CAPITOLO SECONDO: UNA VITA INSIEME.
Il Salone del Fuoco era deserto, ed era strano vederlo così. Sentirlo vuoto e silente, dopo il chiacchiericcio che vi aveva regnato nelle ultime ore. Il chiacchiericcio che aveva accompagnato la sua vita fin da quando era bambina. Ricordava ancora, la Regina di Asgard, le feste a palazzo che ogni tanto suo padre, l’allora Celebrante di Odino, organizzava, accogliendo ospiti dai castelli vicini, quando le intemperie e la tenuta delle strade lo permettevano. E ricordava poi le udienze che sua sorella era solita concedere al popolo, ascoltando con attenzione le richieste dei postulanti in fila. C’era sempre stata vita in quella sala, nel cuore della fortezza di Asgard, sebbene l’ombra l’avesse invasa, in tempi recenti, portandovi la morte.
Prima sotto forma di un anello che aveva circuito la volontà di una nobile e fiera regina, e poi segnando l’avvio dell’apocalisse. E adesso, guardando il fuoco che crepitava nel braciere al centro del salone, Flare non poteva fare a meno di rivedervi Enji, che urlava e si dimenava, mentre le fiamme maceravano il suo corpo ferito. E Bard, poco distante, che si ergeva a sua difesa, incurante di qualsiasi pericolo. Per loro, per proteggerla, per farla arrivare fin lì, tutti erano morti. Ilda, i Cavalieri di Asgard, i suoi amici e servitori, e adesso anche l’uomo che amava se ne sarebbe andato, a combattere una guerra persa in partenza in una terra lontana da cui mai avrebbe fatto ritorno.
Questo, quantomeno, era quel che la gente diceva, sussurrandolo tra le strade di una città che ormai era divenuta una base militare. Ed era quel che una parte del suo cuore paventava. Che avrebbe dovuto dire un altro addio.
"Tornerò!" –Le disse Cristal, carezzandole i mossi capelli biondi e cullandola in un tenero abbraccio. –"So quello che provi, e che temi, e vorrei poter fugare i tuoi timori. Vorrei poterti dire di aver fede, di pregare Odino e gli Dei a cui sei devota, vorrei poterti garantire che domani, quando ti sveglierai, non vedrai più quest’oscura caligine ma il cielo azzurro, limpido come ghiaccio, che segnerà l’inizio di una nuova era. Vorrei poterti dire tutto questo e molto di più, eppure…"
"Lo so…" –Sospirò Flare, seduta in braccio a Cristal, sul trono che era stato di sua sorella e di suo padre prima di lei.
"Vorrei dirti molte cose, ma preferisco che tu sappia questo! Io tornerò! E allora, tutto il resto, tutti i brutti pensieri, saranno acqua passata, che scivolerà fuori dalle mura del nostro cuore!"
"Ho la tua parola, Cavaliere?"
"Hai ben più della mia parola! Hai il mio cuore!" –Le sorrise il ragazzo, prendendole la testa tra le mani e baciandola sulle labbra. Flare lo lasciò fare, bisognosa di un contatto umano, bisognosa di sentirlo lì, accanto a lei, a ricordarle di non avere paura.
Le parole di Alexer erano vere. Dovevano dirsi tutto, e farlo in fretta, prima che il corno di Mani chiamasse gli eserciti del nord a raccolta e le togliesse ogni possibilità. Eppure, turbarlo adesso, le sembrava così ingiusto, così lontano da quanto aveva sognato un tempo, fantasticando su quell’occasione.
"Vorrei che tu andassi via da qui, che tu fuggissi dove l’ombra non possa trovarti!" –Le disse infine Cristal, ricordandole che Atena aveva dato mandato a un suo collaboratore di mettere al sicuro le persone importanti per i suoi Cavalieri. –"Se falliremo, la ritorsione dei Progenitori non tarderà ad arrivare e Asgard è troppo esposta! Sarà uno dei primi luoghi che colpiranno, per spezzarne l’antico potere, come l’attacco di Erebo ha già dimostrato!"
"Non temere per me, né per la nostra città! Pensa a vincere e a tornare da me! Io e queste solide mura saremo ancora qui, ad aspettarti!"
