CAPITOLO NONO: UN EROE CHE NON C’E’.
In piedi, al centro delle stanze a lei riservate, nella casa ove un tempo abitava felice con l’amato, e che adesso nient’altro le sembrava se non un freddo tempio di marmo, una donna dalle lunghe vesti candide, d’aurei ricami rifinite, osservava l’ambrosia che aveva appena versato in una coppa d’oro. Non una delle tante con cui era solita servire nettare alle Divinità del Monte Sacro, bensì la prima che le era stata donata.
Era stato proprio Ercole a chiedere a Efesto, fabbro olimpico, di realizzarla per lei, di intarsiarla così bene da elevare un semplice oggetto domestico a simbolo del loro amore. Era la coppa da cui avevano bevuto insieme in occasione del loro sposalizio e che in seguito, dopo la dipartita dell’amato dall’Olimpo, lei avrebbe voluto lanciargli dietro, rabbiosa, gridandogli quanto lo odiasse. E quanto al contempo lo amasse.
Sospirò, cercando di mettere da parte il passato, fallendo nuovamente. Come aveva fallito nei due secoli precedenti. Non essendo mai riuscita a dimenticare quella notte.
"Fermati, Ercole!" –Lo aveva chiamato, con tono deciso ma implorante, sorprendendo l’uomo, che immaginava dormisse, sulla soglia di casa. Vestito come un umile viaggiatore, con una sacca di tela sulle spalle e nient’altro che una rustica clava come arma. –"Dove stai andando a quest’ora tarda? Vuoi forse scendere a cacciare nella Foresta Sacra, suscitando le ire di Artemide, ben gelosa dei suoi animali?"
"Non di prede o di gloria sono in cerca stanotte! Ma di qualcosa che temo di aver perso tempo addietro, o forse di non aver mai trovato! Me stesso!" –Aveva risposto mestamente il Dio dell’Onestà, voltandosi verso la sposa, che era subito corsa da lui, sollevando la leggera vestaglia, per abbracciarlo.
"Parli per enigmi, mio Signore! E non dovresti, con tua moglie, che è metà del tuo regno! Se qualcosa ti turba, se qualche pensiero ti cruccia, apriti con me e lascia che insieme troviamo la soluzione!"
"E se una soluzione non ci fosse? Se improvvisamente realizzassi che tutto quello che volevi è sparito, perduto per sempre, e quel che resta non è altro che una volgare, ed effimera, ostentazione di lusso e di fasto, a cui mai sei stato aduso né mai lo sarai?!"
"Ercole…" –Mormorò la donna, muovendo un passo indietro e fissando l’uomo che amava e aveva creduto di conoscere per secoli. L’uomo che adesso gli sembrava così lontano da non appartenergli più.
"Mi hai dato tanto, per un tempo più lungo di quanto mai avrei creduto, e non c’è attimo vissuto insieme che io rimpianga, perché ogni attimo l’ho voluto! Ma adesso, per me, devo seguire un’altra strada che neppur’io so dove mi condurrà! Per certo, via da qui! Via da questo monte di Dei capricciosi e viziati, persi nella dissolutezza e nel disinteresse del presente!" –Aveva aggiunto, incamminandosi verso l’uscita e fermandosi soltanto sui primi gradini che dall’androne conducevano in giardino, dove, senza voltarsi, parlò di nuovo. Per l’ultimo saluto. –"Non voglio vederti piangere, non potrei sopportarlo! Ma voglio ricordarti come l’ancella felice con cui mi sono unito un tempo e che mi ha regalato secoli di felicità! Vorrei essere stato capace anch’io di fartene dono, ma credo di aver fallito!"
Non aveva aggiunto altro e se ne era andato, mentre lampi rischiaravano il cielo sopra l’Olimpo e una mesta pioggia si mescolava alle lacrime della sua sposa divina, rimasta là, per tutta la notte, con in cuore la speranza di vederlo ricomparire. Di vederlo tornare sui suoi passi e sentirlo vicino. Come credeva di averlo sentito per tutto quel tempo trascorso insieme. Quel tempo in cui era stata felice, al punto da donargli tre figli, imprimendo nel loro animo i suoi stessi sentimenti.
