuare il proprio assalto.
"Rinuncia alle velleità, chiunque tu sia, la difesa che ti si contrappone è invalicabile!", avvisò, d’un tratto, la voce che si sviluppava dal cosmo di Amara, voce che parve raggiungere anche quel globo di luce che, d’improvviso, si fermò.
Quando l’energia luminosa fu quietata, poi, la sacerdotessa guerriero, così come il suo parigrado, poté osservare una sagoma bardata di vestigia nere, la sagoma di un altro dei combattenti africani.
Le nere vestigia coprivano del tutto il corpo in modo quanto mai singolare: il dorso dell’armatura, infatti, la prima cosa che i due cavalieri poterono osservare, era completamente ricoperto da lunghi ed appuntiti aculei scuri, che si distinguevano dal resto della corazza perché ancora scintillanti grazie al cosmo della loro padrone; allo stesso modo, anche braccia e gambe erano difese dalle medesime spine, al contrario del tronco di quell’armatura, privo di quella strana difesa, su cui era incisa una sagoma simile al volto di un qualche roditore.
Anche l’elmo, poi, era pieno degli stessi aculei, che celavano in una maschera di minacciosa severità l’identità di quel nuovo avversario.
"Un porcospino?", fu la prima osservazione divertita di Iulia, che riconobbe attraverso i propri ricordi d’infanzia quella che doveva essere la creatura raffigurata da quelle vestigia.
"Istrice, invero, non porcospino è il nome dell’animale di cui sono stata investita guerriera.
Io sono Chikara dell’Istrice Nero d’Africa, membro della Prima Legione.", sottolineò l’altra, ora completamente in piedi, mentre caricava il proprio pugno destro d’energia luminosa, rilasciandola contro i rossi petali che le occludevano la strada, senza riuscire a perforarli.
"Ben poco cosa sono i tuoi pugni, guerriera d’Africa, ma continua pure a colpire le Speciose che mi sono difesa, poiché ben presto vedrai come sanno anche rivelarsi forza d’attacco!", minacciò a quel punto la sacerdotessa guerriero, prima che, preannunciata da una potente luce rossa, la violenza di un’onda d’energia cosmica esplodesse dai petali, investendo in pieno la combattente dell’Istrice.
Chikara fu presa completamente alla sprovvista, schiantandosi diversi metri indietro, cadendo malamente al suolo, rialzandosi comunque in tempi brevi, con ben pochi danni sul proprio corpo.
"Prova pure ad attaccarmi ancora, se non t’è bastata la lezione: non sorte diversa riceverai nel confrontarti con la difesa dei Gigli dell’Altare.", la sfidò prontamente Iulia, mentre l’altra già si rialzava.
"E pensi forse che quelle tue erbacce possano intimorirmi, straniera europea?", incalzò l’altra, stringendo i denti, "Da potenti donne è composta la prima armata d’Africa, non fanciulle che usano dei teneri fiorellini a loro difesa!", replicò aspra, lasciando esplodere il luminoso cosmo che ancora una volta l’avvolse.
La guerriera spiccò quindi un salto verso l’alto ed in quel singolo movimento si chiuse su se stessa, ritornando a quella forma sferica con cui, inizialmente, s’era presentata ai due guerrieri di Grecia.
"Istrice di Luce! Vai e colpisci!", ordinò secca la donna, caricando frontalmente contro le scarlatte difese dell’avversaria, che pronte sorressero all’impatto con la violenta corsa dell’altra, una corsa che, per quanto impossibilitata a continuare, non pareva affatto decisa a fermarsi, quasi cercasse di perforare quella muraglia di rossi petali.
"Tutto inutile. Rinuncia, una fine più dolce ti attenderà.", avvisò fredda la sacerdotessa guerriero, prima di rilasciare l’energia cinetica della combattente avversa contro di lei, energia cinetica che, però, stavolta, dovette fronteggiare quella che l’Istrice Nera stava contrapponendole.
