CAPITOLO OTTAVO: CONFESSIONI.
Il viaggio dall’Olimpo al Caucaso fu assai breve, ma in quei pochi minuti la mente di Zeus e del suo Luogotenente fu comunque invasa da molti pensieri. Non soltanto per quello che li avrebbe attesi una volta giunti a destinazione, ma anche per la nube nera che andava espandendosi alcune miglia alle spalle della catena montuosa. È ancora distante, ma si avvicina. A ritmo vertiginoso! Constatò il Signore degli Dei, la cui vista spaziava lontano, fino alle profondità del deserto del Gobi, da cui la grande ombra era sorta.
Aveva già sentito, grazie ai suoi sensi acuti, l’infiammarsi di lontane battaglie, sia nelle calde terre d’Egitto che in luoghi a lui più familiari, luoghi che lo toccavano direttamente, al punto da incitare Euro affinché aumentasse l’impeto dei propri venti. Dei vari focolai di guerra appena accesi, uno lo stranì, poiché era davvero lontano, pareva provenire dalle profondità oceaniche del Pacifico Meridionale, da abissi che mai aveva visitato e che presupponeva disabitati. Stava ancora riflettendo su quanto aveva percepito, quando la Nave di Argo iniziò a scivolare tra le nubi che circondavano la cima più alta della catena del Caucaso, nota agli uomini con il nome di Monte Elbrus.
"Stiamo per atterrare!" –Precisò Neottolemo, guidando il vascello con maestria tra cime impervie e innevate, fino ad atterrare su un costone roccioso sufficientemente ampio e sicuro, all’inizio della cappa di ghiaccio. Un rapido sguardo ai dintorni convinse il Nocchiero di Tirinto che, in caso di attacco, quella sarebbe stata una buona posizione per difendersi, e poi allontanarsi.
Zeus, compiaciuto per la prontezza dei suoi riflessi e l’acuta mente strategica, lo ringraziò per i suoi servigi, dandogli una paterna pacca su una spalla, prima che il fedele di Eracle si apprestasse ad approntare il ponte di legno per scendere a terra.
"Strobilus…" –Mormorò allora Euro, osservandone la caratteristica doppia cima.
"Conosci questi luoghi, figlio di Eos?" –Gli domandò Zeus, mentre anche Nikolaos scendeva dalla Nave di Argo, lasciando il solo Neottolemo di guardia.
"Come potrebbero essermi ignoti, mio Re?! Non è forse qua, sulla gelida vetta di Strolibus che incatenaste il titano Prometeo, figlio di Giapeto, reo di avervi disobbedito, sfidando così la collera celeste?!"
"Una storia di così tanto tempo fa che mi stupisco che taluni la rimembrino ancora!" –Commentò il Nume Supremo, prima di fare cenno ad Euro e a Nikolaos di seguirlo, lungo un accidentato sentiero che saliva fino all’avallamento al centro dei picchi gemelli. –"Eppure è normale che sia così! Del resto, potremmo annoverarlo tra i gesti che diedero inizio alla contesa finale!"
Il figlio di Eos annuì, seguendo il Signore del Fulmine sull’irta mulattiera, sebbene, grazie alle ali della propria corazza, non avesse bisogno di sfiorarne l’eterna neve che la ricopriva, limitandosi a svolazzare alle sue spalle, senza mai avere l’ardire di superarlo. Nikolaos, al contrario, seguiva entrambi con sguardo silente, rivestito da una cotta di battaglia piuttosto comune, essendo la propria Armatura Celeste andata distrutta nello scontro con Cariddi. Osservandola, Euro la riconobbe; era la tunica protettiva che il giovane utilizzava durante gli allenamenti con Giasone, Castore e Polluce sull’Olimpo, i primi tempi successivi al suo arrivo. Frammenti di passato di cui Nikolaos aveva bisogno, in quel momento, per andare avanti, per continuare a vivere, unico sopravvissuto dei Cavalieri Celesti e ormai anche unico membro della sua famiglia.
