CAPITOLO VENTINOVESIMO: LA PROGENIE DEL MOSTRO.
Il suolo tremò ovunque tutto attorno al Santuario delle Origini. Alcune mura crollarono, i bastioni si accartocciarono quasi fossero fatti di carta e il pugno di un gigante li avesse schiacciati, e poi tra le macerie e la polvere, tra l’ombra e il timore di chi osservava, una figura sorse, torreggiando sulle sparute forze dell’Alleanza.
Trattenendo il fiato, i Cavalieri e gli Dei temettero che si trattasse di Caos. Per quel che ne sapevano, era un’immensa nube nera, ma nessuno dubitava che, alla fine, sarebbe riuscito a creare un corpo atto a contenerlo, un corpo mostruoso e gigantesco, con cui li avrebbe schiacciati. Ma questa figura, del Deus Otiosus, non aveva niente, era semplicemente un mostro e vomitava un liquido maleodorante che, al contatto con la roccia e con il suolo, sfrigolava, corrodendoli.
"Che razza di creatura ha partorito il Primo Santuario?" –Esclamò Cristal, che aveva appena affrontato e congelato Drakon al termine di un estenuante scontro. –"Sembra… un grosso serpente!"
"Io vedo una donna… una gigantessa" –Lo affiancò Andromeda. –"Selvaggia, rabbiosa, forse anche sofferente. Con una mano sul ventre, a tenersi l’enorme pancia da cui filtra una luce verdastra…"
"Cosa?!" –Rispose l’amico, voltandosi verso di lui e poi di nuovo verso la creatura.
"Che orrore!" –Mormorarono altri attorno a loro e Cristal, udendoli, notò che ognuno sembrava vedere qualcosa di diverso. Un serpente, una donna, un gigante, tutte e tre le figure mescolate assieme. Ma tutti concordavano su un aspetto: ella era gravida.
"Il suo nome è Echidna!" –Esclamò allora una voce maschile, facendosi avanti. –"E no, non dovete guardare con gli occhi, bensì con i vostri sensi acuti! Può apparire diversa a chiunque la guardi, per confonderci, per frenare le nostre azioni, forse anche per commuoverci…" –Aggiunse Nettuno, gettando un rapido sguardo ad Andromeda, che subito lo scansò. –"Ma non dovete esitare! Quella creatura è il più potente e pericoloso mostro del Mondo Antico, al pari del suo sposo, Tifone, con cui ha generato le peggiori creature!"
"Ortro e la Sfinge, Cerbero e l’Idra di Lerna!" –Intervenne Euro. –"Se Eracle non fosse impegnato contro Karkinos ve li elencherebbe uno ad uno, avendoli affrontati quasi tutti!"
"E quella pancia gonfia?" –Intuì Andromeda.
"Significa che sta per partorire! E dobbiamo impedirglielo!" –Disse Nettuno, levando alto il tridente luminoso. –"Credo che sia stata lei a generare, su richiesta di Caos, molte delle creature affrontate finora! Per cui, se la uccidiamo, porremo un freno alla marcia dell’oscurità! Cavalieri, Dei dell’Olimpo, so di non potervi chiedere niente, di non avere il diritto di chiedervi niente, per essere stato spesso in contrasto con voi e con gli uomini che difendete, eppure adesso, di fronte a questa minaccia, non posso esimermi dal lottare al vostro fianco. Concedetemi questo onore, ne sarei grato!"
"Sono con voi, mio Signore!" –Esclamò subito una voce di donna, rivelando il corpo esile e ferito di Titis, che si fece avanti zoppicando, con l’armatura quasi interamente distrutta dai Rakshasa.
"Titis, mia dolce sirena, ancora ti ostini a seguirmi, pur nelle condizioni in cui versi? La tua determinazione è ammirevole. Vorrei poterla ricompensare, un giorno."
"Anche noi combatteremo, Divino Nettuno! Il gelo del Cigno e le catene di Andromeda fermeranno la sposa del mostro!" –Intervennero i Cavalieri di Atena.
