SOTTO IL SEGNO DEL DESTINO
CAPITOLO 9: La missione
Arena della Prova, Atene, 8 maggio 1793
La luce mattutina illuminava una scena che raramente il mondo aveva visto: per la prima volta infatti, i Cavalieri d'Oro di Atene, supremi difensori della Terra, si riunivano all'esterno delle Dodici Case. A calcare la terra polverosa dell'Arena c'erano anche i piedi del venerabile Sacerdote: l'anziano officiante di Atena, vestito dei paramenti sacri alla dea, era sorretto da un giovane dagli enigmatici occhi neri. Pochi avrebbero potuto capire che si trattava del Cavaliere d'Argento dell'Altare, Kaitos. I guerrieri d'oro erano disposti a semicerchio intorno al Sacerdote, e un arido vento, inusuale per la stagione, faceva muovere i loro mantelli color cielo. Normalmente, dall'Arena della Prova si potevano scorgere le case di quel grande formicaio indaffarato che era Atene: ma quel giorno, una nebbia indistinta (e, forse, innaturale) pareva essersi posata sulle cose.
L'unico Cavaliere (di quelli che fossero stati visti ad Atene nei giorni precedenti) a farsi notare per la sua assenza era Arion di Leo. E ancora una volta Sion, ritto in mezzo ai suoi compagni, si chiese perché mai quell'uomo provasse tanto astio per tutto ciò che aveva anche solo lontanamente attinenza con il Grande Tempio in generale, e il Sacerdote e la sua Dea in particolare. Fu la voce del Sacerdote stesso, ferma nonostante la vecchiaia del suo possessore, ad interrompere i suoi pensieri: "Cavalieri, non vi nascondo che la situazione è gravissima. Mai il Santuario aveva subito danni d'una certa rilevanza, simili a quelli procuratici dall'orrendo Tifone, eppure.. eppure due notti fa, come tutti voi ben sapete, è accaduto un evento in cui quasi non speravo più.. il risveglio di Atena! La Dea che tutti noi protegge ci ha indicato la via: lo Xiphos! Esso deve ora abitare i vostri cuori e le vostre menti, occupare i vostri pensieri, non lasciarvi dormire.tormentare le vostre anime!". Nel parlare, il Sacerdote aveva acquisito una foga incredibile: non sembrava più neanche un vecchio. Sion credette addirittura di percepire gli echi d'un cosmo lontano nel fragile corpo dell'uomo dalla maschera d'oro: ma si disse che non era possibile..un uomo così avanti negli non poteva mantenere intatta una simile forza vitale! Anche gli altri cavalieri sembravano abbastanza sorpresi. Poi, il Sacerdote si fermò per riprendere il fiato. e la corporatura imponente ridivenne quella esile e consunta d'un vecchio: il giovane Kaitos dovette sorreggerlo per impedire che cadesse. Il respiro rauco del Sacerdote risuonò nella polverosa Arena, raschiando i cuori stessi dei Cavalieri. Infine, il celebrante di Atena riprese: "Come stavo dicendo.. dovete cercare lo Xiphos! Poiché esso è luce divina, un frammento di miracolo che può provocare indifferentemente il Bene.ma anche il Male. Perchè la luce di Dio ci rischiara. ma a volte ci acceca". Silenzio. Poi: "Esso non deve cadere, ve lo ripeto ancora, non deve cadere nelle mani dei seguaci di Tifone! Grande sventura verrebbe se quel mostro dovesse risvegliarsi..forse, l'Umanità stessa non sopravviverebbe alla devastazione. e questo non possiamo permetterlo. Ciò che vi chiedo, o cavalieri, è di iniziare una Cerca che potrebbe condurvi nei luoghi più impensati: ma nulla dovrà fermarvi! Andate, e trovate lo Xiphos! Da esso ormai dipende tutto..il destino dell'Umanità, del Tempio, e fors'anche dell'Universo stesso. Ora basta parlare: cominciate la vostra Cerca! Non per me, vecchio dalle ossa fragili che presto saranno polvere, ma per Atena, la dea he servite e amate! Non lesinate nello sforzo, così come Lei ha compiuto l'impresa di tornare da voi , dopo secoli di silenzio! Sion! Dokko!". La voce del sacerdote era giunta ormai al culmine della sua forza, e per i due Cavalieri l'essere nominati fu come ricevere una frustata. I loro corpi si tesero, i loro occhi guardarono fissi nell'enigmatica maschera d'oro.