"Ci siamo!" –Esclamò infine Zeus, fermandosi proprio ai piedi dell’ultima scoscesa salita che conduceva al picco occidentale, il più alto delle due cime di Elbrus e anche quello rivolto verso la Grecia.
Euro e Nikolaos sollevarono lo sguardo ma, sulle prime, non notarono alcunché se non una fitta nebbia che pareva avvolgere la sommità, in un abbraccio ottundente che ricordò a entrambi la foschia protettiva dell’Olimpo, il modo con cui Zeus aveva sempre celato le divine residenze agli occhi degli uomini.
"Mio Signore?!" –Mormorò il Luogotenente, aspettando che il Nume parlasse, con la stessa franchezza dimostrata nel colloquio avuto nella cripta.
"Non è cambiato niente… Tutto è identico a quel giorno! Tutto, del resto, è sempre identico al passato finché non compiamo una diversa scelta! Prometeo lo fece, scelse di tradirmi, o almeno così credetti all’epoca, scelse di disobbedire ad un precetto divino e andò incontro alla sua punizione! Lo incatenai nudo a questa cima, con catene forgiate da mio figlio Efesto, intrise di cosmo divino, proprio là, persino oltre le nuvole, di modo che ogni giorno potessi vederlo, dalla reggia sull’Olimpo, e lo condannai ad eterno supplizio! Un’aquila, personificazione della mia possanza e del mio impero sui cieli, ogni giorno avrebbe banchettato con le sue viscere, e la notte quelle stesse ferite sarebbero state rimarginate, per permettere all’aquila, implacabile, di ritornare il giorno seguente e proseguire l’eterna tortura! Una trovata degna di Ade!" –Sospirò il Nume, presto confortato da Euro.
"Erano tempi oscuri, mio re. I Titani cospiravano per riprendere il potere, l’evirazione di Crono non li aveva di certo meglio disposti ad accettare la fine dell’Età dell’Oro. Tutt’altro. Covavano così tanto rancore da attendere soltanto un pretesto per marciare sull’Olimpo e scatenare l’ultima guerra del Mondo Antico."
"E io glielo diedi, imprigionando il figlio di uno dei più fanatici sostenitori di Crono, dando così inizio alla Titanomachia. La fine della seconda generazione cosmica." –Annuì Zeus, tornando indietro a quell’era buia. –"E la notte dell’ultima profezia."
***
Un boato fragoroso fece tremare l’intero Olimpo, squassando persino i pavimenti di marmo della Reggia di Zeus, ove il Nume riposava vigile, costringendosi a balzare in piedi, già rivestito della sua Divina Veste da battaglia. Un attimo dopo le alte porte si aprirono e un’anziana figura ne entrò, zoppicando vistosamente.
"Sono arrivati!" –Si limitò ad asserire, mentre già il cosmo di Zeus si espandeva, abbracciando l’intero Olimpo, ove assieme alla sua famiglia e ai suoi fedeli si era installato dopo l’evirazione del padre. Fu un’aurora improvvisa quella che abbagliò il Monte Sacro, un’aurora che rischiarò ogni anfratto, ogni sentiero, foresta o palude, raggiungendo tutte le Divinità e i guerrieri che attendevano la chiamata del loro Signore, del padre, fratello o amante per cui avevano scelto di lottare e morire, convinti che potesse dare loro un futuro.
Uno dopo l’altro, gli Dei risposero alla chiamata, scintillando nelle loro vestigia dai riflessi d’oro e avorio, che il Fabbro Celeste aveva appena creato. Per prima giunse Artemide, l’unica dei Dodici a non indossare armatura alcuna, preferendo cingere il suo corpo con ben più pratiche e leggeri pelli di daino.