E adesso, duecentocinquanta anni terrestri dopo, realizzò che non era cambiato niente. Aniceto era sempre arrabbiato con il padre, Alessiroe era sempre dispiaciuta e Alessiare non aveva mai smesso di credere che sarebbe ritornato, incapace di accettare che l’uomo che così tanto aveva ammirato li avesse lasciati da soli.
In quanto a lei, Ebe, Coppiera degli Dei e figlia di Zeus e di Era, provava tutto quel che provavano i suoi figli. E i suoi genitori. Rabbia, dolore, tristezza, speranza e gelosia. Un ponte di sentimenti in cui Ercole era l’altra sponda, che adesso era decisa a raggiungere.
Si tagliò le vene della mano destra con un colpo secco di pugnale e centellinò le gocce del proprio sangue divino nella coppa, lasciando che il cosmo scivolasse via con l’Ichor. Non aveva molto tempo, ben sapendo che Aniceto e gli altri due figli avrebbero capito cosa stava facendo e sarebbero intervenuti, per salvarla. Ma quel tempo, sia pur poco, lo avrebbe sfruttato al meglio. Per arrivare a Ercole, impegnato, stando a quel che Zeus le aveva detto poc’anzi, in uno scontro all’Inferno.
Ed infatti proprio nella Sesta Prigione di Ade il Dio dell’Onestà si trovava, appeso con una mano soltanto a un ponte di pietra, mentre lava ardente ribolliva sotto di lui.
Tuchulca, il demone etrusco desideroso di ottenere il rango di Giudice Infernale, ce lo aveva appena scaraventato, e adesso batteva il suolo con i suoi piedi robusti, per metter fine a quell’inutile agonia.
"Procrastinare un destino inevitabile non ti permetterà di scansarlo!" –Commentò, fissando Ercole con una punta di disprezzo. –"Lascia che le tue dita cedano, senza sottoporle a sforzo ulteriore, e raggiungi i disonesti tuoi compagni nel mare di lava! Raggiungi coloro che bestemmiarono contro Dio e, nel tuo caso, contro gli uomini!"
"Contro… gli uomini?! Cosa intendi, demone etrusco? Quando avrei bestemmiato contro i miei simili?!"
"Chiarisci a te stesso, prima di tutto, chi sono i tuoi simili! Se gli uomini o gli Dei!" –Puntualizzò Tuchulca. –"Inoltre, per come la vedo io, con i tuoi comportamenti, con il tuo barcamenarti continuo, in perenne bilico tra status umano e divino, hai offeso entrambi! Ma che te ne parlo a fare? Tu lo sai ben meglio di me!"
"Questo… non è…"
"Vero?! Ardisci ancora a proferir menzogna, Sommo Ercole? Gli schizzi di lava che ti infiammano i piedi non ti spingono alla celeste verità? Tanta ostinazione nel negare l’evidenza mi sorprende! Che sia la stessa perseveranza che nel Mondo Antico ti ha permesso di rialzarti sempre e comunque, superando tutte le fatiche che ti furono imposte e vincendo tutte le imprese in cui ti cimentasti?"
"Non hai capito…" –Commentò Ercole, socchiudendo gli occhi e radunando tutte le forze, con cui riuscì a sollevarsi di lato, distendersi sul terreno e rimettersi infine in piedi, di fronte allo sguardo nient’affatto sorpreso di Tuchulca. –"Non intendevo dire che non fosse vero, poiché in parte lo è, bensì che non fosse esatto! Per quanto non sia stata mia intenzione, alla fine credo proprio di aver deluso tutti, uomini e Divinità, poiché non sono mai riuscito a vivere come uno di loro! Come entrambi avrebbero voluto che vivessi!"
"È tardi per accorgersene, Dio di tardiva Onestà!" –Affermò Tuchulca, sollevando il braccio destro e caricandolo di energia cosmica. –"Il farthan già miete la sua vittima! Che la sua forza vitale ti travolga, Ercole!"
