LA NOBILTA' DEL CUORE
Non vi era alcun dubbio tra gli abitanti del Nord che, di tutti i luoghi che componevano il regno di Asgard, sede del culto del Dio Odino, la grande foresta che si estendeva a Sud-Est della cittadella interna fosse la parte più silenziosa e pacifica. Da quando Ilda di Polaris, celebrante di Odino, aveva decreatato il divieto di caccia, pochi uomini si avventuravano infatti al suo interno, e coloro che lo facevano di solito si limitavano ai bordi più esterni, alla ricerca di qualche albero abbastanza vecchio per poter essere sacrificato in modo da ottenere legna, o di qualche pianta medicamentosa. Un tempo, quando il crudele Megres aveva fatto di una parte di quei boschi il suo regno, capitava che il vento portasse con se grida umane cariche di terrore, che spingevano i soldati di ronda o i viandanti ad affrettarsi sui sentieri, timorosi che qualche spirito malvagio fosse all'opera, ma da oltre un anno anche queste erano scomparse, restituendo alla foresta il suo silenzio.
Fino ad ora.
"Più in fretta! In nome del sommo Odino, correte più in fretta! Dobbiamo raggiungere i cavalli!!" gridò una voce in preda al panico, lanciando una fugace occhiata dietro di se. Dei sei uomini che un attimo prima erano al suo fianco, ne rimanevano soltanto quattro.
"Bernt! Anders! Dove siete?!!" li chiamò disperato il soldato continuando a correre
"Scomparsi, Kaj!" gli rispose trafelato il compagno che lo seguiva più da vicino, un grosso guerriero di nome Dagfinn. Sanguinava copiosamente da un profondo taglio al braccio ed era visibilmente pallido per la paura e l'emorragia, ma continuava lo stesso a correre, quasi per forza di inerzia.
L'uomo chiamato Kaj rabbrividì, sforzandosi di accellerare nonostante sentisse il cuore quasi scoppiargli nel petto per la fatica. Guardò gli altri due compagni, Ingmar e Jarl, vedendo nei loro occhi dilatati un riflesso della paura che lo attanagliava, il terrore puro che si prova solo di fronte all'incedere della morte.
Deglutì di nuovo, ancora pochi metri e avrebbero raggiunto i cavalli, con i quali sarebbero stati in salvo. Non aveva mai visto una cosa del genere, ma sapeva di dover avvisare immediatamente la regina Ilda a palazzo.
Girò l'angolo e li vide, ancora legati agli alberi dove li avevano lasciati. Le sue labbra si contrassero in un sorriso nervoso, ma un attimo dopo sentì un rumore sordo e qualcosa gli cadde tra i piedi, facendolo incespicare nella neve. Imprecando, scalciò per rialzarsi, voltandosi istintivamente per vedere che cosa fosse.
Gli occhi vitrei di Ingmar lo fissarono, immortalati per sempre in un'espressione di terrore, mentre il sangue scorreva copioso dal collo, reciso di netto dal resto del corpo. Appena consapevole delle urla di paura di Jarl e Dagfinn accanto a se, Kaj svenne per lo shock.
In quello stesso momento, nella sala del trono del palazzo reale, Alcor, cavaliere ombra della Tigre, camminava su e giù, visibilmente preoccupato.
"Da circa un'ora cosmo di Mizar è come affievolito, difficile da percepire! E sembra persino impegnato in battaglia!" esclamò ad un tratto, stringendo il pugno frustrato "Ho provato più e più volte a raggiungerlo con il mio, ma sembra improvvisamente lontano interi anni luce, come se non fosse più nemmeno ad Asgard! Possibile che…"
"E' come credi purtroppo" intervenne Ilda con un sospiro, parlando con tono pacato dal trono su cui era seduta, attirando l'attenzione del guerriero e di Flare, che le era accanto "Non c'è possibilità di errore, in questo momento Mizar sta combattendo nel Regno Sottomarino di Nettuno! L'aura che avvolge quei luoghi cela il suo cosmo, rendendolo difficile da percepire con chiarezza… è la stessa sensazione che provai un anno fa, quando Cristal e gli altri si recarono a combattere contro le schiere del Re dei mari…"
"Mizar…" sussurrò Alcor impallidendo, e scattando immediatamente verso l'uscita della stanza, deciso a correre in aiuto del fratello. A pochi passi dalla soglia però, la voce perentoria di Ilda lo richiamò, obbligandolo a fermarsi. Irato per quell'ordine inatteso, il ragazzo si voltò verso il trono, fissando la donna.
"Non puoi correre in suo aiuto. La battaglia è in corso ormai, non arriveresti mai in tempo… andando ora, senza una guida, rischieresti solo di perderti all'interno del Regno Sottomarino! Mantieni la calma e…"
"Mantenere la calma?!" la interruppe furioso "Mio fratello sta affrontando una battaglia adesso, e persino da qui posso avvertire che è in difficoltà! Come posso restarmene ad aspettare?!"
"Abbi fiducia in lui, Mizar non è una persona comune ma un Cavaliere di Asgard! Sa badare a se stesso, se ha deciso di scendere nel Regno Sottomarino, disobbedendo alle nostre leggi…"
"Che cosa importa della legge?! Intende forse punirlo per averla infranta? O magari spera che non faccia neppure ritorno, così nessuno ne seguirà l'esempio?!" tuonò, fissandola con rabbia negli occhi.
Spaventata, Flare si ritrasse di fronte al Cavaliere, ma al contrario Ilda ne sostenne lo sguardo, fissandolo con calma, senza traccia di astio o fastidio per la sua sfrontatezza, ma neanche di timore di alcun tipo. Per diversi secondi, i due continuarono a fissarsi in silenzio, quasi a sfidarsi reciprocamente, e nel vedere la purezza e la schiettezza dei suoi occhi azzurri, ma anche la tristezza che li velava, Alcor avvertì un crescente senso di vergogna per la sfuriata appena fatta. Alla fine, il Cavaliere abbassò lo sguardo per primo, restando in silenzio, ed Ilda sospirò.
"Parlerò a Mizar dopo che avrà fatto ritorno! La legge che ha infranto è una delle più antiche del regno, risale all'epoca della costruzione di Asgard stessa, ed è importante che comprenda la misura della sua colpa. Ma non ci saranno punizioni per lui, qualsiasi cosa l'abbia spinto ad agire in questo modo, dev'essere stata sicuramente la preoccupazione per la sorte dei Cavalieri di Atena a guidare il suo passo, ed un simile sentimento è degno di lode, non certo di rimprovero!" disse semplicemente, accennando un sorriso dolce. "Piuttosto, dovremmo chiederci cosa l'abbia portato ad una tale decisione. Il Cavaliere del Toro aveva parlato di un Sigillo posto da Oberon nel Regno Sottomarino, ed il compito di distruggerlo spettava al Generale. Perchè quindi seguirlo?" si chiese dubbiosa.
"E se fosse un inganno?" ipotizzò Alcor "Come possiamo sapere che Nettuno non sia alleato con Oberon? Il Generale avrebbe potuto tendergli una trappola!"
A queste parole però Ilda scosse la testa, chiudendo gli occhi ed appoggiando la testa allo schienale del trono. "Il Cavaliere del Toro ha detto di fidarsi di Syria, e per quanto i nostri trascorsi con i sudditi di Nettuno siano stati tutt'altro che lieti, dobbiamo credere in lui!" disse decisa. Alcor non parve convinto, ma prima che potesse replicare la Celebrante riaprì gli occhi.
"Sento… che delle nubi cariche di tenebra si stanno ammassando sul nostro futuro… nubi più nere di qualsiasi minaccia abbiamo affrontato in passato, decise ad avvolgere per sempre il mondo nell'oscurità!" disse rabbrividendo "Non so di cosa si tratti… dopotutto non è che un presagio, una fugace sensazione… ma di una cosa sono sicura: non è nemico che riguardi solo Atena, Asgard o Nettuno. Potremo vincerlo soltanto forgiando legami di alleanza e amicizia con coloro che un tempo erano nostri nemici…"
"Un'alleanza… con i Generali di Nettuno?! Dopo quello che è successo?!" esclamò sorpreso Alcor, ed anche Flare sembrò incredula a queste parole. Ilda però sospirò di nuovo, apparendo adesso estremamente stanca e provata, schiacciata da un peso troppo grande per le sue giovani spalle.
"Non… potrò mai dimenticare le colpe di Nettuno" sussurrò, sforzandosi il più possibile perchè la sua voce apparisse tranquilla e non segnata dal dolore che il ricordo di quei giorni le provocava anche ad oltre un anno di distanza "Ma ci sono nemici che possono essere sconfitti solo unendo le forze, mettendo da parte le antiche differenze ed unendosi sotto un unico stendando. Tu e Mizar siete gli unici rimasti tra i Cavalieri di Asgard, Syria è l'ultimo Generale di Nettuno e persino le armate di Atena sono ridotte a solo una ventina di guerrieri dagli ottantotto che erano al tempo dei miti! Se il mio presentimento è giusto, se davvero l'oscurità è incombente, solo un fronte unito da profondi vincoli potrà darci una speranza di vittoria. Da soli, siamo destinati alla disfatta. Divide et impera…"
Un teso silenzio seguì le parole della Celebrante, ed il viso di Alcor si incupì, segnato ora da una nuova preoccupazione. Aveva sentito dire che le Celebranti di Odino, proprio come i Grandi Sacerdoti di Atena, in rari casi potevano percepire un pallido eco di eventi futuri, ma nonostante le sue parole, il pericolo in cui si trovava Mizar gli sembrava molto più concreto e immediato, e soprattutto molto più bisognoso di intervento. Prima che potesse chiederle il permesso di recarsi almeno all'ingresso del Regno Sottomarino però, il vecchio consigliere Enji entrò trafelato nella stanza del trono.