"E sia!" –Gridò Nettuno, voltandosi verso Echidna, che intanto si stava liberando del tutto dalle macerie, distruggendo una parte del Primo Santuario e palesandosi proprio nello spiazzo che un tempo separava la Porta delle Tenebre da quella del Giorno.
Adesso i Cavalieri poterono vederla meglio e rabbrividire. Era una donna sì, una gigantessa, proprio come Atlante, ma non aveva gambe, bensì una lunghissima e rozza coda squamata, simile a quella di un serpente, che a Cristal ricordò Ladone, sebbene Echidna fosse molto più grossa e, giudicò, più pericolosa. Il corpo, non privo di lineamenti femminili, era sbilanciato in avanti da un’enorme pancia, così pronunciata che le squame tendevano a dilatarsi, come bottoni di una camicia allacciata stretta, e tra gli interstizi che le separavano filtrava una luce verdognola.
Subito l’Imperatore dei Mari si fece avanti, brandendo il tridente e puntandolo contro la bestia immonda, liberando un fascio di energia che venne però deviato dalle scaglie che la rivestivano, simili a grossi scudi di color oro sporco. Anche Euro la investì con un turbine d’aria ma Echidna nemmeno se ne curò, lasciando che le strigliasse i capelli putridi, spazzando via polvere e muffa, quasi inebriandola per quell’inaspettata sensazione di freschezza. Fu così, stupendolo, che allungò una mano verso il figlio di Eos e per un pelo non lo afferrò, lesto, quest’ultimo, a sbattere le ali e volare più in alto, dove la Dea non poté arrivare.
O, quantomeno, fu quel che Euro credette.
Piegandosi sulla coda serpentiforme, Echidna spiccò un balzo, allungandosi verso il cielo e afferrando il Vento dell’Est per un piede, trascinandolo a sé, di fronte allo sguardo atterrito di Nettuno e dei Cavalieri di Atena, che subito si fecero avanti per portargli aiuto. In un attimo le Catene di Andromeda, il gelo del Cigno e il tridente di Nettuno sfrecciarono avanti, impattando contro la corazza di squame che vestiva la sposa di Tifone e, sebbene non riuscissero a ferirla, la fecero barcollare, e poi cadere di lato, su quel che restava delle mura di confine del Primo Santuario. Ma anche questo non bastò a farle mollare la presa.
"Copritemi!" –Urlò l’Imperatore dei Mari a Cristal e Andromeda, prima di scattare avanti.
"Mio signore!" –Gridò Titis, sgambettandogli dietro.
Un rapido guizzare della coda di Echidna spinse via la sirenetta, spezzandole un paio di costole, ma Nettuno la evitò con un balzo, piantandoci sopra il tridente e servendosene per lanciarsi in avanti, diretto al braccio destro della Dea. In quel momento Cristal e Andromeda liberarono i loro attacchi, mirando al volto di Echidna.
Avevano imparato, in passato, che spesso gli occhi erano il punto debole di creature così grandi e, all’apparenza, invincibili. Ma la sposa di Tifone, sorprendentemente, non parve troppo scocciata da quell’assalto, limitandosi a coprirsi con il braccio ancora libero, che venne rivestito da un lieve strato di ghiaccio e avvolto nelle catene. Le bastò uno strattone per sollevare Andromeda da terra e tirarlo a sé.
"Andromeda!!!" –Gridò Cristal, ma l’amico non sembrava sorpreso, avendo intuito, quasi l’avesse visto nella mente, la mossa dell’ancestrale creatura e avendo deciso di servirsene per avvicinarsi. Espanse così il cosmo, liberando il vento dal bagliore rosa di cui era padrone.
"Esplodi, Nebulosa di Andromeda!!!" –Esclamò, mentre, ancora in volo, piombava su Echidna.
La violenta corrente d’energia investì il volto della sposa di Tifone, strappandole più di un gemito di fastidio e dolore, mentre le scaglie che rivestivano il braccio vibravano e si scheggiavano in più punti, forzandola a muoverlo di colpo, trascinando Andromeda con sé, in basso, e schiacciandolo a terra.
