Il canto del Cigno
Ascoltando "Epitaph"
La leggenda racconta che il cigno, in punto di morte, intoni un canto di bellezza inaudita, che si solleva verso l'alto ed il vento trasporta nelle lande del nord. Dopodiché, china l'elegante collo e più non vive.
Gli ultimi aliti di gelida brezza, prima del tramonto, schiaffeggiarono il volto scavato del vegliardo. Attorno a lui, una sconfinata distesa di ghiacci travalicava i più remoti confini dello sguardo, e la luce si perdeva in giochi di rifrazione trasformando l'aria in polvere adamantina: bagliori soffusi, lacrime imperiture del sole che s'apprestava ad abbandonare per una lunga notte le meravigliose terre del Nord. Solitario in mezzo a quella taciturna atmosfera di addio, l'anziano schiuse gli occhi. Piangeva. Le iridi azzurre, bagnate di acqua benedetta, emanavano la potenza delle stelle primigenie, ma insieme la tristezza e la malinconia del tempo trascorso, della giovinezza perduta, degli amici lontani; un eterno riposo calava su quel viso, l'ultimo abbraccio della morte lentamente si infondeva nelle fragili membra.
A fatica, Hyoga del Cigno si alzò in piedi.
- Non è ancora giunto il momento - commentò tra le labbra increspate da un sorriso. Sistemò con un bastone la brace che fumava vicino a lui, e si mise a fissare intensamente l'orizzonte. La sua mente andava ad eventi passati, s'addentrava nelle gallerie della memoria perdendosi in miriadi di ricordi; per qualche attimo li assaporò con dolcezza.
Aveva creduto, dopo la temeraria impresa nell'Ade, di essere finalmente libero. Non più guerre divine, scontri mortali né sofferenze estreme. Ma ben presto si era accorto che la prova più dura doveva ancora giungere. Facile vivere lottando per la giustizia, difendendo Athena e l'umanità, sconfiggendo nemici corrotti: chiari il senso e lo scopo dell'esistenza, consegnati ad occhi chiusi al destino e guidati dalla Vergine Guerriera. In anni ed anni di addestramento aveva conquistato l'investitura di cavaliere, poi, imparando a morire aveva domato la morte; in tempo di sciagure, nulla è più nobile di essere eroi nel corpo e nello spirito. Eppure si ritrovò uomo senza saper niente della vita, della storia, della mediocrità. Intravide dentro di sé un animo puro, ma la mente vuota ed il pensiero fiacco. Per la prima volta, quasi ventenne, Hyoga ebbe veramente paura della vita. E, per uno strano caso, iniziò ad amarla con l'ardore dei disperati.
Al varco di una nuova esistenza lo aveva raggiunto la solitudine: non più santo di Athena, ormai un semplice cavaliere errante.
Il vecchio si inginocchiò, in atto di preghiera; dopo alcuni istanti di interminabile silenzio, aprì la bocca per un timido sussurro:
- Athena, regina degli immortali: il tuo fedele scudiero sta per andarsene; questa volta per sempre, credo. In tre circostanze sono morto e poi ritornato dall'Ade: Caronte esige la mia anima senza altri scherzi ed oggi non voglio deluderlo. Athena, luce della mia vita. Grazie di essermi stata accanto nei momenti duri, nella solitudine, nella disperazione. Grazie per aver brindato con me negli attimi di felicità. Mi hai reso un eletto, e credo di non aver mai compreso fino in fondo il tuo dono. Vado via solo, e lascio i compagni qui; ho sognato l'altra notte che si erano riuniti al Grande Tempio. Troppo tardi purtroppo, almeno per me.
Manda, ti prego, il mio saluto più caro e dì loro che mi recherò ad attenderli alle porte del Paradiso e che non li ho mai dimenticati, benché siano trascorsi molti inverni dal nostro ultimo incontro. Non me ne abbiano se li abbandono adesso.
Athena, dammi le forze per l'ultima battaglia. Addio…-.
Le parole del vecchio si alzarono dolcemente verso il cielo, spesso interrotte da lunghi silenzi: Hyoga si accorse, nonostante tutto, di essere ancora tremendamente vulnerabile alla paura. Sapeva di non poter nulla contro la falce fatale che stava per recidere il suo stanco e debole stelo. Ma avrebbe diretto lui l'ultima scena.