"Mia regina, due soldati della quinta squadra di esplorazione hanno fatto ritorno! Dicono di essere stati attaccati da un nemico misterioso, che ha massacrato i loro compagni!" esclamò allarmato.
Per un attimo un silenzio irreale accompagnò queste parole, poi, prendendo subito il controllo della situazione, Ilda si alzò dal trono, ordinando che venissero fatti entrare e convocando il medico di palazzo. Terrorizzati, i due si gettarono ai piedi del trono, raccontando come durante un pattugliamento nella foresta alla ricerca di due squadre che non avevano fatto ritorno all'orario stabilito, fossero stati attaccati da un nemico misterioso, che aveva ucciso in pochi attimi la maggior parte di loro. Non appena i due spiegarono come fossero riusciti a fuggire, raggiungendo i cavalli e tornando a palazzo, Ilda ed Alcor si scambiarono uno sguardo preoccupato, ed il cavaliere intuì che stavano pensando esattamente la stessa cosa. Ad un cenno di consenso da parte della Celebrante, indossò l'elmo della sua armatura e si precipitò fuori dal palazzo, balzando di tetto in tetto verso la foresta.
"Non sono fuggiti, sono stati lasciati andare, perchè attirassero nuove prede!" pensò cupamente, uscendo dalle mura della città e notando subito le tracce lasciate dai cavalli dei soldati sulla neve. Per un attimo contemplò la possibilità di lasciare all'esercito quel problema e approfittarne per dirigersi all'ingresso del Regno Sottomarino, che si trovava nella stessa direzione, ma in cuor suo sapeva di non poter venire meno ai suoi compiti di cavaliere, tanto più che, chiunque l'invasore fosse, aveva ucciso senza difficoltà ben tre plotoni di guardie, e così iniziò a seguirle, correndo veloce all'ombra degli alberi, inoltrandosi sempre di più nella foresta.
In pochi minuti, raggiunse una piccola radura, intuendo immediatamente di aver trovato quel che cercava. La neve era chiazzata di sangue, ed il corpo decapitato di un soldato giaceva immobile al suolo. Accanto a lui, altrettanto fermo ma privo di ferite apparenti, un secondo guerriero era riverso sulla schiena, il viso bluastro per il freddo.
Con un balzo, Alcor lo raggiunse, tastandogli il polso e avvertendo un debole battito. Preoccupato, si tolse il mantello e glielo avvolse stretto attorno al corpo, strofinandolo per riscaldarlo e chiedendosi cosa fare. Tornando a palazzo per riportarlo indietro avrebbe perso tempo prezioso, ma d'altra parte quell'uomo sarebbe morto di freddo se abbandonato a se stesso.
Nel ponderare la questione, Alcor scorse distrattamente un pallido raggio di sole riflettersi sulla sua armatura e sulla neve, e diventare sempre più intenso ad ogni secondo che passava. Sorridendo, ripensò per un attimo al sole che aveva salutato la fine del suo scontro con Phoenix e Andromeda un anno prima, ma poi aggrottò le sopracciglia. Aveva vissuto per anni nella foresta, trascorrendo lì la sua intera giovinezza, e sapeva bene che, a quell'ora del giorno ed in quella stagione, la posizione del sole era totalmente diversa.
In quello stesso momento, avvertì un cosmo immenso avanzare verso di lui e si alzò di scatto, sollevando la guardia e fissando sbalordito gli alberi alle sue spalle: dal fitto della foresta proveniva una luce abbagliante, capace di rischiarare persino gli anfratti più bui con il suo splendore.
"E' come… se il sole fosse sceso sulla terra!" balbettò sconcertato, indietreggiando di un passo quasi senza accorgersene. Un attimo dopo, con un fragore improvviso, due alberi andarono in pezzi, rivelando una figura in groppa ad uno splendido stallore marrone, di quelli usati dai soldati di Asgard, e circondata da un cosmo accecante.
"Splendente come il sole, hai ben detto! Per voi gente di Asgard quest'oggi il sole è sorto ad Ovest, da dove io sono venuto!" esclamò altezzoso, fissando Alcor con appena vago interesse.
Al contrario, il Cavaliere del Nord lo studiò con attenzione. Aveva un aspetto giovanile ma maturo, corti capelli castani ed occhi neri in cui brillava uno sguardo fiero e deciso, ed indossava un'armatura blu notte e oro scuro, che brillava alla luce del suo cosmo. La corazza copriva la maggior parte del suo corpo, lasciando indifese solo piccole zone tra i copribicipiti ed il pettorale, e tra le ginocchiere e la cintura. L'elmo a forma di maschera proteggeva la fronte ed i lati del viso, lasciando però liberi i capelli, che apparivano puliti ed ordinati, nonostante il gelido vento che sferzava la foresta. I coprispalla si estendevano per vari centimetri oltre il bordo delle spalle ed erano a due strati, anche se quello inferiore era diverso tra i due lati. Il pettorale era tutt'uno con la cintura, che a sua volta terminava con una fibbia triangolare centrale e con due concave laterali, che proteggevano le anche. Un'altra fibbia triangolare, ma stavolta dorata, era evidente alla base del collo, al centro del pettorale. Le braccia erano per lo più coperte da un lungo mantello in velluto, nero esternamente e con il risvolto rosso, che era fissato ai coprispalla, lasciando scoperte soltanto le mani. Di queste, la destra teneva le redini, ma la sinistra era stretta attorno a quello che sembrava un bastone, sebbene con un manico curiosamente a spirale.
Osservando di nuovo gli occhi di colui che aveva di fronte, Alcor si accorse che anche lui lo aveva studiato, e che ora nel suo sguardo era ben evidente un certo disprezzo, che l'uomo non provava neppure a celare.
"Chi sei, straniero? Cosa ti spinge fino ad Asgard?" domandò cupo.
"Mpf, il tuo tono è rozzo come il tuo aspetto, privo di qualsiasi forma di costesia!" rispose l'altro con una smorfia sarcastica, quasi a valutare se valesse o meno la pena di rispondere. "E' il nobile Lugh di Avalon, Guardiano dell'Isola Sacra del grande Oberon, colui su cui poni lo sguardo!" disse infine.
"Lugh di Avalon?" ripetè Alcor confuso, ignorando il suo fastidio "Perchè sei qui? Non abbiamo niente a che fare con te o con il tuo padrone!"
"Non avete nulla a che fare con Avalon dici? Parole cariche di menzogna le tue, confutate dai fatti! Meno di un quarto di meridiana fà un Cavaliere di Asgard si è recato nel Regno Sottomarino ed in questo stesso momento sta affrontando in duello un Guardiano mio compagno!" esclamò freddamente, ed Alcor impallidì leggermente.
"Mizar! Avevamo ragione allora…!" sussurrò preoccupato. Ignorandolo del tutto, Lugh riprese "Un tale gesto equivale ad atto di guerra! Lord Oberon mi ha così inviato in questa spoglia terra dimenticata dagli Dei per punirvi della vostra insana scelta di campo!"
"Punirci?!" ripetè ancora Alcor, stavolta più aggressivamente "Se è per questo che sei venuto allora sprechi il tuo tempo! Il tuo signore scoprirà a sue spese che le orgogliose genti di Asgard non sono bambini da poter castigare come se nulla fosse, ma valenti guerrieri forgiati da secoli di guerra!" ringhiò.
"Mpf… I latrati di un cane ridotto all'angolo sono sempre più minacciosi delle sue fauci! I soldati che ho incontrato sul mio cammino non mi sono affatto sembrati siffatti guerrieri… al contrario, molti di loro hanno invocato indegnamente pietà prima di morire!" commentò, accennando un sorriso sarcastico, alla cui vista Alcor si sentì furente di rabbia. Senza aggiungere altro strinse il pugno e spiccò un balzo velocissimo verso il nemico, gli artigli sfoderati pronti a colpire. Lugh però non fece una piega, si limitò ad eseguire un movimento appena visibile con il braccio sinistro e qualcosa colpì a mezz'aria Alcor alla tempia, risuonando contro l'elmo della sua armatura e scaraventandolo malamente a terra.
"Attaccare prima che l'inizio del duello sia stato dichiarato… sei zotico nei modi quanto nell'aspetto!" lo criticò impassibile "Anche se non dovrei sorprendermi, ho visto il modo in cui vivete nei villaggi vicini…da gente di tal risma non ci si può aspettare molto!"
"Come osi?!" esclamò Alcor a denti stretti, rialzandosi in piedi di scatto e serrando i pugni. Fissandolo come si fissa un bambino dispettoso cui non vale neppure la pena di rispondere, Lugh si limitò a scuotere la testa e smontò da cavallo, facendo poi allontanare il destriero con una carezza.
"Avrei potuto ucciderti un attimo fà, ma, per quanto le apparenze indichino il contrario, ti sei proclamato Cavaliere di Asgard. Per rispetto al tuo titolo ti affronterò faccia a faccia!" disse rigidamente.
