CAPITOLO QUARANTESIMO: I PROGENITORI.

Avalon attendeva in cima all’isola sacra, a pochi passi dal pozzo alle cui fresche acque si era rivolto quando aveva necessità di sapere. Quella sera vi avrebbe attinto per un altro motivo.

Sospirò, mentre la brezza notturna gli solleticava le vesti argentee, fischiando tra gli antichi megaliti che ornavano la superficie del più alto colle di Avalon, inebriandolo di un’energia che solo in quel luogo poteva trovare. Un’energia che adesso avrebbe condiviso con coloro che potevano salvare la Terra. Aveva lasciato Asgard e gli altri membri dell’alleanza neppure un’ora prima, si era tolto l’armatura ed era tornato a vestire i suoi soliti abiti, quelli che avevano accompagnato il suo cammino e la continua ricerca di sempre maggiore conoscenza, prima come novizio poi come druido, sotto l’attento sguardo dell’Antico. Era stata una vita lunga, durata migliaia di anni, in vista dell’obiettivo finale; una vita in cui la fiducia nel genere umano era stata progressivamente erosa, al punto da far dubitare, a qualcuno dei suoi fratelli, sulle loro reali possibilità di successo. Pur tuttavia, di una cosa Avalon era stato sicuro, una certezza non l’aveva mai lasciato. La speranza di un futuro. Quella che il Primo Saggio un giorno aveva definito come fede.

Ricordava ancora una conversazione avuta con il suo mentore poco prima che il varco tra i mondi si aprisse e Anhar lo ferisse a morte. Erano seduti proprio lì, al centro del nemeton, i volti rischiarati dalla luce della luna, che quella notte aveva brillato vivida come mai. Forse l’ultimo bagliore prima di spegnersi? Sospirò Avalon, che aveva percepito, poche ore prima, la scomparsa del cosmo di Selene.

"Cos’è la fede?" –Gli aveva chiesto l’Antico quella notte. –"Cos’è, davvero, se non il desiderio di credere? Il desiderio di sperare che esista qualcosa che vada oltre! Oltre le nostre vite, oltre le nostre realtà quotidiane, oltre la materialistica e presuntuosa concezione di un qui e ora! Qualcosa destinato a durare per sempre e che ha animato lo spirito di milioni di persone, forse miliardi, nel corso di millenni, le ha portate ad innalzarsi a livelli gloriosi o a inabissarsi in comportamenti meschini, le ha spinte ad agire, a lottare, a farsi la guerra tra di loro per una striscia di terra, la reliquia di un santo o per accaparrarsi una miniera d’oro e infine le ha portate a ricercare dentro sé una spiegazione per tutti quei turbamenti che avevano divorato il loro animo. Quel qualcosa è la fede, la stessa che anima i cuori puri di chi combatte, come noi, la stessa che ha spinto cinque orfani a ribellarsi al destino di solitudine e sofferenza che avrebbe dovuto dominare le loro vite e a lottare per un mondo migliore, uniti da un vincolo che mai hanno disonorato. L’amicizia. Un vincolo che mai come adesso sarà messo a dura prova! Lo so bene, poiché anch’io, un tempo lontano, avevo degli amici e con loro ho vissuto, lottato e poi li ho visti morire, uno ad uno. Non rimpiangerò affatto il momento in cui li ritroverò."

Il suono leggero di passi che frusciavano sull’erba rubò Avalon ai ricordi, facendolo voltare giusto in tempo per vedere coloro che attendeva entrare all’interno del cerchio di pietre, mentre la fioca luce delle torce che aveva acceso rischiarava i loro visi stanchi dalle battaglie sostenute in quell’interminabile giornata.

"Siate i benvenuti, Cavalieri di Atena! Possa questo nemeton essere per voi fonte di serenità e le mie parole un lenitivo ai vostri affanni!" –Esclamò, rivolto ai cinque compagni che si erano infine riuniti, su sua specifica richiesta.

"Nemeton?!" –Domandò Pegasus, cui subito rispose la voce di Andromeda, che aveva riconosciuto l’origine di quel termine.

"Deriva dal gaelico, Nemed, e significa sacro!"

A quelle parole Avalon annuì compiaciuto, invitando i Cavalieri dello Zodiaco a mettersi comodi, sedendo sull’erba e togliendosi le armature, di modo che potesse curare le loro ferite. Osservò i loro volti, cresciuti e ben diversi dai ragazzetti che, solo un paio d’anni prima, si erano presi a pugni su un ring, contendendosi uno scrigno d’oro. Vide le loro ferite, le rughe di ansia e stanchezza, ma anche la luce di fermezza che brillava al centro dei loro occhi, nel profondo del cuore.

Pegasus, in ansia per Atena e per sua sorella, era stato infettato al braccio destro dal cosmo oscuro di Erebo, per cui avrebbe necessitato di attenzioni maggiori, per quanto il Signore dell’Isola Sacra fosse certo che, quand’anche ne avesse perso l’uso, avrebbe continuato a combattere, con l’altro braccio, con le gambe, anche solo con un dito. Sorrise, infondendogli la luce degli Angeli, prima di passare ai suoi compagni.