"I miei Cacciatori già sono schierati!" –Commentò, inginocchiandosi, l’arco stretto in mano, la faretra colma di frecce argentate.
"Così pure i Berseker al mio diretto comando!" –Tuonò allora la voce di Ares, ruggendo tra le fiamme che lo attorniavano, con un’aria divertita sul volto, un’aria per cui il Consigliere di Zeus inorridì.
Dopo di loro arrivarono Nettuno e Ade, i fratelli del re, quindi Atena, con l’Egida saldamente al braccio, Apollo, splendido nella sua armatura finemente intarsiata, Dioniso, seguito da un profluvio di satiri, menadi e guerrieri caprini, e tutti gli altri Dei, uniti tutti dalla stessa convinzione. Debellare per sempre la minaccia dei Titani, coloro che marciavano verso la cima del Colle Sacro.
Le prime difese erano già scattate, ma i Giganti di Pietra ben poco poterono contro la furia di Atlante, i cui pugni li mandarono in frantumi, uno dopo l’altro, riuscendo soltanto a far guadagnare tempo agli Olimpi assediati, affinché potessero posizionarsi. Fu quando Zeus scagliò la prima onda di energia, investendo in pieno il fratello del colossale titano, che la guerra di fatto iniziò, e in breve fu mischia.
Scintillavano ovunque i cosmi dei giovani Dei, ruggivano affamate le fiamme di Ares, dentro cui si celavano le frecce di Artemide e gli strali luminosi di Apollo. Volava lesto, da una parte all’altra dell’immenso fronte di guerra, il Messaggero Alato, scatenando lampi dall’intrecciata bacchetta, mentre la spada di Ade e il tridente di Nettuno mietevano vittime nell’opposto schieramento. Dieci anni durò la guerra, dieci lunghi anni di sangue e dolore, di tradimenti e cambi di fronte, dieci anni durante i quali l’opinione di Vasteras non cambiò.
"Una guerra porta solo ad altre guerre. Credevo lo aveste capito." –Gli disse anche quel giorno l’anziano consigliere, dopo che una figura rivestita da una scura armatura aveva appena lasciato la Sala del Trono. Una figura il cui gesto avrebbe presto mutato le sorti dell’intera battaglia.
"L’ho compreso, ma non ho scelta. Non ho iniziato io questa guerra e non voglio perderla! Ne va del futuro della mia stirpe!"
"Ma non capite, Grande Zeus? Siete giovane, bello e astuto, il fato vi ha arriso già una volta, evitandovi di finire nelle viscere di vostro padre! Eppure dovrebbe essere chiaro, soprattutto a voi che quel gesto avete compiuto, quanto tutto sia effimero, quanto breve sarà la storia della vostra generazione, anche se vinceste!"
"Parole oscure le tue, Vasteras! Spiegati meglio!" –Lo intimò il Nume, stringendo la folgore celeste.
"La vostra vita, al pari di quella degli esseri umani, non è eterna, solo parte di un ciclo. Le sorti di vostro padre e del di lui padre Urano dovrebbero esserne testimonianza valida per farvi comprendere! Vincerete questa guerra, grazie al fulmine che avete ottenuto, ma quanto durerà il vostro regno? Un batter di ciglia, niente più, lo stesso gesto con cui Egli vi spazzerà via quando ritornerà!"
"Non… minacciarmi!!!" –Avvampò Zeus, generando un’onda di energia con cui schiantò il fido consigliere contro una parete, scusandosi subito dopo, imbarazzato, per quel gesto irato.
"Non vuote minacce sono le mie parole, bensì foriere di una verità che non potete dimenticare! Non dovete farlo, se volete sopravvivere! Ricordatelo, Zeus, ricordate come avete sconfitto Crono e come vincerete i Titani! Unendo tutte le vostre forze, quelle degli Dei amici, degli alleati, dei soldati che hanno fiducia in voi! In nessun’altro modo riuscirete altrimenti a contrastare l’ombra!" –Parlò così, per l’ultima volta, il saggio Vasteras, prima di spegnersi quella stessa notte, ucciso dalla lama del titano Crio. Eppure, per lunghi secoli, quelle parole erano cadute nel vuoto.
