CAPITOLO QUINTO: IL SIGNORE DELLE TENEBRE.
Agamennone del Leone di Nemea sbadigliava stanco.
Seduto su una roccia sporgente, sul versante orientale dell’Etna, osservava il mare incresparsi in lontananza, afflitto da un’inquietudine che pareva saturare cielo e terra. Di tutti gli Heroes risvegliati al servizio di Eracle, egli era quello che maggiormente smaniava di combattere, colui che, pregno di ardimento, ad un’avventura eroica mai avrebbe offerto le spalle. Per questo soffriva e sospirava sconsolato, nel rimanere inerte a proteggere gli Olimpi.
"Non siamo cani da guardia!" –Borbottò per la settima volta in pochi minuti. –"Ma leggendari Heroes di Eracle! Zeus se lo è forse dimenticato quando ci ha confinato su quest’isola? Si è dimenticato i nostri scontri con gli emissari della sua consorte?"
"Non parlare male di colei che ci ha riportato in vita, Agamennone! Sebbene astio abbia dominato i rapporti tra Era e il nostro Signore, il tempo e il perdono hanno vinto su quell’immotivato odio e rinverdirlo sarebbe inappropriato!" –Intervenne allora una voce pacata, facendo voltare il guerriero verso il pendio, ove l’elegante sagoma di un compagno era appena comparsa. –"Inoltre non credo tu abbia bisogno di dimostrare il tuo coraggio né la tua devozione alla causa, non essendo mai stata messa in discussione. Né da noi, né tantomeno dal Sommo Eracle!"
"Non ripetermi concetti già noti, Marcantonio! Sto solo dicendo che, dopo più di due secoli trascorsi in un limbo da cui non credevo saremmo mai usciti, fremo adesso al pensiero di passare all’azione! L’artiglio del Leone di Nemea, che il nostro Signore recise dalla ferina bestia, facendomene dono, necessita nemici da sbranare! È una furia, il seme di giustizia che in me alberga, che non può essere placata!"
"Sono certo che presto avrai la tua occasione, rampante leone! La avremo tutti!" –Commentò il compagno dai folti capelli corvini, poggiandogli una mano su una spalla, prima che un fischio li distraesse entrambi. –"Lo senti anche tu?!" –Avvampò all’istante, guardandosi attorno con circospezione.
"Cos’è questo stridore? Sembra… una moltitudine di fischi! Un suono che va aumentando di intensità!"
"Ahu ahu ahu! Morite, stolti!" –Ringhiò una cupa voce, mentre migliaia di strali di nera energia piovevano sui due Heroes, costringendoli a spostarsi prontamente per evitare di essere trafitti. Ma per quanto celeri fossero nei movimenti, non poterono impedire a quel diluvio di dardi di raggiungerli, martoriando i loro corpi, ferendoli laddove le armature non li proteggevano, scheggiando e trapassando le stesse.
"Maledizione! Questa pioggia… è così intensa… che non riesco neppure a capire da dove provengono gli attacchi!" –Imprecò Agamennone, prostrato a terra da uno strale che l’aveva raggiunto alla caviglia destra.
"Cadono da ogni direzione, dall’alto e dai fianchi, percependo ogni nostro minimo spostamento!" –Aggiunse il compagno, raggiungendolo di corsa ed afferrandolo, in modo da tenerlo vicino a sé, mentre espandeva il proprio cosmo. –"Per cui, c’è solo un modo per ripararci! Specchio delle stelle!" –Esclamò, generando la muraglia di energia che, espandendosi su ogni lato, li circondò, assumendo la forma di un cubo. –"Adesso dovremmo essere al sicuro! Lo specchio è in grado di respingere ogni attacco e di reinvi…" –Ma le parole gli morirono in bocca quando si accorse che i neri dardi trapassavano, senza fatica, la sua difesa, conficcandosi nelle loro carni e facendoli sanguinare.
"Aaargh!!!" –Gridò il fedele di Eracle, proprio mentre la frustrazione per lo stallo invadeva l’animo di Agamennone, portandolo a concentrare il cosmo attorno al braccio destro, liberando un attacco a raggiera. –"Artigli del Leone di Nemea!!!" –Gridò, roteando su se stesso e scatenando migliaia di fasci di energia azzurra che tentò di opporre al martellante diluvio di ebano. Riuscendovi solo in parte.
