CAPITOLO VENTUNESIMO: TERZO INTERLUDIO.

ACQUA.

Estratto dalle Cronache di Avalon.

Tempo: quindici secoli prima del secondo avvento.

Spazio: Britannia.

I vessilli del Pendragon sventolavano sull’erba bagnata di sangue, spinti dal vento freddo che accompagnava l’odore della morte. Arthur, splendido, nella sua corazza dai riflessi argentati, sedeva sul suo cavallo bianco, bardato anch’esso per la guerra, circondato dai suoi compagni. La storia, e chi l’avrebbe scritta, li avrebbe chiamati i Cavalieri della Tavola Rotonda, per l’usanza di riunirsi attorno a un grande tavolo rotondo, ma lui sapeva bene chi fossero. Come lo sapeva il suo mentore, in piedi accanto al destriero, intento a fendere l’aria con sensi aguzzi e ad ascoltare il vento.

"Stanno arrivando!" –Disse, voltandosi verso l’unificatore delle tribù di Britannia, il fondatore del primo grande regno di Albion.

Questi annuì, sollevando alta la spada Excalibur, che rifletté i raggi del sole nascente, espandendoli e generando una pioggia di lame di luce che fendette l’aria mattutina, abbattendosi sulla prima linea dei nemici in arrivo. Fu un attimo e già la schiera dei Bianchi Cavalieri di Glastonbury sfrecciava giù dall’alto colle di Mount Badon, contro l’Armata dell’Inverno e contro gli invasori giunti dalla lontana Grecia.

Avalon, rimasto immobile al proprio posto, sospirò.

Un suono di cetra lo scosse dai propri pensieri, portandolo a voltarsi verso le retrovie, dove suo fratello lo attendeva, seduto su una cassa di legno, con le mani che correvano sulle corde dello strumento.

"Sei vestito leggero…" –Commentò il Signore dell’Isola Sacra.

"Fa caldo nel Mondo di Sopra." –Si limitò a rispondere Asterios. –"Nelle profondità abissali il clima è molto più freddo. Anche se freddo non è la parola adatta. Io credo che sia semplicemente diverso."

"Perché sei qua, Asterios?"

"Forse perché me lo hai ordinato?" –Disse l’Arconte Verde, smettendo di suonare e fissando il fratello, che non rispose. –"Al riguardo, potrei sapere il motivo di tale convocazione? Non mi sembra una battaglia per cui sia necessario l’intervento degli Angeli, Angeli che finora, in quanti millenni?, non sono mai intervenuti, per inciso."

"Stavolta è diverso. Questa guerra è diversa." –Mormorò Avalon, dando le spalle ad Asterios e avviandosi tra l’erba calpestata dai destrieri bianchi, osservando la mischia in atto nella piana antistante. –"Non lo senti? L’ombra si è svegliata. Anhar l’ha svegliata. Non ha rinunciato ai suoi progetti di vendetta e dominio, tutt’altro, sta cercando nuovi alleati. E già due (per quel che ne sappiamo, soltanto due) hanno risposto ai suoi richiami, e non due Divinità qualsiasi."

"Uno dei tanti figli bastardi di Zeus e una vecchia strega?"

"Non sottovalutare il potere del sole, né quello degli antichi riti di questa terra! La Cailleach riesce a incanalare l’energia distruttiva della natura, energia che, se priva di controllo, potrebbe distruggere il mondo."

"Quello di superficie, quantomeno."

"Non fa differenza!" –Si voltò Avalon, alzando per la prima volta il tono della voce e strappando una ruga di stupore al fratello. –"Non capisci? Presto i mondi così come sono adesso smetteranno di esistere e diverranno un unico mondo. E quando lui tornerà, allora quel mondo dovrà essere unito sotto una sola bandiera di decisione o soccomberà! Perpetuare stupide divisioni, alimentare o riaccendere ostilità tra i regni divini, chiudersi in un passivo quanto inutile isolazionismo, a cosa servirà? A favorire l’avvento dell’Unico. Ed è proprio questa la strategia di Anhar, io temo! Strategia che, a ben vedere, sta funzionando!" –Aggiunse, liberando un sospiro.