***
"Avevi ragione, amico mio!" –Sospirò Zeus, asciugandosi i celesti occhi lucidi. –"Troppo tardi l’ho capito! Troppo a lungo il mio animo è stato invaso dall’indolenza, un sentimento atto a nascondere la paura per la fine di tutto, l’avverarsi di una profezia a cui sapevo di non poter fuggire!"
"Voi… sapevate, mio Signore?!" –Azzardò la domanda Nikolaos, affiancando Zeus nell’ultima parte della salita, quella che li avrebbe portati nel cuore della foschia sulla sommità di Elbrus. –"Del ritorno di Caos, voglio dire…"
Il Nume annuì, spiegando di aver avuto uno dei Sette Saggi come Consigliere, molto tempo addietro, proprio come Nettuno, sebbene nessuno dei due Cronidi avesse dato loro debito ascolto.
"Ho errato e ne pago le colpe! Ed ho continuato a errare per molto tempo! I fatti sono noti e non li ripeterò! Dopo la sconfitta dei Titani, iniziò la nostra Età dell’Oro, l’era della Terza Generazione Cosmica, un’era di massimo splendore per la nostra civiltà e per gli uomini che ci adoravano! Templi sorgevano in ogni angolo del mondo conosciuto, offerte venivano raccolte in nostro onore, sacrifici venivano compiuti in nome di Dei i cui nomi erano invocati ogni giorno, in ogni momento della giornata di un uomo. Come poteva il mondo essere più bello di così? Come potevo credere che un giorno tutto sarebbe finito? No, giovani eroi, non sono mai riuscito ad ammetterlo, eppure l’ho temuto, per tutto questo tempo, tenendo nascoste le mie paure e sublimandole in ogni modo possibile, con atteggiamenti lascivi e poco consoni alla figura del Re accorto e scaltro che sarei dovuto essere! Un Re che del suo popolo ben poco si curava!" –Ammise Zeus. –"Per questo, quando ritenni che lui mi avesse tradito, che lui mi avesse disobbedito, come Prometeo millenni addietro, scelsi la strada della punizione, non della comprensione, vanificando i suoi passati meriti e decidendo di ricordarlo solo per il suo atto sacrilego! Ti ricordi di lui, Euro, o la foschia che ho gettato sull’Olimpo lo ha fatto dimenticare persino a te?" –Esclamò, giunti alla sommità occidentale di Elbrus, una ripida parete di roccia alla quale un uomo era incatenato, se uomo Euro e Nikolaos potevano definirlo, visto il fisico gracile, quasi ossuto, che si trovarono a rimirare. –"Vi presento il superbo Toma di Icaro, l’uomo che volle farsi Dio! Primo mortale ad essere investito del titolo di Cavaliere Celeste, e ultimo di una lunga schiera di amici che non sono stato in grado di considerare tali, che non sono mai stato in grado di capire!"
***
Kama non tornava al Grande Tempio da vent’anni, da quando Arles le aveva assegnato quella missione. E se anche da allora molte cose erano cambiate, per lei come per i compagni con cui era scesa in Africa, il Santuario della Dea era sempre lo stesso, come se in quella valle incassata tra le montagne dell’Attica, nascosta agli uomini comuni dal cosmo della Vergine Guerriera, il tempo si fosse fermato. Tuttavia, varcando il Cancello Principale, dopo essersi presentata alla garitta delle guardie, notò un notevole assembramento di forze, assente negli anni in cui aveva vissuto ad Atene e si era allenata per divenire Cavaliere di Bronzo sotto gli occhi attenti del suo insegnante.
