CAPITOLO XIII
Generazioni a confronto
Leno e Sibrando discutevano insieme lungo il tragitto che univa l'arena ai piedi del monte del Tempio seguiti, qualche passo più indietro, dagli attenti allievi in rispettoso silenzio. Il vento si era da poco alzato e i rami mossi dei pini domestici, che qua e là davano un po' d'ombra ai dolci, ma spogli, rilievi della zona, sembravano voler salutare il passaggio dei guerrieri pronti a compiere il proprio dovere.
"Sibrando, come hai intenzione di cominciare il tuo allenamento? Andrai avanti con esercizi fisici o ti cimenterai immediatamente con tecniche di affinazione del cosmo?"
"In verità, Leno, credo che proporrò ancora delle attività fisiche a quei giovanotti, prima di iniziare la seconda fase: è vero, i miei allievi dovranno possedere vaste abilità mentali, ma nemmeno loro possono esimersi dagli sforzi puramente corporei".
"Stanno parlando di noi, hai sentito?" sussurrò DeathMask a Shaka, coprendosi la bocca con la mano. Il compagno non rispose ma lasciò intendere di aver capito. Milo e Aldebaran furono a loro volta molto incuriositi dalle parole dei Cavalieri quando vennero presi in considerazione da maestro Leno:
"Ritengo che Aldebaran e Milo abbiano un approccio già molto buono al combattimento fisico: il giovane Scorpio è molto rapido e preciso nei colpi che reca all'avversario, ricordo il suo scontro con Camus; Aldebaran invece ha una forza fisica spaventosa e nel corpo a corpo ha fatto una bella impressione contro di te. Devono però apprendere molte cose sulla difesa, ed è da lì che comincerò, sperando in futuro di poter loro trasmettere anche i rudimenti delle arti mentali, in modo da ampliare le capacità dei rispettivi ruoli, tutto sommato molto legati alla lotta fisica".
"Beh, in fondo le abilità che possiedi te lo consentirebbero..." fece Sibrando "...Ampliare le loro capacità mentali potrebbe essere un buon asso nella manica nei duelli contro avversari spiritualmente superiori. Ho la sensazione che il più adatto ad apprendere queste nuove abilità sia Milo: adoperare l'arcana arte mentale della costrizione del corpo è una finezza che i Cavalieri dello Scorpione tradizionalmente riescono a sviluppare con relativa facilità".
"Spero, infatti, che riesca ad adoperare le Onde di Scorpio già prima della sua investitura. Ad Aldebaran, invece, cercherò di insegnare l'importanza della ponderazione e della meditazione".
Il piazzale delle colonne, ai piedi delle Dodici Case, era ormai ben visibile: i Cavalieri smisero di scambiarsi le proprie opinioni e tacquero per qualche secondo. I giovani si guardarono perplessi, non comprendendo il perché di quella interruzione.
"Eccoci, siamo arrivati..." fece Leno voltandosi ed aggiungendo con un sorriso "...Milo, Aldebaran, di qua, c'è molto da fare". I due giovani annuirono e dopo un'occhiata di intesa con gli altri due amici, corsero dietro al maestro. Leno occupò la parte destra dell'ampio spiazzo in pietra bianchissima, sotto lo sguardo tranquillo di Sibrando, ancora fermo con i suoi allievi sui piccoli gradini in pietra che dividevano il selciato dal piazzale.
"Su, andiamo ad occupare l'altra metà e cominciamo".
Nel frattempo, in uno dei cortili minori dell'Accademia, adibito a palestra all'aperto, Vera aveva appena dato inizio all'allenamento, ordinando ai suoi allievi di riscaldarsi con un duello fisico, durante il quale avrebbero fatto a meno del cosmo. L' acuto spirito di osservazione e la naturale predisposizione all'insegnamento spingevano la Sacerdotessa ad intervenire sovente durante la battaglia con consigli, moniti ed incitamenti rivolti ad entrambi i contendenti; sapeva dosare bene le parole ed analizzava con grande maestria ogni situazione, intuendo quando fosse necessario usare toni bruschi, per attirare l'attenzione dei suoi allievi, e quando, invece, fosse preferibile un atteggiamento più persuasivo, per incitarli e mantenere il morale sempre alto:
"Difesa più alta Aphrodite, braccia ben in vista, non permettere al tuo avversario di scorgere punti deboli. Con più efficacia, Camus, non puoi permetterti cali di concentrazione!"
