FLARE

LA VOLONTA’ DI ARTAX

E m’inginocchio qui, di fronte alla croce di legno posta in tua memoria, fuori dalla caverna dove tanto ti sei allenato, da solo, dove tanto hai sacrificato per ottenere quel che volevi. Persino te stesso. Ma sei sempre stato così, testardo e irriverente, disperatamente fedele e attaccato ai tuoi ideali, al tuo senso dell’onore, al punto da metterlo prima dei sentimenti. Prima di noi.

Ricordi, Artax, quando eravamo giovani? Quando giocavamo felici nei giardini della Reggia di Asgard, rincorrendoci tra gli alberi e tirandoci palle di neve? Quando guardavamo le stelle, durante le nostre Vetrnætr , per poi rotolarci sui pendii innevati con gli slittini da te costruiti? Eravamo felici, e convinti che avremmo potuto esserlo per sempre. Forse è stata colpa mia, forse nella guerra, e nella probabilità che tu dovessi davvero combattere, non ci ho creduto molto. O per lo meno ho sempre messo da parte, nella mia mente, quell’immagine, quella prospettiva che, se vi avessi prestato attenzione, mi avrebbe certo tolto il sonno. Ma avrei dovuto farlo. Aví, avrei dovuto crederci di più. Credere di più in te, Cavaliere. Invece ti ho continuato a vedere come l’amico che sei sempre stato, il fratello che non ho mai avuto, il ragazzo con cui ho trascorso la fanciullezza e che mi ha regalato mille momenti felici.

Ma adesso, di quei ricordi, e dei loro sorrisi, non resta niente. Soltanto l’amaro sapore di averti perduto. Cocciuto, hai perseverato a lottare, anche di fronte alle mie suppliche, anche di fronte all’evidenza, rivolgendomi persino i tuoi colpi contro! Contro la ragazza che avevi giurato di difendere, la ragazza per cui eri divenuto Cavaliere! E che, per una beffarda ironia, hai condannato a un eterno dolore, a una solitudine senza fine. Ma non credo, in fondo, che tu, da tale condanna, ne sia stato esente.

L’ho letto, nei tuoi occhi di Cavaliere, in cui tanto mi ero specchiata per anni, trovandovi le stesse paure e la stessa ansia che percepivo nei miei. La stessa fragilità che ci ha portato alla rovina. Perché tu sapevi, oh come vorrei sbagliarmi Artax, che scatenando la tua tempesta di fuoco Cristal avrebbe reagito e uno di voi sarebbe morto. E forse, avendo imparato a conoscerlo nel corso dello scontro, non sei rimasto troppo sorpreso quando il Sacro Acquarius ti ha travolto, strappandoti alle lande in cui eri considerato unico e a me. Ma in fondo, anche se non è giusto pensarlo, credo che tu pensassi di avermi già perso. E lo paventai, quel giorno, quando mi ersi per proteggere Cristal dai tuoi attacchi.

Mi dispiace, venire qua, sulla tua tomba, a parlarti di lui, dell’uomo che più di ogni altro odi al mondo, dell’uomo che ha riempito il tuo cuore di un immenso, ma certamente ben definito, rancore. Ma devo farlo, per cacciar via il tuo fantasma, che ogni notte si sdraia accanto a me e mi accusa di averti ucciso, di non averti voluto abbastanza bene da desiderare che tu vivessi. Perdonami, Artax, ma non è così. Ti ho voluto bene, ti ho amato, come si ama un amico, un fratello, un compagno con cui ho condiviso la vita. Come me stessa, di cui hai sempre fatto parte al punto che mai avrei potuto, prima dell’inizio della Guerra dell’Anello, anche soltanto immaginare di fare qualcosa senza di te, di vivere senza averti al mio fianco. Fosse solo per parlarti, per ascoltarti, per condividere qualcosa, come abbiamo fatto in passato.

È questo che ci ha allontanato. Non Ilda, non la guerra, non Cristal. Ma la paura di crescere ed essere diversi, la sensazione che provasti quel giorno, quando ti esposi i miei sospetti su mia sorella e tu li rifiutasti. Mi rifiutasti.