Un abbagliante ventaglio di luce azzurrognola si chiuse sul figlio di Zeus, che cercò di parare l’attacco alzando le proprie braccia, riuscendovi solo in parte e venendo spinto comunque indietro, strusciando i piedi sul terreno e grondando sangue, da tutte le ferite apparse sul suo corpo.
Per quanto fisicamente in forma, Ercole ben sapeva che, privo di cosmo e di una corazza, non avrebbe potuto resistere a lungo agli assalti del suo avversario, che pareva invece non stancarsi affatto. Anzi Tuchulca sembrava divertirsi, seguirlo interessato, senza mai sforzarsi troppo, credendo forse che non avrebbe avuto bisogno di dare fondo a tutto il suo potere per affrontare un disarmato eroe che tale non si considerava affatto.
"Forse perché non lo sono stato mai…" –Mormorò Ercole, a denti stretti, cercando di resistere alla furia dell’attacco, con gli arti e i fianchi squarciati dai fasci di energia.
Per un attimo gli parve di ritornare indietro nel tempo, quand’era ancora giovane e aveva affrontato, privo di cosmo e usando soltanto rudimentali armi, le bestie entrate con lui nel mito. L’idra di Lerna, il leone di Nemea, il terribile Gerione, il centauro Nesso. Ironicamente si ritrovò a sorridere, e a pensare che all’epoca, in quei momenti di lotta cruenta, a tratti animalesca, mai lo aveva invaso il timore della sconfitta.
"Perché?!" –Si chiese, cercando di trovare, nel ricordo del sentimento provato un tempo, un modo per reagire e contrastare la forza vitale del demone etrusco.
Per un certo periodo aveva creduto di essere benedetto dal cielo. Aveva pensato di possedere, in quanto figlio di Zeus, un qualche potere nascosto che lo rendesse più forte degli altri umani, che lo rendesse più resistente e meno mortale. Ma l’idea, a lungo andare, non lo aveva convinto troppo.
Prima di tutto perché quel che aveva ottenuto lo doveva soltanto alle proprie forze, non avendo mai ricevuto da suo padre aiuto alcuno, e secondariamente perché aveva imparato, per esperienza diretta, che anche gli Dei e gli eroi mitici potevano morire. Glielo aveva insegnato la storia delle Guerre Sacre che gli abitanti dell’Olimpo, e le armate da loro istituite, combattevano a cicli alterni, e glielo aveva confermato la vita. La sua vita, marcata, come quella di molti altri uomini antichi, dal segno della morte. Provata o subita che fosse.
Quanti nemici aveva ucciso? Non si contavano più, e di molti non ricordava neppure il nome. Termero, che amava massacrare i viandanti a testate, cadde con la testa spaccata da Ercole. Ergino, re di Orcomeno, spirò nel tentato assalto a Tebe. Lico, figlio di Poseidone, pagò il tentato stupro di Megara. Sarpedonte, altro figlio dell’Imperatore dei Mari, saziò la sua fame di sangue con il proprio, mentre Laomedonte e la sua prole vennero puniti come trasgressori. E molti altri, uomini e bestie, caddero sotto i vigorosi colpi dell’uomo che volle farsi Dio. O del Dio che avrebbe voluto essere un uomo.
E di quanti amici, ugualmente, aveva visto la fine? Quanti erano sfioriti al suo fianco, incapaci di vivere la sua lunga vita o vittime degli intrighi della sua esistenza? Un’esistenza che Era non esiterebbe a definire maledetta. Anfitrione, sposo di Alcmena e suo padre adottivo, sempre affettuoso nei suoi confronti, caduto nell’assedio di Tebe da parte di Ergino. Chirone, il centauro saggio e suo alleato, ferito per errore da un dardo avvelenato dell’eroe, durante uno scontro con i centauri nemici. Lino, il musico che aveva tentato di sviluppare in lui la passione per la lira, ucciso sbadatamente dal focoso temperamento dell’allievo. Ificle, suo fratello per parte di madre, morto al suo fianco durante la spedizione contro i Moloni.
