CAPITOLO X

IL DESTINO DEI CAVALIERI

Molto tempo dopo la partenza dei cavalieri di bronzo, Ishtar riaprì gli occhi. Con una smorfia, si premette una mano sulla terribile ferita e pronunciò poche parole nell’antica lingua dei Sumeri. In pochi attimi, la ferita si richiuse, e di essa non rimase che uno strappo nel vestito.

- Maledetta Athena – mormorò, sistemandosi a sedere sul trono – Non finirà così ! -

Lungo le terrazze della grande Torre di Babilonia, i tre cavalieri sopravvissuti alla battaglia erano immersi ciascuno nei propri pensieri.

Alla prima terrazza, Guan del Toro Celeste levò gli occhi al tempio lontano, e si chiese se Ishtar gli avrebbe ancora concesso fiducia. La sua fedeltà alla Dea di Babilonia era indiscussa, ed egli desiderava sinceramente aiutarla nella grande battaglia per l’Universo che, tutti lo sapevano, sarebbe scoppiata di lì a poco. La sconfitta subita per mano di Asher dell’Unicorno gli aveva insegnato il rispetto per qualsiasi avversario, e forse aver perso aveva fatto di lui un cavaliere migliore.

Alla quarta terrazza, il divino Asum era ancora seduto al centro del cerchio di pinnacoli di roccia da lui stesso eretto. La consapevolezza di aver sprecato l’intera sua esistenza lo aveva investito con la stessa forza di un masso che precipita da una montagna. Gli occhi chiusi, si sollevò in aria, senza abbandonare la posizione a gambe incrociate, fino a posarsi in cima ad uno dei pinnacoli di roccia. Doveva ritrovare la purezza dei suoi primi anni, se voleva ricominciare da capo. Sprofondò nella meditazione, chiedendosi cosa fare della sua vita da quel momento in avanti.

Alla quinta terrazza, il grande e potente Gilgamesh del Leone Sovrano si era spogliato dell’armatura danneggiata, e si stava medicando le numerose ferite, ricordo dello scontro con Asher dell’Unicorno. Non aveva perso la sua arroganza, e anelava a confrontarsi ancora con i cavalieri di Athena. La sconfitta della sua Dea, e soprattutto la morte di Enkidu, dovevano essere vendicate.

Ma dal deserto orientale qualcosa, o qualcuno, si stava avvicinando. Dapprima fu solo una sensazione, un’impressione della durata di un attimo. Poi, quando il cosmo straniero si rivelò in tutta la sua potenza, la percezione della sua vastità percosse la mente dei tre cavalieri di Ishtar come un martello calato sull’incudine.

Il cosmo straniero si stava avvicinando sempre più, e in un batter di ciglia i tre cavalieri lo avvertirono mentre iniziava a salire la gradinata della grande Torre di Babilonia.

Guan del Toro Celeste era pronto alla battaglia. Ma non fece nemmeno in tempo a scagliare il suo colpo segreto. Qualcosa di più bruciante delle fiamme lo attraversò da parte a parte, polverizzando l’armatura color della luna. Il cavaliere del Toro Celeste cadde all’indietro, morto sul colpo.

Asum era disceso dal pinnacolo di roccia, e il suo vasto cosmo concentrato al massimo grado all’interno del cerchio si era fuso con l’antica energia racchiusa in quello spazio, formando intorno a lui una barriera invalicabile anche per una Divinità: nemmeno Ishtar avrebbe potuto oltrepassarla senza l’esplicito consenso del cavaliere guardiano del Sole.

Ora Asum poteva percepire il cosmo straniero avvicinarsi, e lo sentì salire sulla quarta terrazza. D’improvviso avvertì una specie di violentissimo vento, che trascinava ogni cosa verso il minaccioso cosmo venuto a sfidarlo proprio dove più forte era il suo potere. Gli alti pinnacoli, scolpiti dagli elementi nelle più dure rocce della Cappadocia, vennero divelti come canne di palude, e inghiottiti da quell’immenso vortice. E con terrore Asum si accorse che il suo stesso cosmo veniva risucchiato in un turbine di rosse fiamme. Prosciugato della vita, il corpo di Asum si afflosciò al suolo, ridotto ad un semplice involucro.