In quel momento un astro di luce rossastra rilucette in cielo, scendendo fino a portarsi sopra il campo di battaglia, e da quel piccolo sole tre comete sfrecciarono fuori, abbattendosi sulle fila dei Cavalieri di Glastonbury e sterminandone a decine.

"Dunque è arrivato!"

"Febo Apollo? Quel ragazzetto imberbe?" –Ironizzò Asterios.

"Credo che tu abbia trascorso troppo tempo nel Mondo di Sotto da aver dimenticato quanto potente sia l’energia sprigionata dall’astro solare, energia che il figlio di Zeus sa come imbrigliare! Forse dovresti guardare la Terra da un’altra prospettiva." –Rifletté Avalon, scomparendo e riapparendo accanto ad Arthur, sollevando un manto protettivo sull’intera compagine del Pendragon. Una barriera che venne subito tempestata da una raffica di folgori oscure che una vecchia, ingobbita sotto un mantello nero, gli diresse contro, facendosi spazio tra le fila del suo esercito.

Solo adesso, osservandolo con attenzione, Asterios vide che i membri dell’Armata dell’Inverno non erano uomini (non che lo fossero neppure i Cavalieri di Glastonbury, ma almeno ne avevano l’aspetto), bensì bizzarre creature figlie della notte e delle foreste. Alle spalle della Cailleach ringhiavano infatti Cani Neri, alseidi e driadi oscure (forse sue figlie?), degli esseri per metà uomini e per metà lupi (che Asterios intuì trattarsi dei Wulver), e poi spiriti dei boschi, le temibili banshee, le cui urla potevano far sanguinare il cervello di un uomo, e cavalli neri con sopra scheletri di guerrieri che reggevano ancora le loro armi, decisi a seguire in corteo la Regina dell’Inverno anche dopo la morte. Era dunque quello il potere della Cailleach?

Anhar si è scelto proprio una bella compagna!

Dall’altro lato, i tre scagnozzi di Apollo continuavano a imperversare contro i Bianchi Cavalieri rimasti fuori dalla protezione di Avalon, aggredendoli con violente fiammate di energia. Se Andrei fosse qua, sarebbe già sceso in guerra! Commentò Asterios, immaginando il Signore del Fuoco mostrare a quei tre damerini in gonnella metallizzata l’ardore intenso della sua fiamma. E tu? Si chiese, in un immaginario dialogo con te stesso. Perché ti trattieni? Avalon ha ragione. Il Secondo Avvento arriverà comunque, ma i regni divini potrebbero essere preparati oppure no. Non è forse per questo che hai messo al mondo le tue figlie, obbedendo a un ordine di Avalon? Non è stato un desiderio carnale o una forma d’affetto; tutt’altro. È stata pura necessità di servizio. Andava fatto. E allo stesso modo questa guerra va vinta!

Asterios scosse la testa. Rispondersi da solo era decisamente troppo. Forse aveva passato fin troppo tempo nella silenziosa solitudine degli abissi oceanici. Chiuse la mano a pugno, espandendo il proprio cosmo, e quando la riaprì centinaia di falene azzurre, composte di pura energia acquatica, sorsero dal suo palmo, librandosi in aria, dirette verso i Cavalieri della Corona. Richiamate dall’energia dell’Arconte Verde, altre migliaia di falene nacquero dalla terra, sfruttando le sorgenti sotterranee e la rugiada del mattino, abbattendosi sui fedeli di Apollo senza dare neppure loro modo di capire cosa stesse accadendo. Li circondarono, in massa, riducendo le loro fiamme, fino a spegnerle, anzi no, assorbendole e disintegrandosi nel farlo. Era su questo, in fondo, che si reggeva l’universo. Sul principio dell’equilibrio.

