CAPITOLO DODICESIMO: ECHI DI GUERRA.

L’aver sconfitto il Pastore di Orsi non aprì agli Heroes la strada verso la vittoria, poiché molti ancora erano i nemici che avrebbero dovuto affrontare. Fu un Satiro Guerriero dall’armatura identica a quella di Momio e di Celeneo a farsi avanti poco dopo. Un uomo dai lunghi capelli rosa e dall’aspetto femmineo, all’apparenza meno rude dei suoi due sfortunati predecessori.

"Anche tu vuoi cadere, anonimo e dimenticato, di fronte alle mura ciclopiche di Tirinto?" –Ruggì Nestore dell’Orso, sbattendo un pugno dentro l’altra mano.

"Pare che le tue belle mura ancora per poco resisteranno!" –Ironizzò il servitore di Dioniso, spingendo il Comandante della Legione di Fede a voltarsi verso Tirinto e ad osservare sgomento la rinnovata carica dei satiri e delle Invasate, che Druso, Anfitrione, Artemidoro e Archia facevano fatica a contenere.

"Maledizione! Questo rispetto del senso dell’onore ha anche i suoi lati negativi!" –Brontolò il robusto guerriero. –"È difficile, talvolta, essere degli eroi!"

"Fai quello che devi, Comandante Nestore! E lascia a me questo scontro!" –Esordì allora la squillante voce di Antioco del Quetzal, già avvolto nel suo cosmo rossastro. –"Con la tua mole, e il tuo intimidente ruggito, sei di certo il più adatto per ergerti sul ponte e impedire a quell’ubriaca ciurma di festeggiare all’interno della città!"

Nestore annuì alle asserzioni del ragazzo, seppur ancora restio a lasciarlo da solo.

"E poi voglio anch’io la mia occasione per combattere! Ho perduto molte persone in questa guerra insensata, e non riesco più a trattenere il mio desiderio di giustizia!"

"D’accordo, Hero del Quetzal! Lascio a te questo bel ciuffone!" –Ironizzò Nestore, col suo tipico tono bonario, quasi fosse il padre adottivo di tutti gli Heroes di seconda generazione: quei giovani, come Antioco, Argo, Gleno ed Eumene, giunti in seguito a Tirinto, attratti dal mito di Ercole e dei suoi seguaci. –"Ma fa’ attenzione! Che la tua sete di giustizia non diventi brama di un’accecante vendetta!" –E se ne andò, correndo verso l’entrata della cittadella, dove Druso e gli altri si erano radunati.

"È dunque questo il modo in cui i gloriosi eroi si aiutano? Abbandonando i compagni in difficoltà? Lasciandoli da soli, vinti e polverosi, nel sudicio della loro sconfitta?!" –Esclamò allora il Satiro Guerriero, spostandosi sbadatamente i capelli dietro la spalla.

"Di cosa vai cianciando, capellone? Nestore non mi ha abbandonato, ha soltanto avuto fiducia in me! E non mi pare proprio di giacere sconfitto tra la polvere!"

"Ah no?!" –Il Satiro Guerriero alzò un sopracciglio, con aria divertita, proprio mentre Antioco si portava entrambe le mani alla testa, tenendola stretta quasi fosse sul punto di scoppiargli, e crollava a terra, affondando le ginocchia nell’arida piana.

"Cosa… cosa mi hai fatto?!" –Rantolò il giovane.

"Io proprio niente! Hai fatto tutto da solo!" –Sibilò il servitore di Dioniso, mentre Antioco sollevava lo sguardo e cercava di focalizzarlo su di lui. Senza più riuscirvi.

Vedeva solo sagome indistinte, ciuffi di capelli rosati che apparivano e scomparivano attorno a lui, come se il satiro si mosse moltiplicato.

E poi c’era quel suono. Quel dannato suono che vibrava nella sua mente, aumentando continuamente d’intensità. Ad ogni parola, ad ogni singola lettera pareva rimbombare dentro di lui, fino a fargli esplodere il cranio.

"Da solooo! Soloo! Solo!" –Era una ripetizione fastidiosa, che lo martellava imperterrita. E che, oltre a causargli un danno fisico, inibendo le sue facoltà percettive, gli ricordava quel che già dal giorno prima sentiva. La sua solitudine, la sua lontananza da casa, che adesso, dopo la morte di Eumene, Antlia e Adone, pesava sul suo cuore sempre di più.