"Sarei più tranquillo se ti sapessi al sicuro…" –Ma Flare bloccò ogni obiezione.
"Se voi fallirete, non vi sarà posto in cui l’umanità sarà al sicuro!"
Detto questo si alzò, camminando a piedi nudi fino ad avvicinarsi alle grandi finestre rivolte a sud, i cui vetri aveva distrutto durante lo scontro con Reidar. Tirò un’occhiata fuori, alla cittadella su cui imperava, cercando le mura dove amavano passeggiare assieme, prima di indicare un punto, al centro del camminamento di ronda, da cui era possibile ammirare l’intera vallata digradare verso il basso.
"Là. Ti aspetterò là, all’ingresso della città su cui governeremo insieme! Il popolo ha bisogno di me, qui, di una regina che gli dia conforto, di una celebrante che sappia ascoltarne le paure, di una donna che, come tante, si strugga in attesa del ritorno del suo amato! Perciò, sbrigati a tornare, Cavaliere! Noi saremo qua ad accoglierti!" –Chiarì Flare, sfiorandosi la pancia con una mano e sorridendogli, con tutta la forza che poté trovare, per reprimere le lacrime e l’angoscia che avrebbero voluto traboccar fuori.
***
Sirio sedeva nell’erba, in ginocchio di fronte a una lapide di marmo grezzo, su cui la mano di Mur aveva scolpito poche parole. Dohko, Cavaliere di Libra. Nient’altro. Del resto, nessuno sapeva quando fosse nato, o dove; quantomeno, nessuno che fosse ancora vivo.
Mettendosi in piedi, il Cavaliere del Dragone sfiorò la rozza pietra messa appena due giorni prima, dopo un veloce rito di saluto a uno dei più fedeli sostenitori di Atena, caduto nel cuore del Santuario per mano di un demonio senza pari. Un demonio che aveva allevato una serpe in seno, come lo scontro con Tiamat aveva dimostrato.
Era stato un tipo semplice, Dohko, essenziale nel suo modo di vivere e di essere, eppure Sirio avrebbe voluto donargli qualcosa di più. Com’è strana la vita! Si disse. Anni addietro, quando ero ancora un ragazzo e mi allenavo sotto il suo sguardo attento, sognavo un futuro in cui sarei divenuto Cavaliere, avrei sposato Fiore di Luna e combattuto mille battaglie, uscendone sempre vincitore. Tornato a casa, avrei baciato la donna che amavo e reso grazie al mio mentore, al cui fianco sarei rimasto finché l’estrema vecchiaia non se lo fosse portato via. Questo, quantomeno, l’avevo pensato fino a poco tempo fa. Prima di Ade, prima del ritorno delle costellazioni demoniache e di scoprire la verità sul maestro. Adesso, mi contenterei di tornare a casa e trovarlo lì ad aspettarmi.
Una mano amica si poggiò sulla sua spalla, facendolo voltare e sorridere a Pegasus, che l’aveva raggiunto nel cimitero del Grande Tempio, l’unico luogo in cui, in quel concitato momento, aveva potuto trovare un po’ di pace. Ioria e Tisifone stavano radunando tutti i soldati e i Cavalieri di Atena, sbraitando ordini in lungo e in largo, e presto sarebbero partiti, per un’altra guerra, che tutti, soprattutto coloro che l’avevano scatenata, non esitavano a definire l’ultima. Li capiva, Sirio; ne comprendeva la solidità del pensiero, basata su certezze che, agli occhi dei Progenitori, erano granitiche. Come potevano non esserlo, in fondo? Erano i creatori dell’universo, chi mai avrebbe potuto opporsi loro?
Sospirando, e seguendo Pegasus in silenzio, tra tombe divorate dall’erica e lapidi dimenticate, ricordò il breve scontro con Polemos, e il fallimento di ogni sua tecnica, persino di quella giudicata risolutiva. E se con il Demone della Guerra, che in fondo era soltanto un demone, personificazione di un istinto, non era riuscito a mettere a segno un colpo, cosa avrebbe potuto fare contro Erebo o Nyx? Se neppure le forze unite di Pegasus, Andromeda, Cristal, Eir, Atena, Zeus e Alexer erano riuscite a impensierire un Progenitore, cosa stavano facendo realmente?