"Doppiamente stolti." –Sibilò la voce cavernosa di chi li stava attaccando, mentre una sagoma di pura tenebra piombava su di loro, più veloce persino dei suoi stessi affondi, lasciando esplodere un’enorme sfera di energia nera e distruggendo il loro pallido tentativo di resistenza. Compiaciuto, l’appena giunto avversario si voltò per ammirare il frutto del proprio lavoro, i corpi ustionati di Marcantonio e Agamennone che giacevano a una ventina di metri di distanza, laddove la detonazione li aveva scagliati, con le belle armature già distrutte e i volti contratti da spasimi di dolore.
Fu allora che un’ombra si allungò sul terreno, portandolo a sollevare appena lo sguardo verso la vetta, laddove un nuovo guerriero, dall’armatura dotata di ali, si era appena lanciato su di lui, scagliandogli contro un laccio di pura energia. Incuriosito e divertito da quella stramba tecnica di lotta, il massacratore di eroi lo lasciò fare, osservandolo mentre planava di fronte a lui, con sguardo determinato e compiaciuto, e liberava una corrente energetica molto forte, che percorse l’intera lunghezza del lazo, solleticando il tenebroso corpo di colui che aveva attaccato l’Etna. Ma, a parte strappargli una smorfia di tediato disappunto, non ebbe altro effetto.
"Tutto qui?" –Commentò, mentre il suo venefico cosmo oscuro disgregava il cappio attorno al suo collo, e la sua mano destra ne afferrava la cima, lasciandovelo fluire, fino a prostrare a terra il fedele di Eracle, scosso da così intense convulsioni da impedirgli persino di respirare. Il nemico lo osservò ancora un istante, mentre vomitava sangue e liquidi interni, insozzando la sua stessa corazza, prima di muovere la testa con rincrescimento, scuotere il lazo e sollevarlo con un’onda di energia oscura, che lo travolse e schiantò molti metri più a valle. –"Tutta quella freddezza non si accompagna ad eguale forza!" –Analizzò, prima di voltarsi e trovarsi di fronte il quarto, ed ultimo, guerriero di Tirinto, la cui stazza, robustezza e possanza superavano quelle dei compagni.
"Ruggito dell’Orso Bruno!!!" –Tuonò il muscoloso seguace di Eracle, investendo l’invasore con una devastante corrente di energia, simile alla zampata di un gigantesco plantigrado, che lo scaraventò in alto, senza impensierirlo minimamente. Con un agile colpo di reni, la sagoma tenebrosa si lasciò trascinare dalla tempesta, per poi atterrare stabile sulle proprie gambe, attorno alle quali già avvampavano strati di cosmo oscuro che, ad un comando del loro padrone, penetrarono nel terreno, scivolando verso l’indifeso guerriero.
"Addio." –Si limitò a commentare la cupa figura, mentre il suolo esplodeva sotto i piedi di Nestore dell’Orso, scagliandolo in aria e martoriandone il corpo con migliaia di strali energetici, fino a precipitarlo a pochi metri dai compagni feriti. –"E ora… Ne manca solo uno!" –Rifletté, voltandosi verso la cima dell’Etna, contro cui si stagliava una ferma sagoma corazzata, con una clava in mano e lo sguardo fisso su di lui. –"Bentrovato figlio di Zeus! Sei risorto giusto in tempo per morire di nuovo! Sarà un onore confrontarmi con te, che così tante storie, leggende e canti hai ispirato! Sarò lieto di contribuire alla diffusione del mito, o forse dovrei dire alla demolizione dello stesso! Peccato che nessun aedo sopravvivrà per cantare le tue gesta!"
"Chi sei?" –Chiese soltanto il figlio di Zeus, che non riusciva a ritrovare in quell’orrida forma nessun aspetto degli Dei che aveva conosciuto tempo addietro.
"Mi hanno chiamato in molti modi, sebbene gli uomini preferissero non avere a che fare con me! A differenza degli Dei gemelli, io non sono mai stato portatore di luce!" –Chiosò la tetra figura, avanzando verso Eracle, mentre attorno a sé si espandeva il suo mortifero cosmo oscuro, simile ad un mantello che lesto si affrettò a ricoprire l’intero versante orientale del vulcano. –"Nacqui Nyx, prima figlia di Caos, che fu mia madre e consorte, con cui concepii Etera e Emere! Io sono l’Oscurità Primordiale, il buio profondo degli abissi infernali! Io sono il Primo Dio procreato, il Tenebroso Progenitore che risponde al nome di Erebo!"
