CAPITOLO QUINTO: IL TRIBUNALE DELLE COSCIENZE.

Fumi e vapori. Furono la prima cosa che Ercole vide non appena si risvegliò. E per qualche minuto, assieme a un forte mal di testa, furono le uniche certezze di cui dispose. Non aveva idea di dove si trovasse, né quanto tempo fosse rimasto privo di sensi, stordito dagli inebrianti aromi di Dioniso. Ma la cosa parve non turbarlo troppo.

Stanco, deluso dal comportamento di suo padre, dalla violenza inusitata di Era, e soprattutto da se stesso, avrebbe voluto lasciarsi andare. Restare disteso, su quel ruvido selciato, e lasciare che i fumi lo cullassero, lenendo le sue ferite, e che i vapori lo avvolgessero, lavando via l’onta che portava nel cuore. Per aver condannato a morte gli Heroes di Tirinto.

Quando Zeus lo aveva ricondotto sull’Olimpo, assieme alla sposa che l’aveva tradito, per un attimo Ercole si era sentito sicuro e aveva avuto persino l’ardore di sfidare Era con sguardo d’orgoglio, quasi a ricordarle di chi era figlio. Certo che suo padre l’avrebbe difeso.

"Invece mi ha condannato senza possibilità d’appello!" –Mormorò il figlio di Zeus, ricordando le parole aspre con cui il Signore degli Dei aveva criticato il suo operato.

Un’esplosione lo scosse improvvisamente, facendolo sussultare. Si rigirò su se stesso, ansimando, mentre le nebbie in cui era immerso si tinsero di rosso e grida strazianti gli lacerarono il cuore. Sotto di sé, in profondità, a una distanza che non sapeva definire né in alcun modo raggiungere, la cittadella di Tirinto ardeva sotto il sole di Grecia. Fiamme di guerra divoravano la corte che aveva costruito mentre le armature degli Heroes risplendevano tiepide, cozzando ripetutamente contro quelle dei loro rivali. Heroes come loro. Ma traditori.

Ificle della Clava, della Sesta Legione, guidava i guerrieri che avevano aderito all’ombra, sostituendo Partenope del Melograno, impegnato contro Chirone del Centauro in una radura poco distante da Tirinto. Al suo fianco Dinaste di Antinous, Lamia dell’Amazzone, Efestione di Erakles, assieme a Eolo e a Zefiro, figlio dell’Aurora, e ai kouroi rimasti.

Ercole tremò, come le mura della fortezza, scosse in profondità dal cosmo dei nemici e dai massi scagliati dai giganti di pietra, istigati dal cosmo furente di Era che li pervadeva. Fu scosso dallo stesso brivido di quel giorno. Un brivido di incertezza.

"Mio Signore!" –Aveva esclamato Penelope del Serpente, entrando di corsa nelle Stanze del Dio dell’Onestà. –"Tirinto è sotto assedio!" –E lo aveva trovato a petto nudo, fermo di fronte alla Veste Divina. Pronto ad indossarla, ma ancora reticente nel farlo.

"Scenderò tra voi!" –Si era limitato a commentare Ercole, sfiorando la fredda superficie della corazza forgiata da lui stesso, assieme a Efesto, il fabbro degli Dei, nelle fucine sotto il vulcano Etna.

Ma a quelle parole non aveva creduto neppure lui.

"Non preoccupatevi! Li tratteremmo abbastanza a lungo!" –Aveva risposto Penelope, attirando lo sguardo incuriosito di Ercole. –"Affinché possiate ritrovare voi stesso e decidere cosa volete davvero!"

Non aveva aggiunto altro e se ne era andata, raggiungendo Marcantonio e gli Heroes della Seconda Legione nel piazzale di Tirinto e lasciando Ercole ai suoi pensieri.

Perché, in fondo, c’era qualcosa che lo frenava davvero. Qualcosa che gli aveva impedito, in quelle due lunghe giornate, di dare veramente fondo a tutte le sue risorse. E affrontare Era personalmente, come Zeus avrebbe voluto, come un vero comandante avrebbe dovuto fare. Come un uomo.