"Sei in difficoltà, bel giovanotto?!" –Ridacchiò il satiro dall’aria svampita. E ogni risata, ogni respiro parevano amplificarsi all’orecchio di Antioco, al punto da divenire suoni insostenibili. –"Lascia che ti aiuti! Lascia che lenisca il tuo dolore, donandoti il silenzio eterno!"

Non capì praticamente nulla, l’Hero di Nuova Spagna, delle parole del nemico, che giungevano ai suoi centri nervosi solo come ulteriori fastidi, come lime su corde già tese. Troppo tese. Ma era certo che fosse lui il responsabile di quel suo malessere improvviso.

Per istinto, o perché realmente percepì qualcosa, si buttò di lato, giusto in tempo per evitare una sfera di luce che si schiantò al suolo, facendolo ruzzolare di qualche metro. Fece per rialzarsi, ma le mani del Satiro Guerriero si chiusero sul suo collo, torcendolo in una posizione innaturale e obbligandolo a fissare i suoi occhi azzurri.

"Non presti attenzione!" –Gli parve di udire. –"Sciocchino!" –E nuove risate. Ma era tutto così confuso, così vibrante, che Antioco credette che il suo corpo si sarebbe spezzato in due da un momento all’altro.

Cercò di reagire, accendendo il suo cosmo e liberando una vampa di fuoco che spinse il satiro a balzare indietro, scottando soltanto la sua armatura. Ma quando provò a risollevarsi, si accorse di barcollare, di non riuscire a tenere i piedi saldi al suolo, quasi fosse addormentato, intontito o semplicemente ubriaco.

"Sembri un bambino che muove i primi passi! Instabile e insicuro!" –Commentò il guerriero di Dioniso, prima di abbandonarsi ad una sonora sghignazzata, il cui effetto, per il già provato sistema uditivo di Antioco, fu micidiale. Peggiore di una coltellata alla schiena. –"Ah ah ah! Vieni da papà, coraggio! Lasciati stringere in un bell’abbraccio… di morte!" –E nel dir questo il Satiro Guerriero gli scagliò contro un raggio di energia, che, a condizioni normali, Antioco non avrebbe avuto problemi ad evitare, ma in quel momento, stanco e col passo malfermo, gli parve che persino la vista lo tradisse, che i raggi si moltiplicassero e divenissero dieci, cento, infiniti. E che non avrebbe potuto evitarli tutti.

"Nooo!!!" –Gridò, sollevando le mani d’istinto, per pararsi il volto. Così facendo, lasciò scoperto il ventre, dove il suo avversario lo colpì con un poderoso fascio di luce, sbattendolo a terra, con il pettorale incrinato e bagnato di sangue.

"Sbuff! È già finita la battaglia? Mi sembra che non sia neppure iniziata!" –Esclamò il satiro, avvicinandosi al ragazzo caduto. –"Hai fatto del tuo meglio, o forse non abbastanza! Sta di fatto che giaci riverso al suolo, debole e ferito, proprio come avevo pronosticato! Un risultato che le tue azioni non hanno in alcun modo emendato!"

Antioco non rispose, approfittando di quel momento per rifiatare. Si tastò il ventre e sentì la mano bagnarsi di sangue. Colpo potente e preciso, si disse, capace persino di frantumare una protezione rinata con sangue divino. Ma lui stesso sapeva che spesso una freccia soltanto provoca più danni che una pioggia di dardi. Il suo tlamine glielo aveva insegnato. E il Satiro Guerriero aveva messo in atto una strategia simile, stordendolo, disorientandolo e poi colpendolo con un attacco solo, ma mirato.

Quel che non si spiegava era come avesse fatto, poiché non gli aveva visto compiere alcun gesto. Si era soltanto limitato a parlare.

Ooh, le parole… Adesso erano pugnali per lui. L’udirne una lo faceva impazzire, perché non pioveva da sola ma si moltiplicava in una tempesta infinita che dilaniava il suo udito, danneggiando persino le sue funzioni cerebrali e il suo equilibrio.