I due allievi continuavano senza sosta, rispondendo con un sì convinto ad ogni suggerimento della Sacerdotessa. Il clamore dei versi, delle parole e dei suoni che provenivano dal cortile, attirarono l'attenzione di un piccolo gruppo di curiosi, tra Cavalieri e comuni lavoratori dell'Accademia che, prima di riprendere le proprie mansioni, si intrattennero per osservare interessati. Vera notò che tra i presenti c'erano anche alcune compagne tra cui Kassandra e Agape, ma decise di non distrarsi, continuando ad osservare con attenzione i movimenti dei suoi allievi, e nel contempo dando prova di grande disciplina agli occhi dei giovani Cavalieri di Bronzo assiepati sotto il colonnato che circondava la piccola arena. I suoni dei colpi riecheggiavano tra le alte mura, a volte affossati dalla voce squillante di Vera e dai gesti di incitamento che la accompagnavano:
"Più veloce Camus, più veloce! E poggia bene i piedi a terra, sii più concreto quando attacchi!" fece d'un tratto, battendo con grinta le mani due volte.
"Riduci la distanza, Aphrodite!"
Alcune giovanissime Sacerdotesse che stavano osservando l'allenamento sembravano più attratte dalle capacità della loro più esperta compagna che dal duello al centro dell'arena: la osservavano, fiera nelle pose e dedita al suo compito, ed alcune di esse sperarono in cuor proprio di crescere degnamente seguendone l'esempio. Nel frattempo lo scontro proseguiva, con Camus che aveva tentato l'atterramento di Aphrodite, sbilanciandosi in avanti con la gamba sinistra e sperando in una presa efficace, ma il giovane dei Pesci fu lesto a balzare in alto, preparando il destro, caricato velocemente con una stilla di cosmo.
"No!", fu l'ordine perentorio di Vera. Aphrodite, distratto, desistette e ritirò il pugno. I due compagni placarono la loro foga e ascoltarono l'addestratrice, riprendendo fiato:
"Ho detto che in questo scontro è vietato usare il cosmo, Aphrodite non essere precipitoso! E tu, Camus, sii più deciso nei movimenti, hai rischiato di sbilanciarti inutilmente poco fa". Il giovane dell'Aquario accettò il consiglio, mentre Aphrodite, pur non palesandolo, accolse con leggero malcontento l'ordine di fermarsi.
"Ascoltate..." fece con tono più dolce Vera "...siete stati voi poco fa all'arena a dire che i vostri poteri sono alquanto inusuali nella schiera dei Cavalieri d'Oro, ma sappiate che non andremo avanti con l'allenamento fin quando non avrete imparato ad adoperare con naturalezza le tecniche di base dell'attacco e della difesa nella lotta fisica".
"Sì, nobile Vera" risposero all'unisono i due allievi.
"Bene! Ricordate: nessun attacco viene scagliato ad ogni costo e non esiste difesa che sia sufficientemente sicura. Sapete cosa significa questo?" I due giovani non risposero, attendendo, con sguardo perplesso, che Vera continuasse:
"Significa che non è ammesso che un Cavaliere fallisca nelle sue azioni! Non può esistere un errore di valutazione, ma questo lo comprendere soltanto con un po' d'esperienza. Camus, il tuo tentativo di atterramento avrebbe avuto senso se fossi stato più vicino al tuo sfidante, hai valutato male la situazione rischiando di scomporti inutilmente. In difesa, poi, mai cadere nella convinzione di essere sufficientemente abili e scaltri, l'avversario potrebbe avere ancora molte frecce al suo arco. Aphrodite, poco fa hai abbassato la guardia credendo che Camus non avrebbe colpito col sinistro e invece hai rischiato di subire un colpo in pieno volto. Ricordate: testa e corpo devono agire in sincronia, sono certa che nei momenti in cui vi siete trovati in difficoltà durante il duello abbiate avvertito un senso di impotenza e smarrimento e la paura di fallire ha fatto capolino nelle vostre menti, non è così?" I due allievi non risposero, ma abbassarono il capo e ripensarono con leggera frustrazione a quei frangenti della lotta analizzati con sorprendente lucidità dalla Sacerdotessa, nei quali non avevano dato il meglio di sé. Vera non lesinò loro un sentito incitamento, rinfrancandoli prontamente.
