SOTTO IL SEGNO DEL DESTINO
CAPITOLO 8: Sommossa ad Atene
Casa dell'Acquario, 7 maggio 1793
"Come credi che finirà?". La voce del Sacerdote era assai più roca della sera prima, quando si era fatto carico di una serie di rivelazioni incredibili per i Cavalieri. Ora, invece, l'età molto avanzata del Celebrante di Atena veniva rivelata da ogni particolare: la postura scorretta, il respiro affannoso, il modo in cui si era accasciato sulla rozza sedia di legno offertagli dal padrone di casa... Odin dell'Acquario.
"Non ne ho idea". La voce di Odin appariva assai più sicura, ma non poteva comunque nascondere i capelli bianchi e le rughe che devastavano il suo bel viso. Emettendo uno sbuffo, il Sacerdote proseguì la conversazione. "Il fatto è che i Cavalieri non sono pronti. Molti devono ancora ricevere l'armatura, e non mi fido di chi già la possiede. a parte alcune ovvie eccezioni". Gli occhi del Sacerdote, prigionieri della maschera d'oro, cercarono tacitamente l'appoggio di Odin. Ma il nordico dagli occhi di ghiaccio non sembrava disposto a dargli questa soddisfazione; quel dialogo tutto sembrava, meno che il rincontro di due vecchi amici dopo molto tempo. "Non credere di avere certezze, Grande Sacerdote" disse l'uomo dall'armatura sfavillante, sedendosi a sua volta su una sedia. "Io non sono più nel fiore degli anni, come i tuoi occhi avranno notato... 250 anni sono duri da sopportare anche per me".
"Non dire così! Ti stai solo nascondendo dietro le parole. Sono sicuro che potresti ancora dare una lezione a parecchi giovani ardimentosi in circolazione.. cosa di cui quei ragazzi avrebbero un gran bisogno". Con le mani guantate d'oro giunte sulle ginocchia, Odin non fece cenno d'aver capito. Era ovvio che i suoi pensieri erano altri. Il guerriero dell'Acquario fissava ostinatamente la cupola interna della sua Casa. Infine, le rughe agli angoli della bocca si fecero più evidenti, e Odin parlò: "Ascolta, Sacerdote.. non sarebbe ora di parlarmi di Tifone?". Quel nome echeggiò a lungo tra le pareti dell'Undicesima Casa, prima di posarsi sulle fragili spalle dell'uomo di Atena. Per parecchi secondi, nessuno parlò. Poi il Sacerdote disse: "Credo che tu conosca già la sua storia. Il più potente dei figli di Gea, che affrontò Zeus due volte, vincendo il primo scontro.. viene considerato l'incarnazione del Caos e della brama di distruggere. E' forte oltre ogni nostra immaginazione. questo è più o meno tutto. Ah, e ho dimenticato di dirti che Zeus lo imprigionò seppellendolo
vivo con il monte Etna.. ma basterebbe un buon colpo dello Xiphos, brandito da un suo seguace, per liberarlo".
"Magnifico". L'espressione di Odin affermava esattamente il contrario, ma il Sacerdote non se ne curò troppo. "Bene," proseguì Odin, "così abbiamo un nemico potente quanto lo stesso Zeus, circondato da seguaci a dir poco fanatici. e il tutto negli stessi giorni in cui Ade si sta riorganizzando"."Sembra di sì", disse laconico il Sacerdote. "Bè, vecchio mio, stavolta dovremo impegnarci a fondo per uscirne fuori.. anche se devo ammettere che, ai tempi della nostra gioventù, non ci saremmo preoccupati così". I due uomin si guardarono a lungo Poi il Sacerdote disse: "Allora eravamo meno saggi". Odin esitò un attimo, prima di replicare: "No, allora eravamo più forti". Dopo un lungo silenzio, il Cavaliere dell'Acquario decise che era giunto il momento di porre fine a quella conversazione. "In definitiva, quali sono i tuoi piani?". "Oh, io non
definirei la mia tattica disperata con un nome così altisonante. diciamo che prestò metterò alla prova i Cavalieri, mandandoli alla ricerca dello Xiphos, sperando che Ade non abbia già ricostituito il suo esercito di specter".
"Non credo. penso invece che stia ancora schiumando di rabbia; l'ultima volta che lo vidi, la sua situazione era assai poco invidiabile.". Il Sacerdote non ebbe bisogno certo di sforzarsi per capire a cosa Odin si riferisse. L'ultima volta che entrambi avevano contemplato il Dio dell'Oltretomba, egli stava subendo in pieno l'effetto di tre Atena Exclamation
lanciate contemporaneamente.. e sia il Sacerdote sia Odin avevano contribuito a scagliarle. Ma la memoria gli tese un brutto scherzo: rimembrando tempi più vicini, si ricordò del giorno in cui aveva compiuto il suo più grande errore. Un errore che sintetizzò in un'unica parola: "Arion".