"Dovrei esserne impressionato?!" –Ironizzò Eracle, cercando di nascondere il nervosismo che invece, agli occhi di Erebo, appariva sempre più palese, tanto più si avvicinava a lui, tanto più l’alito nero pareva lambirlo. –"A cuccia, bestia!" –Tuonò, muovendo la clava di lato, generando al qual tempo un’onda di energia lucente che si abbatté su Erebo. O, quantomeno, così il figlio di Zeus avrebbe voluto.
Gli bastò sollevare un braccio, alla Tenebra Ancestrale, per parare l’affondo nemico, lasciando che si disperdesse sul palmo della propria mano, per poi chiuderla e stringere le dita, liberando al qual tempo un’esplosione di energia che sradicò Eracle dal terreno, scagliandolo in alto e facendogli persino perdere la presa sulla clava.
"Al pari dei tuoi guerrieri, barbari privi di raziocinio, sei stolto!" –Si limitò a commentare Erebo, sollevando il braccio destro al cielo, attorno al quale turbinava il proprio cosmo oscuro, che assunse presto forma di affilati strali di energia. –"E per primo morirai, Eracle! Danza di daghe!!!"
La pioggia di dardi oscuri si abbatté sul Protettore degli Uomini da ogni direzione e per quanto egli cercasse di evitarla, dimenandosi o contrattaccando con pugni di energia, venne comunque raggiunto e ferito, sia pur in quantità minore rispetto agli Heroes. Infuriato per la loro sorte, cui stava cercando di non pensare per non lasciarsi distrarre dai sentimenti, decise di rispondere all’offensiva di Erebo, con un attacco ad ampio raggio che potesse disperdere quel profluvio di daghe nere.
"Fede negli uomini!!!" –Gridò, liberando il colpo che aveva insegnato ai Comandanti delle sue Legioni e che, a modo loro, sia Iro che Alcione, Marcantonio e Nestore avevano fatto proprio.
La tempesta energetica travolse quella miriade di strali oscuri, disperdendone alcuni, ma bastò un gesto di Erebo, un semplice movimento del suo braccio, affinché quegli stessi dardi si ponessero di fronte a sé, a formare una fitta muraglia di tenebra contro cui l’assalto di Eracle si esaurì, strappando una smorfia di disappunto al figlio di Zeus. Sogghignando, il Nume primordiale mosse di colpo l’arto destro, rinvigorendo la Danza di Daghe e scagliandola contro l’avversario in linea diretta.
"Maledetto!" –Ringhiò Eracle, spostandosi di lato, nel disperato tentativo di evitarla, ma venne comunque trafitto in più punti, perdendo l’equilibrio e ruzzolando sul pendio accidentato, di fronte allo sguardo divertito di Erebo, sempre più inebriato da quello scontro che, dall’odore di cosmi che poteva avvertire a breve distanza, si prospettava a dir poco grandioso.
Volgendo lo sguardo verso la vetta, il Nume Ancestrale notò un leggero filo di fumo uscire dalla bocca, e allora si ricordò che stavano combattendo sulle pendici di un vulcano ancora in attività. Torse le labbra nere in un ghigno mellifluo, dicendo a se stesso che avrebbe fatto il possibile per favorire l’ultima eruzione dell’Etna, la più spettacolare di tutte. Oh sì, doveva esserlo, in modo che persino Nyx avrebbe potuto ammirarla da lontano! Un tripudio di lava, terra e corpi smembrati dei suoi avversari! Sghignazzò fiero, prima di riportare lo sguardo sul figlio di Zeus e caricare ancora.
***
Non appena esplose il cosmo di Erebo, all’interno del vulcano Efesto ed Ermes trasalirono, scambiandosi un’occhiata allarmata. Anche Pegasus lo avvertì, come avvertì il rapido succedersi della battaglia, l’avvampare e lo spegnersi dei cosmi di coloro che avrebbero dovuto difenderli dall’avvento delle tenebre. Persino il Sommo Eracle, la cui vigorosa aura aveva ricordato a Pegasus quella di Zeus, quando l’aveva percepita per la prima volta alla Torre del Fulmine, pareva vacillare.