Avalon gliel’aveva insegnato, tempo addietro. Un tempo che persino per gli Angeli era lontano. O forse era una cognizione che faceva già parte di loro, inserita nella loro coscienza da colui che li aveva generati. E che non sapevano chi fosse.

Ad Andrei e ad Alexer stava bene così, e questa era anche la posizione ufficiale di Avalon (per quanto, tutti concordavano, avesse di certo indagato, a modo suo), ma lui, tra i Quattro, era quello che soffriva di più per quella mancanza di conoscenza, sentendo di essere legato al Tempo prima del Tempo, a ciò che esisteva prima della loro creazione. Per questo aveva iniziato a suonare, non per diletto ma perché la musica lo aiutava a concentrarsi, a navigare tra i flussi del tempo, cercando di ritrovare il momento in cui la loro coscienza si era svegliata, e magari scoprire il modo per andare ancora più indietro. Ma ogni volta falliva, ritrovandosi a sbattere, ostinato e imperterrito, contro il muro di una consapevolezza che si chiamava inizio, o alfa, come la definiva Avalon. L’inizio della loro esistenza.

Sospirando, Asterios dovette ammettere che il Signore dell’Isola Sacra aveva ragione. Loro esistevano per un motivo e a quel mandato dovevano attenersi. Richiuse la mano a pugno e lasciò esplodere il suo cosmo, che disintegrò i Cavalieri della Corona, di fronte allo sguardo indispettito di Febo Apollo.

***

"Che cosa state guardando, padre?" –Domandò una voce femminile, anticipando il passo leggero di una donna adulta all’interno della caverna, le vesti che a malapena frusciavano contro le rocce attraverso cui si snodava il sentiero.

"Ricordi…" –Mormorò Asterios, toccando le acque della Pozza Sacra e lasciando che le immagini si disgregassero. Per poi ricomporsi, nuove e al tempo stesso antiche.

***

Con una vampata di fiamme nere, Anhar fece la sua comparsa, circondando Avalon e bruciando la sua bella veste color argento. Indossava la sua Ars Magna (come le aveva chiamate lui), ma oltre al tradizionale nero, aveva aggiunto dei riflessi scarlatti, a richiamare il sangue che, a causa sua, sarebbe colato. Su questo, già secoli addietro, era stato chiaro.

"Ben trovato, fratello!" –Sghignazzò, avvolgendo Avalon in una torma di fiamme oscure e sollevandolo, prima di scaraventarlo contro Mount Badon, piantandolo nelle sue profondità. Ma Avalon fu lesto a venirne fuori, guizzando nel cielo come una cometa dalla coda d’argento e abbattendosi sul Caduto, mentre l’Armata dell’Inverno e i Bianchi Cavalieri di Glastonbury si allontanavano, lasciandoli combattere.

Con la coda dell’occhio, il Principe Supremo degli Angeli aveva visto Arthur impegnare battaglia con la Cailleach, che nel frattempo aveva atterrato alcuni suoi compagni, mentre Asterios, sulla cima del colle, stava fronteggiando Febo Apollo in persona. Un triplice attacco che, per le forze di Albion, poteva rivelarsi fatale.

Anhar dovette intuire i suoi pensieri, sbeffeggiando il fratello per quella che stava per rivelarsi la sua prima sconfitta. –"Prima Albion, poi l’Europa. Non vedo l’ora di calare sul Mediterraneo con l’Armata dell’Inverno. Credi che sia la stagione adatta?" –Esclamò, espandendo il proprio cosmo oscuro e costringendo Avalon a fare altrettanto.

"Questa è la stagione della tua sconfitta, Anhar, e della tua riflessione. Pensa, fratello, pensa a ciò che eri, prima di andartene dall’Isola Sacra. Ricorda i dettami della nostra esistenza, lo scopo ultimo per cui siamo stati generati."

"Oh, lo ricordo bene! Lo ricordo ogni giorno e a quel pensiero mi aggrappo per andare avanti, in vista del mio obiettivo ultimo."

"Obiettivo che hai tradito."