Di quanto sangue era imbrattata la sua vita. Di cinabre macchie di colpa da cui non riusciva a liberarsi.
Ercole Callinico lo cantavano gli antichi. Ercole il vincitore. Ma Miaiphonos, al posto di Ares, avrebbero dovuto chiamarlo. Colui che è macchiato di sangue.
Morto sul rogo e assurto all’Olimpo, aveva creduto di trovar pace, di raggiungere l’armonia celeste degli Dei e degli eroi. Ma quell’attesa era stata delusa, e per quanto l’amore di Ebe e la compagnia dei suoi tre figli avrebbero dovuto garantirgli la felicità, qualcosa gli era comunque mancato.
Qualcosa che aveva cercato di nuovo sulla Terra, nel Sedicesimo e Diciassettesimo secolo, girovagando solitario per monti e valli, affrontando briganti a mani nude e giungendo infine a fondare Tirinto e a istituire il nuovo ordine di Eroi. Perché lo aveva fatto? Lo conosceva il motivo, lo aveva sempre saputo, perfettamente conscio che, per quanto avesse provato, per quanto avesse lottato, lei non l’avrebbe più incontrata. Deianira era ormai solo un ricordo, e con lei tutta la sua vita passata.
"Pur tuttavia sono andato avanti!" –Si disse, mentre l’onda d’urto generata da Tuchulca lo sollevava da terra, spingendolo di lato fino a schiantarlo contro un mucchio di rocce, agli inizi del ponte di pietra. –"Sempre! Senza mai tentennare! E non era la convinzione di essere un protetto di Zeus, non era la brama di gloria, a donarmi la vittoria, bensì la mia determinazione! L’avere uno scopo! Quel che ultimamente ho perso, naufragando in un passato che non posso cambiare!"
"Precisamente!" –Chiarì il demone etrusco, che pareva comprendere i turbamenti dell’animo di Ercole, anche se questi parlava con se stesso.
"Aver perso la bussola, aver creduto che un mondo diverso fosse possibile, dove Deianira fosse ancora viva ed Era non mi odiasse per quello che rappresento, è stata un’utopia, uno scherzo del cuore! E nell’inseguirla ho condannato a morte uomini che in me credevano, che in me vedevano un modello, una stella da seguire! Privi della mia luce, si sono spenti, anch’essi allo sbando come il loro Signore!" –Mormorò, rialzandosi e sputando sangue. –"Bel Signore sono stato! Bell’esempio di vergogna! E questo sangue che mi insozza le mani ne è testimone! Non il mio, ma quello di tutti i caduti a causa delle mie debolezze!"
"Le debolezze di un uomo che ha lottato una vita intera per divenire un Dio ed essere accettato da suo Padre, o di un Dio che, stufo del suo languire in ozio, ha voluto riprovare il sapore di un’esistenza mortale? Sei stato incompleto per tutta la vita, sospeso tra due mondi in cui non hai mai saputo vivere!"
"Le debolezze di entrambi. O forse soltanto le mie!" –Commentò Ercole, accennando un sorriso. –"Uomo o Dio, che importa?! Sono ancora io, e questo mi basta!"
"Lo credi realmente?!" –Ironizzò Tuchulca, fissando l’antico Dio con sguardo tagliente e scaraventandolo di peso contro un mucchio di rocce, frantumandole sotto la sua robusta mole. –"Hai vinto molte battaglie, anche alcune che avrei dato per perse in partenza, ma stavolta vincere ti sarà impossibile, poiché contro te stesso dovrai lottare! Contro un uomo che, per quanto demoniaco sia il suo aspetto, a nient’altro anela se non ad un futuro, una prospettiva sufficiente per combattere fino alla fine!"