Per la prima volta in tutta la sua vita Gilgamesh del Leone Sovrano conobbe la paura. Aveva affrontato mille avversari, aveva udito le gesta di mille guerrieri e i racconti di mille combattimenti, ma nessun potere a lui noto poteva sconfiggere così velocemente il divino Asum e ridurlo in quello stato. Ma anche se nei suoi occhi era apparso il terrore, e gocce di sudore gli brillavano sulla fronte, non perse la calma. D’improvviso, sentì la voce di Ishtar che lo chiamava :

Se non poteva difendere la quinta terrazza, poteva almeno difendere la sua Dea. Si era appena voltato per correre al tempio, quando si rese conto che il cosmo straniero era apparso alle sue spalle. Anche se danneggiata, aveva indossato nuovamente l’armatura, e benché fosse ferito non intendeva certo tirarsi indietro. Il suo vastissimo cosmo bruciò intorno a lui come mai prima, ed egli lo riversò tutto nel suo colpo segreto.

Fu l’ultima sua mossa. Il terribile colpo del più grande eroe di Babilonia non valse a nulla. L’armatura color della luna non resse al tremendo impatto, e venne polverizzata in un lampo. Sangue sprizzò da ogni cellula del suo corpo, e Gilgamesh del Leone Sovrano morì senza aver nemmeno visto in faccia il suo uccisore.

Il cosmo straniero giunse al tempio di Ishtar, punto culminante della grande Torre di Babilonia. La Dea si alzò dal trono sul quale era seduta, puntando in avanti il bastone d’argento.

Anche se non era riuscita a recuperare tutto il suo antico potere, Ishtar rimaneva una delle più forti Divinità del mondo intero. Quando scendeva personalmente in campo, un sacro terrore si impadroniva di chiunque la vedesse in battaglia. Non si sarebbe lasciata sconfiggere una seconda volta. Il suo cosmo divino esplose dietro di lei, e la grande Dea di Babilonia si preparò al combattimento.

Fu allora che Ishtar riconobbe a chi apparteneva quel cosmo. E a quella rivelazione seguì una subitanea paralisi di tutto il suo corpo. Il bastone d’argento le venne sfilato di mano, e cadde a terra frantumandosi : le ali della colomba erano spezzate.

E per la prima volta dall’epoca dei miti, anche la potente Ishtar, la grande Dea di Babilonia, conobbe il terrore.

La voce continuò, deridendola.

Ishtar non poteva nemmeno parlare, perché la paralisi le teneva bloccata anche la lingua.

Gli istanti che seguirono furono gli ultimi della sua vita immortale.

Il cosmo straniero la investì più e più volte, e ad ogni assalto le strappava uno dei simboli del suo potere.

L’alta corona d’oro, gli orecchini, la collana di perle, il pettorale d’oro e pietre preziosi, gli anelli e la cintura caddero a terra uno dopo l’altro, con un tintinnio metallico. Anche il lungo vestito le venne strappato di dosso.

Nuda e totalmente inerme, quella che un tempo era stata una Divinità in grado di rivaleggiare alla pari con Athena stessa venne consumata da una fiamma eterna.

La grande Torre di Babilonia iniziò a collassare su se stessa, finché di essa non rimase che un cumulo di rovine battute dal vento del deserto.

E tra quelle rovine echeggiò la risata di un demone antico e malvagio. 

Asher e i suoi compagni erano quasi giunti ai confini della zona sacra del Grande Tempio. Con loro c’era Patricia, che finalmente poteva rivedere la sua casa. Prima Khalì, poi Ishtar : non avrebbe mai dimenticato la sua terribile esperienza.

I cavalieri non avvertirono che un’eco lontana di quanto stava accadendo a Babilonia. Ma quell’eco fu sufficiente a mostrare loro l’infinita vastità di quel cosmo minaccioso.

- Che succede ? –

- Cos’è…cos’è questo ? –

Tutti erano confusi e agitati, ma una voce imperiosa venne a portare un po’ di calma tra loro.

Davanti ai bastioni della porta principale del Grande Tempio, sui quali decine di guardie sorvegliavano la zona circostante in pieno stato d’allerta, era apparso Shaka della Vergine.

Asher e gli altri si inginocchiarono prontamente. Era un rispetto dovuto a qualsiasi Cavaliere d’Oro, e a Shaka più di tutti. Patricia, non sapendo bene cosa fare, si inginocchiò anche lei.