"Preferisco dire che l’ho adattato alle mie esigenze." –Ironizzò Anhar, spingendo indietro Avalon con un’onda di energia nera. –"E tu, fratello, sai bene che sono piuttosto esigente!"

"So che sei molte cose. Arconte della Terra, Angelo Caduto, alchimista e indagatore dei segreti del creato, inseguitore di leggende, millantatore, sobillatore e consigliere dotato di grandi capacità persuasive. E il fatto che una parte del piccolo popolo ti stia seguendo, e che persino un Dio ti stia seguendo, mi fa preoccupare. Motivo per cui ho deciso di fare come te."

"Che intendi dire?" –Chiese subito Anhar, ma Avalon si limitò a sorridergli, disperdendo le vampe energetiche e sollevando la mano destra, sul cui indice risplendeva un’intensa luce adamantina. Fu un attimo e il raggio di energia lo spinse indietro, gettandolo a terra, con l’elmo distrutto e il sangue che gli imbrattava la faccia. Rabbioso, si rialzò, gridando ai suoi seguaci di attaccare, ma nessuno obbedì.

Imprecando, Anhar fece per ripetere l’ordine, quando si accorse che tutti stavano guardando il cielo, ove una tempesta di fulmini era iniziata. Una tempesta che si stava spostando su di loro, falcidiando l’Armata dell’Inverno e disperdendone le fila.

"Dove andate, codardi? Tornate subito qui! Cailleach! Raduna immediatamente il tuo esercito o li sgozzerò uno ad uno!" –Imperò il Caduto, prima di accorgersi che anche la Regina dell’Inverno sembrava impallidita. E allora lo vide, splendido, scintillare di luce propria al centro della tempesta di folgori, tempesta da lui di certo scatenata.

Biondo era e bello, con quella Veste Divina immacolata, che non aveva più indossato dai tempi della Titanomachia, stringeva in mano il dono ricevuto da Ceo del Lampo Nero, il potere deicida con cui poté abbattere i figli di Urano e Gea.

"Zeusss…" –Sibilò Anhar, avvampando, mentre il Signore degli Dei di Grecia planava sull’Angelo. Fece per avventarsi su di lui ma qualcosa di così veloce da sembrargli soltanto un’ombra azzurra gli saettò davanti, facendolo persino barcollare. Un attimo dopo gli ripassò di nuovo davanti, e un’altra volta ancora, iniziando a sfrecciare attorno a lui fino a generare un turbine d’aria che lo sollevò, tra le risate divertite del suo creatore.

"Dove devo spedirlo, mio Signore?" –Esclamò una voce cristallina.

"Perché non in Africa, caro Ermes? Ho sentito che il clima, di questi tempi, è magnifico!" –Parlò allora Zeus, mentre il Messaggero degli Dei plasmava il vortice d’aria attorno ad Anhar, scaraventandolo lontano, verso sud, ben oltre la loro vista. Quantomeno ben oltre la vista di quasi tutti loro.

"Lieto di vedervi, Signore del Fulmine!" –Intervenne Avalon, inchinandosi. –"E lieto soprattutto che abbiate accettato il mio invito!"

"Apollo è anche un mio problema. Avevi ragione." –Ammise Zeus, prima di voltarsi e far avanzare la legione dell’Olimpo. La guidava Atena in persona, rivestita dalla sua Veste Divina e affiancata da due Cavalieri d’Oro. A seguire una cinquantina di Cavalieri Celesti, rilucenti nelle loro armature che, di certo, Efesto doveva aver equipaggiato per l’evento. –"Portate aiuto ai Cavalieri di Glastonbury, ma lasciate Apollo a me!"

"A noi!" –Aggiunse Avalon, affiancando il Re dell’Olimpo nella battaglia contro il figlio ribelle.

***

"Non mi hai ancora chiesto il motivo della mia visita!" –Commentò Asterios, incamminandosi, a braccetto con la donna, lungo la via principale della Conchiglia Madre.