"Non del mio titolo dovresti preoccuparti, ma della forza del mio cosmo!" esclamò rabbiosamente Alcor, espandendo il suo cosmo e lanciandosi in avanti con gli artigli scoperti, sferrando un fascio di energia. Senza che quasi se ne accorgesse però, Lugh lo schivò con un solo passo laterale, lasciando che l'assalto abbattesse alcuni alberi alle sue spalle. Immediatamente, Alcor ruotò di 180 gradi sul piede per fronteggiarlo di nuovo, ma il Guardiano dopo aver schivato l'attacco era rimasto immobile, ed ora gli dava le spalle, apparentemente incurante del pericolo.
Senza neppure capirne razionalmente il motivo, questo atteggiamento aumentò la collera di Alcor, che attaccò di nuovo, dirigendo gli artigli al viso del Guardiano, ma ancora una volta Lugh lo evitò con un semplice movimento della testa, abbozzando addirittura un impercettibile sorrisino di scherno. Improvvisamente però, Alcor ruotò nuovamente sul piede d'appoggio, stavolta girandosi per sferrare un calcio al Guardiano, la cui espressione mutò per una frazione di secondo in una di leggerissimo stupore, prima di saltare sul posto ed evitare la gamba del cavaliere. Stavolta però, nel ritornare a terra Lugh sferrò un calcio, centrando in pieno volto Alcor e spingendolo indietro di qualche passo.
"Con tentativi così futili…" iniziò il Guardiano, ma in quel momento Alcor trasformò la caduta in una capriola all'indietro, dandosi la spinta con le gambe e saettando di nuovo in avanti, circondato dalla luce del cosmo. Stavolta, l'espressione di sorpresa sul volto di Lugh fu più pronunciata ed evidente, ma poi compì un gesto rapidissimo con il braccio sinistro, disegnando un arco a mezz'aria, ed Alcor venne colpito duramente al fianco ed alla spalla, rotolando nella neve fino a sbattere contro la base di un albero.
"Ti proclami una tigre, ma in realtà non sei altro che un gattino spellacchiato… un nulla, paragonato alla mia grandezza!" lo criticò, limitandosi a guardarlo anzichè continuare l'attacco.
Queste parole infastidirono ulteriormente il cavaliere, che però si sforzò di ignorarle "Parla… parla pure, mi darai più tempo per trovare il tuo punto debole!" sussurrò a denti stretti, osservando con attenzione lo strano bastone che stringeva nella mano sinistra. Già due volte Lugh lo aveva colpito con quell'arma, ed entrambe l'armatura aveva scricchiolato sinistramente, più di quanto fosse logico aspettarsi da un oggetto del genere. Seguendo il suo sguardo, il Guardiano intuì che stava fissando la sua arma, ma non disse nulla, limitandosi ad un nuovo fugace sorrisino.
"Quel bastone è pericoloso solo sulla media distanza, non devo far altro che attaccarlo da lontano o superare la sua guardia per renderlo inutilizzabile!" concluse, alzandosi di nuovo.
"Vuoi umiliarti ancora una volta? Eppure dovresti aver capito che è inutile, l'intelligenza ti fa difetto evidentemente" sorrise Lugh.
"Sei decisamente pieno di te, ma forse rotolare nel fango ti renderà più umile!" ritorse Alcor, lanciandosi di nuovo in avanti, con gli artigli sguainati. Lugh si irrigidì, pronto ad affrontarlo, ma stavolta, prima di entrare nel raggio d'azione del bastone, il cavaliere spiccò un balzo, dandosi poi la spinta contro un albero e scattando dall'alto verso il basso, diretto al volto del nemico.
Con un movimento velocissimo, Lugh alzò la sua arma, parando l'affondo di Alcor, che però sfruttò la spinta per ruotare sul bastone ed allontanarsi di nuovo, toccando terra a qualche metro di distanza e sferrando un nuovo assalto, ancora più veloce del precedente. Immediatamente, Lugh cambiò la propria posa, facendo scivolare di qualche centimetro la mano sul bastone in modo da avere la presa al centro piuttosto che vicino all'estremità, e allineandolo lungo il braccio teso in avanti, come se fosse un prolungamento del suo stesso corpo.
Con questo, il guerriero affrontò l'attacco di Alcor, parando le sferzate dei suoi artigli come se fosse uno scontro tra due lame. La maggiore agilità di Alcor però portò ben presto in vantaggio il cavaliere del Nord, che eseguì un affondo diretto al fianco del nemico, capace di schivarlo solo con un movimento dell'ultimo secondo. Subito, Alcor si volse per riprendere l'attacco, ma Lugh fece una mossa improvvisa e piantò il bastone al suolo, usandolo come asta per sollevarsi da terra e centrare in pieno petto il cavaliere con un calcio a piedi congiunti, che spinse l'aria fuori dai polmoni del ragazzo.
Nonostante la sorpresa però, Alcor si avvide subito dell'apertura che quest'ultima mossa aveva lasciato nella guardia di Lugh.
"Ora è il momento! Ruggite, Bianchi Artigli della Tigre!!" gridò, bruciando il cosmo e scagliando il suo colpo segreto, che si manifestò con una tempesta di artigliate alla velocità della luce.
Per una frazione di secondo, Lugh sembrò sorpreso, poi, così rapido da poter essere appena percettibile, scivolò lungo la presa del bastone, estraendolo da terra e facendolo ruotare davanti a se come un'elica, che parò tutti i fendenti luminosi di Alcor.
Sbalordito, il cavaliere si ritrasse istintivamente, ma poi fece esplodere il suo cosmo e intensificò l'assalto. "Per quanto sia veloce con quel bastone, non può riuscire a fermare tutti i miei colpi alla velocità della luce… è impossibile! Basta che uno solo superi la sua difesa e l'impatto lo obbligherà ad abbassare la guardia!" si disse, caricando in avanti.
"Con una strategia di così bassa fattura" iniziò Lugh, e Alcor sussultò nel vedere che stava sorridendo tranquillamente come se nulla fosse "puoi forse sconfiggere dei barbari invasori, non certo la suprema maestria di Colui che splende come il sole! Gli astri guardano a me con reverenza e rispetto, come potrebbe un miserabile tuo pari impensierirmi?" accusò, iniziando a correre incontro al nemico, sempre ruotando il suo bastone davanti a se.
Preso del tutto di sorpresa da quella mossa, Alcor continuò il suo assalto, lanciando più e più colpi alla velocità della luce, ma nessuno di loro era capace di superare la difesa del Guardiano, infrangendosi come onde sulla scogliera. Alla fine, la rotazione del bastone fu su di lui, annullando del tutto i Bianchi Artigli e colpendolo ripetutamente al fianco, alla spalla e alla testa, scaraventandolo malamente a terra con un filo di sangue che gli usciva dalla bocca.
"Ora sei nel fango, come meriti!" disse, guardandolo con un misto di pietà e disprezzo. Sentendo il proprio animo infiammarsi di fronte a quel modo di essere guardato dall'alto in basso, Alcor si rialzò ruggendo, ma un nuovo colpo del bastone, stavolta al bicipite sinistro, lo scaraventò di ancora a terra.
"Tsk, smetti di umiliarti, alzandoti non fai altro che darti la possibilità di cadere di nuovo! E dopo tutto a cos'altro potresti ambire? Una misera fiammella nata nella sala del sego non potrà mai aspirare allo splendore del sole… fissarlo con gli occhi carichi di adorante ammirazione è tutto quel che le è concesso!" esclamò trionfo, chiudendo gli occhi.
"Smettila…" sibilò Alcor.
"Uh?"
"Smetti di paragonarti al sole, non ne sei degno! Il sole per Asgard è la vita, la sua luce è accolta con gioia ogni volta che si fa strada tra le nubi, è fonte di speranza. La tua cieca arroganza non ha nulla a che fare con quella luce!" ringhiò, rialzandosi e fissandolo negli occhi con totale disprezzo.
Per un attimo, Lugh parve vagamente colpito da quell'argomentazione, ma fu solo un secondo, poi la sua espressione tornò quella di prima.
"Proprio come il pesce che ha trascorso tutta la sua vita nelle calme acque di un lago è incapace anche solo di concepire l'immensità del mare, così un essere rozzo e inferiore come te non può comprendere la mia grandezza, e la tua mente si chiude rifiutando di accettarla. E' triste… ma naturale dopo tutto!" commentò, e ancora una volta Alcor sentì il sangue ribollirgli nelle vene. Le parole, gli sguardi, il tono, persino la postura del Guardiano erano quelle di un uomo che ha di fronte l'ultimo dei vermi, indegno persino di porre gli occhi su di lui. Ogni fibra del suo essere lo spingeva ad attaccare, a zittire quei vaniloqui, ma dentro di se il ragazzo doveva ammettere che l'abilità del nemico era notevole. Non un solo assalto era andato a segno finora, mentre i colpi del bastone lo avevano raggiunto più e più volte.
"Sei… molto sicuro di te!" si limitò a dire infine, a denti stretti, sforzandosi di ritrovare la calma.
"Come potrebbe essere altrimenti? Sono forte di una superiorità per diritto di nascita, il mio solo status mi garantisce la vittoria!" spiegò l'altro, come se stesse spiegando la cosa più ovvia del mondo.
"Hai grande fiducia nei Guardiani di Avalon, ma la forza dei Cavalieri di Asgard non è da meno!" dichiarò Alcor con una punta di fierezza. Lugh però sbuffò annoiato.