"Ti sei fatto acclamare re di un popolo di cui, a quanto sembra, non fai parte!" –Commentò una voce, che sembrava provenire dal nulla. Dall’incommensurabile cortina di fumo e vapori che lo circondava, rendendo impossibile vedere al di là. –"Per quanto la tua ansia di umanità abbia sempre permeato ogni tua azione, alla fin fine, alla resa dei conti, hai fallito! E non me ne dispiaccio!"

Adesso la riconobbe. Quel tono superiore. Quella punta d’invidia, chiaro sintomo di un ferito orgoglio di donna, apparteneva a lei. Alla donna che aveva sposato dopo essere asceso all’Olimpo. Anch’ella figlia di Zeus e destinata, come tale, a cementare la loro stirpe divina.

"Hai sempre desiderato altro, Ercole! Eternamente insoddisfatto della tua vita, umana o divina che fosse, hai spaccato montagne e attraversato oceani, affrontato giganti e disceso le viscere dell’Inferno! Ma per cosa l’hai fatto, se non per dimostrare qualcosa a te stesso?! Per dimostrare che potevi! Che non vi era niente che il figlio di Zeus non potesse fare! Che non vi era niente che il figlio di Zeus non potesse essere!

Guerriero scaltro e abile, lottatore potente, religioso fedele, amante, sposo e innamorato padre di famiglia! Campione celebrato nelle leggende della Grecia e di Roma, eroe che ha scosso il mondo, dando forma a un pensiero che attanaglia da sempre il cuore degli uomini: l’essere. L’esistere. In qualunque forma!"

Ercole cercò di voltarsi, per incrociare lo sguardo della donna, che pareva fluttuare tra le nebbie come un’essenza di vapore. Eterea, come il rapporto che avevano costruito. Come l’intera sua esistenza. Una bolla di nebbia, e niente più.

"Non sforzarti di trovare il mio volto, Ercole! Lo hai dimenticato secoli fa, lasciando l’Olimpo, per tornare sulla Terra a cercare le spoglie della bella regina di Calidone! Un’altra vittima, come me, della tua insoddisfazione! Del tuo continuo infondere certezze a persone che ti amano, certezze già minate dalla consapevolezza di non poterle mantenerle! Di non saperle mantenere!"

Ercole fece per risponderle, ma si accorse che le parole gli morivano in bocca. Parole che non sapeva pronunciare, poiché, da quel punto di vista, che mai aveva analizzato, la sua sposa divina aveva ragione. Era così infatti che si era sempre comportato. Con lei, con Deianira, con suo padre Zeus. E con gli Heroes.

"Alzati, bastardo! E confronta la tua clava con la mia!" –Lo chiamò d’improvviso una voce cavernosa, costringendolo a voltarsi e a incrociare lo sguardo rabbioso di Ificle della Clava.

L’Hero della Legione Furiosa avanzava verso di lui, rivestito dalla sua corazza, macchiata in più punti dal sangue delle sue vittime. Crudele e brutale, Ificle era stato reclutato dal Comandante Chirone in persona, convinto di poter volgere la sua forza a qualcosa di utile.

"Da anni agogno la tua clava, Ercole! Possederla mi permetterà di fissare Chirone negli occhi, senza dover abbassare lo sguardo ogni volta che quell’arrogante rimprovera i miei modi da rozzo animale! Fammene dono!" –Continuò Ificle, sbavando al pensiero di possedere il manufatto del Dio dell’Onestà.

Ercole si mise in piedi, accorgendosi di avere indosso soltanto un panno bianco, legato in vita, e di stringere già in mano la sua unica arma. La clava rifinita d’oro con cui molti nemici aveva vinto ai tempi del mito.

"La mia clava vuoi, Ificle? E la mia clava avrai!" –Ironizzò il Dio, scattando avanti. –"Ma sul cranio sentirai la sua potenza!" –E sollevò l’arma, per abbatterla sul guerriero, che lesto si portò di lato, evitando l’affondo e contrattaccando con la propria.

La collisione delle due armi generò scintille che elettrizzarono l’aria nebbiosa, rischiarando gli occhi iniettati di sangue dello Shadow Hero, e ne scheggiarono la clava, senza sminuire ugualmente la sua determinazione. Ercole lo spinse allora indietro, con un secco colpo della sua arma, travolgendolo con un’onda d’urto che distrusse parte della sua armatura. Fece per dargli il colpo di grazia, ma si ritrovò paralizzato, stretto in una morsa di cerchi concentrici che gli impedivano anche il più piccolo movimento.