Di quel momento di confusione approfittò Nettuno, arrampicandosi sul ventre gravido della Dea e lanciandosi poi sul pugno ancora chiuso, dentro cui Euro si dimenava vanamente. Conficcò il tridente nel palmo della mano, in basso, liberando scintille di energia, incitando il giovane Dio a fare altrettanto, a bruciare tutto quel che rimaneva del suo cosmo. Insieme, in un rogo dai bagliori celesti e azzurri, Euro e Nettuno fecero ardere la mano di Echidna, strappandole un violento grido di dolore, prima che la creatura sollevasse il braccio per poi calarlo di colpo.
Lo sbatté più volte al suolo, quasi volesse spegnere quelle fiamme con la gelida oscurità dei suoi sotterranei, fino ad aprire una voragine in cui Euro e Nettuno precipitarono. Soltanto allora, guardandosi la mano ustionata e sanguinante putrido sangue verdognolo, Echidna si rilassò, riportando l’attenzione sul resto del campo di battaglia.
Cristal, nel frattempo, aveva soccorso Andromeda, aiutandolo a rimettersi in piedi. Con un veloce colpo d’occhio, il Cigno si rese conto delle disperate condizioni in cui versavano le forze dell’Alleanza: Eracle, poco distante, stava guerreggiando con Karkinos, mentre gli Heroes abbattevano gli ultimi Sparti. Di Asher e degli altri Cavalieri di Atena, nessuna traccia o deboli sprazzi di cosmo che, nel marasma che lo circondava, non riuscì a capire da dove provenissero. Persino Ioria e Virgo erano scomparsi e, cosa ancor più preoccupante, persino Atena.
Inspirando più volte, il ragazzo richiamò alla mente gli insegnamenti del Maestro dei Ghiacci e di Acquarius, ritenendo che mai come in quel momento doveva saperli mettere in pratica. Il dolore, le lacrime, il senso di perdita e di smarrimento, per tutto quello ci sarebbe stato tempo in seguito. Adesso doveva soltanto rialzarsi e combattere, se voleva che un seguito ci fosse, alla sua storia e a quella degli altri eroi che quel giorno infinito avevano rischiato tutto.
"Sono con te!" –Gli disse Andromeda, intuendo i suoi pensieri. Cristal gli afferrò la mano e lo tirò su, proprio mentre Echidna, ripresasi, iniziava ad avanzare verso di loro, strisciando, strusciando il suo rozzo corpo sul terreno e spazzando via tutto quel che le si poneva davanti, fossero rocce, nemici o persino Guerrieri del Caos.
Li notò, e dovettero sembrare così piccoli rispetto a lei. Un puntolino rosa e uno bianco, le cui aure però andavano espandendosi. In un angolo della sua mente malata non poté fare a meno di pensare che proprio aure simili, di tale intenso splendore, avevano ucciso il suo adorato sposo. Ben due volte. E lei non aveva potuto salvarlo, costretta ad aspettare, a languire nel grosso uovo in cui l’amato l’aveva confinata, per nasconderla agli occhi degli Dei e dei loro Cavalieri cacciatori di mostri e per permetterle un giorno di vivere la sua vita, vendicandolo e sterminandoli tutti.
Quel giorno, per Echidna, era arrivato.
Spalancando le braccia, e gonfiando i muscoli al punto che molte scaglie schizzarono via dal suo grosso corpo, la Madre ancestrale gridò, invadendo l’intero deserto del Taklamakan con il suo urlo di guerra. Attirate dal suo richiamo, tutte le creature infernali ancora vive si radunarono attorno a lei o sulle sue spalle, appollaiandosi persino tra i suoi capelli. C’erano viverne, grifoni, arpie, valravn, e poi grossi cinghiali dalle zanne intrise di sangue, warg, felini oscuri e serpi velenose.
Storditi, i Cavalieri e degli Dei si portarono le mani alle orecchie, crollando a terra o barcollando, devastati da quel furioso attacco sonoro che non accennava a smettere. Le sacerdotesse e gli apprendisti di Atena caddero travolti da spasmi violenti, il sangue che usciva fuori dai loro occhi e dal naso; le spade e le lance andarono in frantumi; il suolo tremò di nuovo, un’ultima volta, prima che la coda serpentiforme di Echidna lo battesse, liberando un ampio semicerchio di fronte a lei.