Soldati riempivano il camminamento di ronda delle mura esterne, altri passavano marciando, berciando ordini o trasportando carri pieni di legname, rame e altri materiali di certo destinati alla creazione di armi. Non sembravano esserci semplici fedeli in giro, nessun uomo o donna, addirittura nessun bambino, era privo di una cotta da battaglia e tutti guardavano continuamente il cielo, quasi temessero di vederlo cadere su di loro. Sospirando, la Sacerdotessa Guerriero comprese che un vento di guerra stava già soffiando sull’intero Santuario di Atena e che le notizie che avrebbe presto riferito avrebbero contribuito ad aumentarne l’intensità.
"Kama?!" –Mormorò una delicata voce di fanciulla, costringendola a voltarsi, per trovarsi di fronte una sua pari, come l’inespressiva maschera che le copriva il viso testimoniava. –"Sono Yulij del Sestante, inviata dall’attendente di Atena, Nicole, ad accoglierti!"
"Nicole attendente? Ne ha fatta di strada! All’epoca era solo un ragazzino, allievo, come me, del grande Magellano della Mensa!"
"Potrai incontrarlo tra breve! Ha ricevuto il tuo messaggio e ti aspetta alla Tredicesima Casa, assieme ad Atena!" –Spiegò la Sacerdotessa del Sestante, invitando l’altra a seguirla.
Atena! Mormorò Kama. La Dea che aveva tanto servito, in terre lontane dalla Grecia, pur senza mai incontrarla, la Dea che le aveva riempito il cuore e permesso di andare avanti, anche dopo tutta la sofferenza che aveva incontrato in quel caldo continente, anche dopo che il dolore le aveva straziato il petto. La Dea che finalmente avrebbe conosciuto. La Dea che forse ho tradito?
Con quel pensiero in mente, e una certa ansia nel cuore, seguì Yulij lungo la strada principale che attraversava il vasto complesso templare, inerpicandosi poi per un’erta collina, passando attraverso Dodici Case. Quando era piccola, la maggior parte era disabitata e Kama le aveva visitate solo una volta, quando Arles aveva convocato lei, Regor e Magellano.
Nella prima trovò un uomo dai capelli viola intento a riparare alcune armature. Sembrava molto stanco e fece loro solo un cenno di saluto, forzando un sorriso e rimettendosi a lavoro, su quella che a Kama parve la corazza dell’Unicorno.
Deglutì a fatica, ricordando l’uomo cui era stata legata un tempo. Sospirò, cacciando via quei pensieri, e riprese a salire assieme a Yulij, fino a raggiungere l’ultimo tempio, dove Atena la stava aspettando. Entrando, fu sorpresa di trovare soltanto tre Cavalieri con lei: uno era di certo uno dei Custodi Dorati, come testimoniava l’armatura che aveva indosso, e sedeva tra le colonne laterali tenendo gli occhi chiusi; la seconda era una Sacerdotessa dai folti capelli rossicci, ma non seppe identificarne il grado, poiché vestiva una semplice tunica da allenamento, mentre il terzo, il giovane dalla fluente chioma castana, doveva essere Nicole, ritto e immobile accanto al trono della Dea. Sì, era decisamente cambiato dai giorni d’infanzia in cui seguivano le lezioni di botanica, mitologia, architettura e qualunque altra arte Magellano ritenesse opportuno che studiassero, per una preparazione più completa del loro ruolo. Non guerrieri, ma protettori. Così amava definirli il loro maestro.
"Benvenuta ad Atene!" –La salutò la Dea dallo sguardo scintillante, rivolgendole un cordiale sorriso, proprio mentre Kama si inginocchiava di fronte a lei, rimanendo per lunghi attimi in silenzio, sospesa tra passato e presente.
"Dea Atena… io… un semplice Cavaliere di Bronzo, sono onorata di essere ricevuta direttamente da voi!"