"Non è al mio status di Guardiano che mi riferisco, anche se persino tale superiorità è fuor di dubbio, ma al mio status di nascita! Come potresti tu, che non sei altro che un infimo guerriero, sconfiggere me che sono stato un sovrano?" domandò, e improvvisamente Alcor comprese dove avesse già visto quegli sguardi di disprezzo. Lugh lo guardava come un tempo lo avevano guardato alcuni nobili di Asgard, nelle rare volte in cui li aveva incontrati, quando era ancora il figlio adottivo di un semplice uomo dei boschi. Sguardi che sembravano considerarlo al pari di un escremento, disgustati al solo pensiero che i loro occhi potessero posarsi su di lui, come se fissarlo li insudiciasse oltre ogni dire. Erano stati quegli sguardi a rendere Alcor così aggressivo verso Mizar il giorno del loro primo incontro, a spingerlo a pensare a quel che sarebbe potuto essere se il destino avesse scelto diversamente quando era nato, ed ora, negli occhi di Lugh, li aveva di nuovo dinanzi a se.
Pallido per la rabbia, Alcor rimase immobile in silenzio, un silenzio che Lugh prese per ammirazione e così continuò "Una reazione comprensibile, che un soldato abbia modo di parlare a un sovrano è evento ben raro… Ma non sono privo di pietà, in fondo, nonostante le ovvie differenze di levatura, ci affrontiamo da pari. Ti racconterò un pò di me, così le anime dell'Ade… o di Hel… ti saluteranno ammirate quando le raggiungerai!" propose.
"Orbene, nacqui non lontano da qui, in Scozia, primogenito figlio di re e quindi destinato al trono per diritto di sangue! I miei augusti genitori avevano poco tempo per me, troppo impegnati dagli affari di stato, ma crebbi comunque privo di mancanze, circondato da tutori, che addestrarono la mia mente rendendola acuta e colta, e da maestri d'arma, che addestrarono il mio braccio rendendolo saldo e forte! La vita di corte era tediosa, ma raramente lasciavo il castello, il popolino che viveva all'esterno mi interessava ben poco. E poi, il lusso, i libri e le servette non mi mancavano…" iniziò, ma Alcor scostò la mano, fissandolo direttamente negli occhi, le sopracciglia aggrottate quasi a formare una linea unica
"Se sei un re, perchè ora combatti nell'esercito di Oberon?" domandò in un sussurro.
Lugh si adombrò, chiaramente infastidito dall'essere stato interrotto prima ancora di cominciare "Non ami indugiare a quel che vedo. Dovresti pensarci meglio, dalla lunghezza del mio racconto dipende il tempo che ti resta da vivere" sottolineò, ma Alcor rimase in silenzio.
"Come preferisci…" riprese, scrollando le spalle "Avevo ventiquattro anni quando mio padre si spense, piegato da un'infezione, e naturalmente salii subito al trono. Mi aspettavo molto, ma fu una delusione, la vita da sovrano era tediosa, specie in tempo di pace! Non resistetti che qualche mese, poi una mattina sellai il mio destriero e partii, alla ricerca di qualche avventura che rendesse più interessante la mia vita!"
"Abbandonasti il tuo regno… i tuoi sudditi… perchè ti annoiavi?!" esclamò in tono sbalordito e accusatorio Alcor.
"Cos'altro avrei potuto fare? Restare lì per il resto dei miei giorni ad aspettare di avvizzire sul trono? Un semplice soldato come te non può capire la noia del governare…" disse scrollando le spalle.
"Il dovere di un sovrano è proteggere il proprio popolo, non abbandonarlo per ragioni così futili!" continuò il cavaliere stringendo i pugni, ma Lugh scosse la mano.
"Avevo qualcosa di molto più importante da fare, cavalcavo all'inseguimento del sole!" affermò, come se quello chiudesse la faccenda.
"Cavalcavi… all'inseguimento del sole?" ripetè Alcor confuso.
"Certo… la sua luce splendente mi affascinava, mi attirava! E dentro di me sentivo un impulso a raggiungerla… ad imitarla, anzi a superarla, e diventare brillante come il sole! Era ingiusto che brillasse più luminosa di me, in fondo un re non è il sole di coloro che lo servono?"
"Tu sei folle…questi sono i vaneggiamenti di un folle!" mormorò il cavaliere, ma Lugh scosse la testa.
"Affatto! Ero spinto dal cosmo che bruciava dentro di me, e che all'epoca non sapevo di avere. Ma cavalcando scoprii che la luce che lo attirava non era quella del sole, ma quella del sommo Oberon! Il suo cosmo era stato come un richiamo, che mi aveva portato sino a lui! Egli si manifestò a me, e per la prima e unica volta nella mia esistenza, compresi di essere al cospetto di qualcuno che mi era superiore, perchè solo ad un Dio è concesso di trattare a tal modo un re! Mi invitò tra le sue schiere, promettendo che avrei servito uno scopo superiore, ed accettai senza esitazione. Pur di essere al fianco di un Dio, ero disposto persino a rinunciare al mio status di sovrano e diventare un guerriero!"
"E così raggiunsi Avalon, passando secoli tra le sue mura e fortificando il mio cosmo, in attesa del giorno in cui sarei stato inviato in battaglia. Quel giorno è arrivato, e per tua sfortuna la sorte ti ha messo sulla mia strada, condannandoti alla morte! Anzi, forse non è stata la sorte… se quel tuo compagno non fosse sceso nel Regno Sottomarino, io non sarei mai venuto in questa terra sperduta e tu saresti salvo! In questo caso sei fortunato, presto lo incontrerai nell'Ade, e potrai rimproverarlo tu stesso!" concluse, abbozzando un sorriso.
"Quel compagno di cui parli è mio fratello Mizar, Cavaliere di Asgard, e non sarà lui a scendere in Ade, ma il Guardiano che si è posto sulla sua strada! Nelle oscure lande di Hel tu però lo precederai, lì potrai incontrare i sudditi che hai così frettolosamente abbandonato, e chiedere loro perdono per la tua cieca arroganza!" gridò, bruciando il suo cosmo candido come la neve.
"Arroganza?" ripetè Lugh inarcando un sopracciglio
"Hai sentito bene, abbandonare chi dipendeva da te è un gesto imperdonabile, peggiore persino del disprezzo con cui tratti chi reputi inferiore per semplice ottusità! Non la famiglia da cui nasciamo, ma le azioni che compiamo, determinano il nostro valore!" esclamò con veemenza, lanciandosi all'attacco.
"Scuse! Scuse di chi vive nel fango e cerca di rifiutare la propria inferiorità! Il sangue che mi scorre in corpo non ha nulla a che fare con la melma che scorre nel tuo!" ribattè Lugh, disegnando un arco con il bastone. Anzichè saltare però, Alcor stavolta si piegò sulle ginocchia, schivando il colpo dal basso e balzando in avanti.
"Il tuo bastone è inutile ora, ti sono troppo vicino!" sibilò sferrando un fendente, ed obbligando il Guardiano ad evaderlo lateralmente rotolandosi nella neve per riacquistare le distanze. Così facendo però dovette abbassare la guardia, e subito Alcor fu su di lui.
"Ora è il momento! Bianchi Artigli della Tigre!!" lo incalzò, scatenando da pochi passi il suo colpo segreto. Per un attimo, Lugh fu visibilmente sorpreso, poi ruotò il polso e sollevò il bastone di scatto, in un gesto dal basso verso l'alto, e il cavaliere riuscì appena a vedere un fendente di luce annullare la forza dei Bianchi Artigli e centrarlo in pieno petto, aprendo uno squarcio diagonale profondo nel pettorale della sua armatura e scaraventandolo in aria, mentre il sangue schizzava copioso dalla ferita, sporcando la neve di chiazze scarlatte.
Con gli occhi ancora sbarrati per la sorpresa, Alcor sbattè duramente con la schiena contro il tronco di un albero, scivolando stordito fino a terra, chiedendosi cosa lo avesse colpito così duramente da annullare la forza del suo colpo segreto e squarciare l'armatura.
Sollevando la testa, vide che Lugh si era rimesso in piedi di fronte a lui, con il bastone sollevato. Solo che adesso non era più un bastone, il Guardiano lo stava impugnando al contrario, ed al posto della sottile estremità con cui aveva combattuto finora, vi era l'affilata lama di una lancia. Seguendo il suo sguardo, Lugh sorrise, sollevando la propria arma e facendola risplendere alla luce del suo cosmo.
"Sleà Bua, la Lancia di Vittoria!" esclamò orgoglioso "Opera e dono di Lord Oberon! Ritieniti onorato ad averne provato il filo, non è per i miserabili tuo pari che è stata forgiata! Lei, che è una delle quattro grandi armi di Avalon!"
"Quattro armi?" domandò Alcor preoccupato.
"Proprio così, quattro armi invincibili forgiate dal grande Oberon all'alba dei tempi! Una di esse, la più potente, da secoli non risiede più ad Avalon, ma le altre tre - l'Arco di Luce, la Lancia di Vittoria e lo Scudo Sovrano - furono donate ad alcuni tra noi Guardiani dell'Isola Sacra! E contro questa lancia non fu mai vinta battaglia, né contro chi la tenesse in mano. Capisci ora perchè il tuo destino è segnato? il misero cosmo di cui sei padrone non potrà mai competere con un'arma di fattura divina!" esultò con fierezza, ruotando di nuovo l'arma in mano così da rivolgere verso Alcor l'estremità spuntata.
"Poco fa mi sono trattenuto, non sei degno di morire trafitto dalla sua lama. Il manico sarà più che sufficiente a finirti!" sibilò, calandò un colpo verso la testa del cavaliere. Con un gesto repentino, Alcor lo parò incrociando le braccia, ma nel far ciò sentì con orrore i bracciali della sua armatura scricchiolare sinistramente. Subito, Lugh sollevò l'arma per colpire di nuovo, ma Alcor si diede la spinta con le gambe, lanciandosi all'attacco a testa bassa.