"Chi può tanto?!" –Si chiese il ragazzo, percependo quanta oscurità si ammassasse in quell’avversario appena giunto sull’Etna.
Fu il tocco gentile di Ermes a risvegliarlo dai suoi pensieri, tocco che anticipò una voce concitata. –"Vattene, Pegasus! Va’ via, ora!!!"
"Divino Ermes… ma… questo cosmo oscuro? È molto simile a quello di Nyx, ma, se possibile, ancora più tenebroso!"
Ermes annuì, mentre anche Efesto lo affiancava, consapevoli entrambi che soltanto un’entità poteva possedere un’aura così mortifera e cupa. Di ancestrale lignaggio, fratello della Notte e generatore dei fratelli di luce. Poteva essere soltanto lui, il cui nome col tempo era passato a indicare il Tartaro più profondo, ove nessuna forma di luce mai era giunta. Un luogo di pura oscurità.
"Erebo..." –Mormorò Ermes, inghiottendo a fatica, e il solo pronunciare quel nome gli costò una fitta al costato, che quasi lo fece vomitare sangue.
"Messaggero Olimpico…" –Tentò di intervenire Pegasus, mentre già la robusta mano di Efesto si posava sul pettorale della sua armatura divina, rinnovandogli l’invito ad andarsene.
"Egli non è nemico alla tua portata, Cavaliere! Né lo sarebbe se tu avessi la corazza forgiata col sangue di Zeus o di tutti gli Olimpi, poiché nessuna Divinità è in grado di tenergli testa!"
"A maggior ragione voglio restare e combattere al vostro fianco! Non potrei mai abbandonarvi in quest’ora buia! Già Avalon, sulla Luna, mi disse di andarmene, che avrebbe affrontato Nyx da solo! Ma io non lascerò mai un amico da solo!"
"Ciò ti fa onore, Cavaliere, ma non ha senso morire tutti qua!" –Lo rassicurò Ermes con ritrovata calma nella voce. –"Devi salvarti! Se la profezia di Avalon è corretta, e non ho motivo di paventare il contrario, sei la luce che illuminerà l’ora più buia della Terra! Sei la speranza di tutti noi, uomini e Dei!"
Proprio in quel momento una gigantesca esplosione scosse l’intera superficie del vulcano, aprendo uno squarcio sul versante orientale, da cui una tenue luce iniziò a filtrare poco dopo, rischiarando la fucina sotterranea. Ermes, Efesto e Pegasus, sbalzati a terra dalla detonazione improvvisa, si rialzarono giusto il tempo per osservare una sagoma avvicinarsi barcollando.
I rosacei capelli bruciati in più punti, il volto fiero ridotto ad una maschera di sangue, l’armatura e le sue stessi vesti ustionate, distrutte, martoriate fino alle ossa, che tetre sporgevano dal fisico un tempo atletico. Il glorioso Agamennone, che aveva un tempo lottato contro il Vento del Nord sulla cima di Larissa, pareva essere stato scuoiato da un branco di licaoni affamati.
"Mi… dispiace…" –Mormorò, usando le ultime stille del proprio cosmo. –"Abbiamo provato a fermarlo. Abbiamo… fallito! Non siamo degni del titolo… di eroi…" –Pianse il fedele di Eracle, crollando sulle ginocchia, lo sguardo perso ormai in un passato di epici ricordi, cui si aggrappò mentre la vita lo abbandonava.
Pegasus si mosse per sorreggerlo, ma in quel momento una lama di cosmo nero spuntò dal ventre del guerriero, trapassato e poi sollevato con estrema facilità da una figura alta e snella, rivestita da un’aura venefica.
"Di niente sei degno, gattino spelacchiato, solo di morire!" –Commentò con disprezzo il nuovo giunto, muovendo il braccio e scagliando il cadavere di Agamennone dentro la fornace accesa, ghignando compiaciuto quando prese fuoco. –"Ho sempre adorato l’odore di carne arrostita!"
"Lurido bastardooo!!!" –Avvampò Pegasus, mentre già una sfera di luce circondava il proprio pugno destro, ma prima che potesse scagliarsi contro di lui venne afferrato dall’algida presa di Ermes, che lo fissò negli occhi, intimandolo di non commettere sciocchezze.