Il confronto fra le due forze, uguali e contrarie, portò ad una detonazione d’energia tale da costringere la sacerdotessa d’argento a coprirsi il volto mascherato con le braccia, prima che l’onda d’urto la facesse indietreggiare di alcuni passi, rivelando che persino la difesa di Speciose rosse era stata distrutta da quell’impatto, non riservando, comunque, sorte di molto migliore alla guerriera nemica, che si stava ora rialzando, evidentemente ferita e con le vestigia danneggiate in più punti.
"Come hai visto, straniera europea, non è poi così invalicabile la tua difesa, anzi, ora che ne ho capito l’utilizzo, penso che potrò superarla senza subire altri danni.", la ammonì Chikara, apparentemente non indebolita dalle ferite subite; "Parole vuote, dette da una piccola istrice che crede di conoscere più di quanto possibile? Pensi davvero che confrontarsi due volte con la Rossa parete dei Gigli sia sufficiente per sapere come vincerli?", ribatté baldanzosa Iulia, espandendo il proprio cosmo, il cui colore scivolava verso il rosso, partendo da un complesso arcobaleno di sfumature.
"Mettimi dunque alla prova, guerriera di Grecia senza nome e vedrai come dovrai rimpiangere di aver sottovalutato una combattente della Prima Armata!", la sfidò di rimando l’altra, accendendo il proprio accecante cosmo, in risposta a quello dell’avversaria.
Fu però il terzo guerriero presente in quel corridoio a bloccare le due combattenti, ponendosi fra loro: "Placate momentaneamente i vostri spiriti battaglieri, guerriere. Ho bisogno di risposte!", ammonì l’emanazione cosmica del cavaliere d’argento.
"Che cosa?", ebbe appena il tempo di obbiettare Iulia, prima che lo sguardo di Amara la zittisse, più di quanto mai avrebbero potuto fare delle parole, lo stesso sguardo che, indagatore, si rivolse all’africana avversaria.
"Dimmi, Chikara dell’Istrice, come fai a sapere che noi siamo guerrieri di Grecia? Le nostre vestigia sono sì differenti da quelle degli Areoi di questo Avaiki, ma come puoi aver così facilmente individuato le nostre origini? Tanto più che, come tu stessa hai sottolineato, ancora la mia parigrado non si è presentata.
Hai forse combattuto qualche cavaliere di Atena prima d’ora, qualcuno dei compagni che qui ci ha accompagnato?", domandò il santo del Triangolo, che, fino a quel momento, aveva osservato ed ascoltato il confronto fra le due donne.
La combattente della Prima Armata, dal canto suo, dopo un primo istante di sorpresa dinanzi a quel misterioso uomo che parlava senza muovere le labbra, solo attraverso il suo cosmo, accennò un sorriso, concedendogli poi una risposta: "Il grande Ntoro, comandante della Quinta Armata d’Africa, lui ha informato tutti noi della vostra presenza, guerrieri europei, per quanto non ne capiamo il motivo, pare che voi vogliate aiutare questi stranieri contro di noi e questo vi rende dei nemici da eliminare.", spiegò.
"Come se tu avessi la possibilità di eliminarmi.", rise spavalda Iulia, interrompendola, ma bastò un gesto della mano di Amara per zittire la sacerdotessa, "E come poteva questo tuo comandante sapere della nostra presenza qui? Ha forse lui combattuto uno di noi?", chiese ancora l’emanazione cosmica del cavaliere, che aveva, in effetti, avvertito in quella sua corsa nei neri corridoi diversi cosmi, alcuni intenti in battaglie, altri in più complesse imprese, a lui ancora poco chiare.
Un nuovo sorriso divertito si dipinse sul volto di Chikara: avrebbe desiderava gustarsi l’ignoranza di quello strano personaggio, per quanto l’impazienza di combattere quella guerriera il cui cosmo ancora la sfidava, la spinse a rispondere in fretta.
"Ntoro, Comandante della Quinta Armata, non ha bisogno di combattere per conoscere chi si trova in queste gallerie subacquee: egli è la guida spirituale del nostro esercito, a detta di alcuni, poiché è colui che più di tutti conosce i misteri del Guscio Infinito dove tutte le anime sono destinate; anime come quelle degli altri Savanas che i vostri compagni hanno sconfitto finora. Quando avete ucciso uno di noi, vi siete rivelati all’intero esercito.", si affrettò a spiegare.