"Dici il vero, Tuchulca, e vorrei poterti aiutare ad ottenere il ruolo a cui ambisci! Ma non a prezzo della mia sconfitta! Perché morendo, qua e oggi, morirebbe con me tutto ciò per cui ho vissuto e lottato!" –Ercole sputò sangue e si rimise in piedi a fatica. –"Non l’avevo compreso finora! Non avevo capito quante persone dipendevano davvero da me, quante ne ho ferite con la mia continua ricerca di me stesso! Donne che mi amavano, allievi che volevano emularmi e padri che bramavano soddisfazioni! Cadere adesso vorrebbe dire cancellare tutto e ammettere di aver fallito, ammettere che non vi fosse niente in cui credere davvero!"
"Hai già fallito, lasciando che gli Heroes tuoi fratelli morissero mentre tu aspettavi un segno dal cielo, rinchiuso nel tuo studio!" –Esclamò Tuchulca, dirigendogli contro un raggio di energia, che Ercole parò a fatica, lasciando che si schiantasse contro i palmi aperti delle sue braccia, su cui una debole luce bianca, timida parvenza di cosmo, iniziò a brillare.
"Ti sbagli! I miei fratelli sono morti con onore, lottando per ciò in cui credevano! I miei fratelli hanno vissuto come io ho vissuto nel Mondo Antico! Ed è anche per loro che devo tornare!" –Gridò Ercole, tendendo i muscoli al massimo. –"Le infuocate distese di Ade mi hanno atteso per secoli! Che aspettino ancora, maledizioneee!!!" –E nel dir questo spinse con tutta la forza che aveva in corpo, rilanciando indietro la sfera di energia che si era generata tra le sue mani, nel breve scontro tra i loro cosmi.
"Incredibile!" –Commentò il demone etrusco, spinto indietro dalla pressione generata da Ercole. –"La sua possanza supera il mito! Senza clava, senza la pelle del leone Nemeo, senza corazza, rimane sempre il glorioso figlio di Zeus! Quale onore misurarmi con lui!"
Tuchulca non riuscì a terminare i propri pensieri che dovette scansarsi di lato, per evitare un affondo di Ercole, balzato su di lui con la destrezza di una fiera. Gli parve quasi di sentirlo ruggire, tanto concitato era il suo agire. Di ritrovata baldanza e rinnovato vigore.
"Ma non di altrettanta potenza!" –Concluse, fermando i suoi pugni mettendo un braccio di traverso e lasciando che si infrangessero sulla sua corazza, senza produrle alcun danno. –"Che l’arcano potere del farthan ti travolga, Dio degli uomini!" –Disse, mentre lo sollevava con forza, scagliandolo in aria, alle sue spalle, e investendolo con un ventaglio di energia, che subito si chiuse su di lui.
Ercole, privo di qualsiasi difesa, venne travolto e dilaniato dall’indicibile essenza del genio, della forza vitale dell’etrusco, che lo lasciò a terra sanguinante, a pochi passi dal baratro infuocato ove presto Tuchulca lo avrebbe scagliato.
Annaspò tra i ciottoli del terreno, con il corpo pieno di tagli e tumefazioni, cercando di rialzarsi. Ma un calcio in pieno viso lo spinse ancora più indietro, spaccandogli alcuni denti e inondandogli la bocca di sangue. Un sapore che il Dio ben conosceva. Un sapore che, tutto sommato, non gli dispiaceva. Perché gli ricordava se stesso e tutto quel che aveva vissuto fino ad allora.
Ma i ricordi, per quanto belli, non bastavano a sollevarlo di nuovo.
"Un magazzino devono essere! Un luogo del cuore ove tu possa custodirli e attingervi in caso di bisogno! Nelle tue sere nere! Per rinfrescar la memoria con le immagini di quel che hai fatto per diventare l’eroe che tutti ammirano e per spronarti ad esserlo di nuovo! L’eroe che, per quanto in quel ruolo tu ti ci sia sempre sentito stretto, sei!"
"Questa… voce…" –Rantolò Ercole, cercando di voltarsi ma accorgendosi che non c’era nessuno accanto a lui. –"Viene… dal mio cuore…"
"Proprio così, mio buon amico! Nel cuore risiede la forza di un Cavaliere, di un guerriero coraggioso che sa per cosa combatte e per cosa rischia la vita, di un condottiero impavido e di un uomo che non ha difficoltà a definirsi tale!"
