Capitolo V
IL SIGNORE DEGLI ANIMALI
Il terzo edificio versava in uno stato di totale rovina. Numerosi tratti del muro erano crollati, e sulle pietre cadute crescevano stentati ciuffi di erba giallastra. Uno dei battenti di bronzo della porta era divelto dai cardini, e pendeva come una bandiera afflosciata in assenza di vento. All’interno, il pavimento era un tappeto di foglie secche e sterpaglie, e le poche colonne rimaste ancora in piedi erano ricoperte di muschio e soffocate da tralci di edera. Le numerose aperture nel soffitto testimoniavano frequenti crolli del tetto, e la luce del sole entrava ad illuminare quella desolazione.
I cavalieri di bronzo avanzavano con circospezione. Avevano imparato a loro spese che un nemico poteva celare il proprio cosmo per attaccarli di sorpresa, e i loro occhi scrutavano con attenzione ogni angolo di quelle rovine.
D’improvviso, da una navata laterale, qualcosa si gettò su di loro con un urlo selvaggio. Ma Aspides riuscì a frenare l’attacco del misterioso assalitore.
La scalinata che conduceva alla quarta terrazza era crollata, ma era un salto davvero da poco per dei cavalieri. Asher, Black e Geki lasciarono il terzo edificio, questa volta senza sorprese, e ripresero la corsa, mentre Aspides si preparava al combattimento.
Se il cavaliere di bronzo dell’Idra non era certo un campione di bellezza, lo stesso si poteva dire del suo avversario. La splendente armatura contrastava con la bruttezza del suo aspetto: la barba incolta, i lunghi capelli unti e spettinati, la veste lacera e sporca che si intravedeva sotto la corazza facevano di lui il degno guardiano di quel luogo desolato e in rovina.
Non pareva davvero temibile come avversario, ma Aspides non si lasciò ingannare. Se Ishtar l’aveva scelto tra i suoi guerrieri, ponendolo a difesa della terza terrazza, il suo potere doveva essere grande. Il cavaliere dell’Idra ricordò le parole di Gilgamesh, anche se per quanto si sforzasse gli riusciva difficile immaginare che quella specie di selvaggio celasse un potere pari a quello dei Cavalieri d’Oro del Grande Tempio.
Enkidu attendeva a piè fermo l’attacco di Aspides. Il suo portamento era fiero ed eretto, e la brillante armatura che lo ricopriva lo rendeva meno ripugnante. I coprispalla terminavano in teste di lupo, così come l’elmo, le cui fauci spalancate erano orribili a vedersi. La cintura era una sorta di gonnellino di piastre appuntite, e al centro era incastonato uno smeraldo azzurro.
Spostandosi di lato all’ultimo istante, evitò gli artigli dell’Idra diretti al suo collo. Con un semplice sgambetto fece cadere Aspides, e prima che il cavaliere di bronzo riuscisse a rimettersi in piedi contrattaccò.
Balzò in avanti con uno scatto fulmineo, e gli ultimi dubbi di Aspides furono fugati : la velocità del suo avversario era davvero pari a quella di un Cavaliere d’Oro.
E il colpo non fu da meno.
Dalle mani di Enkidu sorsero dei fasci di luce, che travolsero Aspides. Erano colpi precisi, diretti, di grande potenza. Tutti andarono a segno, perché il cavaliere dell’Idra non era nemmeno riuscito a vederli.
Scaraventato in aria, Aspides batté contro il soffitto, lasciandovi la sua impronta, e ricadde a terra. Alcuni blocchi di pietra si staccarono e precipitarono su di lui, seppellendolo.
Ma una mano emerse da sotto le pietre, e Aspides, coperto di sangue e di ferite ma ancora vivo, riapparve in mezzo alla frana.
Aspides venne nuovamente travolto, e ricadde di schiena sulla frana da lui stesso provocata.
Ma non era finita. Enkidu attaccò di nuovo, e questa volta i fasci di luce avvolsero Aspides in una stretta mortale, stritolandogli le ossa e soffocandolo.
