Prologo
Santuario, seconda metà del Settecento
Tien-Zin della Vergine, ultima incarnazione del Buddha, regnava ormai da qualche anno, succeduto al precedente Grande Sacerdote. Una volta eletto aveva continuato a fare quello che faceva prima, cioè sedere in meditazione, espandendo sempre più il suo cosmo. Per raggiungere il Nirvana gli mancavano solo due cose: la pietà, e l’umiltà. Ma era troppo orgoglioso per capirlo. Quando il vecchio Sacerdote aveva abdicato aveva subito scelto lui per succedergli, sebbene vi fossero altri tre candidati che potevano legittimamente aspirare al trono: Sion dell’Ariete, Dauko della Bilancia e Adam dello Scorpione.
In quel tempo, come nelle altre corti d’Europa, anche al Santuario vi era una schiera di nobili e aristocratici, immensamente ricchi, gelosi dei propri privilegi e convinti di essere superiori agli altri. Erano i Cavalieri d’Oro. Quando non indossavano l’armatura, vestivano con abiti sontuosi, e le Dodici Case erano dei veri e propri palazzi, traboccanti di marmi, mobili pregiati, sculture e dipinti. A fianco di ciascuna di esse vi erano ampi giardini, con fontane e giochi d’acqua, che ricordavano quelli delle più famose regge europee dell’epoca, Versailles su tutte.
Il palazzo del Grande Sacerdote era di una magnificenza senza pari: Tien-Zin risiedeva lì, mentre la residenza privata sulla Collina delle Stelle era abbandonata e in rovina, così come la statua di Athena, piena di crepe che nessuno si preoccupava di riparare. Sebbene passasse la maggior parte del suo tempo in meditazione, Tien-Zin non era affatto indifferente al lusso e alla ricchezza: amava le comodità, che considerava come la premessa necessaria a liberarsi degli impedimenti terreni e a raggiungere il Nirvana. Nonostante questo errore di fondo, aveva fatto notevoli progressi, più di tutti i Cavalieri della Vergine che lo avevano preceduto: ma non avrebbe mai raggiunto lo stato ultimo.
A quel tempo il titolo di Cavaliere d’Oro passava di padre in figlio: il periodo di addestramento era necessario e obbligatorio, ma spesso i rampolli lo prendevano molto alla leggera, e si impegnavano quel tanto che bastava a conquistare l’Armatura d’Oro. Athena, la giustizia, proteggere gli uomini, erano cose che a loro interessavano assai poco.
I Cavalieri d’Oro guardavano con aperto disprezzo i rappresentanti degli altri due ordini: solo qualche cavaliere d’argento poteva, di tanto in tanto, frequentarli, ma non si sarebbero mai abbassati a parlare, e tantomeno a combattere fianco a fianco, con un cavaliere di bronzo. Allora come oggi, i cavalieri d’argento e di bronzo erano orfani, strappati a un destino di povertà, miseria e morte prematura da chi aveva visto in loro il cosmo, e li aveva addestrati per diventare cavalieri. In quel tempo la Grecia era sotto il dominio dei Turchi Ottomani ormai da più di trecento anni, e i giorni di gloria dell’età di Pericle, del Partenone e dei Giochi Olimpici erano ormai un ricordo lontano quanto la stessa epoca mitologica. Era solo grazie al loro status di Saints che i cavalieri di bronzo e d’argento potevano risiedere al Grande Tempio. All’epoca erano state assegnate ben 73 armature su 88, un numero mai raggiunto né prima né dopo.
Tra i Cavalieri d’Oro, gli unici che si elevavano al di sopra dell’endemica decadenza della loro casta erano proprio Sion dell’Ariete, Dauko della Bilancia e Adam dello Scorpione.
Sion, discendente del popolo di Mu, gli alchimisti che all’inizio dei tempi aiutarono Athena a forgiare le armature, era famoso per la sua capacità di riparare le corazze, e i suoi immensi poteri di telecinesi imponevano di trattarlo con rispetto, se non altro perché, un giorno, sarebbe potuto capitare di aver bisogno di lui. La Casa dell’Ariete, dai caratteristici tetti a pagoda, aveva un aspetto dimesso, che contrastava con la magnificenza delle altre.
Dauko della Bilancia, come Sion e lo stesso Tien-Zin, non era nato in Grecia: era infatti originario della Cina, e là era tornato dopo aver conquistato l’Armatura d’Oro. Tutti conoscevano la sua forza, e lo stesso Grande Sacerdote ne aveva timore, tanto da non fare nulla per costringerlo a restare al Santuario, come imponeva la legge: in uno scontro aperto con Dauko la sua vittoria non sarebbe stata per niente scontata. Dauko non partecipava quindi alle riunioni periodiche dei Cavalieri d’Oro, ma andandosene aveva assicurato che sarebbe ritornato se fosse stato indetto un Chrisos Sunaghein. La Settima Casa della Bilancia veniva mandata avanti dai servitori, e come quella dell’Ariete era arredata in modo essenziale.
Adam dello Scorpione era nato sull’isola di Milos, nell’arcipelago delle Cicladi. Sebbene fosse anch’egli di famiglia nobile si distingueva dai suoi pari per la riconosciuta moralità e sobrietà, per la profonda umanità che dimostrava verso i servitori e per la grande autorità che ispirava. I continui allenamenti avevano ben temprato il suo fisico, e la sua saggezza aveva superato i confini del Santuario: spesso scendeva in mezzo alla gente comune, e parlava con gli umili e i diseredati, la cui compagnia egli preferiva a quella dei boriosi Cavalieri d’Oro. La Casa dello Scorpione era ricca e sontuosa come si addiceva alla dimora di un nobile, ma di gusto più misurato rispetto alle altre.
Sion, Dauko e Adam furono tra i pochi a capire cosa stava per succedere. E questa fu, forse, la loro salvezza.