Solo allora Ercole lo vide, il suo vecchio compagno di avventure, con cui aveva scorazzato per la Grecia ed il Mediterraneo nella seconda metà del Diciassettesimo Secolo. L’uomo che gli aveva fatto riscoprire il valore dell’amicizia e che egli aveva investito del titolo di Primo tra gli Heroes.
Linceo della Piovra, il maestro di Alcione.
"Ricordi come salvasti la mia famiglia da morte sicura? Eri depresso all’epoca, quasi convinto che tuo Padre avesse ragione, che senza Deianira non vi fosse niente più che ti legasse a questo mondo! Eppure non esitasti a correre in nostro aiuto!"
"Ero… nei pressi del fiume, con un masso legato al collo, e fissavo lo sciabordare della corrente, indeciso se lanciarmi o meno. Per quanto l’avessi cercata più volte in battaglia, la morte non era corsa da me, ma in quel momento, in cui mi si offriva a braccia aperte, esitai!"
"E fu un bene!" –Sorrise Linceo. –"Così potesti intervenire in nostro aiuto! Le acque del fiume erano straripate e stavano per inondare il villaggio vicino! Alle nostre grida, alle grida di sconosciuti, ti risvegliasti dal sonno di morte, e scavasti con la sola forza delle braccia un canale per far defluire le acque, impedendo che le nostre case venissero travolte e che molti perissero!"
"Ho soltanto fatto quel che era giusto fare…" –Commentò Ercole, con la stessa candida modestia che aveva impressionato Linceo e i suoi genitori quel giorno.
"Come sempre! E te ne sono grato! Perché quel giorno ti conobbi e la mia vita cambiò! Che tu voglia accettarlo o meno, hai cambiato la vita di tutti, Ercole! Perché ci hai dato uno scopo, qualcosa in cui credere! Perciò smettila di lamentarti, e di odiarti per non essere stato l’eroe che tutti volevano! E rialzati, dimostrando al cielo, ma soprattutto a te stesso, di essere in errore!"
"Gra… grazie!" –Si limitò a mormorare il Dio dell’Onestà, boccheggiando nel rimettersi in piedi, prima di chiedere all’amico come potesse essere lì. –"Credevo che il tuo spirito fosse stato distrutto da Era sulla cima di Samo!"
"Credevo anch’io di essere destinato all’oblio eterno! Ma pare che dobbiamo ringraziare il nostro nemico…" –Disse il maestro di Alcione, sornione. –"L’Hintial mi ha richiamato dalla dimenticanza, conducendomi qua, per porgerti l’ultimo aiuto!"
"Non smetterò mai di aver bisogno dei tuoi consigli, Linceo…"
"Sì, invece! Poiché questo era l’ultimo! Sei grande abbastanza per risolvere da solo i tuoi problemi, non credi?" –Ironizzò l’Hero della Piovra con un sorriso sincero, prima di svanire. –"Dentro di te c’è già tutto quel che serve, per essere un eroe!"
"Linceo!!!" –Gridò Ercole. Ma intorno a lui non vi era più niente, soltanto il fumo e il caldo ribollir della lava che scorreva sotto il ponte di pietra. E Tuchulca che, ritto di fronte all’eroe divino, lo fissava incuriosito, credendo fosse stato vittima di un’allucinazione dovuta ai vapori della Valle della Rimembranza.
"Ti sorreggono ancora quelle affaticate gambe? Ben lo spero, perché avrebbe sapor diverso la vittoria contro un derelitto!" –Esclamò il demone etrusco, espandendo il proprio cosmo azzurrognolo. –"Hintial! Che le ombre e i rimpianti della tua infausta esistenza ti sprofondino nell’abisso, Ercole!" –E strati di fatue evanescenze partirono dalla sua mano, avvolgendosi attorno al corpulento fisico del figlio di Zeus, in un lamentarsi continuo, di requiem e sussurri di morte.