"Se sono tutti deboli come te, donna, non dobbiamo nemmeno preoccuparci di esservi già noti.", ribatté beffarda Iulia, ancora una volta interrotta da un gesto di Amara, che continuò le sue domande: "Dunque Savanas è il nome del vostro esercito? L’armata che non segue una divinità particolare dell’Africa, ma che è stata creata per difendere l’interezza del Continente Nero? Voi, che ora vi siete spinti così lontani dalle vostre terre natie, a seguito di questa vostra alleanza con i Ladri di Divinità.", continuò.
"Non so niente di alcuna alleanza, uomo dallo strano parlare, ma posso dirti che sì, Savanas è il nome che alcuni abitanti della Giungla hanno dato, secoli orsono, alle nostre schiere, un nome che è gradito al nostro Sovrano, il Leone Nero, poiché gli ricorda proprio quella giungla dov’è nato e cresciuto.
E proprio per volontà del nostro Sovrano, l’Esercito della Savana si è risvegliato da secoli di pacifica sonnolenza, muovendo battaglia per piegare il mondo ad un’unica bandiera, la nostra!", spiegò con orgoglio Chikara, indicando poi la sacerdotessa d’argento, "E tu, che tanta sicurezza vanti contro di me, sappi che poca cosa è la mia potenza rispetto a quella dei luogotenenti ed allievi dei Cinque Comandanti ed ancor meno valgo, ahimè, rispetto ai Cinque signori del nostro esercito: Ntoro, sapiente conoscitore del Guscio Infinito; Acuran, il Mietitore; Gu, il Cacciatore; Moyna, il Benevolo; e prima nelle schiere d’Africa, la mia comandante, Mawu del Mamba Nero.", avvisò con voce secca.
"In più, al di sopra di tutti noi, vi è il più potente dei guerrieri, il Signore della Guerra, il Leone Nero nostro Sovrano!", concluse, lasciando esplodere il proprio cosmo.
In risposta a quel gesto, l’allieva di Sion dell’Ariete si fece avanti di qualche passo, "Se hai concluso le tue domande, cavaliere del Triangolo, fatti da parte: è tempo che io, Iulia dell’Altare, sacerdotessa d’argento in nome di Atena, quieti ogni velleità contro Chikara dell’Istrice Nero.", sentenziò decisa.
Amara, con un sorriso soddisfatto, indietreggiò di qualche passo: aveva ottenuto le informazioni che voleva, facendo leva sull’evidente ostilità che, in poche battute, s’era già creata fra le due guerriere, perché la sua parigrado mettesse fretta all’altra, spingendola a dire ciò che lui voleva: a quel punto stava a Iulia la battaglia, lui si sarebbe preoccupato di scoprire di più, analizzando i cosmi che li circondavano in quel tempio subacqueo.
***
Da quanto tempo correvano? Nemmeno lui lo sapeva. L’ultimo ricordo coerente era il momento in cui aveva preso quel lungo corridoio e poi, niente di più che sempre gli stessi angoli, come se lui ed il suo parigrado continuassero a correre in tondo, sempre nello stesso punto, eppure, per quanto fermo restasse, gli sembrava di essere occupato a correre da ore ed ore. Cosa ancora più strana, poi, non avvertiva il cosmo di nessun altro dei cavalieri, o delle sacerdotesse, che si trovavano in quello stesso Avaiki e questo era certamente strano. Questi erano i pensieri che scuotevano la mente di Juno di Cerbero.
Il cavaliere d’argento volse lo sguardo verso Rumlir della Corona Boreale: anche l’altro sembrava stranito e stanco per quella loro strana corsa senza fine, forse più di lui ed in fondo, per chi proveniva da lui freddi come la Siberia, correre da un tempo indefinibile in delle grotte subacquee della Polinesia non doveva essere affatto piacevole.
"Non credi che sia strano?", domandò d’un tratto proprio l’allievo del santo dell’Acquario, "Da quanto stiamo correndo? Eppure sembra che stiamo solo muovendoci in tondo, senza avanzare: tutti i corridoi sono così maledettamente simili…", si lamentò, stremato nella voce, da quella corsa senza fine.