"Non può finire così, non morirò in questo modo infame, Mizar ha bisogno di me!" ruggì, sferrando un colpo dopo l'altro, quasi alla cieca, nel tentativo di colpire il Guardiano, che però sorrise astutamente e si liberò del mantello, usandolo come il panno di un torero ed intrappolando per un attimo Alcor al suo interno. "I tuoi assalti sono privi di efficacia… dentro di te sai che ti resta poco da vivere, la paura ormai ti governa!" insinuò Lugh, e nello stesso momento gettò via il mantello e lo centrò con un affondo in pieno stomaco, facendolo barcollare in avanti, e poi con un pugno, scaraventandolo contro un albero. A quel punto, il guerriero si avventò su di lui, colpendolo ripetutamente alla testa con la lancia, muovendola a disegnare una X decine e decine di volte, con velocità sempre più grande.
Alcor tentò di difendersi, di bruciare il suo cosmo, ma ad ogni colpo ricevuto la vista gli si annebbiava e concentrarsi diventava sempre più difficile, mentre l'assalto continuava instancabile e scrosciante. Alla fine, l'elmo della tigre si spaccò in due e andò in pezzi, ed un attimo dopo un nuovo colpo esplose contro la sua tempia sinistra, facendogli sputare sangue.
L'attacco cessò, Lugh si ritrasse. Con un ultimo sforzo, mentre il sangue gli scorreva copioso sul volto e sul corpo, il cavaliere si rialzò in piedi e sollevò il braccio, sferrando un affondo contro il viso del nemico. Impassibile, egli si mosse lateralmente di un passo, lasciando che l'assalto lo sfiorasse appena, e subito dopo Alcor crollò in avanti nella neve, privo di sensi, mentre una chiazza scarlatta si allargava sotto il suo corpo.
"Il finale più prevedibile è infine giunto… Ha combattuto coraggiosamente, ma pensando di potersi paragonare a me ha commesso un errore imperdonabile" commentò, sollevando la lancia e calando l'affondo finale, atto a spezzare il collo del nemico.
A pochi centimetri dal bersaglio però, Lugh avvertì un cosmo svanire e si arrestò di colpo, dimenticandosi di Alcor e voltandosi verso Est con gli occhi sbarrati. A stento, una parola si formò sulle sue labbra: "Aircethlam…!"
Barcollando, si appoggiò ad un albero, e due sottili lacrime gli scesero sul viso, mentre la sua mente vagava al passato, ai secoli trascorsi ad Avalon.
*
Colpito in pieno petto con un manrovescio, Lugh cadde a terra, scivolando sull'erba fresca dei giardini di Avalon.
"Eh eh, dovresti fare più attenzione! Ti affidi troppo alla tua lancia, senza di essa spesso abbassi istintivamente la guardia quando l'avversario ti è troppo vicino!" gli sorrise Aircethlam, offrendogli una mano per aiutarlo a rialzarsi.
Lugh sospirò, accettando il suo aiuto. Si allenavano insieme da mesi ormai, e le volte in cui era stato lui ad atterrare il compagno si contavano sulla punta delle dita rispetto a quelle in cui era accaduto il contrario. D'altra parte, i miglioramenti erano evidenti: il suo gioco di gambe era molto più preciso, ed ora era capace di passare da difesa ad attacco nel giro di un attimo, ma c'era sempre un momento in cui la sua guardia era scoperta, ed Aircethlam sembrava infallibile nell'individuarlo e nell'approfittarne.
"Se questa fosse stata una battaglia, sarei morto decine di volte! Non avrei mai immaginato che esistesse qualcuno capace di sconfiggermi così regolarmente!" sbuffò "Avrei voluto averti come maestro di lotta al castello dove vivevo! Credevo che quelli che mi aveva assegnato mio padre fossero abili, ma ora mi rendo conto che erano solo delle nullità!"
"Non essere così duro con te stesso, quando usi la Sleà Bua sei invincibile, hai una naturale affinità per la lancia! Ho visto veterani con decenni di esperienza alle spalle incapaci di muoversi come fai tu!" gli rispose l'altro, mentre entrambi si sedevano su una panca di legno all'ombra di un grande melo, afferrando un frutto a testa ed addentandolo con gusto.
"Credo sia dovuto a mio padre… Diceva sempre che la lancia era l'arma migliore da usare in battaglia, tanto affilata da uccidere, ma anche lunga, in modo da non bagnarsi del sudicio sangue del nemico. La spada andava conservata solo per i duelli con principi e re, quando macchiarsi del loro sangue era un onore e non una vergogna!" ricordò, e Aircethlam, che era ben abituato a sentire questi discorsi, sospirò.
"Prima o poi la convinzione che il valore degli esseri umani vada di pari passo con la loro classe sociale ti perderà! Durante uno scontro ogni nemico è degno di egual rispetto, sia egli re o figlio di un mugnaio. E soprattutto, ogni nemico può uccidere, anche quello armato solo di una falce arrugginita per le erbacce. Da quando hai ricevuto la Sleà Bua hai smesso di allenarti nella creazione di un colpo segreto, affidandoti interamente ad essa, ma un giorno potresti esserne privo. Devi essere prudente, la superbia è il tuo maggior difetto…"
A queste parole, Lugh calò gli occhi, fissando per un pò l'erba, poi scosse la testa. "Il disprezzo che covo verso quella gente non è figlio dell'arroganza. Per anni a palazzo ho avuto costante testimonianza della loro pochezza… dell'inferiorità dei loro spiriti. Costantemente piegati in un inchino, servizievoli e gentili quando erano al cospetto dei miei genitori o mio, quanto pronti a velenosi commenti e critiche quando credevano di essere da soli. Il loro essere trasudava falsità, godevano degli agi e della sicurezza di palazzo, eppure non ve ne era uno solo che ci servisse spinto dall'affetto! Nei giorni in cui mio padre era malato, li sorpresi persino a sperare silenziosamente che morisse presto, in modo da avere una persona in meno da servire! Forse è questo il vero motivo per cui abbandonai il castello quel giorno, non sopportavo più le loro false attenzioni! Gente che si nasconde dietro una simile facciata non posso considerarla mia pari! E' evidente che chi non nasce da sangue reale non potrà mai avere la grandezza di spirito di un sovrano!" esclamò con amarezza.
"Eppure" intervenne Aircethlam "Prima di arrivare qui ad Avalon io non ero che un soldato figlio di contadini, e mi hai sempre trattato da eguale. E' solo perchè siamo diventati Guardiani quasi contemporaneamente?"
Lugh guardò il compagno, non vi era traccia di accusa o malizia nella sua domanda, solo spontanea curiosità. Sorridendo, gli poggiò una mano sulla spalla "Tu sei diverso… sei forse l'unica eccezione alla mia tesi, anche se non mi stupirebbe scoprire che qualche tuo antenato era un re caduto in rovina. In te c'è una nobiltà d'animo senza pari, un'integrità ed un senso dell'onore degni di un sovrano! Persino qui, tra i Guardiani di Avalon, pochi hanno la tua levatura! E non negarlo," aggiunse quando Aircethlam parve sul punto di contraddirlo "lo prova il fatto che Lord Oberon ti avesse offerto l'Arco di Luce. Ancora non capisco perchè l'hai rifiutato…"
"L'arco non è arma che mi si addica… non amo colpire un nemico da lontano, al sicuro, nascosto tra i cespugli. Quando si combatte, tutti i contendenti devono mettere a rischio le loro vite, è un atto di rispetto!" rispose semplicemente.
Per qualche minuto Lugh non disse nulla, conosceva la storia del suo compagno, e di come Oberon lo avesse salvato quando, ultimo guerriero ancora in piedi, stava affrontando da solo l'esercito nemico per proteggere la sua gente. Poi però gli venne un dubbio "Che cosa faresti se un giorno non ti fosse permesso di seguire il tuo senso dell'onore? Se ti venisse chiesto di uccidere qualcuno da lontano, o di porre fine ad una vita che ritieni meritevole di continuare?"
Aircethlam non rispose subito, restando vari secondi a riflettere. Poi disse "Esistono fati ben peggiori della morte, e vivere dopo aver tradito qualcuno che in te aveva riposto fiducia è uno di questi. Tuttavia… se davvero avessi la certezza di essere nel torto… se non vi fosse possibilità di errore… credo che metterei fine alla mia vita piuttosto che obbedire. Sarebbe l'unico gesto onorevole da fare" rispose, e Lugh lo guardò con rinnovata ammirazione.
*
"Oh Aircethlam… era dunque questa la tua volontà?!" mormorò con infinita amarezza, abbattendo un albero con la lancia in un attimo di frustrazione. Poi si voltò verso Asgard, indeciso sul da farsi. L'ordine di Oberon era di distruggere la città di Odino per punirli del loro intervento, ma tutto il suo essere chiedeva soltanto di trovare coloro che avevano spinto Aircethlam al suicidio, e porre fine alla loro vita, anche se questo avrebbe significato vanificare gli sforzi del compagno.
In quel momento però, un gemito lo spinse a voltarsi, e si accorse che Alcor stava riprendendo i sensi.
"Ancora una volta il destino ha scelto per me…" sussurrò amareggiato, sollevando la lancia per finirlo. Ancora intontito per i numerosi colpi subiti alla testa, il cavaliere vide appena la lama del nemico che essa calò su di lui, pronta a prendere la sua vita. All'ultimo istante però accadde qualcosa di inaspettato, un rumore di zoccoli al galoppo invase la radura, ed un raggio di energia colpì la lancia, facendole mancare il bersaglio.