"Questo è il potere dell’eco!" –Chiarì infine il Satiro Guerriero. –"Potere che Dioniso mi ha concesso per amplificare la mia voce e godere al massimo dei miei sonetti e delle mie melodie, in qualunque luogo del Vigneto Sacro io mi trovi! Sono Dafoineo del Fauno, Satiro dell’Eco e principale cantore del Signore del Vino! È con me infatti che raggiunge i piaceri migliori, quando gaudente gli canticchio dei suoi folli umori, delle sue passate gesta, che tanto lo compiacciono! Si fa abbracciare, si fa sussurrare sconcezze all’orecchio e poi si raggomitola sul terreno erboso, ridacchiando, rotolandosi, inzaccherando le sue vesti, senza pensare ad altro che al piacere! Un piacere forte, uno stimolo irrefrenabile che la mia voce gli provoca, lasciandosi travolgere, quasi sodomizzare, dalle mie arie e dai miei gorgheggi! Anche questo è il Dio del Vino e voi, sporchi mortali che simili diletti non apprezzate, sentirete sulla vostra pelle il potere dell’ebbrezza!"

Detto questo, Dafoineo chiuse leggermente le labbra, nella posa di un bacio artefatto, e parve mormorare qualcosa che Antioco, stordito e succube dei disturbi acustici da lui provocati, non poté comprendere.

"Qualunque cosa tu stia meditando di fare, ti avviso, non farla! O ti ucciderò così, con quella bocca di rosa torta in una posa innaturale! A memoria imperitura della tua idiozia, e della tua codardia!" –Esclamò una voce di ragazzo, mentre fasci di energia azzurra si schiantarono ai piedi del Satiro Guerriero, costringendolo ad un rapido balzo indietro.

"Chi osa?!"

"Io oso! Nesso del Pesce Soldato! E per salvare un amico oserei ben altro!" –Esclamò fiero, con il pugno ancora acceso di energia cosmica, prima di chinarsi su Antioco e sincerarsi delle sue condizioni. Gli sembrò febbricitante, a tratti delirante, e pregò che i danni cerebrali non fossero permanenti.

"Sprechi il tuo tempo con chi non lo merita! Un soldato che non sa difendersi da solo non merita di essere protetto da altri! Sempre che tu non sia la sua privata fonte di piacere! Ih ih ih!"

"Taci, pezzente!" –Tuonò Nesso disgustato, rialzandosi e spingendo indietro il Satiro dell’Eco con un’onda di energia azzurra. –"Voi satiri non valete niente, adesso l’ho capito, studiandovi attentamente! Siete guerrieri di poco conto, deboli e infingardi, cresciuti sollazzandovi tra i diletti del vigneto caro al vostro Dio! In guerra fate uso di trucchi e bassezze spregevoli per mascherare la vostra infima forza, inferiore persino a quella dell’ultimo dei nostri apprendisti! Momio attaccava nascosto tra le nebbie, Celeneo ha dovuto persino ammaliare uno di noi per evitare uno scontro frontale e tu di nient’altro sei capace che non stordire i nemici con quella voce da gallina! È facile, non è vero, vincere su un avversario già indebolito, già fiaccato, che non doverlo fronteggiare nel pieno delle sue forze, magari in uno scontro leale? Sempre che conosciate il significato di tale parola! E, in tutta verità, ne dubito! Ci vuole coraggio per vivere la vita, per essere soldati che scendono in guerra, e voi non lo avete!"

"Hai parlato troppo!" –Sibilò Dafoineo, avvolto nel suo cosmo rosa, e accorgendosi, con stupore e una goccia di preoccupazione, che Nesso non accennava a cambiar postura, rimanendo ritto di fronte a sé, con sguardo accusatorio e tono fermo.

"Lo stesso vale per te!" –Commentò soddisfatto l’Hero della Terza Legione. –"I tuoi espedienti di bassa lega, così come il canto delle Invasate e il suono dei pifferi dei satiri tuoi fratelli, non ledono le mie difese mentali, che ho affinato in anni di studio e di dialogo con i delfini e altri animali!"

"Non confonderci con quella feccia!" –Precisò Dafoineo, alterando per la prima volta i tratti del suo volto in un’espressione sdegnata. Più per l’offesa ricevuta che per la scoperta dell’impossibilità di usare i suoi poteri di risonanza acustica. –"Noi cinque Satiri Guerrieri non siamo dello stesso lignaggio di quei trogloditi dalle zampe caprine che brulicano e si accoppiano famelici sul basso versante dell’Olimpo! No, noi siamo i favoriti di Dioniso, dal Dio stesso generati e allevati! Siamo i suoi figli, i suoi protettori! Da lui abbiamo appreso tutto, a tesser ogni malia, a riconoscere ogni profumo! Noi siamo le sue gambe che camminano per il mondo quand’egli è troppo stanco e intento a riposarsi nel Vigneto Sacro!"

