PROLOGO

L’improvvisa esplosione di luce fece scappare le tribù berbere che riposavano al fresco delle oasi. Quando il primo raggio luminoso le raggiunse, strabuzzarono gli occhi per la curiosità, ma non appena capirono da dove provenissero si scatenò un fuggi fuggi generale, una ridda di uomini, mantelli, cammelli e nubi di sabbia che animò l’albeggiante paesaggio nordafricano. Del resto, non capita tutti i giorni di assistere alla discesa di due Divinità dal cielo! Si disse Kama, nascondendosi dietro alcune rocce sporgenti delle propaggini del complesso montuoso.

Perché di due Divinità doveva trattarsi, di questo la Sacerdotessa era sicura. Percepiva la loro potenza cosmica irradiarsi sull’intera catena e sullo sconfinato deserto che subito si estendeva oltre i margini meridionali, facendone una barriera naturale contro i venti e le maree del Mediterraneo.

Questo, quantomeno, era ciò che i beduini e gli abitanti di quelle terre avevano a lungo creduto. Senza conoscere la verità sulla sua origine.

Le due figure di luce rilucevano diafane nell’albore, muovendosi con grazia ed eleganza, leggiadre come fossero composte di brezza, e con una sicurezza che solo chi conosceva il territorio, solo chi sapeva dove muoversi, tra i recessi sabbiosi del sistema montuoso, poteva dimostrare. Quanti giorni, in fondo, avevano trascorso nell’intermundi ad osservare il pianeta cui avevano dato la prima luce spegnersi poco a poco? Quell’ultimo gesto, quella guerra risolutiva, non avrebbe cambiato l’esito finale, il destino della stirpe umana che da sola si era condannata. Di questo, Etere e Emera erano sicuri.

Così avvolsero l’intera catena costiera nel riverbero del loro cosmo, penetrando in profondità, scavando nel suolo e nel tempo, fino a raggiungere i resti di chi là sotto aveva a lungo giaciuto, crollandovi esausto al termine del disastroso conflitto che aveva segnato il passaggio dalla seconda alla terza generazione divina. I resti di chi, a quel sistema montuoso, aveva dato nome.

Non appena il suolo tremò, scuotendo i rilievi e frantumando rocce, Kama comprese quel che sarebbe accaduto. E rabbrividì.

Regor glielo aveva detto anni addietro, condividendo il segreto che lo legava a quelle terre brulle e perigliose, e dopo la sua morte era stata lei a custodirlo, lei che adesso avrebbe dovuto avvisare la Dea della Guerra.

Corse fino ai margini meridionali della catena montuosa, mentre le alture si spaccavano e fenditure si aprivano ovunque, in cui rocce e sabbia sprofondavano ruggendo, con un gran boato di rivalsa. Un suono gutturale che aumentò non appena egli riemerse dalla prigionia dimenticata. Anche da una certa distanza, Kama notò quanto fosse immenso, almeno cinquanta piedi, e quando si sollevò eretto, allungando le braccia anchilosate, le parve quasi di vederlo afferrare il cielo, il cui peso ebbe a sopportare nel Mondo Antico, prima che il padre lo istigasse contro i nemici Olimpi.

Le due figure ammantate di luce si avvicinarono al gigante, recitando parole in greco antico di un rito che gli avrebbe consentito di recuperare in fretta le forze, prima di indicare un punto all’orizzonte, nell’alba del Mediterraneo. Kama non ebbe bisogno di vedere dove puntasse il loro sguardo, poiché già lo sapeva. La prima impresa del titano sarebbe stata quella di punire i carnefici di suo padre, usando la propria devastante forza bruta per distruggere l’Olimpo e Atene.

***

In quello stesso momento Zeus tremò.

Fu un brivido improvviso a scuoterlo, mentre stava discutendo con Demetra ed Ermes le modalità con cui avrebbero aiutato i Cavalieri dello Zodiaco, un brivido sufficiente per farlo vacillare e costringerlo a poggiare un ginocchio a terra, per non cadere lungo la scalinata di marmo della Sala del Trono.

"Mio Signore!!!" –Gridò subito il Messaggero Olimpico, correndo ad aiutarlo.

"Sto bene, Ermes, non preoccuparti! È stato solo un presentimento… un’ombra. L’ombra della fine di tutte le cose." –Mormorò Zeus, prima di fissare entrambi gli Dei in faccia e spostare poi lo sguardo sul resto del salone. –"Era! Dov’è Era?! Dubito che sia già andata in Sicilia!"