Entrambi i guerrieri si voltarono, sbalorditi dalla nuova venuta. In groppa al suo magnifico destriero bianco, armata di lancia e con indosso la cotta da combattimento, Ilda di Polaris era scesa sul campo di battaglia.
"Mia regina…!" esclamò sorpreso Alcor, mentre Ilda si posizionava tra i due contendenti, dividendoli "Perchè è venuta qui? E' pericoloso!" aggiunse disperato, cercando invano di rialzarsi.
Senza mai distogliere l'attenzione dal Guardiano però, Ilda scosse lievemente la testa. "Ho percepito l'indebolirsi del tuo cosmo e sono venuta in tuo soccorso! Non potevo restare ferma a palazzo, è dovere di una regina proteggere i propri sudditi, anche a costo della vita!" esclamò, strappando un sussulto non solo ad Alcor, ma anche a Lugh.
"Lei è la regina che governa questi luoghi?" domandò con rispetto, ed Ilda annuì "Il mio nome è Ilda, penultima discendente della stirpe dei Polaris, regina di Asgard e Celebrante di Odino!" si presentò.
"Io sono Lugh, re e figlio di re, un tempo sovrano delle Highlands, ora Guardiano di Avalon alla corte del sommo Oberon!" disse l'altro con orgoglio, accennando un cortese inchino con la testa, che Ilda ricambiò "Mi duole informarla, o regina di Asgard, di essere qui in missione punitiva. Per aver prestato soccorso ai Cavalieri di Atena, il suo regno sarà distrutto!" continuò, con una certa pomposità, chiaramente vestigia dei suoi giorni da sovrano "Non desidero levare mano su una donna, ma se è decisa ad opporsi allora dovrò affrontarla senza alcuna pietà!"
Senza dir niente, Ilda smontò dal cavallo, facendolo allontanare con un tocco e sollevando la propria lancia contro il Guardiano. "Come ho già avuto modo di dire, sarei una misera regina se abbandonassi il mio regno anzichè difenderlo con ogni fibra del mio essere. Fatti pure avanti, Lugh di Avalon, non ti temo!" dichiarò, espandendo il suo cosmo, determinato e aggressivo.
Di fronte alla donna, Lugh ruotò la propria lancia, in modo da avere la lama rivolta verso di lei "In rispetto al suo rango, mi batterò senza esitazioni!" affermò, lanciandosi in un affondo.
Alcor si mosse subito per proteggere la sua regina, ma Ilda stessa fu più rapida e parò l'assalto con la lancia, indietreggiando solo di un passo. "Non intervenire!" gli ordinò stentoreamente, mentre per qualche attimo i due si fronteggiarono in uno stallo, poi il cosmo di Ilda si accese ed il Guardiano venne spinto indietro. Immediatamente, la donna puntò la lancia contro di lui, e da essa partì un sottile raggio di energia, che Lugh annullò con un movimento a spazzare della sua arma.
Modificando la presa sull'asta, il Guardiano fece ruotare la lancia di fronte a se, scattando contro Ilda, che dal canto suo afferrò la propria arma con entrambe le mani lanciandola in un affondo. Le due lame cozzarono, liberando scintille, ma poi quella di Lugh sembrò prevalere e spingere indietro la Celebrante. Ilda però liberò la mano sinistra, concentrando in essa il suo cosmo e scatenando una scarica di energia, continuando contemporaneamente a spingere in avanti con la lancia.
Incapace di difendersi da entrambe, Lugh si piegò di scatto, lasciando che la lama di Ilda stridesse contro il suo coprispalla, e si appoggiò a terra con la mano, sferrando un doppio calcio a spazzare contro le gambe della celebrante. Reagendo con sorprendente velocità, Ilda saltò, avvicinando nello stesso istante la propria lancia al corpo e scagliando una sfera di energia cosmica, che prese in controtempo Lugh, scaraventandolo indietro.
Senza esitare, Ilda scattò verso di lui, sferrando due nuove sfere di energia, che colpirono in pieno il Guardiano, spingendolo violentemente contro un albero, che si spezzò per l'impatto. Quasi subito però, Lugh si liberò, spaccando in due il tronco con un gesto secco e facendo schizzare frammenti di legno e neve contro Ilda, che fu obbligata ad arrestarsi di scatto e coprire gli occhi con la mano. Con un grido selvaggio, Lugh si lanciò all'attacco, spazzando l'aria con la lancia ed obbligando la Celebrante ad indietreggiare rapidamente di un passo, prima che un secondo colpo, stavolta dall'alto verso il basso, la costringesse a sollevare lo scettro per difendersi, reggendolo con entrambe le mani.
"E' straordinario…" mormorò Alcor sbalordito dal vigore combattivo della sua regina. Aveva sentito dire che da sola Ilda aveva tenuto testa ai cinque cavalieri di Atena un tempo, ma visto che all'epoca era posseduta dall'Anello del Nibelungo, e che i cinque erano feriti dalle numerose battaglie contro i Cavalieri del Nord, non aveva dato troppo peso alla cosa. Ora però Ilda sembrava una Valchiria, il suo cosmo, il suo sguardo, tutto il suo essere era teso alla battaglia, ma, come il ragazzo ebbe modo di notare, non vi era in lei alcuna traccia dell'oscurità di un tempo. Solo l'amore per il suo popolo la muoveva.
In quel momento, Ilda cadde in ginocchio. Spostando tutto il proprio peso in avanti, Lugh aveva aumentato sempre più la pressione, obbligandola a piegarsi, incapace di reagire per non essere colpita. Per un attimo Alcor fu sul punto di intervenire, poi però la donna lasciò scivolare l'asta della propria arma contro la lama di quella di Lugh, liberando nuove scintille, e si portò all'interno della guardia del guerriero, appoggiandogli la mano sull'addome e liberando una scarica di energia, che lo spinse indietro con un grugnito di rabbia. Nello stesso momento, Ilda ruotò la lancia, colpendo alla gamba il Guardiano, che barcollò in avanti.
"Ora è il momento!" esclamò la donna, vedendo ben chiara un'apertura nella guardia del nemico e sferrando un affondo. Improvvisamente però, Lugh ritrovò l'equilibro e disegnò un arco con la lancia, liberando un fendente di luce. Presa in controtempo, Ilda cercò di schivarlo spostandosi lateralmente, ma non vi riuscì del tutto ed un taglio profondo le apparve sul braccio, chiazzando di sangue la sua candida pelle e strappandole un grido.
"Quella lancia…" mormorò indietreggiando, lo sguardo fisso sull'aura brillante che adesso la circondava.
"Per sua sfortuna si è unita troppo tardi alla battaglia! La Sleà Bua non è un'arma comune, ha il potere di accumulare e liberare il cosmo di chi la impugna in mortali fendenti!" gridò Lugh, tempestandola di colpi ed obbligandola a indietreggiare ulteriormente, mentre numerosi piccoli tagli le comparivano sul corpo e sulle vesti, nonostante stesse facendo di tutto per difendersi. "E affrontare un nemico di cui non sapeva nulla non è stato che il più piccolo dei suoi errori! Leggerezza molto maggiore è il recarsi sul campo di battaglia privi di armatura, leggerezza che ora le costerà la vita. Addio, regina di Asgard, in nome del grande Oberon proclamo la vittoria! Sleà Bua Slash!!" gridò, liberando una serie di mortali affondi alla velocità della luce.
Ilda soffocò un urlo quando l'arma saettò verso di lei, ma improvvisamente qualcosa si frappose tra i due, e la donna vide Alcor in piedi a proteggerla, con numerosi tagli sanguinanti sul corpo.
"A… Alcor…!" gridò spaventata, muovendo un passo verso di lui e poi arrestandosi di colpo, allo scintillare del cosmo del ragazzo.
"Stia indietro, mia regina, e non mi privi del dovere della battaglia! Sono Alcor di Asgard, cavaliere ombra della tigre, e le giuro che fino all'ultimo afflato di vita la proteggerò!" esclamò con orgoglio "In passato… ho sempre combattuto per me stesso… per vendicarmi di Mizar, per conquistare la gloria e non essere più una pallida ombra condannata alle tenebre… ma non stavolta! Quest'oggi combatterò per lei, che ha appena rischiato la vita per proteggermi, e per tutte le genti di Asgard!" gridò, avanzando verso Lugh.
"E così sei di nuovo tu il mio avversario?" commentò blandamente il Guardiano, ruotando la lancia in modo da volgere il manico verso di lui.
"Sono stanco della tua spocchia, dei tuoi gesti di superiorità! Prova pure a sconfiggermi col manico se credi, ora ti obbligherò a capovolgere di nuovo quell'arma ed affrontarmi con tutto quel che hai!" ringhiò il cavaliere bruciando il suo cosmo, ed alle sue spalle comparve maestosa l'immagine della tigre bianca.
"Bianchi Artigli della Tigre!!" gridò con tutto il fiato che aveva, scatenando il suo colpo segreto e lanciando centinaia e centinaia di artigliate di energia contro il nemico.
"Sciocco! Tanti proclami per poi ricorrere ad un'arma che si era già rivelata inutile contro di me!" lo criticò Lugh ruotando la lancia a difesa, e respingendo gli assalti di Alcor. Improvvisamente però, il Guardiano avvertì una leggera fitta di dolore al fianco, e poi una al bicipite, ed un'altra alla spalla, e si accorse con orrore che numerose scheggiature stavano comparendo sulla sua armatura.