Dinaste di Antinous, l’Hero nato e cresciuto a Delfi, e imbevutosi della sua magia, spuntò al suo fianco, senza degnarlo di troppo sguardo. Schivo e altezzoso, si limitò a sorridere alla vista del possente Ificle gettato a terra da un semplice movimento del braccio. Fiero della superiorità dei suoi poteri mentali sulla forza bruta. E ad Ercole quel sorriso sembrò un perverso ghigno di soddisfazione.

Un ghigno che Dinaste gli rivolse a poco dopo, stringendo la morsa dei suoi cerchi di energia psichica, che stridettero sulla pelle abbronzata del Dio dell’Onestà, provocandogli piccole ustioni, prima che l’esplosione del suo divino cosmo le annientasse. Annientando Dinaste e Ificle al qual tempo.

Ma Ercole non poté neppure respirare che sentì un nodo stringersi attorno alla sua gola. Una collana di perle azzurre fluttuò nell’aria. Un cappio di anime che il comandante degli Shadow Heroes reggeva con malizia. Partenope del Melograno, il figlio che Era aveva avuto dall’unico uomo che aveva attirato il suo interesse.

"Partenope…" –Mormorò Ercole, a cui il tradimento inaspettato dell’Hero aveva molto pesato. Più di quello di chiunque altro.

"Senti il nodo che ti serra la gola, Divino Ercole? Sono le anime a cui ho rubato la vita prima di giungere da te!" –Sibilò Partenope. –"A causa tua sono morte! A causa della tua reticenza nel combattere! Tereo di Amanita e molti Heroes della Quinta Legione, Argo e Gleno, Mistagogo di Tifone e altri che hanno abbracciato la nera signora prima del tempo gridano di dolore dall’Oltretomba in cui la tua indolenza li ha confinati! Se tu fossi sceso prima in battaglia, se tu ti fossi offerto a me, e ad Era, mia genitrice, affrontando il destino a testa alta, anziché rinchiuderti tra le polverose stanze di Tirinto, quest’oggi tali eroi sarebbero ancora vivi! Anziché spiriti disperati, i cui canti di morte invoco per trascinarti al loro cospetto!" –E nel dir questo liberò una violenta scarica di energia, che percorse l’intera superficie della collana azzurra, avvolgendo Ercole e facendolo sussultare.

Quindi Partenope concentrò il cosmo sul palmo della mano sinistra, liberando il letale potere di cui era padrone. L’onda di energia si abbatté su Ercole, ma questi, anziché lasciarsi travolgere, resistette. E il ghigno di Partenope si mutò in uno sbuffo di rabbia, costringendolo a intensificare il suo assalto.

"Puoi attaccarmi in tutti i modi che vuoi, Partenope! E offendermi con tutti gli sproloqui di cui sei capace!" –Gridò Ercole. –"Se questo servirà a coprire le mancanze di tua madre, e l’odio che provi per lei! Ma non accusare me di peccati di cui tu stesso ti sei macchiato! Perché tue sono le mani sporche del sangue degli Eroi! Le mani di un uomo che ha rifiutato i suoi simili, per il bieco desiderio di soddisfare una madre che non l’ha mai amato!"

"Bastardo!!! Annichilamento esistenziale!" –Ringhiò Partenope, generando un’onda di energia biancastra che scivolò contro Ercole, cozzando però contro un’invisibile barriera cosmica che si chiuse sul Dio, proteggendolo.

"Le difese che vedi non sono mie, ma appartengono agli uomini tutti! Agli Eroi che hanno dato la vita per difenderli! E non le abbatterai con il tuo odio!" –Esclamò Ercole a gran voce. –"Questa Fede negli Uomini, che mi riempie il cuore di vita, tu non la vincerai!!!" –E fece esplodere il proprio cosmo, generando una deflagrazione energetica che scaraventò Partenope indietro, distruggendo la sua corazza e il suo corpo.

Rimasto solo, Ercole si lasciò cadere sulle ginocchia, boccheggiando per lo sforzo. Non tanto a livello fisico, quanto a livello emotivo. Ciò che aveva appena vissuto era ciò che da tempo lo tormentava. La consapevolezza di aver fallito. Il non essere stato abbastanza importante da impedire che uomini che, sia pur con i loro difetti, aveva sempre considerato dediti alla giustizia e all’onestà divenissero meri assassini e macchine da guerra. E ne uccidessero altri che erano per lui come fratelli.