"Quando è intento a trastullarsi con chissà quale creatura, vuoi dire! Basta che respirino, a quanto pare!" –Ironizzò Nesso, suscitando l’ira immediata di Dafoineo, che gli diresse contro una raffica di sfere arroventate, facilmente evitate dal ragazzo.

"Chetati, miscredente!" –Ringhiò il satiro, il cui vellutato tono di voce si era adesso deformato in uno squittio inquieto. –"Se non riesco a rintronarti con la mia risonanza acustica, allora ti piegherò in un modo più diretto! Per te, che tanto ti lamenti della nostra sfuggevolezza, eccoti il mio attacco frontale! Eco di Guerra!!!" –E gli scagliò contro decine di globi energetici, ciascuno dei quali parve moltiplicarsi in altre decine, che altrettanto aumentarono il loro numero, secondo una progressione che pareva non avere fine.

Nesso non si lasciò intimorire, accettando con vigore quella nuova sfida, e oppose all’attacco di Dafoineo le sue Frecce del Mare, che saettarono verso l’avversario, riempiendo l’aere di faville azzurre, distruggendosi a vicenda con i globi energetici. Una freccia per ogni globo, senza lasciarne passare neppure uno.

Irritato, Dafoineo aumentò il numero dei suoi attacchi iniziali, cosicché l’eco del suo colpo li amplificò, portandoli a superare le migliaia di sfere incandescenti. Ma, per quanto persistesse, Nesso pareva fare altrettanto, incrementando i propri dardi di luce, senza sforzo eccessivo. E fu proprio la sua sicurezza, la sua postura virile e composta, che mandò in collera il satiro, impegnato invece con tutto se stesso in quello scontro da cui ormai dipendeva la sua vita. In quello scontro in cui comprese che Nesso aveva ragione.

"Ma non cederò!!! Dioniso, mio Signore, tornerò a cantare per voi sul Monte Sacro!" –Esclamò Dafoineo, potenziando al massimo il proprio attacco.

Nesso evitò le sfere roventi balzando in alto e scivolando tra esse con maestria, quasi stesse nuotando tra i flutti. Soltanto un paio gli sfiorarono l’armatura, sfrigolando sui fianchi, per poi perdersi alle sue spalle. Ancora in volo, puntò l’arpione dell’arto mancino verso il basso, piantandolo con forza nell’addome di Dafoineo, trapassandolo da parte a parte. Il satiro, preso alla sprovvista, si piegò in avanti, sputando sangue, ma Nesso lo tirò a sé, sollevandolo di scatto mentre piombava su di lui.

Non riuscì a dire altro, il fauno cantore, sprofondando nell’arido suolo, con Nesso sopra di lui, e i rampini affilati dell’Armatura del Pesce Soldato conficcati nel suo collo. La carotide dilaniata in un lago di sangue.

"Raccontano che in Ade le anime siano condannate a scontare la loro pena mediante il contrario delle colpe di cui si macchiarono in vita. Forse che a questo contrappasso tu sia già stato destinato?!" –Mormorò Nesso, prima di rialzarsi, far rientrare i rampini dentro il bracciale destro e incamminarsi verso il corpo stanco del compagno.

Lo trovò disteso a pancia in su, con lo sguardo fisso nel cielo lontano, a tratti spento. E sperò di essere ancora in tempo.

Poggiò una mano sulla sua fronte calda, lasciando che il cosmo fluisse dentro sé, una corrente di pace che avrebbe dovuto lenire gli affanni dell’Hero del Quetzal. Non era affatto sicuro che sarebbe tornato sano come prima, esposto, com’era stato, ad un suono acuto e continuato che aveva senz’altro deteriorato i suoi organi uditivi. Ma non lo avrebbe certamente lasciato a languire in mezzo a un campo.

Sollevò lo sguardo, volgendosi verso l’ingresso della cittadella dove le due lame di Idomeneo, il Luogotenente di Dioniso, avevano appena mietuto le loro prime vittime. Sospirò, chiedendosi cosa ne fosse stato di Marcantonio e Pasifae e se avessero trovato questa fantomatica legione della cui esistenza in parte dubitava.