"Stiamo andando a morire!"
Pegasus gli tolse ogni dubbio, schietto come sempre. E gli strappò un sorriso, perché la franchezza, assieme all’onestà e alla determinazione, era quel che aveva sempre apprezzato in lui, in quel ragazzo con cui si era scontrato per caso, su un ring di Nuova Luxor, e che era divenuto in breve tempo il suo migliore amico.
"Lo abbiamo sempre fatto, in fondo, non siamo dei novellini in questo, no?" –Continuò il ragazzo. –"Correggimi se sbaglio, Sirio, tu certo hai una memoria migliore della mia, ma da bambini fummo mandati in giro per il mondo, nei posti più disparati, soli e costretti a faticare come dannati (e quando dico dannati intendo proprio quelli che i nostri amici Minosse e Lune si divertivano a precipitare nei loro maledetti gironi!), sottoposti a un massacrante addestramento sotto l’occhio attento di perfetti sconosciuti sempre pronti a castigarci alla minima defezione! Certo, qualcuno di noi è stato fortunato, tu per esempio, ma a qualcuno è andata peggio! Phoenix, per citarne uno, ma anche gli altri orfani che non sono tornati! Poi, rientrati a Nuova Luxor e speranzosi di ricominciare una vita normale, siamo stati buttati su un ring, a rischiare la vita per un cofanetto d’oro, che, ti dirò la verità, all’inizio avevo persino creduto fosse placcato! Insomma, chi mai poteva creare una corazza d’oro? Pensavo che sarebbe stata scomoda da indossare, no?"
"Pegasus…"
"Fammi finire. Poi ci sono stati gli scontri con i nostri doppioni neri, i Cavalieri d’Argento e, dulcis in fundo, la scalata delle Dodici Case contro avversari infinitamente superiori! Tralascio tutto il resto che è storia recente, anche per la mia difettosa memoria! Quello che voglio dire, Sirio, è… abbiamo sempre rischiato la vita, ci siamo sempre messi in gioco! E non venirmi a dire che era diverso, che prima una speranza ce l’avevamo, che una possibilità di vittoria c’era, perché non è così! Non c’è mai stata! Dal momento in cui ci hanno portato via dall’orfanotrofio e gettato in questo mondo di guerra, saremmo potuti morire in qualsiasi istante, sconfitti da qualcosa che era più grande di noi! Eppure abbiamo sempre trovato la forza di superare ogni ostacolo, anche il più insormontabile, e uscirne vincitori! Malconci, mal ridotti, ma vincitori!"
"Hai ragione, Pegasus. Eppure, stavolta…"
"Stavolta…" –Concordò l’amico, rimanendo in silenzio per lunghi istanti, senza che nessuno potesse aggiungere altro. C’erano scogli che neppure l’ironia di Pegasus e la sua determinazione potevano scalfire. Inoltre, se Sirio avesse saputo, se avesse visto quel che l’amico aveva visto…
Pegasus scosse la testa. A quella visione non doveva pensare. Odino era morto e le profezie di Frigg con lui. Era meglio pensare ad altro, dedicare quegli ultimi minuti, prima della partenza, a pensieri felici. Le tragedie, le lacrime e le morti, in fondo, non sarebbero mancate, a breve.
"Hai parlato con Fiore di Luna?"
"Purtroppo no. Atena mi ha detto che i Cavalieri d’Acciaio l’avevano già recuperata. Adesso sarà in volo verso l’Isola del Riposo!"
"Già, anche Patricia!" –Annuì Pegasus. –"Patricia… Un nome che mi ha perseguitato per anni, per tutta la durata dell’addestramento e anche dopo, finché, guarito dalla ferita della Spada di Ade, non riaprii gli occhi, trovandola lì, al mio capezzale, assieme ad Atena e a voi, amici miei. Eppure, da quando ci siamo ritrovati, da quando è tornata nella mia vita, ci siamo visti così poco, siamo stati così poco insieme! Giusto quei mesi in cui la Pozione della Dimenticanza ci aveva privato delle nostre memorie di Cavalieri!"