"Per voi, mio Signore Ercole!!! Solo per voi!" –Gridò una voce nel cuore del Dio. Che subito la riconobbe.


Era Damaste della Gura, Hero della Legione Alata, caduto in uno scontro brutale con Alexandros del Ramo e di Cerbero.

E altre subito gli fecero eco.

"In nome del futuro!" –Esclamarono Argo del Cane e Gleno di Regula, espandendo al massimo i loro cosmi.

"Non ho mai saputo perdonare me stesso, spero che voi possiate riuscirci invece!" –Mormorò la voce commossa di Dione del Toro, l’Hero che non aveva avuto il coraggio di seguire Partenope fino in fondo.

E molte altre voci. Tutte quelle degli Eroi caduti nella guerra contro Era. Cuori impavidi che prima di morire avevano invocato il nome del Dio a cui la loro esistenza era devota.

Perché?! Si chiese Ercole, tra le lacrime, crollando di nuovo sulle ginocchia. Perché fa così male?

"Perché è la verità!" –Tuonò una voce d’improvviso. Una voce che, a differenza delle altre udite fino ad allora, pareva reale. –"E a molti, soprattutto ai peccatori, non piace vedere la verità! E preferiscono nascondersi dietro veli di inganni!"

Ercole sollevò il capo, cercando di mettere a fuoco la gigantesca figura che stava torreggiando su di lui. Ancora avvolto da nubi di nebbia, che lentamente parevano svanire, un corpo dalle forme animalesche pareva rischiarato da sprizzi di luce rossastra che provenivano da dietro di lui.

A fatica, il Dio dell’Onestà si rialzò, per quanto i rimorsi lo schiacciassero a terra, e riuscì a vedere il volto del suo interlocutore. Un volto che non aveva niente di umano.

Alto e robusto, rivestito da un’armatura marrone e violacea dalle inquietanti forme, colui che aveva appena parlato aveva la pelle azzurra, e i capelli di un tono più scuri. Ma era l’elmo, da cui partivano decine di serpenti, a conferirgli un aspetto demoniaco. Degno dei peggiori incubi di un infante.

"Chi sei?!" –Esclamò Ercole.

"È la domanda che dovresti porre a te stesso! Certo non a me, che non ho bisogno di certezze!" –Rispose la creatura, mentre le nebbie e i vapori scemavano ancora d’intensità, iniziando a rivelare il vero paesaggio che circondava entrambi. Un paesaggio infernale.

"Co… come?!"

"Le scene che continuamente si presentano nella tua mente non sono altro che la proiezione delle tue paure, degli sbagli che sai di aver fatto! E non ti daranno tregua finché non lo ammetterai, finché non saprai andare oltre! Se non ci riuscirai, resterai per sempre qua, nella Valle della Rimembranza! Nella Terza Valle della Sesta Prigione di Ade!"

"La… sesta prigione?!" –Esclamò Ercole, osservando infine il luogo in cui si trovava.

Era su uno stretto ponte di pietra che correva in mezzo a un oceano di fiamme e lava. Un mare rosso che pareva non avere fine, sovrastato da un cielo nero e privo di stelle. Lo riconobbe subito, quello stesso cielo, poiché in esso si era specchiato millenni addietro, quando nel corso dell’ultima fatica era disceso all’Inferno e aveva affrontato Cerbero a mani nude.

"Questo è l’abisso incandescente in cui finiscono i disonesti! È l’Inferno in cui meriti di terminare la tua esistenza, uomo meschino che hai ingannato Dei e uomini, e prima ancora te stesso!"

"Io non ho ingannato nessuno! Piuttosto tu chi sei, strano essere grottesco?"

"Il mio nome è Tuchulca, demone etrusco, e sono il custode di questa parte dell’Inferno! Incaricato da Zeus in persona di sorvegliare le anime erranti dell’Ade in assenza dei guardiani ufficiali!"

"Ufficiali?!" –Balbettò Ercole, non capendo.