"Iaaaaa!!!!" ruggì Alcor, facendo esplodere il suo cosmo, ed una tigre bianca saettò Lugh, investendolo in pieno e spingendolo rovinosamente contro gli alberi, che gli franarono addosso. Respirando affannosamente, il cavaliere si fermò, un sorriso soddisfatto sul volto.
Un attimo dopo, i tronchi andarono in frantumi e Lugh riemerse, visibilmente sorpreso. Per la prima volta la sua difesa era stata superata, ed ora degli squarci sottili comparivano sul pettorale della sua corazza, lasciando filtrare qualche goccia di sangue.
"Vedi? E' rosso come il mio! Dove sono adesso i tuoi privilegi da re? A quanto sembra la stessa melma ci scorre in corpo!" evidenziò Alcor indicandolo con un sorriso soddisfatto. Lugh impallidì di rabbia.
"Ti avevo sottovalutato, non credevo fossi così veloce da superare la rotazione della mia lancia! Ma non avresti mai dovuto ferirmi, ora ti punirò per aver versato qualche goccia del mio regale sangue! Visto che ci tieni tanto non mi tratterrò più contro di te!" disse a denti stretti, cambiando ancora una volta la presa sulla lancia e scagliando un fendente di luce.
Non volendo rivelare quanta fatica l'ultimo attacco gli fosse costata, Alcor non rispose, scattando piuttosto incontro all'attacco e schivandolo all'ultimo momento con un balzo, per poi darsi la spinta su un tronco per cambiare direzione e dirigersi contro Lugh. Il Guardiano però non si lasciò cogliere di sorpresa e saltò a sua volta, raggiungendo Alcor a mezz'aria. Per un attimo i loro sguardi si incrociarono e negli occhi del seguace di Oberon brillò una luce di vittoria, poi Lugh sollevò la lancia e gridò "Sleà Bua Slash" scatenando una pioggia di affondi a distanza ravvicinata. Privo della sua agilità a mezz'aria, Alcor incrociò le braccia per difendersi, ma venne comunque travolto e scagliato al suolo, mentre i bracciali della sua armatura andavano in pezzi e nuovi squarci sanguinanti comparivano sul suo corpo.
"E' finita!" esultò Lugh, calando la lama verso il cuore del cavaliere. Da terra però Alcor concentrò il cosmo nel braccio destro, lanciando una nuova scarica di raggi luminosi, che investirono in pieno il nemico, spingendolo indietro. Consapevole di non aver guadagnato che pochi secondi, Alcor si rimise frettolosamente in piedi, ed infatti di fronte a lui il Guardiano si diede agilmente la spinta contro un albero, sfrecciando di nuovo all'attacco.
"Sleà Bua Slash" gridò ancora una volta, spaccando la terra. Stavolta tuttavia la fretta lo aveva spinto ad attaccare da lontano, e con meno velocità del solito, così Alcor ebbe il tempo di balzare al sicuro, fuori dalla traiettoria dell'assalto.
Una frazione di secondo dopo, il ragazzo si accorse con una fitta di orrore dello sbaglio che aveva compiuto: ora che lo aveva schivato, l'assalto stava saettando verso Ilda, che si trovava sulla stessa traiettoria ed era del tutto indifesa.
"NOO!" gridò disperatamente il cavaliere, dandosi la spinta con tutte le forze che ancora gli restavano, chiamando a raccolta ogni fibra del suo essere e muovendosi come mai aveva fatto prima, frapponendosi con la schiena tra la donna ed Sleà Bua Slash, in un disperato tentativo di difenderla, anche a costo della vita.
Per un attimo, il suo sguardo incrociò quello di Ilda, per la prima volta colmo di terrore, poi Alcor chiuse gli occhi, in attesa della fine, del dolore della lancia che gli penetrava nel corpo, della vita che lo abbandonava.
Fu sorpreso quando nulla di tutto ciò giunse, e alle sue spalle sentì un'esplosione.
"Si direbbe che l'esserci precipitati fin qui sia servito alla fine…" commentò una voce vagamente conosciuta
"Appena in tempo, fratello!" lo salutò allegramente una seconda.
Sbalorditi, Alcor ed Ilda si voltarono: in piedi a loro difesa adesso si ergevano Syria delle Sirene e Mizar, entrambi sporchi, pieni di ferite e sanguinanti, con le armature coperte da crepe, o persino del tutto in frantumi in alcuni punti, ma circondati dai bagliori dei loro cosmi. Mizar aveva le braccia incrociate, gli artigli sguainati pronti a colpire, mentre Syria teneva il flauto teso in avanti, circondato da quelli che sembravano i frammenti di una barriera di energia.
"Generale… Mizar!" balbettò incredulo Alcor, e solo allora si accorse che, nell'impeto del duello, aveva smesso ci concentrarsi sul cosmo del fratello da quando aveva iniziato a combattere.
"Per una volta sono io a salvarti!" gli sorrise Mizar, visibilmente sollevato. Syria però tenne lo sguardo fisso sul nemico, che ora li fissava cupamente. "Chi siete?" tuonò.
"Mizar, Cavaliere di Asgard, e Syria, Generale di Nettuno, di ritorno dalla missione nel Regno Sottomarino!" si presentarono i due, strappando uno sguardo di stupore al Guardiano.
"I sigilli del Regno Sottomarino erano stati affidati ad Indech e Tehtra! La vostra presenza qui vuol forse dire che … sono caduti?" domandò sbalordito, e quando i due non risposero abbassò la testa. "Incredibile… persino Tehtra che impugnava l'Arco di Luce, l'ultima delle quattro grandi armi di Avalon…!" mormorò tra i denti.
Un attimo dopo però, si sollevò di nuovo, puntando la lancia contro i tre. "L'onore della vendetta poggia sulle mie spalle adesso! Fatevi avanti, anche tutti insieme!" esclamò, espandendo il suo cosmo.
"Fermi! Questa battaglia è mia!" gridò Alcor, nel vedere Mizar e Syria sollevare la guardia, ma i due lo ignorarono.
"In quante mie battaglie tu ti sei intromesso? E' ora che io ricambi il favore!" disse bonariamente il cavaliere del Nord.
"Ed io ho il dovere di vendicare l'invasione del Regno Sottomarino!" aggiunse seriamente Syria.
Alcor li fissò ancora per qualche secondo, colpito dalla determinazione nei loro occhi, poi scrollò le spalle. "Se proprio ci tenete… in fondo siamo tutti così malridotti che in tre abbiamo appena il cosmo di uno solo" sorrise, assumendo anche lui la posizione da combattimento.
"Mia regina, la prego stia indietro e lasci a noi la battaglia!" sussussò allora ad Ilda. La donna aprì la bocca per replicare, ma il cavaliere scosse la testa "La sua vita è infinitamente più importante delle nostre. Se davvero la discesa dell'oscurità è imminente, Asgard avrà bisogno della sua sovrana nei giorni difficili che verranno!" notò con calma.
Dentro di se, Ilda sapeva che Alcor aveva ragione, e per un attimo maledisse silenziosamente i suoi doveri, che le impedivano di assistere in battaglia coloro che in nome suo combattevano, poi annuì e si ritrasse di qualche passo. Intanto, Alcor, Mizar e Syria si erano disposti a ventaglio attorno a Lugh, che dal canto suo aveva sollevato la propria arma, pronto ad affrontarli.
"State attenti alla sua lancia! I fendenti che sferra sono mortali!" li avvisò Alcor, e gli altri due annuirono, scattando poi insieme verso il Guardiano. Con un grido di guerra, Lugh fece lo stesso, lanciandosi in avanti ruotando la lancia sopra la testa.
Fu Syria il primo ad attaccare, sollevando la mano e lanciando un fendente di luce, che Lugh annullò senza sforzo con un colpo della sua arma. Contemporaneamente, Alcor gli fu addosso e mirò un'artigliata al viso, ma il Guardiano si piegò di colpo, evitandola, e sollevò la lancia strisciando contro il pettorale del cavaliere e frantumandone il coprispalla. Un attimo dopo, modificò la presa sull'arma, stringendola con una sola mano e compiendo un movimento a spazzare che centrò in pieno fianco Mizar, strappandogli un grugnito. Prima di poter fare altro però, Lugh venne raggiunto alla clavicola da un colpo sferrato dall'alto verso il basso con il flauto di Syria, ed un attimo dopo dovette sollevare la lancia per parare un affondo di Mizar.
"Non puoi usare la melodia del tuo flauto contro di lui?!" gridò il Cavaliere al Generale, sforzandosi di aumentare la spinta. Prima che Syria potesse ricordargli come sia Indech che Tehtra fossero stati a lungo inspiegabilmente immuni ai suoi poteri, Lugh riuscì a spezzare la spinta del guerriero, colpendolo all'addome con una ginocchiata per poi ruotare su se stesso e raggiungere Syria alla spalla con l'asta della lancia. In quel momento, Alcor lo attaccò di nuovo, sferrando una serie di affondi a distanza ravvicinata, senza però riuscire a infrangere la sua difesa.
"Neppure in tre riusciamo a fare qualcosa, ha una tecnica incredibile!" pensò il ragazzo, ma in quel momento Lugh gli bloccò il piede con il proprio, e contemporaneamente calò la lancia verso il suo viso con entrambe le mani. Rapidissimo, Syria si frappose tra i due, tendendo il flauto con entrambe le mani ed usandolo per bloccare la lancia dell'avversario, facendo attenzione a toccare l'asta e non la lama. Poi, facendo scivolare lo strumento fino a portarsi all'interno della sua guardia, cercò di colpirlo con una ginocchiata all'addome, ma Lugh modificò ancora una volta la sua presa sulla lancia, facendola scorrere diagonalmente contro il flauto e centrando in pieno petto il Generale, la cui armatura andò in pezzi in quel punto.