"Vale lo stesso per me e Fiore di Luna. Tanto amore, tanto desiderio di stare assieme, ma così poco tempo per farlo!"
"Rimpiangi qualcosa?"
"No! Non l’ho mai fatto, fin dalla prima volta in cui l’ho lasciata per venire a Nuova Luxor e partecipare al torneo! E tu?"
"Nemmeno io! I rimpianti non si addicono a coloro che vivono la vita al massimo!"
"Loro sanno che le amiamo, Pegasus. Sanno quello che stiamo facendo, e che lo facciamo anche per loro! Per garantire un futuro all’umanità!" –Chiosò Sirio, fermandosi infine.
"Così è." –Commentò Pegasus, prima che un delicato frusciare di vesti distraesse entrambi, spingendoli a voltare lo sguardo verso l’ingresso al cimitero, dove Atena era appena apparsa.
Rivestita di un abito bianco, la vergine dallo sguardo scintillante sorrise ai suoi Cavalieri, esitando su Pegasus un attimo di più. Sirio comprese e accennò un inchino.
"Con permesso!" –E si allontanò, lasciando la Dea e il suo Primo Cavaliere da soli, forse per l’ultima occasione.
Per qualche minuto nessuno dei due parlò. Da quando erano tornati dal Reame della Luna Splendente, non erano mai stati da soli, costretti a fronteggiare le minacce dei Progenitori. Pegasus non aveva avuto modo di dirle altro, dopo quel bacio. Ma in fondo cosa doveva dirle che Isabel già non sapesse? No, non Isabel. Atena. Si disse, chiudendo una mano a pugno e voltandosi infine verso la Dea che aveva giurato di difendere, la Dea che aveva mosso i fili di tutta la sua vita, anche quando ancora non ne era consapevole.
"Milady… io… se vi ho mancato di rispetto, vi chiedo di perdonarmi…"
"Pegasus…" –Ma il ragazzo non la fece finire, avvicinandosi e prendendole le mani con le proprie, fissandola negli occhi, deciso a togliersi ogni pensiero.
"Forse non avrei dovuto, forse è sbagliato questo amore. Un Cavaliere dovrebbe proteggere la propria Dea, non innamorarsi di lei, soprattutto una Dea come voi, che ha sempre regalato un sorriso a tutti i suoi fedeli."
"Apprezzo le tue parole, Pegasus, generose e oneste. E sì, probabilmente hai ragione. Questo amore è sbagliato." –Sospirò Atena, scansando lo sguardo del ragazzo. –"Ho cercato di combatterlo per secoli, di togliermi dalla mente, e dal cuore, l’immagine e il ricordo di Bellerofonte, per quanto continuassi a rivederlo, e a riprovare le stesse emozioni, ad ogni mia incarnazione, in ogni Cavaliere di Pegasus che si ergeva a mia difesa. E allora ho capito, grazie a te l’ho capito. Che non posso combattere per sempre, non posso farlo, non contro me stessa! E se davvero l’ombra della fine di tutto si sta allungando su di noi, che venga e mi trovi così, vinta dall’amore ma felice! Perché così mi fai sentire, Pegasus!" –Concluse, accennando un sorriso.
Il Cavaliere non disse altro, limitandosi a sollevarle il mento e a poggiare le labbra sulla sua bocca, lasciando tutto il resto fuori. Per un momento, per un istante solo, Atena e Pegasus non furono più là, all’ingresso di un cimitero di martiri per la giustizia, ma altrove, in un’altra vita. Per un momento non furono più la Dea della Guerra e il suo Primo Cavaliere, ma due ragazzi come tanti, cresciuti in una città del Giappone, con tutti i problemi degli adolescenti. Si videro così, per un istante appena, con le uniformi di un liceo e i libri sottobraccio, lui con l’aria scanzonata dello studente che meditava di saltare le lezioni per andare in spiaggia, a suonare la chitarra, lei con lo sguardo accusatore e malizioso, tentata dal ribelle senza causa che ogni notte strimpellava fuori dal suo palazzo.