Le onde si infrangevano con vigore, schiumando tra le rocce ai piedi del promontorio a est di Rodorio, sulla cui sommità si ergono maestosi i resti dell'antico tempio di Poseidone. Dal mare il vento gradevole mitigava la temperatura estiva di quella giornata di inizio autunno. Micene, in piedi e mani conserte, dando le spalle al mare osservava i suoi allievi sforzarsi in una lunga serie di flessioni ed addominali, che fungevano da riscaldamento, incitandoli quando la fatica sembrava prendere il sopravvento:
"Avanti! Non demordete! Dovrete imparare a reggere sforzi sempre maggiori in futuro, entrambi sarete costretti a mettere a dura prova il vostro corpo, questi semplici esercizi devono essere la base per il vostro miglioramento fisico".
"Fratello..." intervenne Ioria durante lo sforzo "...non temere...siamo pronti...a tutto!"
"Risparmia il fiato!..." rispose deciso Micene, che poi continuò, motivando il perché di un riscaldamento fisico già così intenso "...Leone e Capricorno fanno della prestanza fisica le loro armi migliori: un giorno dovrete essere in grado di far esplodere il cosmo che vi è proprio adoperando le vostre braccia come inarrestabili meteore di luce".
All'udire quelle parole d'incoraggiamento, nuova linfa parve rinvigorire le membra affaticate dei due allievi, che conclusero la serie di flessioni di lì a poco, per poi passare velocemente agli addominali.
"Gambe ferme e piedi saldi a terra!" puntualizzò il Cavaliere d'Oro, quando i due allievi si posizionarono.
"Che pignolo che sei fratello! Lo sappiamo", sorrise il giovane Ioria, ma Micene rispose con tono di rimprovero:
"Ioria ascoltami bene: in questo momento io non sono tuo fratello, in questo momento sono un Cavaliere che addestra due apprendisti, non sarà di certo il legame di sangue che mi farà essere meno inflessibile. Ed inoltre abbi rispetto per il tuo compagno che non può contare sul fatto di avere un fratello come istruttore".
"Hai ragione Micene, perdonami...e perdonami anche tu Shura" rispose il giovane del Leone rammaricato, poggiando le braccia sulle ginocchia.
"Va tutto bene Ioria, sta' tranquillo" rispose Shura verso il compagno.
"Riprendete su" fece Micene, voltandosi e raggiungendo il centro delle rovine del tempio. Iniziò ad osservare l'orizzonte, dando di tanto in tanto un'occhiata ai suoi allievi, di cui percepiva gli sbuffi affannati. Chiuse gli occhi e ripensò ai giorni del suo addestramento per diventare Cavaliere, alla fatica, alle gioie e ai dolori di quel periodo duro, ma gratificante. Sperava di essere in grado di crescere nel migliore dei modi i suoi futuri compagni, cercando di trasmetter loro anche l'importante concetto che aveva colto qualche anno addietro: la vita di un Cavaliere può essere spesso dura, a volte anche molto triste, ma se vissuta per gli altri, di certo gratificante. Ripensò a tutto questo e sorrise. Ioria e Shura, intanto, stavano proseguendo senza sosta con la loro serie di addominali, puntando lo sguardo determinato in avanti, quasi a cercare la sagoma rassicurante di Micene ogni volta che si rialzavano da terra. D'un tratto i due si fissarono e si sorrisero, facendosi forza a vicenda. Dopo pochi minuti conclusero la prima parte dell'addestramento quotidiano e si concessero qualche minuto per riprendere fiato: sudati e affaticati si sedettero in terra e si scambiarono un cenno d'intesa. Fu allora che Micene tentò un approccio più dolce con i suoi allievi, nel rispetto del suo modo di essere, affabile, altruista e generoso:
"Shura, hai mai sentito parlare di Excalibur?" Un po' titubante, il giovane rispose:
"Certo, la celebre spada mitologica delle saghe cavalleresche..."