"Umpf! Dove hai vissuto negli ultimi anni? Chiuso nei rimorsi della tua vita?! Due anni fa Atena e Ade si sono nuovamente scontrati, in una guerra sacra che ha condannato a morte centinaia di Cavalieri, soldati e Spectre! Ma Ade, timoroso come sempre, in virtù delle precedenti sconfitte subite, non ha utilizzato il suo vero corpo mitologico, che riposa nel mausoleo nell’Elisio! Pertanto, sebbene Atena ne sia uscita vincitrice, l’Inferno è perdurato, benché privo degli Spectre guardiani, che saranno liberati soltanto tra due secoli e mezzo! In questi periodi di transizione Zeus affida a me e ad altri demoni l’incarico di sorvegliare le infernali distese ed io sono ben lieto di servire il Signore degli Dei, sperando che presto si accorga delle mie doti e mi nomini Giudice dell’Oltretomba, al posto di uno di quei tre falliti che scelse nel Mondo Antico!"

"Le tue prospettive di vita sono interessanti…" –Ironizzò Ercole. –"Ma non capisco cosa c’entri io in tutto questo?!"

"Per la verità neanch’io! Ti avrei considerato soltanto uno dei tanti disonesti e bestemmiatori condannati a subire sul proprio corpo la pioggia di fuoco che devasta questo luogo!" –Spiegò Tuchulca. –"Se non avessi ricevuto ordini al riguardo, ti avrei osservato languire da lontano, nell’inferno dei tuoi rimorsi! Invece, a quanto pare, dovremo fronteggiarci!"

"Ordini?! Che genere di ordini?! Sei un servo di Dioniso?"

"Di ciò non più parlerò! Ma non chiamarmi servo, è un’offesa che non merito! Ora preparati, figlio di Zeus, perché il combattimento che ti aspetta non sarà facile! E tu, privato del tuo cosmo divino, dovrai affrontarmi con le sole mani, come fossi una delle bestie che domasti nel Mondo Antico! Sebbene il mio aspetto non sia poi così dissimile!" –E nell’udir queste parole parve ad Ercole di percepire un’immensa tristezza ricadergli addosso. Una tristezza che faceva di Tuchulca più un uomo che un demone.

"Non vedo perché dovrei affrontarti! Non ho interesse alcuno nel combattere con te! Voglio soltanto tornare sull’Olimpo per parlare con mio padre Zeus e proteggere i miei Heroes!"

"Potrai farlo! Ma solo se mi vincerai! Il tuo destino, Ercole, è legato al mio! Siamo due facce della stessa medaglia! Io, costretto ad affrontarti per avere il riconoscimento che merito, e tu, obbligato a lottare per tornare ad essere l’eroe che eri! L’eroe che forse non sei mai stato!" –Esclamò Tuchulca, palesando per la prima volta il suo cosmo, che lo avvolse come una fitta nebbia azzurra.

Vasto e potente è il cosmo del demone etrusco! E forte determinazione lo sorregge. La speranza di un futuro! Una fiamma che, io lo so bene, può ardere eterna! Rifletté Ercole. Umpf! Quale ironia! Io, che ho lottato per dare questa speme a molti uomini, costretto adesso a impedire che si realizzi, al fine di aver salva la vita! Oh, Padre, perché? Era davvero questo che volevi da me?

Le riflessioni di Ercole furono interrotte da una violenta corrente d’aria fetida che Tuchulca rivolse contro di lui, con un semplice movimento del braccio. Investito da tale nauseabonda brezza, Ercole barcollò per un istante, prima di piantare i piedi a terra e volgere il palmo della mano contro il demone etrusco. Ma nessun’onda di energia nacque da essa, a differenza di come era accaduto poco prima contro Partenope. O come egli aveva creduto che fosse accaduto.

"Ti sorprendi? Non ricordi le mie parole, le stesse del Sommo Zeus? Privo di cosmo sei ormai! Un uomo come tutti! Proprio come hai sempre desiderato essere!" –Rise Tuchulca, leggendo lo smarrimento negli occhi di Ercole. –"Gli scontri che hai sostenuto poc’anzi non sono avvenuti fisicamente, ma erano fantasmi del tuo passato, frammenti dell’inquietudine che ti divora il cuore!"

"Erano dunque illusioni? Partenope, Ificle, Dinaste, le grida di Damaste e Dione?!" –Mormorò il Dio dell’Onestà.