Un’altra vita. Mormorò Pegasus, staccando le labbra e chiedendosi se mai l’avrebbero vissuta. Forse non noi. Forse il prossimo Cavaliere di Pegasus e la futura incarnazione di Atena. Sorrise, pensando che sarebbe andata così, proprio così. Perché pensarlo significa che Caos sarà stato sconfitto e noi avremo vinto, salvando l’umanità!
"E allora saremo insieme! Per sempre!"
Atena annuì, prima di prendere il Primo Cavaliere per mano e incamminarsi con lui verso le Dodici Case. Prima di raggiungere l’esercito nell’arena, doveva occuparsi di un’ultima cosa.
***
Phoenix stringeva forte i pugni, così forte che le unghie gli si conficcarono nel palmo, facendolo sanguinare. Ma la vista di quello spettacolo, della devastazione a cui Atlante si era abbandonato, gli aveva fatto perdere il controllo. Aveva già saputo qualcosa, dalle acerbe parole che Pegasus gli aveva rivolto poco prima, ma vedere con i propri occhi quel che rimaneva del Grande Tempio tolse valore a ogni parola.
Era strano, si disse il ragazzo, avere così tanto a cuore un mucchio di case di marmo e pietra dove aveva trascorso solo poche ore, quasi sempre combattendo. Eppure, per lui che era un orfano, ma soprattutto un viaggiatore solitario, quel luogo era una specie di casa, un surrogato della famiglia che lui e suo fratello avevano perduto. Era un posto in cui sapeva di poter tornare e in cui sarebbe sempre stato accettato.
Andromeda, alle sue spalle, guardava da tutt’altra parte, avendo già visto, nelle immagini esplose nella sua mente poco prima di lasciare Asgard, quel che avrebbero trovato. Un anticipo della rovina cui l’intero pianeta era destinato.
Erano in piedi sul muro meridionale, su quel che rimaneva dell’antico confine abbattuto dalla progenie di Giapeto. Tra la polvere e i calcinacci, ancora impregnati del sangue di chi vi aveva trovato la morte, Phoenix fissava la Collina della Divinità, dal profilo ben diverso rispetto alla prima volta in cui l’aveva ammirata. Molte case erano state danneggiate o distrutte negli scontri del giorno prima, persino le stanze di Atena erano state annientate, e un’ampia fenditura spaccava la parte alta del colle, come una pugnalata al cuore della Dea.
Ma c’era un edificio che resisteva ancora, che ancora si ergeva a manifestare la superiorità della sua funzione rispetto a tutti gli altri. E Phoenix credette di sapere perché. Incurante delle guerre e dei pericoli del mondo, la Meridiana dello Zodiaco sembrava ridere di tutti, ricordando agli uomini, con il divampare delle sue fiamme, il tempo che mancava alla fine di tutte le cose.
Basteranno dodici fiaccole per salvare il mondo? Sospirando, e rilassando i pugni, il Cavaliere della Fenice si mise infine a sedere assieme ad Andromeda, tirandolo a sé e incitandolo ad essere forte.
"Siamo ancora insieme! E insieme affronteremo anche quest’ultima minaccia!"
Il ragazzo dai capelli verdi annuì, ancora triste per i gesti di cui si era macchiato, sia pur involontariamente, nel Ponto. Aveva tentato, prima di lasciare Themyskira, di riappacificarsi con Pentesilea, ma lo sguardo torvo dell’Amazzone lo aveva fatto desistere. Persino i monaci indiani si erano tenuti a distanza, stringendosi nelle loro tuniche fangose, intimoriti dal suo potere e dalla possibilità di subirne gli effetti.
"Grazie!" –Mormorò infine, abbracciato al fratello. –"Per non avermi abbandonato! Mai, in tutti questi anni! Anche quando ero un peso, anche quando piangevo e tutti mi deridevano!"
"Non avrei mai potuto farlo, Andromeda. Qualunque cosa accada, io ci sarò sempre per te, come te ci sei stato per salvarmi dall’ombra e dall’odio della Regina Nera! Siamo fratelli e saremo sempre insieme!"