Odin non sobbalzò minimamente nell'udire quel nome. "Non devi preoccuparti troppo ad esempio, se ieri notte avesse mosso un altro passo verso Atena, avrebbe scoperto le delizie del congelamento". Lo sguardo di Odin suggerì al Sacerdote che egli non stava affatto scherzando: da questo punto di vista, il Cavaliere dell'Acquario era d'una condotta esemplare.. pur di difendere la Dea, avrebbe ucciso i suoi compagni. "No. non pensavo a questo". Improvvisamente, il Sacerdote cercò di trasmettere a Odin, qualcosa, qualcosa che solo loro due potevano capire. "Se solo penso che oggi
potrebbero essere tutti vivi..". Ad uscire per primo dalla triste prigione del silenzio fu Odin che, alzatosi e recatosi all'esterno della Casa, affermò:"Forse è meglio che tu ti occupi prima di questo", indicando con la mano al Sacerdote (che lo aveva seguito all'esterno) le fiamme che si levavano dai grandi edifici di legno in lontananza. Le nuvole di fumo arrivavano a toccare il cielo, inquinando la luce mattutina. Dentro l'elmo, il Sacerdote strinse gli occhi. Sapeva già. Atene era in rivolta.
Atene, vicoli, 7 maggio 1793
"Smettetela!Smettetela!". Le urla di Sion si persero nel clamore generale, mentre il giovane prescelto dall'Ariete evitava un altro lancio di frutta marcia. La via, dove normalmente si teneva una sorta di mercato, si era trasformata in un campo di battaglia. I monelli cenciosi correvano lungo le strade storte, rifornendo gli adulti di altri maleodoranti proiettili. Sion
era privo dell'armatura: vestito da popolano, in modo che nessuno capisse chi era, cercava di calmare i rivoltosi senza dover usare la forza. Ma pareva tutto inutile. "Il Sacerdote ci affama! Morte al Sacerdote! Morte ai ricchi che abitano nel
Tempio!". Nell'udire simili bestemmie, Sion trasalì. Lui, che fino ad allora era vissuto lontano a migliaia di chilometri dal Tempio, adorava il Sacerdote con un rispetto dovuto a un dio. E ora scopriva che coloro che vivevano all'ombra del Santuario lo odiavano.inaudito! "Morte!
Morte anche a lui!". la folla ondeggiò e minacciava di caricare contro il solitario giovane. Ma Sion s'impose di stare calmo: doveva risolvere quella faccenda senza spargimento di sangue.ci doveva essere una soluzione! Improvvisamente, due loschi figuri uscirono dal resto della massa, incitando gli altri: "Abbasso il Sacerdote! Adorate Tifone! Egli vi condurrà alla
verità! Tifone! Tifone!". TIFONE! TIFONE! Le grida della folla ferirono l'animo di Sion nel profondo: rassegnatosi, il
giovane si preparò ad attaccare i due sobillatori. quando il Sole discese sulla Terra, schierandosi al suo fianco. Quando Sion si girò, per poco non trasalì. In mezzo a una nube dorata, il Cavaliere del Sagittario si era presentato. Con indosso l'armatura. "Sono Rigel del Sagittario". I capelli rossi del ragazzo ardevano, e il suo sguardo era fisso sulla folla, ora silente. Ad Atene tutti avevano sentito parlare dei cavalieri, ma i più li consideravano una leggenda. Si erano sbagliati. Poi, senza dire nulla, Rigel iniziò a spogliarsi dell'armatura. Elmo. Bracciale destro, bracciale sinistro. Pettorale. In un attimo, il
giovane dai capelli rossi si ritrovò in umili abiti, con l'armatura stesa nella terra fangosa ai suoi piedi.