"Questa è verità per molta gente, ma sappi che per te sarà qualcosa di molto di più importante".
"Non capisco maestro".
"Cosa intendi dire fratello?"
Micene sorrise, si sedette accanto a loro e iniziò a raccontare:
"La leggenda che si narra nelle saghe europee affonda le sue radici nella notte dei tempi e si basa su fatti realmente accaduti ai tempi della Grecia mitologica: dovete sapere che nella sua infinita benevolenza verso gli uomini, la nostra dea decise di incarnarsi in spoglie mortali per giungere in mezzo a noi e difendere la pace e la giustizia sulla Terra. Atena, la dea degli aspetti nobili della guerra, fu così clemente verso gli umani che l'Ordine a lei votato, i Cavalieri dello Zodiaco, gli attribuì ai tempi del mito l'epiteto di dea della giustizia. Atena apprezzò la venerazione dei cittadini della Atene raccontata nel mito a tal punto da commissionare ad Efesto la forgiatura di alcune Armature di fattura divina da donare ad una cerchia di uomini che le giurarono infinita fedeltà e si fecero avanti per difendere il suo sembiante a costo della loro stessa vita. E' così che nacque il nostro Ordine, il patto divino che ci lega a lei. Concesse, inoltre, ad uno dei suoi più fidati paladini, l'onore di custodire la sua spada personale, chiamata Excalibur poiché forgiata dall'abile mano del fabbro divino con acciaio indistruttibile. Excalibur divenne nei secoli la tecnica suprema del Cavaliere del Capricorno: Atena, in nome della giustizia in ogni cosa, ordinò ai Cavalieri di non usare mai delle armi per offendere, ragion per cui i custodi della decima Casa tramandarono l'arte dell'attacco per mezzo di lame di cosmo saettanti, generate dal rapido movimento degli arti: è così che il Capricorno si è fatto spada vivente, custodendo nel suo stesso corpo l'eredita della vera sacra Excalibur, che viene ancora oggi custodita alla decima Casa, nel gruppo scultoreo di Atena con Cavaliere, nella sala più interna e raffinata".
I giovani ascoltarono a bocca aperta l'incredibile racconto di Micene. Fu poi Ioria a rompere il silenzio, balzando in piedi euforico:
"Ma è fantastico! Shura hai sentito, è davvero una storia incredibile! E ricordo bene la statua che ci siamo trovati innanzi, entrati nella Casa del Capricorno, ricordi anche tu vero?"
"Sì, ricordo benissimo" rispose, ancora colmo di stupore, il compagno. Osservò le sue mani e ripensò in cuor suo alle parole di Micene, provando orgoglio misto ad un forte senso di responsabilità. Quella strana capacità di riuscire a tagliare il legno con la mano, scoperta qualche anno prima durante un innocente gioco di bambino, era il potere latente della sacra Excalibur che risiedeva nelle sue membra. Ritornò alla realtà grazie alle parole ancora euforiche di Ioria:
"E quale sarà invece il mio potere, fratello? Sai, in questi giorni sono riuscito a generare dei piccoli fasci luminosi col mio pugno, è un buon segno vero?".
"Immagino di sì: ciò significa che anche tu stai iniziando a controllare quello che sarà il tuo potere dirompente..." rispose Micene "...siete simili tu e Shura da un certo punto di vista: nelle vostre braccia risiede un enorme potenziale, ecco perché dovrete sviluppare un fisico perfetto in grado di poterlo gestire. Per quanto riguarda te, Ioria, dovrai essere in grado un giorno di scagliare il Sacro Leo alla massima potenza: è questa la tua tecnica suprema, migliaia di colpi scagliati col tuo braccio, capaci di fendere l'aria e generare saettanti fasci di plasma".