***
Era la prima volta che Atena entrava nella Sala del Sigillo, per lo meno durante quell’incarnazione. Per molto tempo, fin da quando aveva preso consapevolezza della sua identità, non aveva avuto completo accesso ai ricordi delle sue vite passate, delle battaglie sostenute fin da quando era nata da Zeus. Era stato solo l’incontro con Avalon a risvegliare in lei la sua antica coscienza, che dai tempi di Bellerofonte si era trasferita in ogni nuovo corpo che l’aveva ospitata.
Anche a loro, alle fanciulle di cui si era servita per tornare in vita ogni volta in cui le tenebre si allungavano sul pianeta degli uomini, avrebbe dovuto chiedere scusa. Per averle strappate al futuro e a una serenità familiare di cui non avevano goduto.
Ma lo farò in un modo solo! Si disse, fissando le massicce porte istoriate da un glifo a forma di ramo di ulivo. Nell’unico modo che conosco! Combattendo! Aggiunse, voltandosi verso il Cavaliere d’Oro che la accompagnava, per fargli cenno di procedere.
Virgo si fece avanti, spalancando il portone e permettendo infine alla Dea di varcare la soglia di una stanza dove, fino a una decina di anni addietro, era stata custodita la suprema arma del Signore dei Titani. Là, al termine della prima Titanomachia, dopo che l’ultimo suo figlio l’aveva sconfitto, era stata riposta la Megas Drepanon, sigillata con fulmini che, nelle intenzioni del giovane Zeus, sarebbero dovuti durare un’eternità. Una delle tante illusioni di cui ci siamo riempiti il cuore troppo a lungo! Commentò Atena, osservando il misero arredo di quella sala.
Dopo che Crono aveva recuperato la sua divina arma, la stanza era caduta in disuso. Gemini non se ne era più curato, troppo impegnato a raccogliere energie e soldati per scatenare la sua crociata di conquista del pianeta. Così facendo, aveva permesso al giovane archivista di nascondervi il tesoro segreto del Santuario, in una nicchia scavata nel muro, di cui solo lui era a conoscenza. Un segreto che aveva conservato fino a pochi giorni prima, quando ne aveva parlato con Atena, offrendole una possibilità per vincere quella guerra.
"È incredibile!" –Commentò Castalia, affiancando Virgo e la Dea. –"Le mura della sala sono intonse! Non sono neppure state scalfite dalla devastazione condotta da Etere e da Atlante, nonostante si trovino sotto la statua di Atena!"
"I primi Sacerdoti scelsero bene l’ubicazione di questo luogo! Nel cuore della montagna sacra!" –Annuì il Custode della Sesta Casa.
"E proprio da qua partirà la nostra rivincita!" –Completò Atena, giungendo infine davanti a quel che cercava, a quel che Nicole le aveva detto di recuperare.
Una grande anfora a due becchi che, entrambi i Cavalieri lo percepirono chiaramente, pulsava di vivida energia.
"Meraviglioso!" –Mormorò la Sacerdotessa dell’Aquila.
Annuendo mesta, Atena si avvicinò, sfiorò la ruvida superficie del vaso e ringraziò il Cavaliere dell’Altare per quell’ulteriore dono che le aveva fatto. Ricordò le sue parole, la modestia con cui si era inginocchiato di fronte al trono, neppure un mese addietro, per confessarle quello che, all’epoca, gli era parso un crimine ma che adesso avrebbe potuto rappresentare la loro possibilità di vittoria.
"Perdonatemi, Vergine Dea!" –Aveva esordito, senza osare guardarla in volto. –"Per aver nascosto il vostro tesoro! L’ichor che versaste ai tempi del mito e che i Grandi Sacerdoti hanno conservato in un’anfora!" –Così le aveva raccontato quel che era accaduto quasi vent’anni addietro, quando era solo un ragazzino.
Il suo maestro era partito per l’Africa ed egli era rimasto solo, a servire un anziano ministro prossimo alla tomba. Ma se Arles non aveva avuto modo di insegnargli granché, lo aveva comunque incaricato di un nobile ma gravoso compito. Quello di custodire il sangue della Dea, in attesa di tempi migliori. Tempi in cui quell’ombra che il Cavaliere dell’Altare percepiva addensarsi sul Santuario sarebbe svanita.