"Abbiamo passato attraverso tempi in cui il valore dei Cavalieri di Bronzo è stato ampiamente riscattato!" –Commentò allora Nicole, strappando un sorriso agli altri presenti, prima di pregare la Sacerdotessa di riferire quanto di sua conoscenza.
"Lo hanno risvegliato, mia Dea!" –Disse tutto d’un fiato, quindi, accorgendosi che nessuno sembrava comprendere, aggiunse. –"Il titano dormiente, colui che giaceva presso la catena montuosa che da lui prese nome!"
"Vuoi dire… Atlante?!" –Sgranò gli occhi Atena, ottenendo un cenno d’assenso col capo.
"Figlio del titano Giapeto, narrano le antiche cronache che avesse altezza esorbitante, trenta cubiti, forse più! Si schierò al fianco del padre, assieme al fratello Menezio, allo scoppio della Titanomachia, venendo sconfitto e condannato da Zeus a reggere la volta celeste. Liberato brevemente da Eracle durante l’Undicesima Fatica, rifiutò di riprendere il suo posto, finendo fulminato da Zeus e crollando lungo la costa nordafricana, sprofondando in un lento oblio. Leggenda vuole che tanto devastante fu l’impatto del suo corpo morente che spinse fuori le montagne dalle viscere della Terra. Dopodiché se ne perse traccia, per quanto ogni Grande Sacerdote di mente acuta abbia sempre inviato dei Cavalieri ad effettuare scrupolosi controlli." –Spiegò allora Nicole, attirando l’attenzione degli altri.
"Come sai tutto questo?" –Le chiese incuriosita la Sacerdotessa dai capelli arancioni.
"L’ho letto! Negli Annali del Santuario! Proprio nel libro che il Cavaliere di Virgo qui presente aveva richiesto due giorni addietro, sebbene sappiamo che non fosse propriamente lui!" –Sorrise l’attendente, portando Atena a porre una nuova domanda.
"Quindi tu fosti inviata in Africa da Shin?"
"Per la verità fu l’allora Primo Ministro, Arles dell’Altare, a inviare Regor della Vela, un Cavaliere di Bronzo mio pari, che si insediò a Orano, poco distante dalla catena montuosa, per addestrare apprendisti e al tempo stesso controllare la situazione. A me fu assegnato un compito più delicato: in virtù dei miei poteri curativi e delle mie conoscenze botaniche, mi fu chiesto di accompagnare il mio maestro, il sapiente Magellano della Mensa, in un giro nel continente africano, per aiutare le varie tribù ad avere una vita migliore."
"Una splendida iniziativa." –Commentò Atena, con voce serena, prima di aggiungere, quasi potesse leggerle nel cuore. –"Non tutti i Cavalieri combattono in guerra, alcuni sono costretti a prove diverse, senza che questo sminuisca la purezza dei loro cuori o la loro devozione alla causa!"
"Gra… grazie, mia Dea!"
A quel punto la donna in cotta da battaglia e il Cavaliere d’Oro dagli occhi chiusi si avvicinarono al trono, sottolineando la necessità di un’azione rapida.
"Se Atlante è stato risvegliato, di certo andrà a ingrossare le fila dei nostri nemici! Vorrà vendetta, possiamo starne sicuri, contro Zeus e gli Olimpi, rei di aver sterminato la sua stirpe!" –Parlò la Sacerdotessa, trovando il Custode Dorato concorde. –"Dea Atena, è necessario stare in massima allerta! Assieme all’Olimpo, questo è il posto più probabile dove egli colpirà!"
"Lo temo anch’io!" –Commentò Kama, prima che la Dea chiedesse notizie sullo stato delle loro difese.