"Plasma?" chiese il giovane.
"Sì Ioria, plasma: lo stato in cui la materia si trasforma quando un gas viene ionizzato".
Ioria, all'inizio titubante, rispose confuso, mettendosi le mani nei capelli:
"Oh, fratello, ma cosa dici? Ti diverti a fare lo scienziato ora?"
"Dovrai imparare anche questo Ioria..." rispose con tono serio Micene "...se vorrai utilizzare il potere del Leone. Ascolta, il plasma è uno stato della materia difficile da ricreare anche per un Cavaliere d'Oro e soprattutto difficile da gestire: ha bisogno di grande energia per essere generato e grande padronanza per essere collimato nella giusta direzione, se gestito male può arrecare molti danni anche per chi lo adopera..."
"Micene..." lo interruppe il fratello, ora più incuriosito "...tu sei capace di generare il plasma?"
"Sì fratello, in verità le tecniche del Sagittario sono molto simili a quelle del Leone".
"Mostrami come si fa Micene, così che possa capire" chiese Ioria fremendo dalla voglia di assistere ad un colpo del genere. Anche Shura sembrava desiderare una dimostrazione da parte del suo maestro, ma non intervenne, limitandosi ad osservare incuriosito. Micene chiuse gli occhi per un attimo, poi rispose:
"Va bene, ma sappi che non lo faccio per soddisfare il tuo desiderio, bensì per insegnarvi una cosa molto importante".
I due allievi osservarono con attenzione.
"Guardate..." fece Micene concentrandosi e spiegando con cura ogni movimento del suo corpo "...il miglior modo per scagliare un pugno energetico è spostare il peso del proprio corpo su una gamba, mantenendo quella opposta, che alimenterà lo slancio, in avanti. Dovrete piegare all'indietro il braccio con cui volete colpire, mantenendolo sempre all'altezza del petto e parallelo al terreno, tenendo il braccio opposto in avanti, leggermente piegato e a mano aperta, in modo tale da aumentare la superficie di busto protetta, assicurandovi una buona difesa..." i due giovani osservavano attentamente i movimenti precisi e studiati di Micene e si resero conto di quanta perizia fosse necessaria anche nei più piccoli gesti, capaci di trasformare un semplice pugno in un pugno efficace "...ora viene la parte più importante, osservate: dovrete iniziare a spostare il peso del corpo in avanti, poggiandovi sulla gamba finora lasciata libera e, rimanendo sulle punte con la prima, caricare il pugno d'attacco col cosmo e ritirando, un istante dopo che quest'ultimo sia già partito, l'altro braccio in modo tale da non avere mai la difesa completamente scoperta. Dopodiché..."
Con un movimento velocissimo, Micene scagliò un colpo verso il mare, creando nell'aria alcuni fasci luminosi di color oro molto intenso. Le acque si aprirono e alcuni schizzi raggiunsero i tre sulla sommità della collina di Sounion: Shura e Ioria, che all'inizio ebbero un sussulto di paura a causa dall'improvviso colpo scagliato, furono eccitati da una scossa di adrenalina e lanciarono un urlo, soffocato dal fragore delle acque che tornarono giù, schiantandosi.
"Incredibile fratello, è questa la tua vera forza?"
"A dire il vero potrei fare molto meglio, ma mi sono trattenuto perché il Sacerdote ha proibito l'uso di tecniche potenti in prossimità dei centri abitati. Ma tornando all'allenamento: siete stati attenti e avete colto tutti i movimenti? Il colpo avrà anche avuto un bell'effetto ai vostri occhi, ma a me interessa soltanto che abbiate capito come si scaglia un pugno efficace".
"Immagino di sì, vero Shura?"
"Beh, potremmo provare sotto lo sguardo attento del maestro".