"N… Nooo!!!" –Ringhiò Ercole furioso, digrignando i denti e concentrando tutte le forze che aveva in corpo, adesso rivestito da un debole strato di cosmo bianco. Sottile come brina, ma capace di respingere le anime erranti evocate da Tuchulca.
"Mi obblighi a ripetermi? Nelle tue condizioni, privo di cosmo e con il cuore lacerato dai dubbi, come puoi anche solo ardire di resistermi?" –Affermò il demone, prima di osservare con maggior attenzione la scena e rendersi conto che gli spiriti evanescenti si stavano facendo sempre più fatui, assorbiti progressivamente dal Dio, il cui cosmo stava crescendo sempre più, ritornando alla celebre possanza di un tempo. –"Non… non è… possibile! Le ombre dell’anima… stanno perdendo la loro oscurità… e divengono spiriti luminosi che incrementano l’aura cosmica di Ercole!!! Divengono la sua stessa forza!!!"
"Così è, Tuchulca! Rassegnati! Il tuo tentativo di piegarmi usando il mio passato come arma è fallito, perché io, del mio passato, vado fiero e orgoglioso, in quanto mi ha permesso di essere quel che ora sono! Uomo e Dio! E anche Adone, Gerione, Damaste e i compagni che in punto di morte han chiamato il mio nome, condividono quest’opinione! Perché in me ripongono fede, la stessa che io ho avuto in loro! Una fede negli uomini che è la mia forza più grande!" –Gridò Ercole, il cui cosmo acceso come una stella, capace di rischiarare l’intero paesaggio infernale, turbinò attorno a sé, prima di travolgere Tuchulca e spingerlo in alto, scheggiando la sua corazza in più punti e schiantandolo al suolo, proprio al centro del ponte di pietra.
Il fiume di lava si agitò, le sue onde si incresparono, sollevandosi minacciose, quasi a voler afferrare i corpi martoriati dei duellanti e cibarsene. Ma né Ercole, né Tuchulca, rimessosi prontamente in piedi, se ne curarono troppo, consapevoli che soltanto la sconfitta dell’altro avrebbe potuto consentir loro di andarsene.
"Troppe… troppe aspettative ho riposto su questo incontro! Perdonami, campione degli uomini, ma devo vincerti! Zeus in persona me lo ha comandato! È l’unico modo che ho per liberarmi di quest’orrido aspetto, da sempre temuto e deriso, e ottenere un’investitura che possa concedermi rispetto e onore!"
"Le tue ragioni ben le comprendo, Tuchulca! Sono quelle degli altri che non mi sono chiare!" –Mormorò Ercole, quasi parlando con se stesso. E sia Dioniso che mio Padre dovranno rispondere a molte domande, quando li incontrerò di nuovo. –"Spero che anche tu comprenda le mie!"
Il demone etrusco non rispose alcunché, si limitò a concentrare il cosmo sul palmo della mano e a liberare il suo colpo segreto.
"Farthan!" –Tuonò, liberando un cono di energia lucente che si chiuse su Ercole, che ruggì con un gran furore, finalmente di nuovo avvolto dal suo cosmo sfavillante.
"Fede negli uomini!" –Gridò, portando avanti il braccio destro e dando impeto alla tempesta di energia, che si scontrò con l’assalto di Tuchulca, caricando l’aria di faville scintillanti.
"Attacco diretto e devastante! Peccato soltanto che già lo conosca! E abbia avuto modo di notarne i limiti!" –Spiegò a bassa voce l’aspirante custode dell’Inferno, di fronte agli occhi sorpresi del Dio dell’Onestà. –"Gli stessi di tutti gli assalti di questo tipo! Abbracciano uno spazio piuttosto ampio, ove possono travolgere tutte le persone presenti, ma, proprio a causa della loro stessa estensione, non hanno mai, in un singolo punto, la stessa forza che invece possiedono nell’insieme!"