"Sì, è strano. Sembra che un predatore più scaltro si stia divertendo ad intrappolare nella propria tela le due mosche sventurate che si sono avventurate nel suo territorio.", affermò, quasi recitando parole a memoria, Juno, "Che cosa?", domandò di rimando l’altro, grondante sudore.
"Una frase che mi disse una volta il mio compagno d’addestramenti, Husheif di Reticulum. Penso che in questo momento me la ripeterebbe.", affermò Juno, con un sorriso mesto sul volto, ricordando quando il compagno d’arme lo aveva intrappolato fra i sottili fili della sua ragnatela d’energia cosmica durante uno dei loro tanti addestramenti.
Il ricordo di quale fosse, però, il senso di quella frase, spense quel sorriso e riportò la serietà sul volto del giovane cavaliere: "Potremmo essere caduti nella trappola di qualcuno dei nostri nemici, o forse di uno di questi guerrieri dell’Avaiki. In fondo anche Ludwig è stato attaccato da quel ragazzo dalle vestigia bianche prima che combattessero assieme contro il comune nemico.", suggerì il santo d’argento, ricevendo un cenno di consenso da parte del parigrado, mentre entrambi si fermavano, per guardarsi intorno.
"L’unica domanda è come potremmo individuare chiunque ci possa far correre in tondo… io non avverto alcun cosmo nelle vicinanze. Anzi, non avverto proprio alcun cosmo!", obbiettò preoccupato il cavaliere della Corona Boreale.
Quelle ultime parole, però, non furono colte da Juno di Cerbero, né Rumlir poté sentire le urla del compagno d’avventura quando la figura dell’allievo dell’Acquario scomparve da davanti ai suoi occhi: Anansi aveva diviso i due cavalieri!
In realtà erano ancora l’uno accanto all’altro, nel medesimo corridoio dove non avevano, in effetti, mai realmente iniziato a correre, poiché avevano fatto più meno di un centinaio di metri, ma ora il discepolo di Ntoro impediva loro anche di vedersi vicendevolmente, dato che, sembrava, che fossero giunti a capire il suo trucco.
Arrivato a tanto, si disse il guerriero nero, era il momento di dividere anche i due indigeni dalle armature bianche, questo avrebbe tolto lui possibili problemi futuri, per quanto lo avrebbe costretto a concentrarsi su quattro diverse menti e non solo su due coppie, creando quattro realtà differenti per ognuno di loro.
Sarebbero comunque stati altri ad affrontarli in battaglia.
***
L’urlo furente di Chikara squarciò il silenzio che per pochi attimi s’era sollevato fra le due combattenti: ora che il terreno era libero dalla rossa difesa della sacerdotessa d’argento e nemmeno il santo del Triangolo si poneva più fra loro, la guerriera dell’Istrice s’era lanciata alla carica contro l’avversaria.
Un veloce tentativo di colpire con un gancio sinistro la sacerdotessa nemica, che sollevò l’avambraccio destro a difesa del volto, lasciando gli aculei stridere contro la corazza d’argento, un suono cupo e distorto, che fece quasi rabbrividire Iulia, per quanto la giovane italiana non capisse, sul momento, la ragione, mentre indietreggiava.
"Tutta la tua spavalderia è scomparsa in un mio singolo attacco, guerriera europea? Rinuncia a contrastarmi ed avrai una morte più veloce!", la ammonì la combattente africana, espandendo il proprio cosmo luminoso, che fece risplendere i diversi aculei che circondavano l’armatura, prima di lanciarsi alla carica contro la sacerdotessa guerriero.
"Sorgete, Speciosae Scudis, chiudetevi sulla mia avversaria, bloccandole ogni possibilità d’agire!", ordinò allora Iulia, evocando di nuovo i rossi petali difensivi, che si chiusero sulla nemica, stringendola in una presa immobilizzante.
Una risata, però, echeggiò dall’interno di quel rosso bocciolo, erto a prigione, la risata di Chikara, le cui parole non tardarono a spiegare la motivazione: "Davvero pensi che questa difesa sia più per me un ostacolo? Già te lo dissi, straniera, non mi ferirò più nel vincerle, tanto più, che anche così posso infierire su di te!", avvisò la voce dell’africana.