"Ottimo consiglio, Shura: il vostro prossimo esercizio sarà proprio questo, dopodiché saliremo e discenderemo la collina di capo Sounion per cento volte".
"Ti allenerai con noi fratello?"
"Non vedo perché no, Ioria: credo sia un buon modo per andare avanti con l'addestramento e poi un po' di attività non può che farmi bene". Sorrise.
Leno intanto, seduto su una colonna riversa al suolo, stava istruendo i suoi due allievi con fare appassionato, mimando i movimenti che Milo e Aldebaran avrebbero dovuto eseguire di lì a poco:
"Mi avete capito? Sarai prima tu, Aldebaran, a tentare di colpire Milo..." si tolse l'elmo, passandosi una mano nella chioma dorata "...e tu Milo dovrai schivare ogni suo colpo. Dopodiché, sarai tu ad attaccare, e Aldebaran dovrà difendersi. Ora ponetevi ad una distanza di venti passi e iniziate l'esercitazione..." poi aggiunse, dopo un attimo di silenzio "...e non tentate di usare il vostro cosmo, deve essere uno scambio di colpi totalmente basato sulle vostre abilità motorie. E' tutto chiaro?"
"Sì, maestro Leno!" rispose con convinzione Aldebaran. Milo annuì senza rispondere, pronto per mettersi all'opera.
Dall'altro lato del piazzale delle colonne, Shaka e DeathMask furono attirati dalle incitazioni che i due compagni si stavano scambiando prima dell'inizio del loro esercizio quando, con fare risoluto, Sibrando si voltò e li richiamò, dando loro le spalle.
"Shaka, DeathMask!"
"Sì maestro!" fece il giovane del Cancro. Il Cavaliere, mani conserte, scrutava il cielo.
"Probabilmente vi starete chiedendo come mai sia proprio il Cavaliere della Coppa ad allenare i futuri custodi della quarta e della sesta Casa. Pochi soldati di Atena possono vantare un repertorio di abilità mentali e spirituali ampio quanto il vostro ed io stesso, nonostante indossi vestigia con peculiari abilità curative e mistiche, non posso considerarmi un mentore molto adatto a questo scopo..." i giovani non compresero subito le sibilline parole del maestro, che però fu pronto a dissipare ogni dubbio, voltandosi ed osservando negli occhi i suoi interlocutori, in particolare Shaka "...eppure, mi considero un uomo molto fortunato, poiché sono stato l'ultimo allievo del precedente Cavaliere di Virgo, l'anziano Ojas, che mi ha insegnato alcune abilità mentali, trasmettendomi con pazienza e costanza parte del suo immenso sapere".
Shaka fu molto colpito da quelle parole, mentre DeathMask, apparentemente disinteressato alla discussione, osservata di sottecchi.
"Dopo aver completato il mio apprendistato e una volta diventato Cavaliere..." continuò Sibrando "...maestro Ojas volle concedermi il privilegio di iniziarmi alle pratiche mentali e meditative, perché, disse, aveva scoperto terreno molto fertile nel mio cosmo."
"Perché non è più al Tempio?" osò chiedere Shaka, temendo di conoscere la risposta.
"Si è spento quattro anni fa, nel suo villaggio natale in Oriente, dopo aver rinunciato spontaneamente al suo ruolo di Cavaliere d'Oro, confessandomi di aver raggiunto il suo scopo nella vita. Dovete sapere, infatti, che lasciò qui al Tempio l'Armatura della Vergine, come per indicare un passaggio di consegne col suo erede: mi confidò, prima di partire, che in uno dei suoi sogni aveva avuto una visione celestiale nella quale il cosmo della Vergine si sarebbe esteso come non mai; lasciò intendere, nella sua infinita umiltà, che sarebbe ricaduto sul nuovo custode dorato l'onore di giungere dove nessun altro Virgo fosse mai giunto".
DeathMask, imbarazzato nel ritrovarsi d'un tratto estraneo alla conversazione, colse immediatamente l'occasione per intervenire con il suo modo di fare graffiante:
"Beh, vedo che sono di troppo, vado ad allenarmi con quei due" disse imbronciato, facendo qualche passo.