"Voi cercherete lo Xiphos in India, terra di misteri. Gli antichi testi del Tempio sembrano indicare in un remoto luogo chiamato Punjab una delle possibili dimore dello Xiphos..Menes! Etienne!". Lo scuro cavaliere del Capricorno fissò il Sacerdote con sguardo indecifrabile (si sarebbe detto colmo d'una sapienza antica, pari per dignità a quella posseduta dal Celebrante di Atena), mentre anche l'efebico protetto dello Scorpione uscì dal semicerchio dei guerieri dorati, muovendosi con composita grazia.
"Voi due vi recherete in un luogo della Francia sconosciuto, ma animato da un'energia arcana. posso percepirla, ma non riesco a darmene spiegazione. Questo luogo si chiama Rennes-le-Chateau". Lo sguardo del Sacerdote si fissò sul Cavaliere dello Scorpione. "Per te sarà un po' come tornare a casa, Cavaliere". Per un attimo, lo sguardo di Etienne si contrasse in una maschera di furia, perdendo il suo aspetto angelico. Poi, a bassa voce il Cavaliere diede la sua replica: "Io sono bretone" disse. Tutti percepirono qualcosa di molto simile al gelo, persino in quella calda giornata.
"Voialtri Cavalieri" disse infine il Sacerdote, rompendo la pesante atmosfera creatasi, "siete ora preposti alla difesa ad oltranza delle Dodici Case. Non è affatto escluso che i seguaci di Tifone osino attaccare il Santuario". Tra i guerrieri dorati, si levò la voce di Sion: "Ma chi sono, dunque, questi seguaci? Poiché nulla sappiamo di loro". La figura del Sacerdote, scossa da un terribile tremito, si volse verso Sion. "Chi sono? Te lo dirò io chi sono. Morte. Morte e sete di sangue personificati. Nient'altro". Vi fu un lungo momento di silenzio. Per la prima volta da quando era giunto ad Atene Sion, il giovane ed incrollabile Sion, fu preso dal dubbio, e da qualcosa... qualcosa di molto vicino alla paura. Scacciò quei sentimenti dalla sua mente: lui, un Cavaliere, avere paura? Mai! "Ora basta!". Il sacerdote sembrava essersi momentaneamente ripreso. "Andate, ora! Andate, e non fatevi fermare da niente e da nessuno! Per Atena!"."Per Atena!". Finalmente, tutto assunse il colore del Sole. Trasfigurandosi in globi dorati, i cavalieri si mossero alla velocità della luce. Un attimo dopo, la gloriosa Arena della Prova era solo un luogo polveroso, con al centro un fragile vecchio e un misterioso giovane a sorreggerlo.
Atene, stanze del Gran Sacerdote, un'ora dopo
"Sono stanco di tutto questo". Odin guardò l'uomo che gli stava innanzi, facendo alcune considerazioni. I suoi lunghi capelli erano passati dal bianco argenteo al grigio spento, e molte preoccupazioni gli si leggevano in faccia, sotto forma di rughe: ma il Gran Sacerdote di Atene manteneva comunque una sua indistinguibile dignità. Quell'uomo veniva considerato da alcuni il più potente al mondo, ma al guerriero dell'Acquario il potere sembrava attraente quanto lo sghembo tavolino su cui poggiava il Celebrante d'Atena. Si trovavano in una stanzetta lontana da occhi indiscreti, arredata in maniera assai povera: un tavolo e due rozze sedie di legno. "E' inutile che tu ti finga stanco, ti conosco troppo bene" replicò il guerriero dell'Acquario. "Tu non ti stancherai mai. Troppo inebriante è il gioco del potere, persino per te". Per un lungo istante, i due si fissarono. A Odin parve di perdersi nel magnetismo irresistibile dello sguardo del Sacerdote: una dote, questa, che il suo compagno d'arme aveva sempre posseduto, e che ora gli tornava utile una volta di più.. "Smettila di fissarmi, sai benissimo che quello che ho detto è vero".