"No! Ti ho mostrato il corso degli eventi come sarebbe stato, se tu fossi intervenuto e subito avessi sconfitto i tuoi nemici, anziché rinchiuderti in reminescenze e remore! Hai visto quanto poco hai faticato? Quanto labile è stata la resistenza dell’Hero del Melograno allo strapotere del Dio dell’Onestà? Ecco, così sarebbe andata, se…" –Esclamò Tuchulca. –"Ma i se non cancelleranno le lacrime cadute, né il sangue degli Eroi sconfitti! Hai fatto la tua scelta, Ercole, e hai lasciato gli Heroes allo sbaraglio! Sii uomo abbastanza adesso da affrontarne le conseguenze!"

"Sì…" –Mormorò Ercole, quasi rivolto a se stesso che non a Tuchulca, il cui cosmo azzurro pareva infiammare l’oceano di fiamme che circondava entrambi.

"Hintial!!!" –Gridò il demone, mentre fatue evanescenze si dipartivano dal suo cosmo, fluttuando nell’aria torrida, fino a piombare su Ercole e avvolgerlo nelle loro spire. Sinuose, serpeggiarono attorno al corpo nudo del Dio dell’Onestà, a cui parve di vedere figure imploranti cingerlo in un abbraccio d’ombra.

"A… Adone?!" –Balbettò il figlio di Zeus, riconoscendo la sagoma del Comandante della Legione Alata, morto tenendo per mano l’unica donna che aveva amato, Deianira del Lofoforo. Accanto a lui anche in quell’occasione. –"Damaste?!" –Ripeté Ercole, continuando ad osservare le evanescenti figure che fluttuavano attorno a lui, stringendolo in una morsa tale da soffocare le sue ultime energie.

"Ombra o anima! Così tradurreste voi moderni il termine etrusco "Hintial"!" –Spiegò Tuchulca, avvicinandosi a passo lento, compiaciuto nell’osservare il Sommo Ercole vittima dei suoi stessi rimpianti. Del suo stesso passato. –"Ed è un colpo segreto che su molti guerrieri potrebbe non aver presa, poiché dediti sono soltanto alla guerra e alla gloria, privi della capacità di chiedersi perché! Ma su di te, che sei Dio solo per metà, o forse solo uomo per metà, le ombre dell’anima possono scavare a fondo, trascinandoti in un angoscioso abisso di fantasmi! I tuoi fantasmi! Quelli con cui non hai imparato a convivere!"

Ercole cercò di reagire, di allontanare quelle fatue evanescenze, che rischiaravano con il loro chiarore, l’oscuro cielo dell’Inferno, ma non riusciva a raggiungerle. Erano lì, attorno a lui, dentro di lui, senza che egli potesse toccarle. Senza che egli potesse modificarle. Come non avrebbe più potuto cambiare gli eventi che aveva osservato da lontano.

"Comandante Adone!"

Chiuse gli occhi e rivide alcune scene ambientate a Tirinto, solo qualche mese prima. Una vita fa, ormai.

"Ho sentito delle voci che potrebbero infangare il tuo buon nome! Voci che ti vedrebbero impegnato in una segreta relazione con una Sacerdotessa della tua Legione!" –Gli aveva detto Ercole, in piedi dietro la scrivania del suo studio privato.

"Sono soltanto chiacchiere da mercato, mio Signore, messe in giro forse da Nestore o da Chirone!" –Aveva risposto Adone dell’Uccello del Paradiso, spostandosi il ciuffo di capelli con un sorriso vanesio. –"Sono in molti ad essere invidiosi della mia bellezza, e del mio ruolo di Comandante! Doti che soltanto io sono riuscito a combinare assieme!"

"È vero! Te ne do atto! Ma questo non significa che sia disposto ad accettare un simile chiacchiericcio nella mia corte! Dobbiamo essere il futuro delle genti, il sole che sorge sempre da oriente! Un punto fermo per tutti i viandanti persi nel mare della vita! Per questo motivo chiedo ai miei Heroes il massimo della fedeltà all’ideale per cui hanno giurato di combattere! E a loro stessi!"