"Acuto!" –Commentò Ercole, non accennando comunque a diminuire l’intensità del proprio assalto, accorgendosi, infastidito, che non riusciva a raggiungere Tuchulca, riparato dal ventaglio di energia che aveva aperto di fronte a sé, oltre il quale la sua tempesta lucente non riusciva ad andare. –"Dispersivo, dici? Può darsi! Ma se tu non l’avessi conosciuto, saresti rimasto travolto dalla sua foga! Poiché contiene la stessa ansia, la stessa voglia di vivere degli uomini! Ma se questo non basta, se non è sufficiente a metter fine a questo scontro che non avrei voluto, allora ti onorerò del mio colpo più violento, ove concentro tutta la bestialità del mio essere! Perdonami se te lo volgo contro, nobile etrusco, che di demoniaco non hai niente più che l’aspetto! Avrei voluto evitarlo, perché dentro di te, io ben lo sento, palpita un cuore umano!"
Nel dir questo, Ercole mutò l’emanazione del suo cosmo, caricandola maggiormente di folgori che parevano squarciare l’aere a mo’di zanne, mentre alle sue spalle iniziò a ululare il vento.
"Che succede?!" –Si chiese Tuchulca, mentre già le prime zanne di folgore artigliavano il suo ventaglio energetico, spingendolo ad aumentarne la consistenza.
"Mira, nobile etrusco, la potenza delle bestie che sconfissi nel mito! In questo pugno c’è tutta la loro rabbia, il loro sempiterno dolore, la loro leggendaria brutalità! Queste sono le Fiere del Mito!" –Ruggì Ercole, muovendo il braccio destro ad una velocità impressionante, che Tuchulca neppure se ne avvide.
Le sentì però arrivare, sotto forma di zampate che gli squarciarono il fianco, di artigli che si chiusero sulle sue braccia e intorno alle cosce, senza riuscire, per quanto si dimenasse, a mandarli via. Erano folgori di energia dall’aspetto tremendamente simile alle fiere mostruose vinte dal figlio di Zeus nel Mondo Antico. L’idra di Lerna, il cinghiale di Erimanto, il Toro di Creta, le cavalle di Diomede, Cerbero, il guardiano infernale, il mostruoso cane Ortro e molte altre. Incapaci di vendicarsi di Ercole, potevano soltanto dirigere la loro bestialità verso nuove vittime, divenendo, ironicamente, i furiosi armenti di colui che le aveva ammansite.
L’assalto distrusse la corazza di Tuchulca, sbattendolo a terra in un lago di sangue, precipitandolo dall’altro lato del ponte, che in parte crollò per la deflagrazione, sollevando schizzi di magma e vampe di fuoco. Riuscì però ad aggrapparsi con una mano, l’unica che era riuscito a salvare dalla violenza delle fiere leggendarie, e a rimanere sospeso sopra l’oceano di lava.
Ercole, avvedutosene, gli si avvicinò, guardandolo dall’alto come il demone aveva fatto con lui poco prima. Ma senza superbia, né alcuna espressione tronfia sul volto. Solo una luce di determinazione offuscata dal dispiacere per averlo dovuto affrontare.
Senza pensarci troppo, allungò una mano, afferrando il braccio di Tuchulca, che lo guardò sorpreso, per un solo istante. Un fulmine celeste squarciò improvvisamente il velo infernale che li sovrastava, schiantandosi sul corpo del demone etrusco e dilaniandolo fin nel profondo, di fronte agli occhi inorriditi di Ercole, che venne spinto indietro dallo scoppio.
Quando si rialzò, poté soltanto osservare sgomento l’imponente sagoma di un avversario che in fondo non si era rivelato tale scomparire nel mare di lava, inghiottita dallo stesso giardino di fuoco di cui avrebbe voluto divenire il curatore.
Maledicendo il cielo, Ercole strinse i pugni e lanciò un urlo rabbioso, che scosse la Sesta Prigione di Ade, atterrendo persino i disperati peccatori ivi confinati.
"Padreee!!! Perché?!" –Ringhiò, avendo infatti riconosciuto il cosmo della potente Divinità che aveva ucciso Tuchulca.
Il suo creatore, Zeus, Signore di tutti gli Dei.