Cristal afferrò Andromeda appena in tempo, sollevandosi sulle ali delle loro corazze divine, quel poco di cui riuscirono, prima che le fitte all’apparato uditivo non li costringessero a tornare a terra. Ma per allora Echidna aveva smesso di gridare, adesso sembrava infatti si stesse lamentando.
China all’indietro, sulla propria stessa coda, la sposa di Tifone si portò una mano al ventre, dove, tra le scaglie vibranti, la luce verdognola aumentava sempre di più, fino a scagliarle in aria, distruggendole. E allora i Cavalieri di Atena capirono quel che stava per accadere.
"Per l’Olimpo!" –Esclamò Ermes, planando accanto a loro. –"Sta per partorire!"
E in effetti, in quel momento, la grossa pancia di Echidna si aprì, in un ventaglio di luce verdastra, che accecò i Cavalieri, costringendoli a sollevare un braccio. Durò un momento, quel bagliore velenoso, e quando scemò tutti videro che il ventre del mostro si era sciolto, mescolandosi alle creature che aveva ospitato fino ad allora e che adesso si muovevano in una tetra melma da cui, ringhiando e dimenandosi, stavano venendo fuori. Figli dell’oscurità pronti a portare terrore nel mondo.
"Quale orrore!" –Mormorò Andromeda, raggiunto anche da un nauseabondo odore.
"Cerchiamo di colpirle adesso che sono ancora vulnerabili!" –Disse Ermes, spalancando le ali della Veste Divina e librandosi in aria, con il Caduceo stretto in mano. Diresse una raffica di fasci di energia contro la massa molliccia nella pancia di Echidna, ma quel gesto fu il segnale per scatenare tutte le creature riunitesi attorno alla Madre a sua difesa. Il Messaggero degli Dei venne investito da ogni lato da mostri alati, che tentarono di beccarlo, artigliarlo e azzannarlo, costretto a bruciare il proprio cosmo e a liberare una tempesta di energia, con cui le spazzò via, facendone precipitare a terra le carcasse.
Proprio allora, dal ventre di Echidna, uscirono le bestie che aveva partorito, scivolando sul terreno arido e lasciandosi dietro una scia di melma nera, fino a rivelare le loro fattezze. Erano tre, una più orripilante dell’altra: la prima un serpente, anzi un mostro serpentiforme con ben tre teste, strette e lunghe, che subito guizzarono in ogni direzione, puntando i loro occhi giallastri sui Cavalieri e sugli Dei che si stavano riunendo attorno; la seconda creatura era un gallo enorme, grosso come Drakon, con la coda di serpente e la lingua biforcuta, mentre la terza era una gigantesca tartaruga, bardata per la guerra.
Inorridendo, Andromeda si chiese con quale perversa fantasia la Madre progettasse i propri figli, proprio mentre la tartaruga rivelava il muso dalle fattezze leonine e dal suo guscio spuntavano robusti aculei e dalla cima della coda una lancia dalla punta affilata.
"Per non farci mancare niente…" –Ironizzò Cristal, strappando un sorriso all’amico.
Fu in quel momento che la marea d’ombra, che pareva essersi acquietata, riprese ad avanzare con violenza, riversandosi fuori da ogni breccia aperta nel muro del Primo Santuario, incitando le creature demoniache a farsi avanti. Solo per trovarsi la strada sbarrata da una muraglia di fulmini azzurri.
Sollevando lo sguardo, Cristal e Andromeda videro Zeus scendere su di loro, avvolto nel suo meraviglioso cosmo adamantino. Nonostante le fatiche della guerra, il Signore dell’Olimpo riusciva ancora a risplendere come il sole di primavera.