"Rimani lucido!"
"Ahu ahu ahu! Lascialo correre, buon vecchio Ermes! Lascia che il cavalluccio di Atena spalanchi le ali e si getti incontro alla morte! Sarò ben lieto di abbracciarlo!" –Rise il Nume ancestrale, permettendo a Pegasus, in quel momento di relativa calma, di osservarlo con attenzione, attratto e al tempo stesso disgustato da una figura mai incrociata prima.
Alto e agile, sembrava avere il fisico di un uomo atletico, sebbene ben poco di umano trasudasse dal suo corpo. Se avesse dovuto azzardare un’ipotesi, a Pegasus sembrò di trovarsi di fronte un’ombra, come quelle che avevano affrontato quando Flegias le aveva evocate tramite l’antica maestria, ma corazzata, rivestita di una lucida armatura nera, a tratti trasparente, dentro cui parevano muoversi sagome evanescenti. Era una protezione pressoché integrale, ma molto leggera a vedersi, che gli permetteva di flettere gli arti con naturalezza, quasi fosse cresciuta sulla sua stessa pelle. Di essa, Pegasus non seppe dire alcunché, in quanto non vi erano zone scoperte del suo corpo, neppure il volto, riparato da un elmo a maschera che lasciava libera solo una parte attorno agli occhi. Rossi, come quelli di Flegias e come le braci sopra cui ardeva il corpo lacerato di Agamennone. L’unica nota di colore in quella tenebra infinita.
"Ammiri i miei occhi, Cavaliere di Pegasus? Di ben raro colore sono, nevvero?" –Rise Erebo, spiegandone l’origine. –"Un vezzo che mi sono concesso! Ho giurato a me stesso che, fintantoché luce avesse continuato ad esistere e ad emettere calore di speranza, non sarei divenuto completamente nero, a ricordarmi il motivo per cui lottare ancora! Soltanto quando l’ultimo baluginio sarà stato spento, assurgerò ad essere ciò per cui sono nato, la più completa tenebra ancestrale!"
"Sei folle!!!" –Ringhiò Pegasus, cui il Nume rispose con una risata sprezzante.
"Tutt’altro! Ogni mio passo è mosso da un calcolo preciso, Cavaliere di Atena! Mai Erebo si muove se non per un fine inequivocabile! Per questo sono giunto fin qua, nella fucina degli Olimpi, per togliervi ogni possibilità di armarvi e difendervi! Oltre alla forza bruta, che di certo non mi manca, come Eracle e i suoi accoliti potrebbero testimoniare, se respirassero ancora, ci vuole anche strategia in guerra! Non credi?"
"Quello che credo è che devi sparire!" –Avvampò il paladino di Atena, scattando avanti e rivolgendogli il pugno teso, mentre migliaia di lampi celesti esplodevano di fronte a sé, saettando sul nemico alla velocità della luce. –"Fulmine di Pegasus!!!"
"Yawn!!!" –Sbadigliò annoiato la Tenebra Infernale, limitandosi a spostarsi di lato, mentre i pugni del ragazzo sforacchiavano la parete alle sue spalle.
Che… cosa?! Si è mosso ad una velocità elevatissima! Neppure gli Olimpi o Odino si spostavano così rapidamente! Rifletté Pegasus, senza comunque scoraggiarsi. Non era certo il primo nemico che riusciva ad evitare il suo colpo segreto e che poi ne veniva sconfitto, con l’espandersi del suo cosmo. Si voltò per ritentare l’attacco, ma vide che Erebo, ignorandolo, era già andato oltre.
Con un balzo aveva raggiunto Ermes, colpendolo con un pugno in pieno stomaco e facendolo piegare sul suo braccio, mentre artigli di tenebra si allungavano dalla sua stessa corazza trapassandolo allo sterno e facendogli sputare sangue. Ancora non pago, Erebo lo scosse come fosse un cencio, sbattendolo a terra e calpestandolo con il tacco della sua corazza, mentre Efesto, poco distante, già bruciava il proprio cosmo.