"Un padre non può forse avere desiderio di vedere sua figlia?" –Ironizzò lei, strappando un sorriso anche all’Arconte Verde. –"Sono soltanto… duecento anni che non scendevi tra noi?"

"Duecentododici. Dalla morte di tua madre, e all’epoca eri soltanto una bambina. Vorrei aver avuto più tempo da passare insieme. Non fraintendermi, sono fiero di quello che hai portato avanti, qua nell’Avaiki, continuando la politica di pace e isolamento delle tue antenate."

"Una politica che risale ad Antalya, la nostra fondatrice!"

"La conosco bene e, a volte, mi pare di rivederla in te. Le somigli. Le siete somigliate tutte, in verità." –Mormorò Asterios, lasciando il braccio della figlia e allontanandosi di qualche passo, fino a portarsi al centro esatto della Conchiglia Madre. Sollevò lo sguardo e vide l’immensa cupola di madreperla lambita dalle acque dell’oceano e, più oltre, una luce lontana. Forse il sole del meriggio? O la luna che lo aspettava?

"Mi odi, e lo capisco. Anch’io ho odiato i miei genitori, chiunque essi siano stati. Mi hanno messo al mondo e mi hanno lasciato lì, con un elenco di doveri fissati in testa e la prospettiva terribile che, se non li avessi rispettati, il mondo sarebbe finito, e sarebbe stata colpa mia. Con te, Kira, e con le tue dieci antenate, io ho fatto altrettanto. Vi ho generato per sorreggere questa struttura, per dare energia all’Avaiki. In un certo senso, vi ho condannato a una lunga prigionia fuori dal mondo!"

"Prigionia?" –Gli sorrise Kira, avvicinandosi. –"Una parola piuttosto inusuale per definire la felicità, padre mio. Quello che vedete, il frutto del mio lavoro, è stato possibile solo grazie a voi, al cosmo che avete infuso in me. Come avrei potuto aiutare la mia gente e proteggerla dai pericoli dell’oceano, senza i miei poteri? Guardate là, quei piccoli Areoi che si allenano. Guardate come sono felici, qua, in pace, senza preoccupazioni! Diverranno esploratori, seguendo le orme di Tawhiri della Torpedine, oppure sacerdoti o coltivatori di alghe. E ciò che saranno sarà ciò che vorranno essere. Tutto questo grazie a voi."

"Le tue parole mi rallegrano ma non rendono più lieve il peso da sopportare. Né per me, né per te." –Le disse Asterios, carezzandole il volto. –"Sai perché sono qua, non è vero? Il tuo ciclo sta per chiudersi, Kira. È tempo… di pensare al futuro della tua comunità, e del mondo."

A quelle parole la Somma Sacerdotessa dell’Avaiki annuì, prendendo la mano del padre e avviandosi con lui verso il Palazzo di Corallo. Là, nel cuore del tempio, una nuova vita sarebbe stata concepita, una nuova guida per gli Areoi, e, sfiorando la pancia della figlia, Asterios ritenne che sarebbe stata l’ultima. Gli aumakuas glielo avevano detto e i calcoli di Avalon lo avevano confermato.

"Benvenuta al mondo, Hina!" –Le sussurrò, baciando la pelle della madre.

***

Quando la battaglia ebbe termine, la piana erbosa di fronte a Mount Badon era macchiata di sangue e costellata da cadaveri; di Cavalieri (a qualunque schiera appartenessero), animali e altre creature.

Anhar non era riapparso. Avalon non nutriva dubbi che fosse ancora vivo, e che avesse ancora una parte da giocare negli eventi futuri, proprio come tutti loro. Non c’era bisogno di interrogare il Pozzo Sacro, né di usare la Vista; quella certezza accomunava tutti gli Angeli, persino il più restio Asterios.