Mancava poco meno di un'ora all'avvento della sera, ed il rosso infuocato riflesso nel mare svaniva velocemente. Il vecchio era in meditazione; di fronte a lui stava l'armatura del Cigno, fulgente come mai prima. Da fuori appariva tranquillo e rilassato, ma il suo animo era dilaniato dai sentimenti; tentava disperatamente di recuperare la forza antica del suo passato, il cosmo divino. Scagliare per l'ultima volta il potentissimo colpo di Aquarius e congelare così le sacre vestigia in una bara di ghiaccio, che soltanto il nuovo re delle energie fredde avrebbe potuto distruggere. Questo era il piano di Hyoga: il tocco finale dell'artista. Sette anni per prepararlo, per ritrovare la potenza mentale di un tempo. Aveva deciso, ricordando lo scontro di Ikki alla sesta casa di Virgo, di raggiungere la forza necessaria privandosi l'uno dopo l'altro dei cinque sensi; sentiva di poter padroneggiare tale tecnica, benché l'avesse appresa diversi lustri addietro.
Finalmente, il fuoco di Hyoga cominciò a brillare alto e splendente.
Riaprì gli occhi per l'estremo sguardo ad Asgaard, la terra dei ghiacci eterni; abbracciò con dolore quel mondo tremendo eppure così sublimato di pace e di armonia con la natura. Scrutò il mare agitato quasi fosse alla ricerca di qualcuno e sentì con forza gemiti di pianto farsi sotto e premere in gola…Poi tutto svanì e comprese di aver iniziato l'ultima battaglia. Lentamente perse contatto con il ghiaccio su cui sedeva inginocchiato, ma dentro di sé percepiva il cosmo aumentare a dismisura e di colpo provò un senso di euforia: abbandonato il corpo oramai divenuto soltanto un peso inutile, espresse con un grido la voglia palpitante di alzarsi in volo. Purtroppo questa sensazione durò pochi istanti, poiché si accorse ben presto che il suo spirito era intrappolato in una prigione di cui non aveva più controllo, una presenza che ottundeva le sue percezioni e quasi soffocava la mente. Dovette lottare contro la follia che imperversava trai suoi pensieri, placare l'animo con immagini di dolcezza; e per un caso gli apparve un viso femminile straordinariamente caro. Ho dovuto lottare per dimenticarti, madre. Che assurdità! Il mio nemico più forte era dentro di me ed aveva le più liete fattezze, quelle materne. Per rivederti ho conquistato l'armatura, e ho ucciso le persone a me vicine. Strano destino il mio…Adesso ci ricongiungeremo negli abissi dell'Oceano, uniti per sempre. Ma tuo figlio più non vivrà nelle terre dei mortali.
Hyoga, con grandissimo sforzo, ritrovò la concentrazione perduta e d'un colpo si privò dei restanti tre sensi. Il buio si impadronì di lui, mentre il disco infuocato spariva ad occidente inviando a quel cavaliere un debole raggio di vita. Ed il cosmo ultimo del Cigno divenne tremendo ed abbagliante; i ghiacci attorno a lui cominciarono a sgretolarsi, il vento ad urlare tra le acque e le gole profonde di Asgaard. Hyoga si sentì prossimo al settimo senso, e contemporaneamente una forza gigantesca si condensò nel suo corpo: l'energia scorreva indiavolata nelle vene, pronta a sprigionarsi quasi fosse un vulcano in eruzione. Ma il vecchio ne manteneva saldamente le catene, attendendo l'attimo giusto per scagliare lo zero assoluto. Dentro di lui pulsava il cuore dell'Universo, ed ardeva la fiamma di un'intera costellazione. Nessuno avrebbe potuto contrastarlo. Crebbe il tumulto della natura, crebbe l'aura d'oro attorno a lui, ché ormai brillava di luce propria. Alzò le braccia ed incrociò le mani. Tutto si fermò, e fu il silenzio che presagisce la tempesta.