Se anche avesse voluto rispondere, Aspides non ci sarebbe riuscito. I fasci di luce si erano mutati in unico, grande serpente, e le spire stavano per spezzargli il collo. Il mostro brillava di una luce argentea, emanazione diretta del cosmo di Enkidu.
Mentre Aspides si contorceva, tentando vanamente di liberarsi, Enkidu si rivolse telepaticamente a colui che era suo amico e signore.
Dall’alto della quinta terrazza, Gilgamesh osservava la corsa dei cavalieri di bronzo. Il potente cavaliere di Ishtar non condivideva la fiducia dell’amico in una facile vittoria, e sotto l’elmo il suo sguardo si corrugò.
Enkidu era sicuro della vittoria, e non dette peso alle parole di Gilgamesh. Tornò compiaciuto ad osservare gli spiriti della steppa che, sotto le sembianze del grande serpente, stavano ormai per avere ragione di Aspides.
Ma il cavaliere dell’Idra non era ancora battuto.
Era nelle condizioni più estreme che si apriva la via per raggiungere il cosmo ultimo. L’aura grigiastra dell’Idra iniziò ad allargarsi intorno a lui, e per la prima volta Aspides dell’Idra si risvegliò al Settimo Senso.
Aspides raccolse tutte le energie rimastegli, e con uno sforzo immenso si liberò delle spire del grande serpente. I fasci di luce brillante scomparvero nell’aria, e lui toccò nuovamente terra con i piedi.
Questa volta, Aspides riuscì a vedere che i fasci di luce avevano preso la forma di un enorme lupo. La bestia lo azzannò alla gola, straziandogli il corpo con gli artigli affilati.
Ma la risata gli morì in gola. Incredulo, Enkidu osservò Aspides vibrare un preciso colpo, e il lupo si accasciò a terra, scomparendo in un lampo di luce.
I fasci di luce avvolsero nuovamente Aspides, ricreando il serpente. Ma gli artigli dell’Idra squarciarono le spire luminose, che caddero a terra contorcendosi prima di scomparire.
- Non lo capisci che è inutile ? Qualunque fiera risveglierai dalla steppa, il risultato sarà sempre lo stesso ! –
- Se anche le uccidessi tutte non basterebbe comunque a sconfiggermi ! Vieni avanti ! Non perderò questo scontro, stanne certo ! –
Enkidu ed Aspides si lanciarono l’uno contro l’altro, scambiandosi una serie di colpi a mezz’aria. Toccata nuovamente terra, Enkidu fece per voltarsi e sferrare un nuovo attacco, ma scoprì di essere stato ferito : un triplice squarcio sulla coscia, nel punto in cui le ginocchiere e la cintura non coprivano la gamba.
L’effetto del veleno dell’Idra cominciava a farsi sentire.
Aspides aveva spiccato un balzo in aria, e si era gettato contro Enkidu. Come prima, quando l’aveva colpito alla coscia, gli artigli dell’Idra uscirono dalle ginocchiere, e questa volta raggiunsero Enkidu al collo, proprio sotto il mento. Con la mano libera lo colpì ripetutamente al volto, spingendolo a furia di pugni contro uno spezzone di colonna.
Un rivolo di sangue colò dalla bocca di Enkidu, la cui espressione si distese in un sorriso stentato.
Enkidu si accasciò a terra, la schiena appoggiata a quanto restava della colonna. I suoi occhi si chiusero per sempre, mentre mormorava le sue ultime parole.
Ma anche Aspides era gravemente ferito. I numerosi colpi subiti avevano fiaccato la sua resistenza, e cadde a terra, a faccia in giù.
Dall’alto della quinta terrazza, Gilgamesh sentì che la vita aveva lasciato per sempre Enkidu, il suo amico più caro. Le lacrime scesero a bagnare il suo volto, e non si curò di trattenere i singhiozzi.
- Enkidu…io…ti vendicherò…- mormorò, stringendo i pugni.