"Cavalieri di Atena e dell’Olimpo! Figli e congiunti miei! Prestate ascolto! Dobbiamo unire le nostre forze per quest’ultima battaglia! Possiamo vincere, come vincemmo Tifone sul Monte Sacro, in un solo modo: combattendo assieme!" –Tutti, a quelle parole, annuirono, iniziando a far brillare i loro cosmi. –"Efesto, occupati della coccatrice! Ma sta’ attento a non farti alitare in faccia, potresti divenire una statua di pietra!" –Sbattendo un pugno nel palmo dell’altra mano, il Dio della Metallurgia schizzò avanti, piombando come una cometa di magma ardente contro il ventre dell’enorme gallo, gettandolo a zampe all’aria. –"Ermes! Mio fido! Tieni a bada queste bestie volanti! Impedisci loro di distrarre chi combatte dal proprio nemico!" –Ermes prontamente assentì, turbinando nel cielo e falciando le viverne e tutte le loro sorellastre mostruose. –"Heroes di Eracle! So che siete stanchi per gli scontri con gli Sparti, ma vi chiedo di occuparvi di Zahhak! Le sue tre teste velenose non potranno opporsi al vostro valore!" –Subito Neottolemo, Marcantonio e Nestore circondarono il demone iraniano della tempesta, avvolti nei loro cosmi luminosi.
"Affronterò io la Tarrasque!" –Intervenne allora Eracle, facendosi avanti. La Glory era danneggiata in più punti, da lunghe strisce che aveva grattato via il colore e anche pezzi di metallo, dove Karkinos lo aveva agguantato, ma alla fine il Campione di Tirinto era riuscito ad averne ragione e adesso stringeva in ciascuna mano le braccia del grosso granchio, agitando le chele verso la tartaruga corazzata. –"Un tempo vinsi l’animale più veloce del mondo, vediamo come lotta il più lento, invece!"
"Fa’ attenzione, figlio mio! Tutto si può dire tranne che quel mostro sia indifeso!" –Esclamò Zeus, mentre Eracle si lanciava avanti, allungando le chele verso il volto leonino della Tarrasque che subito ruggì, rispondendo con un rapido colpo di coda. –"In quanto a me, terrò a bada l’esercito delle ombre, ricacciandolo nel profondo santuario da cui è appena uscito!"
"Da solo, mio Signore?" –Chiesero subito Cristal e Andromeda.
"Il Signore dell’Olimpo non è mai solo!" –Parlò la voce pacata di Ganimede, apparendo a fianco di Zeus, nella sua armatura celeste.
"Ti ringrazio, Coppiere degli Dei!" –Sorrise il Nume, prima di guardare i Cavalieri di Atena un’ultima volta. –"A voi tocca il compito più periglioso. Ma conosco il vostro valore e se c’è qualcuno che può aver ragione della Madre dei Mostri, quelli siete voi! Fate in fretta però, vedete quei tentacoli? Temo che ella, sfruttando chissà quale perversa energia, possa procreare ancora!" –Aggiunse, indicando dei filamenti di tenebra che dalla pancia della creatura scendevano, insinuandosi nel terreno, come viticci oscuri, alla ricerca di nutrimento.
"A ognuno il proprio compito!" –Esclamò Cristal, espandendo il cosmo glaciante. –"Vediamo come se la cava contro le nevi eterne della Siberia! Polvere di Diamanti!" –E diresse la tempesta di ghiaccio contro la pancia sventrata di Echidna, che all’inizio sussultò, ma poi le scaglie iniziarono a rivestirla, ricucendo e cicatrizzando lo squarcio.
"Attento!" –Intervenne Andromeda, mentre la grossa coda spazzava il suolo, sollevandosi e preparandosi per schiacciare il Cigno. –"Mia catena, difendici!" –Subito la versatile arma scintillò nell’aria caliginosa, assumendo la forma di una rete per rapaci, issata proprio sopra le loro teste, per proteggerli dall’assalto, che più volte si abbatté su di loro.
Stringendo i denti, Andromeda impresse tutto il proprio cosmo alla catena ma, nel farlo, non riuscì a coordinare le immagini che gli stavano invadendo la mente. Passato, presente e futuro si mescolarono dentro di sé, davanti a sé, troppo velocemente per poterli differenziare. Pegasus e Atena immersi in una melassa nera che li stava fagocitando; l’Egida che andava in frantumi, precipitando in un abisso assieme al Grande Tempio di Atene; una donna, di bianco vestita, in lacrime su un altare di pietra; due occhi rossi che fiammeggiavano nell’oscurità; gli Heroes che cadevano sotto una pioggia di dardi neri; suo fratello che lo chiamava, lo proteggeva e infine piangeva inginocchiato davanti a una croce di legno. E Nemes che moriva.