"Aculeo Luminoso!", invocò la guerriera dall’interno dei rossi petali ed a quelle poche parole fece seguito un raggio di luce che passò attraverso la spessa difesa dell’Altare, senza danneggiarla in alcun modo, arrivando a toccare la sacerdotessa stessa, alla spalla destra ed oltrepassarla, risultando così, puramente incorporea.
"Cosa pensi di fare?", domandò a quel punto l’allieva di Sion, ma non ricevette risposta, se non dal proprio corpo, quando avvertì un profondo dolore alla spalla e sentì le vestigia d’argento creparsi nella zona dove le attraversava quel singolo fascio di luce.
"Che cosa?", riuscì appena a balbettare la giovane italiana, indietreggiando di qualche passo, sorpresa da quella ferita, incapace di comprendere come l’avesse raggiunta, o di notare che l’altra aveva, in qualche modo, distrutto la prigione di rossi petali.
"Non chiederti come l’attacco più potente dell’Istrice ti ha raggiunto, semplicemente accetta la morte che ora t’attende. Che il Guscio Infinito ti accolga nelle sue tetre regioni!", minacciò Chikara, lanciandosi alla carica, quando già gli aculei dell’armatura brillavano tutti di una luce accecante.
Iulia, però, non si perse d’animo: il suo cosmo brillò intenso, mentre la tonalità dello stesso passava dal rosso all’arancione, "Bulbifera Solis!", urlò la sacerdotessa guerriero, mentre già dei gigli del medesimo colore sorgevano nel breve spazio che divideva le due combattenti, brillando di una luce intensissima, fino ad essere quasi accecanti.
La visione di questi nuovi gigli, però, non fermò l’avanzata dell’Istrice Nero, "Non temo i tuoi delicati fiori, già ti ho avvisato di ciò!", ammonì l’africana, "Sbagli nel definirli così!", ribatté secca Iulia, prima che alcuni dei più vicini a Chikara smettessero di brillare, esplodendo all’unisono, travolgendola.
"La polvere da sparo, dono che la Cina fece al mondo molti secoli fa, qualcosa che gli europei hanno saputo rendere arma in battaglia, più che strumento per giochi pirotecnici, è ben poca cosa dinanzi alla potenza distruttiva dei miei Gigli della famiglia Isolirion di colore arancione. Armi di distruzione che spazzano via qualsiasi ostacolo si contrapponga a me.
Non hai accettato di arrenderti dinanzi alle difese delle Speciose Rosse? Ebbene cadi, per la deflagrazione delle più distruttive fra le mie armi.", ammonì l’allieva di Sion, parlando più alla nube di fumo che le si parava davanti, che non alla propria avversaria, poiché ancora non sapeva se quella fosse viva o morta per l’esplosione.
Furono le sue stesse parole, però, a morirle in bocca quando Iulia vide ciò che le si mostrava al diradarsi della nube di polveri: Chikara era ancora al suolo, ma chiusa in una posizione difensiva molto simile a quella dei veri istrici, con gli aculei illuminati d’energia cosmica a ricoprirne il corpo per difenderla.
La guerriera africana, lentamente, si rialzò, rivelando il viso sanguinante, "Pensi che bastino queste tue esplosioni per sconfiggermi? Ho affrontato le armi da fuoco di cui tanto parli, ho visto sulla pelle della mia gente la violenza degli strumenti che voi europei avete creato e solo grazie al potente esercito della Savana mi sono salvata da un destino di schiavitù, sempre per mano di voi, europei.", affermò, ormai in piedi, espandendo il proprio cosmo.
"So che nelle vostre terre c’è un detto, riguardo ai molti trucchi delle volpi ed i pochi degli istrici … ebbene, sono parole che ho fatto mie molto tempo fa, quindi sappi che, per quanti colpi segreti tu possa possedere, le mie poche abilità basteranno a vincerti!", concluse, mentre la luce che ne adornava l’armatura si assopiva, convogliandosi in un unico spuntone luminoso, che attraversò il giardino di gigli arancioni che s’era andato a creare, passando, incorporeo, anche attraverso il corpo della sacerdotessa dell’Altare, "Non di nuovo …", sibilò Iulia, riconoscendo il medesimo colpo che già prima l’aveva sorpresa, come le parole dell’altra, pochi istanti dopo, confermarono. "Aculeo Luminoso!".