Immobilizzato in quella posa fatale, quasi chino per lo sforzo spaventoso, Hyoga percepì una sensazione estranea, nuova, ma leggera, che turbò quell'atmosfera giunta allo spasimo. Si bloccò: proveniva dal cuore. Qualcosa stava avvolgendo dolcemente il suo animo, lieve eppure insistente. E' assurdo!!! Nulla adesso può sconvolgermi: sono già privo di tutti i sensi, il mondo è per sempre reciso da me!!! Intanto quella presenza misterica divenne all'improvviso amichevole, quasi familiare: il cavaliere tentò di afferrarla per capire, per far emergere memorie lontane…Il cuore soltanto è ancora vivo, ed esiste un'unica potenza in grado di giungere fin lì attraversando il corpo…E come uno squarcio fra le nuvole, riconobbe il canto sublime di una cetra che numerose volte aveva in passato risuonato per quelle regioni glaciali: il bellissimo requiem di Mime adesso riviveva per lui, in lui, in quell'ora di morte e di attesa incontenibile. Non è possibile! Il tragico cantore di Ilda perì molti anni fa…ma chi è allora? E perché tale cosmo mi sembra così forte, buono eppur lontanissimo?
Mentiva, Hyoga. Sapeva benissimo che un'unica persona al mondo era in grado di riprodurre così bene la tecnica di Mime. Una persona da questi sconfitta durante la lotta, ma in seguito spinta ad apprendere l'arte di Orfeo per onorarne il triste ricordo. E adesso quella persona lo stava chiamando per nome, o forse voleva semplicemente mandargli l'ultimo addio.
Shun!!!!!!! Quasi ti lasciavo senza salutarti!!! Guarda la vanità e l'arroganza dove mi hanno spinto! Che meschina figura di fronte a te, amico e fratello di vita!
Tali pensieri, in realtà durati un attimo, avevano frenato la partenza del colpo. E convinsero Hyoga che era ancora presto per morire: il desiderio di rivedere i compagni, gli amici di tante avventure e sciagure, lo colse repentinamente. Le sue membra, adesso rinvigorite dall'energia cosmica, parevano quelle della giovinezza; recuperando la forza da remoti e sconosciuti poteri, si rialzarono fra tremende sofferenze e si gettarono nuovamente alla vita. Troppo tardi.
Attorno al cavaliere più non v'era distesa di ghiacci, distrutta per ampi spazi dal cosmo tremendo che aveva sprigionato; resisteva soltanto il picco su cui stava preparando il colpo. Sotto, il baratro lanciato verso il mare. Hyoga, non più padrone del proprio corpo, fallì nel tentativo di fermarsi e precipitò nell'abisso.
S'udì allora un urlo agghiacciante, nero nella sua disperazione, e con esso, quasi senza volerlo, si liberò brutalmente il Sacro Aquarius.
L'oceano artico accolse il corpo incosciente dello sventurato e lo inghiottì tra i flutti. Ma ben presto la potenza di quel colpo, scagliato con tale rabbia da poter congelare perfino una stella, lottò contro le forze della natura e le sconvolse con la sua opera devastatrice. In risposta al grido del Cigno, squarciando come una folgore le acque del Nord, emerse dal mare una colonna di ghiaccio e di cristallo che per diverse centinaia di metri si gettò contro il cielo, quasi a volerlo sfidare, per ferirlo mortalmente. Tutto ciò si svolse nel giro di pochi secondi. La volta scura del crepuscolo fu illuminata a giorno, poi ripiombò nel buio e nel silenzio.
La lunga e gelida notte boreale iniziava, e soltanto mesi dopo qualche errabondo viaggiatore avrebbe visto che intrappolato in quell'enorme bara trasparente v'era il cadavere di un uomo, rivestito di una splendida armatura dorata, a forma di Cigno.
Nello stesso momento al Grande Tempio, sotto gli sguardi sconvolti degli scudieri di Athena, iniziò a nevicare fittamente e non smise finché tutta l'Acropoli ne fu completamente ricoperta; soltanto alle dodici case decifrarono quei segni, e piansero per l'ultimo addio di Hyoga.
Si narra che, nel medesimo giorno, molti anni dopo gli eventi qui narrati, quando ormai l'era degli umani si avviava al tramonto, nel cielo vi fu l'incredibile esplosione di una supernova; per venti settimane si potette assistere allo sconvolgente e, piuttosto raro, fenomeno, poi Deneb, coda e stella alfa del Cigno, sparì per sempre dalla volta celeste.
Aprile 2001
"Alla memoria del piccolo sottotenente"
Edipo Re