I maledetti sobillatori agirono ancora:"Guardate! E' un uomo! I Cavalieri non sono che uomini, come il sacerdote! Non sono dei! Ribellatevi, colpitelo!". La folla iniziò a raccogliere ciottoli e pezzi di legno scheggiato. Sion fece un passo in avanti, convinto che fosse ora di fermare quella follia, ma Rigel lo trattenne con un cenno della mano. "Ci penso io" disse. Poi, poste le braccia come se volesse abbracciare l'aria, cominciò ad avanzare. Il primo ciottolo lo colpì alla testa, senza fargli apparentemente nulla. Il secondo al petto, il terzo ancora alla testa. Man mano che Rigel andava avanti, i colpi della folla si facevano più forti e più precisi. Le urla, dietro incitazione dei sobillatori, raggiunsero un livello parossistico. La folla chiedeva sangue. Al decimo sasso, una linea rossa comparve sul petto del giovane Cavaliere. La pioggia intermittente si tramutò in una vera e propria tempesta di roccia. Ma Rigel non demordeva: il suo sguardo esprimeva determinazione, e il ragazzo continuava ad andare avanti. Qualcuno lanciò un vero e proprio blocco di granito. Ma Rigel continuava, estatico. Sion era ormai convinto che il giovane fosse impazzito. Il ragazzo del Sagittario oltrepassò i due seguaci di Tifone, coperto di sangue. Alla millesima pietra, comparve la prima scia rossa sul collo muscoloso. Infine, percorsi gli ultimi, barcollanti passi, Rigel abbracciò un robusto contadino che brandiva un bastone. Il bastone cadde. Rigel pure, coperto di sangue. L'uomo lo guardò per un attimo, inerte a terra, poi gridò con voce strozzata: Fermi! E' solo un ragazzo!". I due sobillatori cercarono di reagire, ma una luce abbagliante li avvolse, riducendoli in polvere. e per la prima volta in quell'infernale mattinata, Sion si sentì soddisfatto di se stesso. Nel frattempo, la folla aveva circondato Rigel, in un abbraccio ora caldo e
amoroso. Pietre e bastoni giacevano inutilizzati a terra: il giovane venne portato in braccio dal contadino coperto del suo sangue. Già si cercava un medico, e in tutta la città numerose bande di ribelli andavano arrendendosi ai soldati del Tempio o alle guardie ottomane. Alla sera, la città fu dichiarata pacificata.
Monte Etna, 7 maggio 1793
Il vapore sibilante sembrava voler fuggire dalle crepe della roccia, schizzando via. L'uomo che fissava il fenomeno, con tranquillità da scienziato, poteva essere definito malvagio, in tutta la vasta gamma di significati assegnabili a questo termine. L'odio traspariva persino dall'orrenda maschera, imitante una testa di drago; le mani si aprivano e si chiudevano convulsamente, e tutta la sua figura pareva ergersi sopra un mare generato dalla sua stessa follia. Il Celebrante, prigioniero di pensieri incomprensibili per la maggior parte degli uomini, sembrò non accorgersi dell'uomo comparso alle sue spalle. Poi, come se un richiamo silenzioso lo avesse riportato alla realtà, il massimo rappresentante di Tifone in terra si voltò, provocando un moto di terrore nel messaggero. "Dunque?". L'uomo esitò prima di rispondere: "I nostri agenti ad Atene. hanno fallito". Per un momento, l'intera Natura sembrò fermarsi, timorosa di ascoltare la risposta del Celebrante. Poi, questi parlò: "Dunque, i Cavalieri hanno fermato i rivoltosi. avevo sottovalutato quei ragazzini, lo ammetto". Il Celebrante
iniziò a camminare avanti e indietro, ignorando il sibilo del vapore incandescente. La sua figura ammantata metteva decisamente in soggezione il Custode, uno dei sette uomini preposti alla difesa di Tifone e del suo sacerdote. Benchè temprato da molte dure battaglie, l'uomo era cosciente dell'inferiorità del suo cosmo, se paragonato alla forza nata dal Caos posseduta dal Celebrante. Soprappensiero, l'uomo per poco non sobbalzò quando si accorse che la testa di drago lo fissava ora direttamente negli occhi. "Guardami... ti ho forse colto disattento? No. tu sei un mio fedele servitore, e noi due perseguiamo la stessa causa."detto questo, il Celebrante gli voltò le spalle: ".anche perché.se non fosse così. tu sai
quale punizione viene riservata ai traditori". Il Custode sapeva, eccome: l'ultimo ribelle aveva urlato per ore, prima di morire . e la sua morte era stata la cosa più orribile a cui il Custode avesse mai assistito nella sua lunga e violenta vita. Lui non voleva fare la stessa fine. Piuttosto, avrebbe obbedito a tutti gli ordini del suo Signore.. per quanto folli potessero essere. Il Celebrante gli si avvicinò improvvisamente: la maschera mandava strani riflessi rossastri, come se in essa ardesse un fuoco segreto. "Non tradirmi mai" disse il Celebrante. "Non tradirmi mai.".