Fu lesta, stavolta, nello spostarsi l’allieva di Sion, cercando di evitare che quella luce si solidificasse di nuovo fra le sue carni, ma ben più veloce fu quello strano attacco che, nel tentativo di Iulia di evitarlo, riuscì a procurarle una nuova ferita al fianco sinistro.
"Manipola la frequenza della luce attraverso il proprio cosmo.", esordì d’un tratto una voce, che la ragazza italica ben conosceva, la voce che proveniva dal cosmo di Amara, "Costei riesce a rendere l’emanazione cosmica impalpabile, elevando la frequenza entro cui si muove, per poi diminuirla di colpo, dando al colpo lanciato una potenzialità offensiva senza pari. Un attacco geniale, nella sua semplicità, oserei dire.", spiegò con un tono che, per quanto solo vagamente umano, sembrava pacato.
"E com’è abile nell’attacco, lo è anche nella difesa …", stava per continuare il cavaliere, "Stai forse studiando le mie capacità nell’attesa di affrontarmi?", lo interruppe allora Chikara, bloccando le sue spiegazioni sul nascere, "O sei ben cosciente che la tua alleata non potrà niente contro di me, guerriero di Atena?", domandò ancora.
"Non ho bisogno dei suoi consigli per batterti, non mi serve sapere a quale strano trucco ricorri nel colpire e nel proteggerti, ti batterò, poiché di armi più potenti delle tue sono custode!", sentenziò dura l’allieva di Sion.
"Crescete e distruggete, Bulbifera Solis!", urlò Iulia, il cui cosmo brillava di una forte luce arancione, prima che i gigli dal fiore ad imbuto germogliassero dal terreno circostante la guerriera africana. "Tutto inutile!", l’ammonì secca Chikara, il cui cosmo brillava di nuovo sopra gli aculei dell’armatura.
L’esplosione la raggiunse lo stesso, spingendola con violenza contro il muro alle sue spalle, dove, solo in quel momento se ne avvide, altri gigli erano cresciuti in attesa di quel suo impatto, esplodendo subito dopo e seppellendola sotto le macerie di quel muro.
Quando però la sacerdotessa stava per voltarsi verso Amara, suggerendo al parigrado di muoversi, una luce la raggiunse alla gamba sinistra, una luce che già aveva avuto modo di conoscere, "Dannazione!", riuscì appena ad imprecare, spostandosi, ma non a sufficienza.
"Aculeo Luminoso!", fu infatti l’unica parola che, ancora una volta, indicò l’attacco della guerriera africana, prima che la sacerdotessa guerriero finisse con il ginocchio sinistro al suolo, mugugnando per il dolore della nuova ferita.
Pochi secondi ed un’esplosione di luce annunciò il sollevarsi di Chikara che, malgrado le nuove ferite presenti sul corpo, era di nuovo in piedi, pronta alla lotta.
"Non bastano questi fiorellini, puoi usarne quanti ne vuoi, ma non sono sopravvissuta alle diverse campagne di conquista del nostro esercito per cadere qui, oggi, per mano tua, né sono fuggita, combattendo con i denti e con le unghie, dai venditori di schiavi per cadere nel profumato giaciglio di morte che vuoi concedermi.", ringhiò l’Istrice Nero.
"No, specialmente finché possiedi quella tecnica difensiva, non è vero?", domandò di rimando Iulia, sollevandosi a fatica in piedi, "Quella luce che ricopre gli aculei dell’armatura, non è una mena emanazione del tuo cosmo, ma qualcosa di più potente.", osservò l’altra.
Un sorriso s’accennò sul volto di Chikara a quelle parole, "Te ne sei accorta infine, come?", domandò curiosa, "Ogni volta che attaccavi con quella tecnica apparentemente impossibile da bloccare, la luce che circondava l’armatura si assottigliava per darti modo di concentrare il cosmo nella tecnica d’attacco. In fondo nessuno può usare contemporaneamente due tecniche.