Dopo che un apprendista aveva tentato di rubare l’anfora sacra, il Sacerdote aveva incaricato Arles di trovarle una più sicura collocazione ed egli si era affidato a Nicole, ma nessuno dei due era vissuto abbastanza per conoscerla. Così il giovane archivista era diventato depositario di quel segreto, che aveva nascosto nella Biblioteca del Santuario e poi nella Sala del Sigillo, dove era rimasto fino ad oggi.
"L’ichor di Atena!" –Mormorò Virgo. –"Il sangue miracoloso in cui si concentra l’essenza di una Divinità, in grado di curare qualsiasi ferita o malattia!"
"Proprio così, miei Cavalieri! E sarà con questo ichor, che versai all’epoca della mia prima incarnazione sulla Terra, che lenirò i vostri affanni! Con questo sangue puro, vi darò la possibilità di combattere ancora! Un’ultima volta!"
"Mia Signora, volete forse… dare fondo a tutto il vostro ichor, che per secoli è rimasto immacolato alle intemperie e alle guerre del mondo?!"
"Per cos’altro dovrei tenerlo, Cavaliere di Virgo, se non per quest’oggi, in cui i destini del mondo che conosciamo e amiamo saranno decisi?" –Gli sorrise la Dea. –"Se perderemo, tutto sarà inutile e non ci sarà un’altra occasione!"
L’ultima guerra era iniziata e avrebbero dovuto usare qualsiasi risorsa per combatterla.
***
Anhar si era calmato. Passata l’euforia iniziale per la morte di Avalon, la sua mente aveva iniziato a elaborare strategie possibili, frammenti di un futuro che adesso sentiva decisamente a portata di mano. Non che vi fossero dubbi al riguardo, del resto con Avalon erano morte anche le speranze dei Cavalieri e delle Divinità loro amiche.
Cosa mai potranno fare? Si chiese, sogghignando sotto quell’oscuro scafandro che fungeva da elmo. Rinchiudersi dietro le mura dei loro regni. Karnak, la cittadella di Asgard, forse l’Olimpo. E poi? Quanto ancora credono di poter resistere? Le loro forze sono ridotte al lumicino, mentre il potere di Caos cresce sempre più. Nutritosi delle Divinità minori di questo continente antico, il Creatore dell’Universo sta tornando a essere l’entità suprema in grado di generare la vita e la morte con un semplice soffio. Sta ricordando quella sensazione, e quest’armatura che indosso ne è la dimostrazione. Come lo saranno le altre che seguiranno. Ghignò, spaziando con lo sguardo in quel tetro androne ove si era rintanato, di sua sponte, per compiacere il generatore di mondi.
Sembrava una fucina, sebbene non ordinata come quelle di Efesto o dei nani di Svartálfaheimr. Per Anhar era soltanto lo studio ove mettere in pratica arcane e maledette conoscenze, che aveva tentato di apprendere e migliorare durante gli anni di apprendistato ad Avalon, ma che il Primo Saggio gli aveva precluso.
"Quel vecchio stolto! Brindo alle sue ossa!" –Ridacchiò l’Angelo Oscuro, sollevando un calice vuoto. Un calice da cui comunque non avrebbe potuto bere, non possedendo più corpo alcuno.
Soffermandosi su quel macabro particolare, scosse la testa, prima di gettar via la coppa, nella fornace ardente dove un’oscura lega stava fermentando, pronta ormai per essere battuta e temprata. La stessa lega di cui era composta la sua corazza.
Sei morto, Tegel! Tu che mi rifiutasti alla guida dell’Isola Sacra, preferendomi quel bieco burattinaio, sei morto! E anche il tuo pupillo ti ha seguito nella sventura! E presto stessa sorte incontreranno i suoi tre fratelli! Ahu ahu ahu! Mentre io ancora vivo! Io ancora esisto!