Scuotendo le mani inzaccherate, l’Arconte Verde recuperò la cetra, dimenticata, all’inizio dello scontro con Apollo, nelle retrovie e, ahi-lui, calpestata dagli zoccoli di cavalli in fuga o dall’impeto di qualche scontro. Era ancora intonsa ma alcune corde si erano strappate. Ironizzando, Asterios si disse che, non l’avessero eliminato, avrebbe potuto chiedere ad Apollo di riparargliela.

"Posso aiutarti, Signore dell’Avaiki?"

La voce leggera di Ermes prese l’Arconte alla sprovvista, che non era abituato a tutte quelle formalità. Per quanto chiunque riconoscesse la sua autorità, nelle Conchiglie lo chiamavano semplicemente Asterios. Qualcuno, i più giovani spesso, o anche i più anziani (quelli che non smettevano di stupirsi per la sua eterna giovinezza), lo chiamavano Ao, la luce, il padre di tutti gli antenati. Qualcun altro gli si rivolgeva come Roua, padre di tutte le stelle, qualcuno addirittura credeva che fosse Ukupanipo, il Signore dei Pesci. Asterios sorrideva e li lasciava credere in ciò che volevano, poiché credere significava avere fede e la fede avrebbe permesso loro di andare avanti.

"Servirebbe del budello di pecora!" –Commentò il Messaggero Olimpico, osservando lo strumento danneggiato. –"E in questa verde terra, le pecore non mancano."

Solo allora Asterios si rinvenne. Oltre che essere il galoppino di Zeus, Dio dei Mercanti, dei Viandanti, dei Commerci, dei Pesi e delle Misure, dell’Allevamento del Bestiame, dell’Ospitalità e di molte altre cose, Ermes era stato anche un grande appassionato di musica, nonché creatore della lira, ricavata da un guscio di tartaruga dentro cui aveva fissato sette corde fatte di budello di pecora. Lira che, in seguito, aveva regalato proprio ad Apollo.

"Ti ringrazio, Divino Ermes. Per il tuo consiglio ma anche per aver donato la musica agli uomini. E non soltanto a loro. Cosa saremmo, in fondo, senza musica? Saremmo il guscio di quella tartaruga, ma vuoti e inutili. Non credi?"

Ermes sorrise, accennando un breve inchino, prima di spalancare le ali della Veste Divina e librarsi alto, per un’ultima ricognizione sul campo di battaglia. Con la sua vista acuta, avrebbe di certo individuato subito eventuali superstiti.

Con la cetra sotto braccio, Asterios si incamminò lungo la piana devastata, tra buche nel terreno e ampi spazi divorati dalle fiamme e dall’esplosione dei loro cosmi. I Cavalieri Celesti stavano radunando i loro feriti, che, comunque, non erano stati molti; ai Bianchi Cavalieri di Glastonbury era andata peggio. Soprattutto al loro re.

Arthur giaceva moribondo sopra il suo scudo, avvolto nel vessillo dei Pendragon. Avalon, chino su di lui, gli stava sistemando i biondi capelli sudaticci e macchiati di terra e sangue rappreso, mentre uno dei pochi compagni sopravvissuti (Lancelot? Non ricordava il nome di quel moretto, ma gli pareva fosse imparentato con una delle sacerdotesse dell’Isola Sacra) cercava la sua corona, smarrita chissà dove nella mischia.

Zeus e Atena aspettavano in rispettoso silenzio a qualche passo di distanza.

"Lascia stare la corona! Non è quella a fare di un uomo un re. Tanto più nel caso di Arthur!" –Disse infine Avalon, alzandosi in piedi. Fece un cenno e alcuni servitori apparvero, sollevando il corpo dell’Unificatore e adagiandolo su una lettiga in legno di quercia, incamminandosi verso occidente. –"Lo porterò ad Avalon e lì riposerà, finché il mondo non avrà di nuovo bisogno di lui e dei suoi Cavalieri. Molti credono che la guerra sia una sciagura e che i guerrieri, o i Cavalieri come a volte li chiamiamo, siano espressione del male. Orbene in che altro modo dovremmo opporci alle forze scatenate da Anhar se non con altrettanta risoluzione?"