***

Proprio in quel momento il Comandante della Legione d’Onore e i suoi due compagni si stavano abbeverando ad una fresca fonte, nel cuore della montagna ove il sentiero che Atamante aveva loro indicato avrebbe dovuto condurli. E dove in effetti erano giunti, scortati dagli stessi Heroes con cui si erano brevemente confrontati.

"Dissetatevi senza trattenervi! Poiché non vi è in Grecia acqua più pura e nutriente di questa!" –Esclamò Iro di Orione, in piedi alle spalle di Marcantonio. –"Ne abbiamo provate tante, di fonti naturali, nel nostro peregrinar continuo, prima di imbatterci in questa valle interna, riparata da rupi così alte e curvate da rimaner nascosta ad occhio umano! Un giaciglio perfetto dagli affanni del mondo!"

"Vivete qua da molto?" –Domandò allora Laoconte, desideroso di apprendere qualcosa di più sul loro conto. Su come fossero riusciti a vivere per così tanti secoli. Può una maledizione essere così potente da concederti la vita eterna?

"Abbastanza da conoscere la posizione di ogni singolo ciottolo di pietra!" –Rispose Iro, abbozzando un sorriso. Ma dimostrandosi poco interessato ad intavolare una conversazione, soprattutto sul loro passato.

Laoconte avrebbe voluto chiedere qualcos’altro, attratto, quasi morbosamente, da quegli uomini che all’inizio gli erano apparsi come dei barbari. Del resto, l’aspetto rozzo e poco curato e le loro inquietanti armature remavano in quella direzione.

Ma poi, terminato il breve scontro tra Marcantonio e Iro, quest’ultimo aveva ordinato che non venisse fatto loro alcun male e che fossero anzi condotti al loro rifugio, per avere le cure necessarie per poter combattere di nuovo. Così, sorretto da Pasifae, il giovane apprendista aveva seguito il cugino e i quattordici Heroes lungo la parte finale del tunnel, ritrovandosi in una conca interna. Direttamente nella tana del lupo, aveva ironizzato, prima che una fitta alla cassa toracica lo piegasse a terra.

Era stato proprio l’uomo smilzo, dall’armatura verde, che aveva golosamente annusato il collo di suo cugino, a curargli le ferite sul petto e alla schiena, usando delle piante medicinali che avevano subito lenito il dolore. Strimone della Locusta, così si era presentato, senza togliersi l’elmo né abbandonarsi a troppi convenevoli. Era un uomo pratico, capì Laoconte, un guerriero. E come tale pronto ad obbedire senza fare domande agli ordini del suo Comandante.

Fu Iro a introdurre a Marcantonio il resto della legione, mentre Pasifae veniva lasciata da sola, di modo che potesse lavarsi il viso senza essere vista.

Pare che la regola della maschera delle Sacerdotesse esistesse già all’epoca della Prima Legione! Osservò l’Hero dello Specchio, camminando assieme a Iro di fronte ai suoi compagni, perfettamente allineati, con rigido spirito militare. E sembra che nessuno di loro provi la benché minima tentazione di violarla! Questo senso della disciplina è raro oggigiorno, persino a Tirinto! Dovette riconoscere, ammirato.

"Mitridate del Tridente!" –Esclamò Iro, indicando l’uomo dai lunghi capelli blu che per primo aveva ferito Marcantonio con la sua forca.

"Onorato di conoscerti e di averti osservato in battaglia!"

"Lo stesso onore provo io! E, riguardo alla tua ferita, niente di personale, mi capirai!" –Parlò Mitridate, a cui Marcantonio rispose con un sorriso affrettato, senza sfuggirgli certamente il fatto che non si fosse scusato, né avesse intenzione, o motivo, di farlo.

"Procri della Gatta!" –Continuò Iro, indicando l’unica donna della legione. Affiancata da Evandro del Cinghiale, il più alto tra loro, con lunghi capelli castani, e da Sarpedonte della Croce, che messo accanto a lui sembrava poco più che un bambino.

"Quando scenderemo in campo, Comandante?!" –Domandò subito l’irrequieta gatta, desiderosa di sfoderare i suoi affilati artigli.

"Ogni cosa ha il suo tempo, Procri! Non essere così desiderosa di terminare le tue sette vite!"

"Ma, mio Signore, sono ancora alla prima!" –Ironizzò la donna, strappando una risata anche ai suoi compagni.