Syria barcollò all'indietro, e Lugh compì un nuovo movimento a spazzare, stavolta dal basso verso l'alto, colpendo il flauto, che volò via dalle mani del Generale, finendo nella neve a qualche metro di distanza. Il Guardiano vibrò poi un affondo con la lama verso il viso di Syria, ma Mizar saltò addosso al compagno, spingendolo fuori dalla traiettoria dell'arma, venendo ferito di striscio alla spalla.
Anzichè rialzarsi prontamente come suo solito, Mizar rimase steso a terra, e Alcor si accorse con orrore che le sue gambe erano coperte di ferite e sangue, che scorreva attraverso un'infinità di crepe negli schinieri. Nello stesso momento però, il cavaliere vide Lugh sollevare la lancia per colpire e si avventò su di lui con un grido, lanciando i Bianchi Artigli della Tigre.
Immediatamente, il Guardiano ruotò l'arma, parando l'assalto e sferrando un fendente diagonale di energia, che sfregiò ulteriormente l'armatura di Alcor, facendolo cadere nella neve accanto ai compagni.
Nel vederli tutti e tre insieme, Lugh sorrise soddisfatto, ed in un momento di illuminazione Alcor comprese che era stata tutta una strategia per averli sottotiro. Il ragazzo cercò di avvisare gli altri due, di gridar loro di allontanarsi, ma Lugh fu più veloce e fece esplodere il suo cosmo, gridando "Sleà Bua Slash".
Centinaia di fendenti di luce si abbatterono sui tre guerrieri, sparpagliandoli e aprendo numerosi tagli sulle loro armatura e sui loro corpi, gettandoli sanguinanti nella neve, di fronte agli occhi sbarrati di Ilda.
"E ora…" minacciò Lugh guardandola, ma prima che potesse finire, Alcor e Mizar si mossero di nuovo, alzandosi faticosamente, flotti di sangue che grondavano sulle loro armature.
"Se continua così ci ucciderà…" sussurrò preoccupato Mizar, gettando un'occhiata al corpo privo di sensi di Syria e poi guardando di sottecchi il fratello, il cui sguardo sembrava fisso sul Guardiano. Dopo qualche secondo però, incredibilmente, la bocca di Alcor si allargò in un ghigno impercettibile.
"Hai ancora la forza di bruciare il tuo cosmo, Mizar?" gli chiese senza guardarlo, ed il ragazzo annuì "La chiave della sua tecnica sono i continui cambiamenti di presa sull'asta della lancia! Dobbiamo bloccarli, e credo di sapere come fare! Asseconda i miei colpi, fratello!!" esclamò, espandendo il suo gelido cosmo, subito imitato da Mizar. Le loro aure erano visibilmente più deboli del solito, ma comunque brillanti e bianche come la neve.
"I vostri cosmi sono ormai vicini all'estinzione! Intonate pure il canto del cigno, la mi lancia non avrà pietà!" gridò Lugh, ruotando l'arma sopra la testa ed impugnandola con entrambe le mani.
"Bada a te, Guardiano di Avalon! Forse per noi è davvero giunto il tempo di rivedere i compagni che dimorano nel Valhalla, ma qualsiasi sia il nostro destino, lo affronteremo combattendo! Bianchi Artigli della Tigre!!" gridò Alcor, saltando verso sinistra e lanciando il suo colpo segreto.
"Sciocco! Tentare ancora una volta una tecnica che ormai conosco fin nei minimi dettagli!" lo derise Lugh, muovendo la lancia alla velocità della luce per parare i suoi colpi.
"Che tale conoscenza ti sia propizia, perchè non è solo contro Alcor che stai combattendo!! Bianchi Artigli della Tigre!!" urlò in quel momento Mizar, congiungendo il suo attacco a quello del fratello.
"Non basteraaa!!" strillò Lugh, espandendo il suo cosmo e muovendo la lancia ancora più vorticosamente, opponendo il proprio cosmo a quello dei gemelli e riuscendo ad annullare l'assalto, venendo solo spinto indietro di qualche passo.
"Un tentativo ammirevole ma destinato al fallimento! Ed ora…" iniziò, ma le parole gli morirono in bocca. Abbassando lo sguardo, si accorse con orrore che le sue dita sanguinavano e le mani erano ora congelate attorno alla presa della lancia, impedendogli di impugnarla in maniera diversa.
"I Bianchi Artigli della Tigre non sono semplici fendenti, in loro risiede il gelo di Asgard, che li rende capaci di congelare tutto quel che colpiscono!" spiegò Alcor, con una luce di trionfo negli occhi "Te ne saresti accorto, se non li avessi ritenuti una tecnica così indegna di interesse, ma non l'hai fatto ed ora pagherai il prezzo della tua arroganza!"
Lanciando un sorriso stanco a Mizar, ansimante al suo fianco, Alcor bruciò di nuovo il suo cosmo "Non può più difendersi ora, è il momento di porre fine a questo scontro! Ancora una volta, fratello! Bianchi Artigli della Tigre!!".
"Per Asgard, fratello! Bianchi Artigli della Tigre!" lo imitò Mizar, nonostante la vista fosse ormai annebbiata per la fatica.
"Siete degli strateghi più abili di quel che credessi, ma la mia impotenza su cui tanto fate affidamento è un'illusione che presto cadrà! In questa posa non posso difendermi, ma posso ancora attaccare! Sleà Bua Slash!" ringhiò Lugh facendo esplodere il suo cosmo, e confrontando i raggi dei due nemici con i fendenti della sua lancia.
Per lunghi secondi, i tre poteri sembrarono equivalersi a mezz'aria, poi i fendenti della lancia aumentarono di numero, aprendo nuove ferite sui corpi dei gemelli.
"No! Non cederò, non adesso, ad un passo dalla vittoria!! Brucia, cosmooo!!!" gridò Alcor con tutto il fiato che aveva, facendo esplodere le sue ultime energie.
"In… sieme… fratello!" lo sostenne Mizar, dando anche lui tutto quel che aveva, e due tigri gemelle, una bianca e una nera, volarono verso Lugh con le zanne scoperte, superando i suoi affondi, frantumando parte della sua armatura e travolgendolo in pieno, con un urlo di dolore. Contemporaneamente però, gli attacchi della Sleà Bua investirono i due cavalieri, scaraventandoli nella neve, due chiazze di sangue sotto i loro corpi.
"Mizar!! Alcor!!" gridò Ilda correndo verso di loro terrorizzata. A pochi passi però, un fendente di luce saettò verso di lei, ferendola di striscio alla spalla, e alzando lo sguardo si accorse che Lugh era ancora in piedi, seppur malridotto e sanguinante, con l'armatura in pezzi.
"Morirò…portando con me… una regina!" mormorò, lanciandosi in avanti con la lancia tesa, le mani nuovamente libere dal ghiaccio che le aveva imprigionate poco prima.
Paralizzata dalla sorpresa, Ilda non riuscì a sollevare il proprio scettro in tempo, restando immobile, ma improvvisamente una figura balzò da terra, avventandosi contro Lugh con gli artigli sguainati.
Il Guardiano vide Alcor saltargli contro e mutò l'attacco in difesa, piegando la lancia per fermarlo. Gli artigli cozzarono sull'asta. Lugh sorrise, pronto a contrattaccare.
E in quel momento, con un rumore sordo, la Sleà Bua si spezzò in due, lasciando campo libero agli artigli di Alcor, che proseguirono e si conficcarono nel petto scoperto di Lugh, frantumando la cassa toracica. Per un attimo, il Guardiano osservò incredulo la propria ferita, con gli occhi spalancati, poi vomitò sangue e cadde supino nella neve.
Incerto sulle gambe, Alcor gli si avvicinò, guardando il suo corpo martoriato con un misto di sollievo e pietà.
"Cough… co…com'è possi…bile? come hai… po…tuto… cough cough… spezzare la… Lancia di Vittoria?!" domandò il Guardiano tossendo sangue.
"Nel corso di tutto il combattimento… ogni volta che ti difendevi con la lancia… ho sempre cercato di colpire lo stesso punto con i miei artigli, indebolendolo sempre di più… finchè alla fine ha ceduto" spiegò.
Lugh annuì, ma Alcor continuò, stavolta con voce colma di tristezza e amarezza "Quando nacqui… i miei nobili genitori furono costretti ad abbandonarmi. Colui che mi trovò e allevò, amandomi come il figlio che non aveva mai avuto, non era un conte o un sovrano, ma un povero uomo dei boschi. Ed una delle prime cose che mi insegnò… fu che anche l'albero più grande e maestoso può essere abbattuto con tanti colpi di una piccola accetta!"
Nel sentire queste parole, Lugh spalancò gli occhi, restando in silenzio per qualche secondo, poi li richiuse e un sorriso gli comparve sul volto
"Una… lezione encomiabile… peccato giunga così tardi… quante altre avrei potuto impararne se fossi stato… migliore…. Aircethlam… amico mio… presto… ci… rivedremo…" sussurrò, spegnendosi serenamente.
Accanto a lui, Alcor continuò a fissarlo, improvvisamente carico di un'amarezza che non aveva nulla a che fare con il dolore delle ferite, poi crollò esausto in ginocchio, mentre una nuova tormenta di neve si abbatteva su Asgard.