"Sì, mio Signore! Non dovete temere scandalo alcuno! Voi mi conoscete, sapete che adoro essere ammirato, non è certo un segreto, per quanto di nessuna donna in particolare brami lo sguardo, se non di tutte!" –Aveva sorriso Adone, preparandosi per uscire dallo studio.

"L’amore è un sentimento troppo grande, Adone! Troppo potente, per tenerlo dentro! Fai attenzione, o un giorno potresti morirne!" –Aveva concluso così, stupendo il giovane cipriota per la sua immediata capacità di comprensione.

Ma adesso, ad Ercole, quelle parole sembrarono una condanna a morte.

Rivide l’ultimo assalto scagliato da Adone e Deianira contro Borea, sul basso versante dell’Isola di Samo. E li vide crollare a terra, dilaniati dal gelo del Vento del Nord, uno accanto all’altro. Stretti l’uno nell’altro. Fieri per aver lottato fino in fondo per il loro Dio e felici per averlo fatto assieme.

"Puoi dire tu, di aver fatto altrettanto? Di sentirti fiero come Adone, per aver perseguito fino in fondo i suoi ideali, senza rinunciare all’amore?!" –Sentenziò Tuchulca, continuando a manovrare le ombre dell’anima, che attorniavano Ercole.

"Quanto tempo ancora? Quanto dovremo attendere prima di poter sferrare l’assalto decisivo contro i Turchi?"

La voce di Gerione del Calamaro risuonava nei sotterranei silenziosi del bastione di Spinalonga, dove Alcione e la Legione del Mare risiedevano da anni ormai. Da quando Ercole aveva concesso loro di aiutare l’oppresso popolo cretese a liberarsi dal giogo degli Ottomani.

"Ci vuole pazienza, Gerione! Non possiamo rischiare vite umane! Vite di innocenti! Creta rivuole la sua terra, non un mucchio di altri cadaveri!" –Rispose calma Alcione della Piovra, attorniata dai suoi Heroes.

"Pazienza?! Non credo di averne più! Ho smesso di contare i soli che tramontano senza scaldare queste anguste prigioni! Ho dimenticato persino l’odore dei verdi campi della mia terra per nascondermi come un ratto in queste fogne!"

"Calmati, amico! Comprendo il tuo stato d’animo, è lo stesso di tutti noi!" –Intervenne allora Proteus della Razza. –"Ma agitarsi non servirà alla nostra causa! Siamo pur sempre Heroes di Ercole, non mercenari!"

"E cosa credi che farebbe il nostro Signore, Proteus?" –Lo fissò allora Gerione, prima di volgere lo sguardo all’esterno, da uno stretto pertugio sbarrato da cui una flebile luce filtrava. –"Sarebbe fuori, all’aria aperta, ad affrontare da solo i Turchi barbari invasori e ad incitare le genti alla ribellione, a lottare per ciò che ritengono sacro! La libertà!"

"Gerione…" –Alcione sospirò, sorridendo al più vecchio amico di infanzia. E ad Ercole, quel sospiro parve il suo. Lo stesso alito di vita. Lo stesso ricordo.

"Ancora…" –Esclamò Tuchulca, osservando il volto del figlio di Zeus contrarsi sotto smanie di dolore. Ma lo sguardo che gli rivolse lo bloccò.

"No!" –Affermò serio Ercole, puntando gli occhi lucidi su di lui, senza più curarsi delle ombre e delle anime che lo cingevano d’assedio. –"Ho visto abbastanza! E non ho imparato niente più sui miei fratelli di quanto già conoscessi! Niente più sulla loro nobiltà e sul loro cuore! Ma c’è una cosa che avevo dimenticato, e che aborro di aver fatto! Quanto credessero in me, e mi mettessero al centro di ogni loro agire, convinti di servire un’entità perfetta!"

Tuchulca indietreggiò di un passo, osservando un’aura luminosa avvolgere il corpo di Ercole. Un pallore di cosmo nato dall’amore per gli uomini e per i suoi Heroes.

"Grazie per avermelo ricordato, Tuchulca! Grazie per questo viaggio nella rimembranza!" –Esclamò Ercole, gonfiando i muscoli e sprigionando quel che restava della sua aura cosmica, con la quale annientò le fatue evanescenze. –"Adesso posso affrontarti come un Dio che ha imparato dai propri errori! Adesso posso affrontarti come un uomo!"