A quelle parole Ermes trasalì, il volto una maschera di sudore. Qualunque cosa avesse in mente la Signora dell’Olimpo di certo non aveva intenzione di recare danni al consorte. Questo era ciò che si era ripetuto più volte, prima di consegnarle la lama deicida. Eppure… non aveva pensato… che forse Era non volesse colpire qualcun altro.

"Voglio solo rimediare a un vecchio errore!"

Le sue parole gli si piantarono nel cuore, instillandogli un così intenso dolore come mai l’aveva percepito prima, spingendolo a inginocchiarsi subito di fronte a Zeus, invocando il suo perdono. –"Mio re… la divina Era… io credo…"

"Cos’è successo, Ermes? Perché quest’ansia immensa mi ha invaso?!" –Chiese il Nume supremo, mentre il suo cosmo stava scandagliando l’Olimpo, alla di lei ricerca. Ne trovò traccia sul sentiero che conduceva al mausoleo degli eroi caduti, ne percepì il respiro affannoso, il turbinare di mille pensieri e rimorsi e per un momento credette quasi di essere lì con lei, al suo fianco, ad osservarla mentre in lacrime si recideva i polsi con la daga dorata, lasciando che l’Ichor ruscellasse fuori, macchiando il pavimento di marmo e le statue che là riposavano.

"Era!!!" –Gridò Zeus a gran voce, aprendo uno squarcio nella parete orientale, dentro il quale si precipitò all’istante, inseguito da Ermes e da Demetra, che non capiva cosa stesse accadendo, chiedendo ripetutamente spiegazioni agli altri Numi. –"Non farlo, Era!!! Non voglio che tu lo faccia!!!"

Aveva compreso infine, il Celeste Signore, quel che la sua divina sposa aveva progettato, e l’affievolirsi rapido del suo cosmo gliene diede conferma, prima ancora di osservarne il corpo stanco e fiacco crollare addosso all’ultima statua rimasta, quella che ancora non aveva beneficiato del suo prezioso sangue.

"Non così!!! Non così!!!" –Tuonò il Dio del Fulmine, entrando con gran foga nella cripta sotterranea e precipitandosi dalla sua signora. –"Era, parlami! Parlami mia adorata! Perché l’hai fatto? Perché?!"

"Ze… Zeus?!" –Balbettò la Regina dell’Olimpo, il volto emaciato e privo ormai di ogni lucentezza. Un volto su cui Ermes notò allungarsi un pallido sorriso. –"Sei qui, per me?!"

"Non dovevi farlo! Non tu!!!" –Singhiozzò il possente Nume, carezzando i lunghi capelli castani della Dea.

"Invece sì! Mio era il compito, come mia fu la colpa! Non crucciarti per me, ma sii felice, marito mio, presto potrai riabbracciare tuo figlio e insieme combatterete l’ultima battaglia!" –Aggiunse lei, sollevando a fatica il braccio fino ad afferrare una gamba della statua alla sua destra, imbrattandola con il suo Ichor e inondandola con le ultime stille del suo cosmo. –"Forse l’ombra della fine di tutto sta per scendere su tutti noi, ma che gran festa sarà se così non dovesse essere. Se tutta l’ansia e i timori che ti hanno divorato il cuore per secoli dovessero dissiparsi al sole e tu ancora potessi regnare per secoli e secoli! Oh che smacco per l’ombra sarebbe! Oh Zeus, mio amato Zeus, stringimi forte, stringimi a te! Stringimi come non hai mai fatto prima!"

Il Signore dell’Olimpo non disse alcunché, tenendo stretta la sorella e sposa mentre moriva. Ne assaporò per l’ultima volta il profumo, inebriandosi del ricordo del loro antico amore, quando si era mutato in cuculo per sedurla, dei giorni felici in cui credevano che, Dei e immortali, avrebbero vissuto per sempre. Prima dell’infedeltà, delle scappatelle di Zeus, della gelosia e dei litigi, prima di conoscere l’ombra.

A quello si aggrappò il Nume per dirle addio, certo che anch’ella vi stesse pensando, condividendo le memorie di un’esistenza ritenuta infinita. Quando trovò la forza per staccarsi da lei, depositandone il corpo straziato, prosciugato di energia vitale, sul bianco marmo, Era aveva già chiuso gli occhi, il viso rivolto verso la prima delle tredici statue che per tre secoli avevano giaciuto silenti e sole nel buio della cripta. E che adesso il suo cosmo aveva acceso della fiamma della vita.

Un sacrificio divino. Proprio come richiesto per rompere la maledizione.

"Mio… Signore…" –Mormorò Ermes, dispiaciuto per l’accaduto, prima che uno scricchiolio sommesso li richiamasse tutti quanti.