Nemes? Sgranò gli occhi Andromeda, inorridito.
Proprio in quel momento la massiccia coda di Echidna, anziché calare dall’alto, si abbatté su di loro di lato, spazzando via i Cavalieri di Atena e la loro difesa.
"Andromedaaa!!!" –Gridò una voce di donna.
Voltando la testa indolenzita, il ragazzo vide Nemes (seminuda, rasata, con il corpo segnato da piaghe, ustioni e ferite aperte) che barcollava verso di lui, sorreggendosi a Castalia in armatura d’oro. Reda e Salzius, alle loro spalle, erano ridotti a un ammasso di carne bruciata e si trascinavano solo con la forza di volontà.
"Nemes! Cavalieri! State indietro!" –Gridò Andromeda, mentre la coda di Echidna frusciava di nuovo nell’aria, calando sui due fedeli di Atena, solo per venir intercettata da una lunga asta di energia.
"Al tuo posto, biscione!" –Esclamò Toma di Icaro, ergendosi a difesa di Andromeda e Cristal, il braccio destro levato per sostenere la lancia energetica. Ma bastò che Echidna aumentasse la pressione dell’assalto per schiacciare il Cavaliere Celeste al suolo, imbrattandogli il corpo con il liquido venefico che gocciolava dalle sue scaglie. A fatica, tossendo e sputando, Toma cercò di tenere la coda a distanza ma il solo sfiorarla gli causava ustioni atroci alle mani.
"Tomaaa!!!" –Strillò Castalia. Lasciò la presa su Nemes e scattò avanti, il pugno pregno di energia cosmica, liberando l’assalto delle stelle cadenti che aveva insegnato a Pegasus, solo per osservarlo rimbalzare sulla pelle squamata di Echidna. Con un rapido guizzare della coda, anche la Sacerdotessa dell’Aquila venne spinta via, la corazza d’oro che scricchiolava, scheggiandosi in più punti.
Rimase solo Nemes, tremante, di fronte a Echidna, che la osservò dall’alto con occhi intrisi di veleno, prima di allungare le braccia su di lei. La ragazza distolse lo sguardo, cercando Andromeda tra la polvere e la devastazione, per rivolgergli un saluto, e solo all’ultimo s’avvide delle due figure che erano scattate di fronte a lei, dando fondo a quel che rimaneva delle loro esigue forze.
"Reda! Salzius!" –Gridò Nemes, osservando Echidna afferrarli entrambi, piantare le rozze unghie avvelenate nei loro corpi e stringere. Strinse finché non li ebbe ridotti a un’informe poltiglia che poi vomitò al suolo, di fronte allo sguardo terrorizzato della ragazza, che poté soltanto urlare, prima che un muro di catene sorgesse di fronte a lei e Andromeda la afferrasse, portandola fuori dal raggio d’azione della coda.
"Prudenza, Andromeda!" –Esclamò Cristal, raggiungendo l’amico. –"So che è difficile, ma rimani freddo!"
Il compagno annuì, depositando Nemes a terra e scambiando con lei una veloce occhiata che voleva significare tante cose, forse troppe. A quel punto non avevano neppure bisogno di dirsi alcunché, ben conoscendo ognuno i sentimenti dell’altro.
Singhiozzando, la ragazza annuì, lasciandogli la mano.
"Uccidi la serpe e torna da me!"
"Dobbiamo tenerla a distanza, Andromeda!" –Disse Cristal, che aveva analizzato il comportamento di Echidna e i suoi punti di forza.
"Posso provare a imbrigliarla con la mia catena, dandoti il tempo di colpirla con il tuo gelo! Se ha vissuto con Tifone, nelle caverne fiammeggianti sotto l’Etna, dubito che sopporterà temperature troppo fredde!" –Rispose l’amico, espandendo il cosmo e scattando avanti, liberando la catena nella sua ultima conformazione. –"Melodia scintillante di Andromeda!"