"Lava incandescente!!!" –Tuonò il figlio di Zeus, portando avanti le braccia e dirigendo contro di lui getti di magma ardente, che il Nume ancestrale fu lesto ad evitare, balzando indietro, poi in alto e ancora più in alto, dandosi slancio sulle sporgenze della caverna e sulle attrezzature della fucina, fino a ritrovarsi a camminare a testa in giù sul soffitto, rivolgendo al fabbro il più bastardo dei suoi ghigni.
"Crepa, gobbo!" –Lo derise, puntandogli contro l’indice destro, da cui un lampo nero scaturì all’istante, concretizzandosi in una selva di dardi che piovve contro di lui. Stanco e rallentato, il Nume Olimpico non riuscì a muoversi, poté solo sollevare una muraglia di lava a sua difesa, che venne crivellata all’istante.
Fu allora che Pegasus caricò di nuovo, infastidito perché Erebo pareva ignorarlo e concentrare sui due Dei i suoi attacchi. –"Fulmine di Pegasus!!!" –Gridò di nuovo, scattando avanti con il braccio destro teso. Ma bastò che la Prima Tenebra volgesse lo sguardo su di lui, fissandolo tenacemente con i suoi occhi rossi, che la sua corsa si infiacchisse ed egli crollasse a terra, travolto da un improvviso senso di nausea.
"Che… diavolo succede? Che mi stai facendo, vigliacco?!"
"Niente! Ti sto solo mostrando quanto vasta e profonda sia l’oscurità su cui impero, Cavaliere! Se hai sempre creduto che il buio fosse soltanto quella parte della giornata successiva al tramonto, allora sarò lieto di demolire i tuoi sogni adolescenziali! Ahu ahu ahu! La vera tenebra è infinita!!!" –Gridò, piombando su di lui, le dita della mano allungate a guisa di lame oscure, piantandole nello schienale dell’armatura del Cavaliere, proprio dove erano affisse le ali celesti, e strappandogli un grido di dolore. –"È uno spazio abissale che si estende dove la luce fatica ad arrivare, un regno persino più oscuro e periglioso del Tartaro, un’agonia immensa di forme indistinte! Presto ti ci precipiterò, così mi ringrazierai per averti aperto le sue porte! E con te vi confinerò tutti coloro che ancora tentano di resistere all’avvento delle tenebre!"
"Ma… Mai!!!" –Strinse i denti Pegasus, espandendo il proprio cosmo azzurro, che stupì persino Erebo da quanto fosse vasto per essere quello di un comune mortale. Spalancò di scatto le ali della corazza, liberandosi dalla presa del Nume, servendosene per sollevarsi eretto, già con il pugno ricolmo di energia cosmica. –"Assaggia la mia luce!!!"
"Divertente!" –Sibilò Erebo, aprendo il palmo della mano, su cui l’affondo di Pegasus impattò, così rimanendo per qualche istante, il primo avvolto nel suo tetro cosmo venefico, la cui sola vicinanza era fonte di spasimi e infiacchimento per il Cavaliere, che continuò comunque a rigettare tutta la propria energia in quel pugno, fino all’ultima stilla che fosse stato in grado di generare. –"Ma inutile!" –Commentò il compagno di Nyx, mentre la tenebrosa aura circondava il braccio del ragazzo, risalendo a spirale verso il suo volto, logorando le sue forze e le sue difese.
Con orrore, Pegasus vide l’armatura riparata da Efesto mesi addietro creparsi e poi andare in frantumi, mentre le schegge di oricalco venivano letteralmente vaporizzate da quell’alito mortifero. La sua stessa pelle bruciò, costringendolo ad urlare, mentre macchie nere iniziavano a costellargli il braccio, le unghie si sfaldavano e le ossa parevano cigolare, senza che egli potesse fare alcunché, bloccato sul posto dalla volontà di Erebo, deciso ormai a disintegrarlo del tutto.
Fu Ermes a spezzare la concentrazione del Nume ancestrale, evocando la magica bacchetta di cui era custode e puntandola contro di lui.
"Caduceo!!!" –Gridò, liberando un raggio di energia celeste che investì Erebo su un fianco, senza provocargli danno alcuno, solo una sottile e sorpresa risata.