Quanto dolore provai, nel vedere che persino te, il mio amico del cuore, l’unico di cui ero certa di potermi fidare, non mi credeva, non prestava ascolto alle mie parole. Quel gesto, quel rifiuto, ha distrutto tutto. Ha fatto crollare quel bel castello di favole dove una principessa e un guerriero hanno vissuto per anni, nella loro innocenza, nella beatitudine di un’adolescenza giunta a termine, incapaci di sopportare l’arrivo dell’inverno.

Ma quell’ascolto che mi negasti mi fece crescere e mi spinse a prendere una decisione d’istinto, fuggendo assieme ad un Cavaliere sconosciuto, per incontrare una Dea che non avevo mai visto, e che non sapevo neppure se esistesse realmente. Avresti mai pensato che la giovane Flare, con i suoi mossi capelli e la sua buffa cuffietta, con i suoi modi garbati e i suoi sorrisi sinceri, sarebbe stata capace di una simile audacia? Forse, avessi avuto qualcuno capace di ascoltarmi, all’interno della fortezza, non avrei avuto bisogno di uscire, non credi? E sai, inoltre, perché Cristal? Perché fuggii con lui, sfidando le intemperie del clima e la collera di Ilda? Perché nei suoi occhi vidi quel che avevo visto nei tuoi per anni. La stessa onestà, la stessa purezza, lo stesso sguardo deciso. La tua volontà, di proteggermi e salvare me ed Asgard, in quel momento divenne la sua.

Per questo mi ersi di fronte a lui, nella caverna di lava, non perché lo amassi più di quanto abbia mai amato te in questi anni, non perché valesse più di te. Ma perché era nel giusto, e tu lo sapevi, ma il tuo cuore, sopraffatto dall’ira e dal rancore per avermi persa, ottenebrò la tua ragione, spingendoti a cancellare i nostri ricordi, in nome di chissà quale onore. Ogni tanto penso che non ci siamo mai capiti davvero, che abbiamo sempre voluto cose diverse, per noi stessi e per l’altra persona, che abbiamo creduto, nel nostro cuore, di poter rimanere giovani per sempre, e continuare a vivere nel nostro castello di felicità. Eppure, adesso, tutto quel che mi rimane è un mucchio di neve da stringere in mano, di fronte alla croce di legno con il tuo nome scolpito. E venderei l’anima a Loki se con uno dei suoi inganni potesse farti tornare da me, potesse farti tornare a camminare nei giardini di Asgard, mentre i raggi del primo sole di primavera bagnano i campi di rugiada e ci ricordano che anche qua, in queste gelide terre, esiste amore.

Forse un amore imperfetto, un amore tragico e incompreso. Un amore che va al di là del bene e del male e ci ricorda che non tutte le storie sono destinate al lieto fine, per quanto devotamente desiderato, e che non tutti i soli sono destinati a completare il loro ciclo vitale. Per qualcuno infatti il tramonto può giungere inaspettato. Una notte improvvisa a cui nessuno può opporsi. Forse, neppure gli Asi.

Cristal mi ha insegnato che i greci hanno termini differenti per indicare i vari tipi di amore che si possono provare. Non sono molto convinta di questa classificazione, poiché credo che l’amore sia un sentimento così vasto e totalizzante che tentare di imbrigliarlo in una sola parola sia quanto mai riduttivo. Ciononostante credo che quel che ho provato per te, in questi anni, possa definirsi "Phileo", un sentimento di affetto e di amicizia, da cui sempre ho avuto un ritorno. Un ritorno che mi ha reso felice. Come forse non ti ho reso mai.

Sospiro e, alzandomi, scuoto la neve che si è depositata sul mio scialle, ben poca rispetto a quella che mi ha coperto il cuore dopo averti perduto, amico mio. Ilda mi ha chiesto varie volte se desiderassi spostare la croce in tuo onore, ma credo sia opportuno lasciarla qua, di fronte all’ingresso della caverna ove ti sei allenato per anni, ove sei entrato ragazzo e sei uscito uomo. A memoria imperitura della tua volontà.

A presto Artax, non dubito che ci rivedremo. Quando il grande inverno scenderà su tutti noi e le cinquecentoquaranta porte del Valhalla si apriranno allora ci cingeremo in un ultimo abbraccio, prima del crepuscolo. Fino ad allora… addio, Bróðir.

© Aledileo 2009