"Strimone già lo conosci!" –Proseguì Iro, indicando l’uomo che stava curando Laoconte. –"E questi sono Licurgo del Rospo, Cariclo della Cavalletta, Galata della Gru, Irieo dell’Euripiga, Prassitele dell’Erma, Oreste di Blemma, Nonio del Barbaro e il mio secondo, l’uomo senza il quale questa legione non avrebbe potuto mantenersi efficiente nel corso dei secoli! Salomone della Stella di Davide!"

"Una società priva di ordine sprofonderebbe presto nel caos, una nuova Babele di cui non potevamo permetterci la realizzazione!" –Si limitò a commentare a denti stretti l’Hero dai tratti albini. –"Io lo so bene, poiché il mio popolo, più di duemila anni or sono, subì un destino simile, disperso dall’invasione dei Babilonesi e condannato da allora ad una eterna diaspora!"

"Non crucciarti di cose che non puoi cambiare, mio secondo, ma sii soddisfatto del tuo operato, proprio come lo sono io!" –Esclamò Iro, con un tono affettuoso che sorprese lo stesso Marcantonio, abituato a vedere in lui un’indomita tempra guerriera.

"In tutta onestà, Iro, questa decisione di affiancare gli Heroes di Tirinto, e combattere per Ercole, non la condivido! E anche gli altri sono in parte dubbiosi! Le ragioni che ci hai mostrato sono valide, è vero, e l’idea di liberarmi del fardello che mi lega da secoli a questo mondo mi attrae! Ma è come se adesso fossi divenuto riluttante nel separarmene!" –Affermò Salomone, prima di scuotere il capo, quasi disturbato dai suoi stessi discorsi. –"Pur tuttavia ti seguirò, tutti noi ti seguiremo! L’obbedienza per il nostro Comandante, a cui tutto dobbiamo, è prima nel cuore di un guerriero!"

"Già… e poi non ci dispiace l’idea di scendere in battaglia!" –Ridacchiò Strimone, avvicinandosi. –"Chissà che non riesca a succhiar via qualche cosmo giovane! Negli ultimi secoli magra caccia abbiam fatto! Ih ih ih!"

"Dev’essere chiaro, a tutti voi, fin da ora, che c’è molto di più in gioco! Non solo ad una guerra stiamo andando incontro! Ma forse all’ultima!" –Chiarì allora Iro, posando lo sguardo su tutti gli Heroes presenti, nessuno dei quali mosse un muscolo o fiatò. –"Abbiamo sempre cercato la gloria, abbiamo desiderato che i nostri nomi venissero scolpiti nella roccia, che le nostre gesta divenissero aere perennius, che fossimo destinati all’immortalità, a vincere l’oblio del tempo e ad essere ricordati in eternità! Ma ben poco abbiam fatto, se non rintanarci in una vacua solitudine, da cui raramente siamo usciti per imprese che niente più erano se non scorribande e razzie! Quest’oggi invece ci viene offerta la possibilità di raggiungere lo scopo ultimo della loro esistenza! Riscattare noi stessi! Rivincere il perduto! Recuperare l’onore!

Vivere o morire! Poco importa, se potremo farlo da eroi!" –Concluse così, Iro di Orione, facendo cenno di preparare armi e corazze, per partire entro pochi minuti.

"Un bellissimo discorso! Intenso e conciso!" –Commentò Marcantonio, fermandosi per parlare ancora con lui. –"Vorrei ringraziarti per aver scelto…"

"Come ho detto a Procri, ogni cosa ha il suo tempo, Hero dello Specchio, e se entrambi vivremo abbastanza per vedere l’alba di domani allora potremo tornarne a parlare!" –Lo frenò il glorioso condottiero, mentre un’ombra velava d’improvviso il suo sguardo fiero. –"Che strano! Dopo duemila anni, è la prima volta che penso ad un’eventualità simile! All’ultimo tramonto!"

Marcantonio gli sorrise, con sincerità, realizzando che Iro non era soltanto un ardito guerriero, esperto e potente, ma una mente aperta, capace di interrogarsi sul perché delle cose. Possedeva la forza devastante di Nestore, l’introspezione di Alcione e la postura militare di Chirone. Non lo sorprese affatto che Ercole lo avesse nominato Comandante della Primissima Legione.