"Signore dell’Isola Sacra, ti chiedo perdono! Mia è la responsabilità per la caduta del Pendragon! Mia e del ritardo con cui ti ho prestato aiuto!" –Esclamò Zeus, e Atena, al suo fianco, annuì. Ma Avalon, avvicinandosi, mosse il braccio a spazzare, pregandoli di non darsi colpe che non gli appartenevano.

"Grande è stato l’aiuto che ci avete offerto quest’oggi, e né io né Albion lo dimenticheremo! È stata solo una battaglia, questo è vero, ma la prima di una lunga serie, io temo, e mi auguro che, in quelle che verranno, saremo di nuovo insieme per combatterle. L’ombra è scaltra, mio Signore Zeus, l’ombra è subdola, e cercherà, a qualunque costo, di oscurare la luce. Si insinuerà, non vista, tra le colonne di marmo bianco dell’Olimpo, inaridendo i bei prati in fiore e gli stagni dove gaie sguazzano le ninfe, e crescerà, fagocitando la primavera del mondo in attesa del Giorno dell’Ira."

"Avalon?" –Mormorò Zeus, certo di non aver compreso del tutto le sue parole. Ma il Signore dell’Isola Sacra sorrise, esponendogli la sua idea.

"Per concretizzare quest’alleanza tra Albion e la Grecia, ho una proposta per te. Una proposta che potrebbe riguardare alcuni tra i tuoi Cavalieri Celesti, una legione di eroi destinata a trascendere il tempo." –E gliela espose, di fronte allo sguardo interessato di Zeus, che, alla fine, assentì. Diede le spalle ad Avalon e ad Atena e si avviò verso la sua schiera. –"Ho un dono anche per te, Atena Promachos!" –Le si rivolse infine il Signore dell’Isola Sacra. –"Non ho potuto fare a meno di notare il valore dei tuoi Cavalieri d’Oro: Lorac del Sagittario e Ewen del Capricorno. Il secondo, immagino, sia nato su quest’isola."

"Viene da un paesino della Cornovaglia, mio Signore. È uno dei miei più giovani, ma non per questo meno valenti, condottieri."

"Non ne dubito. Ho notato come vi ha difeso, strenuamente, per tutta la durata dello scontro con la Cailleach, rimediando un’ustione sul volto. Allo stesso modo in cui Arthur ha difeso il suo popolo. Come un re." –Aggiunse, tirando fuori, da sotto le vesti, una lunga lama argentata. –"Excalibur. La spada di Avalon. Possa essere per il giovane Ewen la spada della giustizia!"

"Mio Signore, io… questo è troppo. Non meritiamo…"

"Tutt’altro, Atena. Meritate questo onore. I vostri Cavalieri lo meritano. E verrà un giorno, io credo, in cui le sorti del mondo saranno proprio nelle mani di giovani come Ewen e Lorac, determinatori della nostra speranza."

"Hai un regalo per tutti, fratello!" –Commentò Asterios, dopo che Zeus, Atena e i loro seguaci se ne furono andati, lasciandoli soli, sulle rovine di Mount Badon. –"Niente per me?"

"Per te ho qualcosa di più di un dono materiale." –Gli disse, sfiorandogli la fronte e irrorandola col suo cosmo. –"Una nuova vita."

Asterios, sulle prime, non capì, ma poi un flusso di immagini gli invase la mente, ricordi recenti di Avalon e dei suoi studi. Nessuno sapeva che fine avesse fatto Kloten, il Custode dello Scudo di Luna. Era andato in Grecia, divenendo Primo Sacerdote della Dea Atena e servendola per secoli, ma quando gli acciacchi si erano fatti prepotenti e gli era sembrato che la vita gli sfuggisse di mano era asceso alla Collina delle Stelle, poco fuori dal Santuario, e là era sparito. Da allora, voci e leggende si erano inseguite, a volte anche bislacche, e Avalon le aveva spulciate tutte, trovando infine la verità.