Migliaia di strali argentei fendettero l’aria, assumendo tante configurazioni diverse quante ritennero necessarie per contenere la furia di Echidna. Spire di mithril avvilupparono la sua grossa coda, tagliole giganti le seguirono, azzannando e spaccando le squame di Echidna, mentre lance e boomerang le massacravano il corpo e una rete da caccia si chiudeva su di lei, lasciando libera soltanto la grossa testa furibonda.
"Ora!!!" –Gridò Andromeda e vide l’amico passargli sopra, scivolando sulla catena tesa e dandosi la spinta per balzare in alto, sostenuto dalle ali del Cigno.
La croce del Nord brillò attorno a lui mentre il cosmo di ghiaccio si radunava sulle mani, chiuse a pugno sopra la testa, e poi fluiva fuori, in una cascata di bianco e argento. –"Per il Sacro Acquarius!" –Gridò Cristal, dirigendo il getto di energia congelante verso il volto di Echidna. –"È fatta! Non può scappare!"
Ma in quel momento la scarmigliata chioma della sposa di Tifone si agitò e i capelli che la componevano si allungarono a proteggerle il viso, sibilando come serpi di tenebra. Una barriera d’ombra su cui il gelo della Siberia impattò, disintegrandola, ma permettendo a Echidna di non subire troppi danni e rifiatare. Con un moto di rabbia, liberò le braccia dalla morsa delle catene, afferrò Cristal, che stava cercando di volare via, e gli spezzò le ali (e forse anche un paio di ossa), prima di tirarlo contro Andromeda e atterrarlo. A quel punto, anche la grossa coda era ormai libera di dimenarsi, distruggendo le opprimenti catene e abbattendosi sui Cavalieri di Atena.
***
Quando rinvenne, Nettuno capì di stare sprofondando. Ma non nei mari azzurri in cui aveva a lungo vissuto, e che lo avevano cullato, lenendo ogni suo affanno, bensì in una melma nera, dall’incredibile fetore di morte. Un fetore che, in passato, aveva sentito soltanto quando Atlantide si era inabissata, trascinando con sé il suo prezioso consigliere, il suo amato figlio e tutto il resto del popolo che aveva creduto in lui e che invece era stato ucciso dalla sua brama di potere. Per cosa poi? Per la conquista dell’Attica? A ripensarci, in seguito, era scoppiato a ridere al pensiero che proprio lui, l’Imperatore dei Mari, avesse perso tutto per una zolla di terra. Magari, se fosse stato più accorto, avrebbe percepito la rinascita di Ponto o di Forco, quelli sì che erano i suoi veri rivali.
Ma Ponto, Forco e persino Oceano erano morti, assieme a tutti i loro fedeli. Rimaneva soltanto lui, l’ultimo Signore dei Mari, e forse quell’eredità significava qualcosa. Qualcosa deve significare! Si disse, espandendo il cosmo e liberandolo di colpo, dilaniando le tenebre in cui era immerso.
Respirando a fatica, si trascinò nella melma, riuscendo a mettersi in piedi, e si guardò attorno, per quanto difficile fosse vedere qualcosa nella tenebra che lo circondava.
Era in un ampio stanzone, grande quanto il suo primo palazzo su Atlantide, sebbene il soffitto fosse molto basso. L’unica fonte di luce proveniva da alcuni bozzoli disseminati lungo le pareti, dal cui interno sembrava filtrare un pallore verdognolo, simile a quello che aveva visto, poco prima, nella pancia di Echidna. Che fosse dunque da quei nidi che proveniva la sua forza?
Strattonando le gambe per liberarle dalla torbida sostanza in cui erano immerse, il Signore dei Mari avanzò, concentrandosi per richiamare a sé il suo tridente, caduto assieme a lui là sotto. E allora si ricordò di Euro, che di certo doveva essere da qualche parte, avvolto in quei vischiosi filamenti di tenebra che, come radici, calavano dal soffitto, espandendosi poi in tutto il salone.
"Che creatura orribile!" –Mormorò Nettuno.