"Asher sta organizzando i vari reparti di soldati semplici, distribuendoli lungo l’intero perimetro del Grande Tempio, in particolare ai tre cancelli: orientale, meridionale e occidentale. Il primo sarà presieduto da Matthew ed Elanor, che hanno accettato di rimanere qua, su richiesta di Avalon, il secondo sarà difeso proprio dall’Unicorno e da Nemes mentre io mi recherò al varco occidentale, assieme a Reda e Salzius! Il Grande Mur sta terminando di riparare alcune armature e, quando avrà terminato, presidierà la Prima Casa, Virgo la sesta e Nicole e Yulij rimarranno qua, a vostra ultima difesa!" –Spiegò la voce decisa di Castalia.
"Resterò anch’io, se Atena lo permetterà! Minimo è l’aiuto che potrò darvi in battaglia ma non mi tirerò indietro!" –Intervenne allora Kama, ottenendo un cenno d’assenso da parte della Sacerdotessa dell’Aquila che le illustrò dove avrebbe potuto posizionarsi, prima che un rombo improvviso facesse tremare l’intero Santuario.
Nicole si mise subito di fronte ad Atena, assieme a Castalia e Yulij, mentre Virgo fendeva l’etere con i propri sensi attenti. Un secondo boato li riscosse, un rumore sordo che pareva provenire da lontano, ma così intenso da essere udito persino lassù. Sospettosi e intimoriti, i Cavalieri e la Dea uscirono nel piazzale antistante la Tredicesima Casa, guardando fissi in direzione del Golfo Saronico. Proprio da sud, con il sole pallido sopra di lui, un’immensa sagoma avanzava a passo strascicato. Per quanto fosse ancora distante, non ebbero bisogno di chiedersi chi fosse, già conoscendo la risposta.
"Nicole! Nel libro che hai letto, viene citato anche un modo con cui possiamo fermarlo? Esiste un modo per frenare l’avanzata di Atlante?" –Incalzò Castalia, mentre il compagno scuoteva la testa.
"A meno che qualcuno di voi non sia Zeus, possiamo soltanto combattere!"
***
"Toma di Icaro?!" –Borbottò Nikolaos, osservando il giovane imprigionato sul fianco della montagna, proprio come lo fu Prometeo millenni addietro, prima che Eracle lo liberasse. –"Non conosco questo nome."
"È naturale! Diedi ordine a tutti i Cavalieri Celesti e alle Divinità che dimoravano sull’Olimpo di non nominarlo mai più, pena la morte! Non potevo sopportare di udirne ancora il nome, il cui suono mi avrebbe ricordato il tradimento in cui ero di nuovo incorso!"
"Quale tradimento, mio Signore? Cosa vi ha fatto quest’uomo?!"
"A me personalmente? Niente! Ma, come hai detto tu stesso, è un uomo e tale doveva restare. Invece Toma era arrogante, altero, sicuro delle proprie qualità, tronfio della sua indiscussa abilità nel maneggiare le armi e nell’espandere il suo cosmo! Era stato Ermes a notarlo per caso, portandolo alla mia attenzione, un giovane di talento che affannava al Santuario di Atena per divenire Cavaliere! Un destino che, con alterigia, ritenni sprecato per lui, così gli offrii la possibilità di entrare nella più regale guardia dei Dodici, i Cavalieri Celesti, ed egli si dimostrò degno dell’incarico, finché non cominciò a volere di più. Come Icaro, il simbolo della sua corazza, desiderò volare sempre più in alto, accrescendo i propri poteri, ambendo ad essere potente come un Dio, eterno come un Dio! E, immagino, crescere in un’accademia frequentata soltanto da figli di Divinità non fu di grande aiuto alla sua umiltà. Sconfisse Giasone in un torneo, facendosi vanto di essere il più forte, di essere il novello Eracle del suo tempo. Sulle prime non me ne interessai, ritenendoli puerili atteggiamenti di sfida tra maschi, ma quando iniziò a infastidire le ancelle delle Dee, credendosi degno di incontrarsi persino con una di loro, lo convocai nella Sala del Trono e lo cacciai." –Quindi tacque per qualche istante, avvicinandosi al corpo emaciato del giovane, carezzandogli il volto un tempo bello e sollevandolo, mentre un torrente di cosmo fluiva dalle dita del Nume verso l’antico guerriero, risvegliandolo poco dopo.