"Ancora vivo, Messaggero?! Beh, potrebbe non essere un male. Potrei inviarti sull’Olimpo, dal tuo padrone, zoppo e cieco e con una collana di teste decorative attorno al collo, in modo che anch’egli abbia chiaro quale sorte infausta attende chi la Tenebra Ancestrale decide di sfidare!" –Declamò, muovendo il braccio destro verso di lui, scatenando un’onda di pura energia. –"Perché contro l’ombra sorgente non vi è vittoria! Solo una notte infinita!!!"
Ermes fu svelto a balzare in alto, venendo soltanto sfiorato dall’assalto, proprio mentre colonne di magma ardente sorgevano attorno ai piedi di Erebo, allungandosi verso il soffitto e poi convergendo tutte su di lui, intrappolato in quell’improvvisa prigione che Efesto, apparso alle sue spalle, aveva appena sollevato. Fu con una gran risata che il Nume ancestrale fece esplodere il suo cosmo, disintegrando quell’effimera gabbia di magma e scaraventando Pegasus, Efesto e persino Ermes, ancora in volo, molti metri addietro, contro le pareti della caverna, mentre l’intero vulcano tremava, scosso in profondità, così vicino al nucleo.
Nonostante l’armatura danneggiata e le ferite aperte, il Messaggero di Zeus tentò di rimettersi in piedi, annaspando al suolo alla ricerca del Caduceo. Fu uno scricchiolio sinistro che gliene indicò la posizione, costringendolo a voltarsi proprio mentre Erebo, avvicinatosi, ne completava la distruzione, spezzandolo in due sotto il suo tacco. Con l’altra gamba, intanto, stava già per colpire Ermes in pieno volto, quando il Dio riuscì a sollevarsi, incrociando le braccia davanti a sé e parando in parte l’affondo.
"La legge sovrana di ogni cosa, mortale e immortale, guida facendola giusta l'azione più violenta con mano suprema!" –Commentò Erebo, citando un poeta greco. –"E mia è la mano suprema, mia l’azione più violenta!" –Aggiunse, scaraventando Ermes contro i tavoli da lavoro della fucina.
"Ehi, occhietti rossi!" –Lo chiamò allora Pegasus che, a fatica, si era rimesso in piedi, tenendosi l’arto massacrato con l’altro braccio.
"Cavaliere di Atena, ancora vivo? Tanta resistenza mi sorprende! Hai del potenziale! Peccato che non vivrai abbastanza per vedere quanto posso espandersi!" –Sghignazzò, sollevando il braccio destro, attorno al quale spirali di cosmo oscuro subito si agitarono, assumendo la forma di daghe nere. –"Danza di…"
"No!!!" –Tuonò allora una quarta voce, mentre una robusta figura compariva alle spalle di Erebo, chiudendogli le braccia in un’algida stretta avvolta dal suo cosmo incandescente.
"Eracle!!!" –Lo riconobbe Pegasus, sebbene del magnifico splendore sfoderato poche ore prima non avesse più niente.
L’armatura danneggiata, il volto livido e tumefatto, il peso sul cuore per la sorte dei suoi Heroes. Ciononostante il Vindice dell’Onestà aveva ancora la forza di lottare e di gridare al Cavaliere di Atena di mettersi in salvo.
"Molte volte la Dea della Guerra Giusta mi ha aiutato, in passato, anche due secoli fa! Permettimi di ricambiarle il favore! Vattene, ragazzo!!!"
"Una domanda soltanto, mio nerboruto amico!" –Ironizzò Erebo, iniziando a bruciare il proprio cosmo. –"In quale altro posto dovrebbe andare, quel moribondo Cavaliere, a parte il profondo Tartaro ove mi confinerò tutti? Quantomeno quel che rimarrà dei vostri sbriciolati corpi!!!" –Gridò, liberando una devastante onda di cosmo oscuro che travolse il figlio di Zeus, Pegasus e gli altri due Olimpi, scagliandoli di nuovo contro le pareti della fucina sotterranea. Ma quella volta, non contento, Erebo aumentò l’intensità dell’assalto, pressando sempre più i corpi degli sventurati nemici nella terra e nella roccia, sfondandola e scaraventandoli fuori dall’Etna, lungo quei devastati pendii ove già aveva massacrato gli Heroes. E dove adesso avrebbe strappato loro la vita. –"E tu, Cavaliere di Atena, sarai il primo a spegnerti!" –Sibilò, apparendo sopra Pegasus e calando la mano carica di cosmo su di lui.