Oltre questo, poi, c’era la durezza di quei tuoi aculei, capaci di stridere contro le mie vestigia d’argento senza danneggiarsi, il che mi ha sorpreso, ma non avrebbe spiegato come potevano reggere alla potenza dei Gigli Arancioni, quindi era il cosmo a renderli ben più potenti.", concluse la sacerdotessa dell’Altare.
"Ti faccio i miei complimenti, hai scoperto il Trucco dell’Istrice.", affermò seria Chikara, "Devi essere esperta nel riconoscere le qualità di un’armatura per aver capito tanto in così poco tempo.", concluse.
"Il mio maestro è abile nella riparazione delle armature e per quanto non mi abbia mai fatto parte dei segreti della metallurgia, ho appreso qualcosa semplicemente osservandolo.", replicò, con voce carica d’orgoglio, l’allieva di Sion, espandendo il proprio cosmo, pronta ad attaccare.
"Capisco. Anche se vedo che questa presa coscienza non ti ha permesso di capire la tua situazione: non puoi sperare di superare le mie difese, sono superiori a quelle di tutti i guerrieri di grado minore presenti nelle Cinque Armate e parimenti al Sudario dell’Ippopotamo, solo nel momento in cui attacco si abbassano.", tagliò corto la guerriera dell’Istrice Nero.
"In verità, il solo fatto che è scoperto la natura delle tue difese ha segnato la tua fine.", sentenziò seria Iulia, mentre il luminoso cosmo che la circondava cambiava ancora una volta d’intensità, passando dall’arancione al candido bianco, così come bianco era il fiore che si materializzò fra le sue dita. Un giglio bianco.
Una risata sommessa, però, nacque dalle labbra di Chikara, "Un altro fiore? Inutile come i precedenti sarà!", esclamò decisa, sollevando le proprie difese luminose e lasciando che fosse il Trucco dell’Istrice ad impedire all’avversaria di raggiungerla.
"Al contrario, mai nessuno è scappato all’abbraccio di morte le martagon portano.", avvisò di rimando la sacerdotessa guerriero, aprendo la mano, "Martagonae mortis!", disse semplicemente, prima che una pioggia di gigli bianchi volasse contro le nere vestigia dell’Istrice.
Una luce accecante proruppe dall’armatura di Chikara, come se i diversi aculei stessero aumentando le loro dimensioni in quel preciso momento, al fine non solo di difenderla, ma anche di attaccare i nemici, mentre la guerriera si chinava in avanti, celando lo sterno, grazie alla schiena ricoperta delle appuntite difese.
Molti dei gigli furono abbattuti dagli aculei di luce difensivi, ma altrettanti vi passarono attraverso, come pilotati da una volontà che riusciva a leggere nella struttura dell’armatura nemica e nella disposizione di quella barriera d’energia, fino a conficcarsi nelle vestigia dell’Istrice.
Quando l’attacco fu concluso, la guerriera africana si alzò in piedi, sorpresa di quei pochi fiori che le si erano poggiati sul corpo, "Tutto qui il tuo attacco? Non esplodono, né mi paralizzano, cosa mai potranno fare?", domandò beffarda, ancora circondata dalla luce del proprio cosmo, seppur questa era meno intensa.
"Non te ne accorgi? Eppure pensavo che per avere un tale controllo delle tue abilità guerriere dovessi essere molto sensibile al variare dell’energia che sai generare.", disse seria Iulia, ricevendo solo uno sguardo curioso da parte dell’altra.
"Pensi di intimorirmi a parole, europea? Credi forse che questi tuoi fiorellini possano indebolirmi a sufficienza da darti la vittoria? Ebbene, ti sbagli, e te ne darò dimostrazione.", sentenziò decisa Chikara, sollevando le braccia, mentre già l’energia cosmica passava sui palmi delle mani, pronta a sferrarsi in un attacco.
Mentre però si disegnava nell’aria la scia di luce, raggiungendo la sacerdotessa d’argento, la guerriera nera ebbe un moto di sorpresa, una reazione spontanea, che si dipinse sul suo volto, mentre volgeva lo sguardo all’avversaria, "Te ne sei resa conto?", domandò a quel punto Iulia, impassibile nel tono di voce, "Appena effettuerai quel tuo attacco, decreterai la tua stessa morte.", commentò.