"Forse" replicò l'altro, alquanto seccato, "forse non ricordi che, un tempo, eri tu ad anelare a questi paramenti e a questa maschera d'oro, finchè io non fui scelto". Gli occhi di Odin si strinsero, e per un momento la mente del Cavaliere si perse in mondi lontani. "Non ho voglia di rievocare vecchie storie", disse l'anziano protetto di Atena. "Piuttosto, quand'è che ti deciderai a dirmi tutta la verità sullo Xiphos. perché ho come l'impressione che quei giovani volenterosi di farsi ammazzare hanno sentito sì un bel discorso, ma forse non si sono accorti che non hai detto loro nulla che già non sapessero". Il Sacerdote guardò Odin. A lungo. Pensieri dolorosi come punture di spillo gli attraversarono la mente. Amico mio, anche tu. Come tutti loro, anche tu vuoi conoscere la verità. Dunque non sai che sapere è soffrire? Nascondere la verità, sempre. Per difendere coloro che si amano. Il Sacerdote un tempo non la pensava così. Ma un tempo il Sacerdote era un uomo diverso. Poi. molto era cambiato. Non ci sarebbe stato un altro Arion. No, mai più.
"Bene, Odin. E così tu vuoi sapere ciò che gli altri non sanno. Ora, cosa ti dà la certezza di meritare questa conoscenza? Il sapere si acquisisce solo tramite grandi sofferenze. Io lo so bene. O forse questo tuo desiderio ne nasconde un altro? Ho indovinato?". Odin si alzò di scatto dalla sua sedia rozzamente intagliata: qualcosa nella sua espressione fece capire al Sacerdote di avere colto nel segno. "Ebbene sì! Desidero tanto sapere perché hai inviato quattro ragazzi inesperti in una missione dall'esito fondamentale, quando io avrei potuto benissimo visitare entrambi i luoghi da solo, e cavarmela senza difficoltà!". Comprendendo di aver passato il segno, Odin tornò a sedersi. Il Sacerdote pareva ora perfettamente a suo agio: ma subito dopo, il suo volto si distese in una maschera di dolore. "Vuoi sapere perché non ti ho inviato, Odin? La nostra forza sta declinando. La mia vita volge ormai al termine: e tu, benchè forte ed esperto, non puoi impiegare in battaglia la stessa energia che utilizzerebbe un giovane Cavaliere come Sion dell'Ariete. Inoltre, la battaglia contro Tifone non è che un antefatto.. lo sappiamo entrambi. Il Dio delle Tenebre sta per arrivare con le sue armate spettrali, e stavolta noi non possiamo fermarlo. Non se Atena non si risveglia. e questo va oltre ogni mio potere. Solo un uomo potrebbe riuscire nell'impresa." "..ma quest'uomo non lo farà mai" concluse tetro Odin. Entrambi si fissarono in quella stanza piccola e miserevole. Per la prima volta, poterono identificarsi in una sola parola.
Vecchi.
Profondità infere, ora e giorno sconosciuti
Il trono vorticante nel Caos, sorretto dalle urla di anime dannate, composto d'ossa e fango impastati. Oh, orrida visione! Ma nessuno, uomo o dio che fosse, poteva comprendere l'orrore della figura seduta sul Trono dei Troni. Perfetto nei lineamenti, era tanto umano all'esterno quanto diverso all'interno. Gli occhi si aprivano come varchi spalancati nel nulla. Neri come il rimpianto, riflettevano il colore della terribile armatura del Dio, ora momentaneamente nel suo vero corpo.
Ade, il Signore dell'Oltretomba, veniva adorato.
Per primi vennero Hypnos e Thanatos, immensi (ma nulla in confronto al loro tristo Signore) e più scuri della notte stessa. L'uno intonava un canto dolcissimo, che portava uomini e spiriti alla follia e all'oblio; l'altro era gelido, freddo quanto le lacrime di cui era formato il fiume Cocito e forse anche di più. Poi, parlò una Voce possente e immune all'usura del tempo: IO, ADE, PER IL POTERE DI CUI FUI DOTATO DAL PADRE CRONO, VI COMANDO: DESTATEVI, LEGIONI! SPETTRI DEL TEMPO CHE FURONO, INCUBI NOTTURNI, URLA E RIMPIANTI E VOI, GUERRIERI DALLE NERE ARMATURE, MIEI PREDILETTI, MOSTRATEVI E COMPIACETE IL VOSTRO RE!
A quel terribile comando, un gruppo ben distinto di ombre, più scure della notte stessa, si levò compatto dal caos sottostante: erano gli Specter di Ade.
La gelida voce di Thanatos ordinò loro di prostrarsi dinanzi al grande Dio, cosa che essi fecero prontamente, enunciando i loro nomi mentre sfilavano ai suoi piedi. Ade li conosceva bene : lui stesso li aveva inventati. Minotaurus, Troll, Barlon.. e molti altri. Infine, Ade disse. "CHE MI SIANO CONDOTTI INNANZI I TRE GIUDICI INFERI!". Due grandi ombre si levarono allora, e due forti voci si levarono su quel frastuono allucinante: "Aiace di Garuda, al Tuo servizio!" e " Minosse del Grifone, al tuo servizo!".