"Dove vai? Non essere sciocco!" rispose Shaka. Sibrando sorrise, abbassando lo sguardo. Il giovane di Cancer, balzò con un sorriso sardonico davanti al compagno e lo schernì, divertito:
"So bene che gradiresti allenarti con chiunque piuttosto che con me, antipatico! Che c'è, hai paura di confrontarti di nuovo? La prossima volta ti andrà molto male!"
"Patetico!" rispose seccato il compagno. DeathMask, rise di gusto e lo abbracciò con vigore, tenendolo per un braccio. Shaka abbassò lo sguardo e lasciò fare: in fondo non detestava il compagno, sebbene fosse spesso mira delle sue burle, ma non riusciva ancora a creare un legame di amicizia solido con alcuno dei suoi coetanei, figurarsi con DeathMask, così diverso caratterialmente; eppure, più di una volta, in cuor suo aveva cercato di analizzare la situazione calandosi nei panni del suo amico: ritrovarsi un ragazzo molto riservato, serioso e a tratti indolente nei modi di fare come compagno d'allenamento non doveva essere certo facile per l'estroverso e disinvolto DeathMask, eppure quest'ultimo non sembrava soffrire troppo la situazione, cercando il dialogo, a volte, e lo scherzo, più spesso e non disdegnando mai la sua compagnia. Probabilmente aprirsi di più verso i suoi compagni sarebbe stata la soluzione più logica e giusta, nessuno lo aveva infatti escluso dal gruppo nonostante i suoi modi così poco cordiali, eppure ancora non ne era del tutto capace.
"Ora basta DeathMask..." fece Sibrando "...Ma in fondo hai ragione: ho lasciato riaffiorare i ricordi piuttosto che iniziare l'allenamento, perdonami. Su, credo sia giunto il momento di iniziare: per prima cosa..."
Una roccia cadde frantumandosi al suolo dopo l'ennesimo pugno scagliato da Aldebaran: il giovane del Toro era riuscito a mettere in trappola Milo, obbligandolo ad avvicinarsi al fianco del monte nel tentativo di schivare i suoi attacchi, ma il rapido giovane dello Scorpione era riuscito con un balzo a sottrarsi alla carica, costringendo il compagno a colpire violentemente il gigantesco masso alle sue spalle.
"Bravo Aldebaran, sei molto abile negli attacchi, ma ora prepara le difese!" urlò Milo, caricando a braccia larghe per disorientare l'avversario, certo di non subire colpi.
Saga, intanto, rifletteva pensieroso, buttando distrattamente lo sguardo sui due Arieti all'opera al centro dell'arena. Sarebbe stato davvero interessante per Gemini, come per chiunque altro, osservare il Sacerdote esibirsi nei panni di addestratore, ma in quell'istante la sua mente era ossessionata da altro: ripensava al volto del fratello, sfigurato dal dolore inflittogli con l'illusione diabolica ma, soprattutto, si interrogava sull'effettiva efficacia di una scelta così azzardata. Era certo che il Grande Sion, in privato, non avrebbe esitato ad indagare più a fondo sulla questione, ragion per cui cercò di pensare a qualche valida giustificazione da esporre all'occorrenza, in modo deciso, senza titubanze, diversamente, insomma, da come accaduto poco prima.
"Bene Mur, impari in fretta, ma, se posso darti un consiglio, devi essere più rapido quando passi dalla posizione d'attacco a quella di difesa: lasci il petto scoperto per un istante di troppo".
"Permettetemi di riprovare Grande Sacerdote" rispose l'allievo, per l'ennesima volta abbassando lo sguardo.