Quasi avesse udito la sua voce, uno dei bozzoli di tenebra tremò, incuriosendo il Nume, che si avvicinò con circospezione. Allungò la lancia, per tastarne la consistenza e tagliare qualche filamento, ma non vide altro che ombra. Eppure, in quell’ombra, gli sembrò di notare qualcosa muoversi, un’ombra più scura delle altre e che, a volte, emetteva un bagliore scarlatto.
"Nettuuunooo…" –Gli parlò una voce che, con suo grande stupore, capì provenire da quella tenebra sanguigna. –"L’ultimo Re dei Mari. Sei venuto a morire anche tu? Sei venuto a offrire la tua vita in pagamento per tutte quelle che hai sprecato?"
"Chi sei?"
"Chi sono? O chi ero? Non ha importanza, ormai." –Replicò la voce. –"Ho avuto molte identità, troppe, e a stento le ricordo. Mi hanno chiamato Anhar, quando nacqui; fratello, quando crebbi; traditore, quando decisi; flagello di uomini e Dei, quando agii; Maestro di Ombre, quando compresi; ma per tutto questo tempo non ho mai smesso di essere il braccio armato di Caos. L’araldo dell’ombra."
"Tu sei il Caduto!" –Realizzò infine Nettuno, indietreggiando di un passo, l’arma ancora puntata verso la massa informa di tenebra.
"Così pare…" –Tossì la voce, emettendo un altro bagliore rossastro. –"In effetti, si può dire che sia davvero caduto in basso, diventato cibo per la Madre. Eppure, se quel che rimane della mia antica forza può servire per alimentare la vittoria di Caos, io darò fino all’ultima stilla di energia! Ho aspettato per una vita intera, per tutte le mie vite, il giorno dell’ira e non mi tirerò indietro."
"Sei folle!"
"Disse colui che se ne stava da solo, ferito e debole, nell’alveo ove nascono i mostri che dominano gli incubi degli uomini." –Ridacchiò Anhar, prima che la sua voce si riducesse a un fioco bisbiglio e i filamenti di tenebra lo avviluppassero del tutto. –"Sei in buona compagnia, in fondo."
Voltandosi, Nettuno capì cosa intendesse dire. Percepì, anche se flebili, le tracce degli altri Dei e dei loro Cavalieri, là sotto rinchiusi, e capì cosa doveva fare.
"Non ho potuto salvare Tritone né il mio popolo ma posso ancora dare una speranza alla Terra!" –Disse, espandendo il proprio cosmo. Ancora e ancora. Come aveva visto fare a Pegasus e ai Cavalieri di Atena e come non aveva mai creduto di poter arrivare a fare.
Il tridente brillò nelle sue mani, caricandosi dell’energia cosmica del Signore dei Mari, che lo roteò e lo conficcò infine nella massa di viticci che scendeva dal soffitto, facendoli vibrare. Subito i tenebrosi filamenti vennero percorsi dalle scariche energetiche, che li sfaldarono, li recisero e permisero infine a Nettuno di vedere gli stanchi volti di coloro che erano stati catturati. Uno dopo l’altro, Pegasus, Atena, i Cavalieri d’Oro, i Seleniti, persino Demetra, riapparvero davanti agli occhi soddisfatti di Nettuno, che non interruppe il fluire del suo cosmo finché l’ultimo combattente non fu liberato.
"Che… che è successo?" –Borbottò Arawn, cercando subito i suoi levrieri, che però erano stati divorati dall’ombra. Solo Rhiannon le frusciò accanto, le candide vesti ormai sporche e logore, il volto però ancora magnifico e giovane.
"Siamo stati infettati dall’ombra, Signore di Annwn!" –Esclamò allora Nettuno, il cui cosmo azzurro vorticava nel salone, andando a concentrarsi tra le mani del Nume, che aveva liberato il suo più prezioso manufatto. –"Permettetemi di purgarvi con le mie chiari, fresche e dolci acque!" –Nel dirlo, sollevò le mani, mostrando una grossa conchiglia ripiena di cosmo. –"Corno di Tritone!" –E un fiume di energia azzurra ne fuoriuscì.