Asterios sollevò lo sguardo e fissò il cielo della sera. La luna, quasi del tutto piena, lo fissava di rimando, con quel suo pallore chiaro, quasi malaticcio, che all’Arconte aveva spesso fatto venir voglia di chiederle cos’avesse, da stare sempre così male. Ora, infine, avrebbe potuto chiederglielo.

"Sii vigile. Nessuno deve saperlo." –Gli sussurrò Avalon.

"Nemmeno Selene?"

"Soprattutto lei." –Chiosò, allontanandosi, dietro alla lettiga su cui riposava il corpo spezzato di Arthur Pendragon, discendente di re. Guardandolo scomparire nella foschia che già iniziava a ricoprire Mount Badon, nascondendo gli orrori di quel giorno, Asterios non poté fare a meno di concordare con Anhar.

Suo fratello era davvero il Gran Tessitore.

***

"Non smetti mai di strimpellare?"

Quella voce lo infastidiva sempre. Forse perché era così squillante, vitale, intensa, rispetto ad altre ben più caute, lente, persino attempate. E magari gli ricordava anche com’era stato lui, da giovane. Se mai gli Angeli fossero stati giovani.

Ma adesso un Angelo non era più. Non per i Seleniti, quantomeno. Per loro, come per il resto del mondo, lui era il Principino della Luna.

"Sin del Cerchio di Marte…" –Lo apostrofò Asterios, seduto tra le colonne fuori dal Palazzo della Luna Splendente, dove amava rilassarsi suonando la sua musica.

"Preferisco Sin degli Accadi. Ci tengo alle mie origini."

"È giusto ricordarle. Com’è giusto ricordare chi sei adesso. Un Selenite, un guardiano di pace."


"Sai, io non me la bevo." –Disse il giovane dai capelli blu. –"La storia della musica. Non l’ho mai apprezzata. Anche ad Accad c’erano musicisti e musicanti, ma li cacciavo sempre. Stupido passatempo per femmine. Noi maschi, a ben più stimolanti attività amiamo dedicarci. E non fingere di non apprezzarle."

Asterios non rispose, limitandosi ad alzarsi e ad appoggiare la cetra a terra, avvicinandosi a Sin.

"Un cosmo come il tuo, forse gli altri Seleniti sono troppo intontiti per percepirlo, ma io lo sento. È più potente di tutti i nostri messi assieme. Beh, forse di tutti gli altri otto messi assieme!" –Ironizzò il Selenite di Marte. –"Dovresti coltivarlo, tenerlo vivo, come la mia fiamma. Vieni con me, al Quarto Cerchio! Ci alleneremo!"

"Selene non vuole scontri nel Reame Beato, lo sai bene. Non ho intenzione di violare una sua direttiva, inimicandomela."

"Cosa temi? Che non ti faccia sposare una delle sue figlie? Oh, ne troverai un’altra! Ho visto come ti guardano! Non ti tolgono gli occhi di dosso, il che è comprensibile, dato che qua, fino ad oggi, sono stato l’unico fanciullo prestante su cui potessero volgere lo sguardo."

"Non è questo che temo…" –Ma Sin lo interruppe, quasi sussurrandogli in un orecchio.

"Io so quello che temi, e lo temo anch’io. Ma quando la notte calerà, dovremo essere pronti. Tu dovrai essere pronto, Asterios! Perciò non dirmi che sei un inutile damerino che suona la cetra e canta canzoni d’amore. Quella maschera tienila per la corte! Ma quando vieni al Cerchio di Marte, porta l’armatura! Non vorrei che ti bruciassi questo bel faccino!" –Aggiunse, afferrandogli una guancia e stringendola.

"E Selene?"

"È un’ingenua." –Ribatté Sin. –"Un giorno lo capirà. Presto o tardi, dipende da lei. Ma io non ho intenzione di morire quassù e, sono certo, neppure tu!"

Estratto dalle Cronache di Avalon.

Tempo: alcuni secoli prima del secondo avvento.

Spazio: Reame della Luna Splendente.

Fine.