"DOV'E' IL GENERALE DELLA VIVERNA, MIO ETERNO PREDILETTO?". A questa domanda, solo Thanatos ebbe il coraggio di rispondere: "Mio signore, abbiamo attteso che ci fosse dato un segno. ed è stato così! Abbiamo scoperto il giovane ideale in cui far incarnare lo spirito del Generale della Viverna! Egli è ignaro delle sue capacità, ma Vi assicuro che dispone di un potere enorme! Scrutate pure nella mia mente, padrone! Nulla potrà fermarlo! ". Per un istante che parve eterno, Ade indagò i tristi pensieri del suo servitore. Poi sorrise, compiaciuto: ciò che Thanatos affermava corrispondeva alla verità. "PRESTO AVRO' IL MIO TERZO GENERALE, E POI NULLA POTRA' FERMARMI!".
Alle agghiacianti risate del Dio facevano eco i lamenti delle anime dannate.
Punjab, 8 maggio 1793
"Dove diamine siamo adesso?". La voce di Sion risuonò come attutita dalla giungla soffocante. Poi, i due giovani ripresero a marciare con passo pesante in mezzo a viticci, radici esposte e piante aggrovigliate. Del resto, il cavaliere dell'Ariete non si era aspettato alcuna risposta: erano ore che camminavano, e il già taciturno Dokko sembrava aver perso l'uso della parola. Ma Sion lo giudicava positivamente: a suo parere, non era un tipo che si perdesse in chiacchiere inutili.. era stato proprio Dokko ad aiutarlo nella battaglia contro Damian del Tucano, che aveva segnato il suo definitivo ingresso al grande Tempio. ma ora la spossatezza lo distoglieva dai suoi pensieri. Le piante, in parte marcite, formavano un'incredibile muraglia vegetale semicorrosa: il semplice atto di alzare e abbassare i piedi comportava una notevole fatica. Finalmente i due giunsero in una radura, abbandonando momentaneamente la giungla e le sue insidie. La luce del sole filtrava attraverso i palmizi, trasformando l'intera zona in un tripudio di raggi dorati. Sion si tolse l'elmo e agitò i lunghi capelli per osservare meglio lo spettacolo offerto dalla natura.
E fu in quel momento che lo vide.
Il vecchio stava immobile al centro della pianura, seduto per terra a gambe incrociate. Le rughe innumerevoli si concentravano sotto gli occhi e agli angoli della bocca, trasformando la sua faccia nel volto di una statua corrosa dai millenni. La lunga barba fluente sembrava compensare la mancanza totale di capelli. Il corpo era coperto da una logora tunica che, una volta, doveva essere stata di color rosso. Ma né le guance scavate, né la bocca sdentata, né il corpo cadente potevano nascondere l'incredibile vitalità emanata dai suoi occhi, azzurri come il cielo. Con un grande sforzo di volontà, Sion distolse lo sguardo dal vecchio. Si accorse allora che anche Dokko pareva profondamente colpito dal fascino arcano di quegli occhi. A farlo voltare di nuovo fu la voce, cupa e bassa come un tamburo di morte.
"Io sono Indra, il Guardiano" disse il vecchio. "E voi state per morire".
Rennes-le-Chateau, 8 maggio 1793
"Dolce musica di flauti lontani ! Dolci canti di passata giovinezza, che solo i vecchi posson rimembrare!". La dolce pianura che si stendeva davanti ai suoi occhi, le dolci colline in lontananza, e il tutto rischiarato dalla vivida luce del sole. l'idilliaca visione suscitava in Etienne dello Scorpione i versi che aveva composto nella sua dorata gioventù. Allora si considerava un privilegiato, un eletto destinato a combattere nel nome di Atena. Gli uomini venivano da lui considerati incapaci di difendersi da soli, mentre i Cavalieri erano dotati della forza necessaria a risolvere le contese e punire i malvagi. Una volta si considerava non solo un eletto, ma anche l'unico uomo in cui Forza e Grazia convivessero in maniera così manifesta. Una volta il suo viso non era segnato da alcuna ruga, come quelle minuscole che ora gli deturpavano i perfetti angoli della bocca. Mentre camminava, avvicinandosi al centro abitato, Etienne sorrise. Una volta.. una volta era tutto diverso. Tanto per dirne una, una volta Jeanne non occupava costantemente i suoi pensieri. Quasi si ritrovò ad essere sommerso dai ricordi della ragazza, ma riuscì a trattenere la sua mente:anche solo rivedere l'immagine di Jeanne gli procurava un dolore quasi fisico. Ovviamente, durante questa missione sarebbe stato bene attento ad evitare di visitare quel piccolo angolo di paradiso dove aveva fatto porre l'effigie dell'unica donna che avesse mai amato: né d'altro canto la potente energia che percepiva sembrava provenire da lì. L'aveva già avvertita nelle sue precedenti visite a Rennes, ma mai con quell'intensità. Sembrava quasi che qualcosa-o qualcuno-avesse risvegliato ciò che prima si trovava in uno stato di sonno profondo.