"Ze… Zeus…" –Mormorò, aprendo gli occhi a fatica. Il Nume annuì, prima di espandere ulteriormente il proprio cosmo, disintegrando le catene e liberandolo infine, aiutandolo ad adagiarsi a terra.
"Per anni non ebbi memoria di quel dialogo, complice l’ambrosia che aveva obnubilato la mia mente, non ricordai quel che ci dicemmo, dissi a tutti che mi aveva insultato e pertanto lo avevo punito. La verità tornò a galla solo pochi mesi fa, quando Avalon mi risvegliò, salvandomi in punto di morte, chiara come era sempre stata, per Toma ma non per me." –Confessò, di fronte allo sguardo attento di Euro e Nikolaos, e a quello ancora frastornato di Icaro. –"Toma sapeva quel che sarebbe accaduto, quando il varco si sarebbe aperto! Gli avevo parlato, per errore, della profezia di Vasteras una notte in cui ero ubriaco e in cui mi aveva aiutato a raggiungere le mie stanze senza che Era se ne accorgesse. Sapeva e me lo ricordò quel giorno, dicendomi che voleva diventare più forte per me, per poter combattere al mio fianco, quasi alla pari, contro l’ombra nascente!"
"Quale… follia…" –Mormorò infine il Cavaliere Celeste, il cui volto iniziava a colorirsi grazie al cosmo di Zeus. –"Pretendere di diventare un Dio."
"Follia che cinque giovani in questi anni hanno compiuto, mio caro Toma! Sia pur con motivazioni diverse da quelle che mi rivelasti quella notte!" –Sorrise il Nume. –"Follia che forse non era realmente, per quanto tale mi apparve! Del resto, in quegli anni di pace e feste, non mi importava di niente, non volevo che mi importasse di niente! Sapevo della profezia di Vasteras, del ritorno della prima tenebra, la sentivo alitarmi sul collo ad ogni tramonto, e volevo nascondermi, come un coniglio in una buca nel terreno, celando la testa e i muscoli che mi avevano permesso di sedere sull’Olimpico Trono! Ho dato via Shen Gado come fosse un oggetto, barattandolo con una Dea disinteressata alle sorti del mondo; Shen Gado, l’abile guerriero, astuto stratega che mi era sempre stato fedele! Ho punito Toma perché non potevo o non sapevo punire me stesso. Ho assistito al tentato omicidio dell'infante Atena da parte del suo corrotto Sacerdote, senza muovere un dito, del resto la mia massima fatica è stata per decenni stringere una coppa d'ambrosia o i candidi seni delle ninfe! Ho lasciato ad Avalon e a dei ragazzini la difesa del pianeta! Ho permesso che Amon Ra si perdesse nelle nebbie del tempo, senza fare niente per impedirglielo, senza provare neppure a dissuaderlo, come se il destino dell'Egitto non mi importasse, come se il destino di quel regno lontano fosse ininfluente per l’equilibrio del mondo! Per tutto questo, per non essere stato il dorato re, giusto e accorto, io ti chiedo perdono, Toma di Icaro, e lo chiedo anche ai tuoi compagni, i valorosi guerrieri che in mio nome sono caduti. Bronte, Arge, Sterope, Giasone e voi tutti Cavalieri Celesti, possiate perdonarmi e sostenermi nell’ultima guerra!"
Nikolaos ed Euro annuirono, sorridendo paghi al Signore del Fulmine, prima di inginocchiarsi di fronte a lui, rinnovandogli il giuramento di fedeltà. Lo stesso fece Toma, facendo tintinnare al qual tempo un pendaglio che portava legato al polso, l’unico ricordo della sua vita precedente all’ascesa all’Olimpo.