"Tu menti!", ringhiò l’africana, "No e lo sai bene anche tu, lo hai ormai percepito.", ribatté semplicemente la giovane italiana, "Attaccami e l’unica a morire sarai tu, nel fiorire dei miei gigli bianchi.", concluse.
"Aculeo Luminoso! Rivelale i suoi errori!", ringhiò semplicemente Chikara, scatenando il proprio attacco che, però, non giunse mai a segno: non appena l’energia partì dalle mani della guerriera, infatti, non si condensò nel colpo che stava per effettuare, corse via, illuminando i gigli bianchi, il cui colore cambiò, velocemente, verso un giallo acceso e caldo, lo stesso che fino a poco prima aveva caratterizzato il cosmo dell’Istrice Nero, un cosmo che, ora, defluì dal corpo della giovane, lasciandola cadere al suolo, priva di forze e prossima alla morte.
Iulia dell’Altare si avvicinò zoppicando all’avversaria, osservandola dall’inespressiva maschera d’argento, "I gigli bianchi non portano ad una morte devastante, ma ben più veloce e silenziosa, rubandoti le forze fino ad esaurirle. Così prendono colore, un colore diverso a seconda del cosmo di chi ne è vittima.", spiegò, raccogliendo uno dei fiori dal corpo morente dell’africana.
"Eri una guerriera abile, Chikara dell’Istrice, mi scuso per come mi sono comportata con te all’inizio del nostro duello. Qualcosa di te resterà con me, così come quello di molti nemici affrontati finora.", concluse, mentre la luce gialla abbandonava il giglio fra le sue dita.
"Se pensi che io fossi una guerriera abile, europea, avrai ben maggiori difficoltà contro molti dei restanti membri del nostro esercito: i Cinque Comandanti, i loro secondi in comando, il nostro Sovrano, sono tutti ben più forti di me … persino Akongo, membro della Seconda Armata mi supera nella manipolazione della Luce in battaglia.", avvisò la combattente al seguito di Mawu stringendo i denti, mentre la vita lentamente l’abbandonava.
Per alcuni secondi ancora, dopo la morte della nemica, l’allieva di Sion rimase ad osservarla, circondata dalla luce, sempre più flebile, dei gigli, poi si voltò, dirigendosi verso Amara.
"Andiamo, cavaliere del Triangolo, il tempo della meditazione per te è finito.", sentenziò decisa la sacerdotessa, ma l’altro non si mosse, seduto al suolo, "Aspetta ancora qualche minuto, Altare, poiché un cosmo nemico aleggia nell’aeree, e non solo intorno a noi, ma anche ad altri cavalieri, un cosmo ingannatore, che è meglio che neutralizzi, per quanto questo richiederà del tempo.
Riposati, intanto, le ferite che hai riportato non sono cosa da poco.", suggerì alla fine attraverso la propria emanazione cosmica.
Per alcuni secondi, la sacerdotessa rimase immobile con la maschera impassibile che ne celava la sorpresa dinanzi alle parole del parigrado, poi si poggiò al muro contro cui era già appoggiato l’altro, "Sia, mi riposerò qualche minuto, ma non intendo aspettare troppo: una guerra si sta svolgendo in questi luoghi e non con la meditazione potremo vincerla.", avvisò secca.
"Nemmeno gettandoci alla cieca in battaglie che sappiamo essere falsate dall’inganno. Ci vuole strategia nell’agire, specie in un luogo pieno di nemici come questo.", l’ammonì l’emanazione cosmica dell’altro.
"Chissà quanti di noi sono ancora vivi …", sibilò a quel punto Iulia, "Avverto ancora tutti i loro cosmi, per quanto alcuni sono intenti in delle battaglie, come il cavaliere dello Scudo, o quello del Centauro, mentre altri sono prossimi ad incontrare dei nemici lungo il loro percorso.", rispose pacato Amara.
"Chi però mi preoccupa, sono coloro che sono vittime di questo cosmo ingannatore.", aggiunse infine, senza spiegare altro.
Rimasero così, in silenzio, mentre il cosmo azzurro del santo del Triangolo s’espandeva attorno a lui.