La cupa risata echeggiò ancora per qualche istante nel silenzioso sotterraneo, senza che nessuno si complimentasse con lui. Era solo, come in fondo era sempre stato, sebbene donne mortali e inconsueti alleati avessero a volte mitigato la sua solitudine. C’era stata quella tipa, come si chiamava? Quella che gli aveva tenuto compagnia sull’Isola delle Ombre. Cassiopea? Cassandra? Sì, doveva chiamarsi così. Una parte di sé ancora la ricordava, sogghignando compiaciuto al piacere provato giacendo assieme. Un piacere momentaneo, di certo non paragonabile all’apoteosi che avrebbe provato a breve. Che importava se l’Ape Nera non fosse lì per celebrare con lui?
Anche il suo allievo pareva averlo abbandonato. Dopo il fallimento della missione nell’Avaiki, non lo aveva ancora incontrato, sapendo soltanto che riposava in uno dei piani superiori, curando le ferite che Ascanio gli aveva inflitto. Le ultime, poiché anche l’erede dei Pendragon presto sarebbe morto. E il Talismano che con orgoglio aveva custodito, celandolo al suo occhio avido, sarebbe morto con lui.
A cosa servivano quei manufatti, in fondo? Certo, erano armi potenti, intrise del cosmo dei Sette Saggi, ma niente che i Progenitori non avrebbero potuto affrontare. Di fatto, senza Avalon e la possibilità di unirli, erano inutili. Su questo, sia lui che il fratello avevano fallito. Lui, perché aveva sprecato anni a cercarne traccia nei regni divini, senza capire cosa fossero davvero (aveva persino assaltato la Biblioteca di Alessandria, convinto di trovarvi una mappa sui loro nascondigli!), e Avalon, perché era morto prima di passare ad altri le istruzioni sul rito finale, quello che avrebbe evocato la Coppa di Luce. La troppa segretezza ti ha sconfitto, fratello!
Ricordava ancora, Anhar, la sorpresa che l’aveva invaso quando, scrutando a fondo nell’animo di Tegel, aveva scoperto cosa fossero i Talismani. Dei cristalli di energia, residui del cosmo dei primi saggi, che un giorno, in occasione del secondo avvento, si sarebbero posati sul cuore di sette nuovi giovani, guidandoli verso l’ultima guerra.
Appurato questo, c’era ancora una cosa che lo turbava. Anzi, soltanto quella, dato che ormai niente più poteva essere un problema. Né Andrei, che per quanto impavido e potente sarebbe stato spento da un soffio dell’Unico. Né Alexer, i cui fulmini mai avrebbero potuto rischiarare l’oscurità del nuovo mondo. Né tantomeno Asterios, dei Quattro colui che meno amava combattere, avendo preferito rifugiarsi in un mondo lontano, a contemplare il disfacimento di quello che avrebbe dovuto difendere.
Eppure…, si disse Anhar, stringendo i pugni. Cos’era quel ricordo? Cos’era quel muro oltre il quale non sono stato in grado di andare?
Infervorato al ricordo di quell’ostacolo, il Gran Maestro del Caos bruciò il proprio cosmo, generando un’onda di energia che squassò l’intero stanzone, distruggendo tavoli e sedie di pietra. Detestava ammetterlo, e a Nyx ed Erebo non aveva fatto parola, eppure non era riuscito a penetrare a fondo i segreti di Tegel. Era comprensibile che l’ultimo sopravvissuto alla Prima Guerra avesse sviluppato solide difese mentali, per proteggere segreti che avevano dato un senso alla sua esistenza. Anhar aveva visto qualcosa; aveva percepito che c’era ancora qualcosa, nascosto nei meandri della sua mente, oltre alla verità sui Talismani e sulla Coppa di Luce. Qualcosa che riguardava gli Angeli, e quindi anche lui. Ma Avalon e Andrei lo avevano sconfitto prima che potesse carpire quell’ultimo segreto, poi Tegel era morto, rendendo impossibile tentare una seconda possessione.
Non capiva cosa fosse, di certo qualcosa che andava al di là dei suoi schemi mentali, qualcosa che nelle sue ipotetiche costruzioni di futuro non trovava posto, poiché niente poteva impensierire Caos e i Progenitori. Eppure, doveva essere importante per aver spinto Tegel a sollevare barriere mentali così potenti da celarlo.
Ma cosa?