"Ho notato, a proposito, che siete in quattordici! Che ne è stato del quindicesimo membro? È forse morto? O il numero di componenti era all’epoca differente?" –Chiese, mentre si incamminava con Iro verso il ruscello, ove Laoconte si stava rivestendo, e Pasifae era ormai pronta per ripartire.

"Il numero non è mai cambiato! Quindici erano i membri dell’antesignana delle moderne Legioni!" –Tagliò corto l’Hero di Orione, prima di sussurrare all’orecchio dell’uomo qualcosa che soltanto lui poté udire. –"Ho compreso perché non avevi usato spesso il tuo colpo segreto! Mi auguro, per il tuo bene, che tu non sia costretto ad impiegarlo di nuovo!"

Quelle parole freddarono il Comandante della Seconda Legione, mentre Iro gli passò accanto, ordinando agli altri Heroes di accelerare i preparativi. C’era qualcosa, nell’aria della valle, che improvvisamente pareva soffocarlo. Aveva sentito un’ombra varcarne i confini e voleva mettersi in movimento quanto prima.

"Come prima missione non è andata poi così male!" –Ironizzò Laoconte, caricandosi nuovamente in spalla la sua sacca da viaggio, riempiendo un paio di bisacce di cuoio di fresca acqua.

In realtà non era affatto tranquillo e doveva ringraziare soltanto Iro e la decisione che aveva preso se era riuscito a cavarsela, poiché, in caso di scontro diretto, non avrebbero avuto speranze. In tre contro tutti quei guerrieri ben addestrati, che parevano non avere esitazione alcuna, pronti a lanciarsi in battaglie continue, senza curarsi della morte. E anche adesso, per quanto gli Heroes non si fossero rivelati infine ostili, si sentiva a disagio, fuori luogo.

In quel mondo di guerrieri immortali, di massacri senza remore, di comandanti dagli infiniti poteri, era tornato a sentirsi il giovane apprendista inesperto che non aveva mai lasciato Tirinto. Che aveva trascorso anni a studiare la cultura classica e le tecniche di lotta, ma che mai era sceso sul campo. E la gloria che tanto aveva sognato avrebbe probabilmente dovuto attenderlo ancora.

"Pensiamo piuttosto a tornare a Tirinto sani e salvi!" –Lo richiamò Pasifae. –"Ho i miei dubbi che Dioniso ci lasci andare così!"

"Tu credi?!"

Ma la Sacerdotessa non ebbe bisogno di rispondere che il cielo si oscurò per un istante, mentre uno stormo di corvi neri come la pece sfrecciava gracchiando sopra di loro, prima di posarsi sulle alte rupi della vallata, fissando gli Heroes con occhi macchiati di rosso. Donando loro uno sguardo carico di fuoco e morte.

"Dove credete di menar le gambe, incauti guerrieri? Resterete in codesto luogo per l’eternità, foss’anche malvolentieri! Proprio adesso che una sorte diversa pareva appressarvi, avete ben deciso gli Dei di inimicarvi!" –Esclamò una voce atona, risuonando per l’intera conca.

Marcantonio si voltò, percependo un’energia cosmica spaventosa, e vide colui che aveva appena parlato discendere dall’alto con il solo utilizzo di poteri mentali che si preannunciavano immensi. Anche Iro lo osservò, sia pur per pochi istanti, e non fu affatto sorpreso di ritrovarsi quel volto davanti. L’uomo levitava in aria, con solenne compostezza, la stessa che il suo sguardo pareva emanare, assieme ad un senso di superiorità che non sfuggì all’Hero.

Alto e ben fatto, simile alle statue greche di Fidia, indossava una corazza di color rosa acceso, molto meno coprente delle Armature degli Eroi, con ben curate decorazioni in nero e verde. Non portava elmo, bensì una leggera corona a forma di foglie di vite, da cui lunghi capelli bianchi fuoriuscivano liberi, svolazzanti nel vento. Lo stesso vento che gli sollevava il mantello bianco e solleticava le ali delle sue fidate creature.

"Dei tre Adorni, a Dioniso Thrìambos devoti, io sono il migliore, colui il cui sguardo spazia su angoli remoti! Il Praticante esperto nell’arte della divinazione, il cui culto ho sposato con sincera abnegazione! Io sono Sileno, il Vate indiscutibile, e voi, per me, siete misero volgo facilmente abolibile!"