"Goditi gli inferi, CAVALIERE! MAGLIO IPERBOREO!!".
Terriccio. Fumo. Odore di esplosione. E quel boato assordante, allucinante, che sembra spaccare i timpani. Etienne crede di essere stato colpito, poi si accorge di essere già ad almeno dieci metri di distanza. Prodigi della velocità della luce. Si volta per vedere il suo avversario, anche se ne ha già percepito il suo cosmo, potente ed oscuro. Poi il suo occhio interiore scruta meglio.no, non è completamente oscuro. Etienne sente-è l'unica parola che potrebbe usare per definire la sua percezione-una vena color rosso cupo, che giace in profondità, al centro di un'anima lacerata.. Il suo volto assume una nuova espressione: al giovane diafano e apollineo si è sostituito un distruttore. Il giovane fissa negli occhi il suo avversario, ritto in piedi di fronte a lui. A dividerli c'è soltanto un cratere fumante, aperto dal primo colpo della battaglia. Ingabbiato in una corazza d'acciaio cupo, l'uomo che ha dinanzi sprizza energia combattiva da ogni poro. Il viso, a parte gli occhi e la bocca, è celato dall'elmo a forma di testa di leone. Una delle spalliere è formata da una testa metallica di capra. Allora Etienne capisce. "Io sono Brithos, Terzo Custode di Tifone, preposto alla Chimera". Anche le sue parole tagliano come lame, ma il ragazzo dall'armatura dorata non è affatto impreparato. "Io sono Etienne, Cavaliere d'Oro dello Scorpione.e questa verde terra sarà la tua tomba".
Rennes-le-Chateau, poco distante, nello stesso momento
Nel piccolo villaggio, il sole del mattino creava strani giochi di luce con l'ausilio delle poche case di pietra esistenti. Gli insetti consumavano le loro vite, nell'attesa: il ragno tesseva lentamente la sua tela, attendendo che il volo dell'incauta mosca giungesse alla sua fatale conclusione.
Gli abitanti del villaggio si occupavano delle loro faticose mansioni, oppure si erano rintanati nelle case(quei pochi fortunati che non dovevano trarre la sopravvivenza dal lavoro nei campi). Nessuno presagiva la tempesta che stava per abbattersi su tutti loro, con la potenza di un flagello biblico. Tutto ciò che un osservatore occasionale avrebbe potuto notare erano due ombre, rapide e silenziose, che giocavano un macabro nascondino quasi invisibile all'occhio umano. Infine, le due ombre si fermarono al centro d'una piazzetta. I mantelli volarono via, rivelando due luci abbaglianti. Ma se la prima ricordava il sole, la seconda poteva essere paragonata per splendore alla faccia di Dio. La prima luce si attenuò, rivelando un uomo protetto da un'armatura color rosso sangue, con delle teste di cane al posto delle spalliere. Il diadema che gli copriva il capo non impediva la vista del volto, adornato dai lunghi capelli dorati. Gli occhi, dorati anch'essi, fissarono con calma glaciale la silhouette lucente di Menes del Capricorno.
"Sei veloce, uomo. E hai anche una meravigliosa corazza. Ma sono curioso di osservare la carne che protegge". La sua voce, bassa e atona, suonava comunque assai minacciosa. La replica del cavaliere dalla pelle olivastra fu altrettanto foriera di guai: "Sei veloce anche tu.e si dà il caso che anch'io abbia voglia di vedere ciò che la tua armatura cerca invano di proteggere". L'uno di fronte all'altro, i due si sorrisero: un attimo dopo, un boato ruppe il silenzio. Superando il muro del suono, i due avversari si erano lanciati frontalmente l'uno contro l'altro alla velocità di centinaia di chilometri all'ora.