Atene, 7 maggio 1793, qualche ora dopo
"Maledizione! Fa male!". L'uomo non accennava a smettere di dimenarsi: il dolore lo stava letteralmente facendo impazzire, e rendeva ancora più pesante l'atmosfera che si respirava nel palazzo della guarnigione di Atene. Costruito secoli prima per volontà di Atena, il palazzo rappresentava la base operativa dei soldati del Santuario. Normalmente, in esso sarebbero risuonate le urla e le espressioni colorite dei soldati intenti ad allenarsi: ora, invece, vi echeggiavano i lamenti dei feriti. La rivolta ne aveva causati decine, e il palazzo dei soldati era stato scelto come ospedale momentaneo. I medici si destreggiavano tra le brande, soccorrendo chi urlava più forte. In mezzo a tanta frenetica attività, i lenti e misurati passi del giovane sembravano decisamente fuori luogo. I lunghi capelli violetti sembravano accarezzare le spalle muscolose, dandogli una bellezza quasi ultraterrena. Infine, il ragazzo si fermò dinanzi a quella che un tempo era stata la branda di un soldato, posata a terra, in un corridoio semideserto. Un trattamento speciale per un paziente speciale.
"Come sta, Policrates?". Il medico era affaccendato con le bende che ricoprivano quasi completamente il corpo del giovane, ma non esitò un attimo a rispondere: "Non è ridotto un granchè bene, Sion". Tra le coperte e le
bende si intravedeva ora una ciocca di capelli rossi. L'energico guaritore aveva i capelli ricci e neri come i suoi occhi: un tipico greco, insomma. Se Sion lo chiamava per nome, era perché aveva fatto la spola ben sei volte tra il Santuario e il palazzo, per accertarsi personalmente delle condizioni dell'illustre malato: lui e Policrates si erano consultati fin troppe volte sulle condizioni di. "Sion". La voce di Rigel era ferma, apparentemente controllata. Il giovane aveva decisamente passato il momento peggiore: comunque, la sua tempra eccezionale di Cavaliere aveva fatto sì che non coresse mai alcun serio pericolo. "Dimmi, Rigel". La mente del guerriero dell'Ariete si soffermò per un attimo a pensare alle stranezze della vita. Quel ragazzo apparentemente così fragile era, in realtà, uno dei dodici uomini più forti al mondo. Eppure era riuscito, senza usare nemmeno un brandello dell'immenso potere celato nelle sue carni, a fare ciò che nemmeno cento soldati del Santuario, con l'aiuto delle guardie ottomane, avevano potuto: sedare l'infernale rivolta di Atene. "Sion.tu mi consideri un pazzo, non è vero?". Sion avrebbe voluto mettersi a ridere. E come avrebbe dovuto considerare un ragazzo che pareva avere, come unica aspirazione nella vita, il martirio volontario? Poi, un braccio fasciato e sottile ma ricoperto di muscoli si mosse di scatto, afferrandogli la mano. A quel punto, il Cavaliere dell'Ariete e il medico al suo fianco sembrarono spaventarsi veramente: il ragazzo era imprevedibile. "Guardami". Sion si trovò costretto a guardare Rigel, e ciò che vide non fu il suo corpo emaciato e ferito. Oh,no. E nemmeno la sporca branda dove il ragazzo riposava. Assolutamente no.
Ciò che Sion vide, invece, furono due soli, incastonati nel viso di Rigel. Occhi dorati che sembravano possedere una forza magnetica. Il giovane, benchè fisicamente sano, si sentì male comunque. Capì con orrore ciò che stava avvenendo: lui si stava perdendo nell'intensità dei pensieri dell'altro.
Sion, guardami.
Non riusciva più a liberarsene.
Sion, guardami.
Infine, da quelle pozze di luce Sion riuscì a fuggire, solo per cadere sotto l'influsso della voce quasi ipnotica del giovane: "Sion, non esiste niente al mondo che ci rende tanto simili a Dio quanto il perdono" Silenzio.
Poi: "Capisci ora? Io dovevo perdonare quell'uomo. Se non altro per dimostrargli (e per dimostrare a me stesso, sempre e continuamente, fu il pensiero che colse Sion) che c'è sempre un'altra via. Non esistono solo violenza e sottomissione: se fosse così, allora questo mondo non avrebbe ragion d'essere, e noi ne saremmo comunque i dominatori. Ma non è per questo che siamo stati chiamati a esistere. Noi dobbiamo mostrare all'uomo comune, prigioniero di questa tenebra violenta che è la vita, che l'amore e il perdono sono forze piene di luce. Come il cosmo". Quel magico momento di comunicazione tra i due Cavalieri venne e passò, ma mai più Sion avrebbe dimenticato cos'erano amore e perdono per Rigel: mai, in tutta la sua vita. Cose piene di luce. Come il cosmo.