"Cosa… sta accadendo? E chi sono… costoro?" –Esclamò allora Demetra con voce spaventata, quasi sconvolta, dal rapido succedersi degli eventi, osservando i corpi atletici e rivestiti da armature da battaglia che riempivano il primo salone del mausoleo. Ne studiò le forme per qualche istante, mentre gli scricchiolii aumentavano di numero e intensità e sulle statue comparivano crepe sempre più ampie e profonde, rivelando un riverbero di luce che da pallida divenne vivida in pochi istanti, anticipando l’esplodere di una dozzina di cosmi. –"Non saranno…?!"

"Sono coloro che tornano a proteggere gli uomini!" –Commentò allora Zeus, narrando quel che era accaduto al termine dello scontro sostenuto da Era e Eracle trecento anni addietro. –"La maledizione è stata infine sciolta, come la profezia richiedeva! Soltanto il sacrificio di un cuore puro avrebbe potuto ridare loro la vita! E nessuno ha amato più di Era, la mia adorata Era, Dea del Matrimonio e della Famiglia, Dea Madre e Dea abbandonata! Dea infine che non ho mai compreso, che ho tradito, offeso e insultato e che troppo tardi ho ricordato come amare!"

"Sono sicura che in fondo lei lo sapeva!" –Intervenne la Signora delle Messi, avvicinandosi al Dio del Fulmine e ponendogli una mano su una spalla. –"E ti amava lo stesso, fratello mio! Questo atto ne è la dimostrazione!"

Zeus annuì, prima di voltarsi verso le tredici statue adesso rivestite da un abbagliante lucore e vederle muovere gli arti, stirare i muscoli irrigiditi, sbattere gli occhi più volte, per essere certi di vedere di nuovo, e infine parlare, stupefatti per quel prodigio.

"Padre!!!" –Esclamò una ruggente voce maschile, mentre la robusta sagoma di un uomo avvolto in pelli di leone si avvicinava. Il fisico scolpito, gli occhi neri e vispi, lo stesso filo di barba di quel giorno in cui si erano detti addio.

"Eracle!!!" –Lo chiamò allora Zeus, travolto da duplici emozioni. Il dolore per la perdita dell’amata e l’enorme piacere di poter riabbracciare il figlio che tenne alto il suo nome nel Mondo Antico. L’uomo che si era fatto Dio.

"Non credevo ci saremmo rivisti!" –Esordì Eracle, fermandosi di fronte alle tre Divinità, ma tenendo lo sguardo fisso sul padre.

"Neppure io, lo ammetto. Non in questa vita, almeno!" –E raccontò al Protettore degli Uomini quel che era avvenuto, sottolineando come la sua rinascita fosse una conseguenza del sacrificio di Era.

Quelle parole strapparono un sospiro di tristezza al figlio di Zeus e Alcmena che, sebbene in eterna rivalità con la matrigna, aveva più volte tentato di sanare i loro contrasti, senza mai riuscirci.

"Hai trovato infine come farti perdonare…" –Sussurrò, chinandosi sul corpo spento della Dea e posandole un bacio in fronte. –"Lo apprezzo! Addio, Regina dell’Olimpo! Addio, Dea Madre!"

Anche i suoi guerrieri, comprendendo quel che era accaduto, si inchinarono in segno di rispetto per un avversario che aveva saputo ammettere i propri errori. Fu solo ad un cenno di Zeus che si rimisero in piedi, mentre il Nume supremo li scrutava uno ad uno. Ricordava i nomi di tutti loro, i migliori compagni che Eracle avesse potuto desiderare, eroici, ardimentosi e soprattutto impavidi. Neppure il peccato di hybris li aveva mai spaventati, poiché l’unico Dio in cui credevano era uno di loro, un uomo asceso al cielo più elevato. Ed essi si ritenevano in grado di fare altrettanto.

"Siamo pronti alla guerra, mio Signore!" –Esclamò la giovane voce di uno di loro, rialzandosi e fissando Zeus negli occhi. –"Non è per questo che siamo stati risvegliati? Per essere la chiave di volta tra le benigne stelle e l’oscurità?!"

"È così, Nesso! È così!" –Annuì il Re dell’Olimpo, prima di pregare Ermes di condurre Eracle e la sua legione alla reggia e offrire loro ristoro e qualunque cosa necessitassero, soprattutto informazioni. Lui li avrebbe raggiunti a breve, dopo essersi concesso un ultimo momento per sé, per onorare colei che troppo tardi era riuscito ad amare.

Demetra rimase ad osservare i dodici Heroes della Legione dei Migliori uscire dalla cripta e tornare a rivedere il sole, dopo quasi tre secoli di oblio, chiedendosi quanto la loro presenza avrebbe potuto spostare gli equilibri della guerra in corso. E a favore di chi.