"Mur..." fece Sion, mani ai fianchi "...percepisco chiaramente la forza spirituale fluire nelle tue giovani vene ed ammiro la tua sincera devozione nei miei confronti, ma permettimi di dirti una cosa, guardami negli occhi Mur..." l'allievo obbedì prontamente al perentorio ordine del Sacerdote "...sono certo che sarai un grande Cavaliere e sono onorato di affidarti quella che è stata un tempo la mia Armatura, ma sappi che ogni Ariete ha un fuoco inestinguibile nelle sue vene, che arde violento nel cuore della battaglia, alimentando il cosmo che viene proviene da Hamal, la gigante che nel firmamento è la nostra stella alfa. Hai un'indole docile Mur, ma impara che malgrado il sorriso elegante e i modi gentili che ti sono propri, un giorno dovrai possedere la forza e l'autorità di un vero Ariete d'Oro: la prima Casa è il primo baluardo a difesa del Grande Tempio e va custodito con vigore, per spegnere sul nascere le velleità di ogni invasore. Ricordalo sempre allievo, l'Ariete ha il fuoco nelle sue vene e non può essere altrimenti, poiché in esso fu collocato il punto di rinascita primaverile del Sole..." fece una breve pausa "...Hai compreso le mie parole Mur?" chiese infine, con tono volutamente incalzante.
"Sì, Grande Sion, non vi deluderò" rispose il giovane, marcando con decisione le parole. Il Sacerdote ne fu compiaciuto.
"Molto bene, ma siamo solo all'inizio..." si guardò intorno, provando un'inaspettata, quanto piacevole, sensazione di vitalità, alla quale non era più abituato, quando il vento mosse le sue vesti leggere: nonostante il corpo vecchio e stanco, si sentiva vivo come quando era fiero possessore dell'Armatura d'Oro e si allenava intensamente nell'arena con i suoi compagni. "...ora cinquanta scalate delle gradinate", aggiunse.
"Subito, Grande Sacerdote" rispose prontamente l'allievo, dirigendosi velocemente verso gli spalti.
"Mur!..." lo richiamò Sion, puntando il dito alla Meridiana "...dovrai aver finito prima che l'ombra dello gnomone segni la nuova ora!"
"Sarà fatto".
Il giovane apprendista, impegnandosi con ardore nel saliscendi, dava prova di grande resistenza atletica. Di tanto in tanto, buttava l'occhio al centro dell'arena, sperando che il Sacerdote lo stesse osservando e che fosse soddisfatto dei suoi progressi, cosa che lo spingeva a dare il massimo, nonostante, balzo dopo balzo, la fatica si acuisse sempre più.
Saga, apparentemente più rilassato, si avvicinò al Sacerdote, che ne percepì i passi ma non si volse, attento nell'osservare l'esercizio dell'allievo. Dopo l'ennesimo giro completato dal giovane, che voltandosi per ricominciare la scalata, aveva alzato una piccola nuvola di sabbia, strusciando i piedi in terra, il Cavaliere di Gemini si rivolse al Sacerdote:
"Siete soddisfatto di quanto visto finora, Eccellenza?" Sion rispose, portandosi le mani dietro la schiena:
"Fisicamente è già ad un buon livello e non difetta in forza di volontà, ma come logico aspettarsi da un allievo alle prime armi, pecca in alcuni movimenti e, nel suo caso, anche di un pizzico di cattiveria nella lotta, oserei dire..." poi chiese con tono volutamente provocatorio "...Hai notato anche tu, vero?"
"Sì, sì certo..." rispose il Cavaliere, cercando di mantenere il sangue freddo, nonostante avesse colto l'allusione "...ho avuto modo di notare spesso in questi giorni che il vostro allievo adotta sempre un comportamento molto flemmatico e pacato, ma credo anche che sia uno dei giovani più motivati e talentuosi, vi regalerà grandi soddisfazioni, ne sono certo". Il Sacerdote si portò una mano al mento e, con una breve interiezione, annuì, rimanendo comunque molto serio in volto.
Raggiunta la sommità delle gradinate, Mur buttò lo sguardo verso capo Sounion poco distante e notò tre piccole figure risalire il versante più ripido della collina. Pur non fermandosi ad osservare oltre sorrise, rinfrancato dalla convinzione che ognuno dei suoi compagni si stesse impegnando allo stesso modo, nello stesso momento, per lo stesso motivo e ridiscese giù per l'ennesima volta.