Sirio, appena rientrato dall’Avaiki del Mar dei Coralli, aveva affrontato Tiamat, un servitore di Forco il cui cosmo, da quel che stava raccontando, pareva potenziato da una qualche oscura entità cui aveva giurato fedeltà. Riflettendo preoccupato, Avalon si chiese perché Caos lo avesse irrorato di una simile potenza, di certo non soltanto per vendicarsi di Ascanio. O sperava, così facendo, di arrivare a lui? Non seppe rispondersi, dedicandosi poi alle ferite di Cristal.

Il Cigno aveva lottato strenuamente, all’ingresso della Valle di Cristallo, per impedire a Erebo di raggiungere la fortezza di Asgard e raderla al suolo, possibilità di fatto concreta, dato che neppure Alexer era riuscito a tenerne a bada la furia. E, da quel che il fratello gli aveva spiegato, era persino plausibile che il Tenebroso non si fosse sforzato troppo, non ritenendo necessario mettere in campo tutte le proprie energie per aver ragione di Dei minori e dei loro Cavalieri.

Per ultimi Avalon curò Andromeda e Phoenix, che raccontarono agli amici quel che era avvenuto a Themyskira, l’inganno di Ate e l’imprevisto aiuto ricevuto dal Signore dell’Oltretomba, che fece strabuzzare gli occhi a Pegasus, essendo ancora nitido il tocco gelido della sua spada nera. D’istinto il ragazzo si toccò il petto, proprio sotto il cuore, dove Ade lo aveva infilzato nell’Elisio, sentendosi nudo e inerme al solo peso di quel ricordo. Ricordo che gli era tornato alla mente sulla Luna, quando aveva per la prima volta percepito l’oscurità della Notte.

"Non hai niente da temere dalle ombre, Cavaliere di Pegasus!" –Lo rincuorò allora Avalon. –"Per quel che so, per quel che ho visto di te, le hai sempre affrontate a testa alta, cacciandole indietro, nel vuoto in cui meritano di perdersi! Quante volte in fondo hai varcato il confine tra la vita e la morte? Quante volte hai respirato l’aria fetida della Bocca di Ade, che avrebbe voluto accoglierti nelle sue profondità? Oh, avresti dovuto vederti, come scalciavi quel giorno, dopo che la spada del Signore degli Inferi ti aveva colpito, scalciavi e invocavi il nome di Atena e dei tuoi amici, ancore di salvezza a cui ti aggrappasti per non precipitare in un oceano di disperazione!"

"Voi… sapete?!" –Mormorò Pegasus, che di quel momento non aveva più ricordi. In base a ciò che Atena gli aveva raccontato, quando erano rientrati dall’Elisio la Dea lo aveva alloggiato nelle sue stanze, curando la ferita con il proprio cosmo e rimanendo per giorni al suo capezzale, senza mai allontanarsi, senza bere o mangiare, consumando la sua energia divina per salvare colui che aveva dato tutto per proteggere gli uomini. Poi, una mattina, il ragazzo si era svegliato, con la ferita rimarginata e lo sguardo pieno di vita che aveva sempre ritrovato nei suoi occhi, lamentando un gran mal di testa e una fame da lupi. Tutti avevano riso, persino Phoenix, aiutando l’amico a rimettersi in piedi e portandolo fuori, per fargli respirare un po’ d’aria fresca. Era stato allora, vedendoli felici e finalmente liberi da ogni obbligo di lottare, che Atena aveva deciso di non farli più combattere, offrendo loro la Pozione della Dimenticanza e la possibilità di avere una vita.

"Siete… stato voi?!" –Comprese infine Pegasus, prima ancora dei compagni. –"Voi mi avete salvato? Io… ricordo questo posto…" –Esclamò, alzandosi in piedi di scatto e guardandosi attorno, la mente travolta da indistinti lampi di ricordi. –"L’erba sotto i piedi, il vento mugghiare… e questi enormi pezzi di roccia… io… ci sono già stato?!"

Avalon annuì, accennando un sorriso, prima di confessare la verità.

"Il cosmo di Atena, per quanto puro e pieno d’amore, era fiaccato dalla prigionia nel Vaso di Hypnos e dallo scontro con Ade e una ferita di quel genere, ad opera di un manufatto divino, era troppo anche per lei! Saresti morto o sarebbe morta lei per salvarti. Così abbandonai l’Isola Sacra, apparendo alla Tredicesima Casa, avvolgendola in nebbie così fitte da celare la mia presenza e da precipitare tutti i presenti in un sonno profondo. Ti sollevai e ti portai qua, ai piedi del Pozzo Sacro, con le cui acque ti curai, cacciando via la maledizione della Spada di Ade. Ti curai, come non ebbi modo di fare con il mio allievo, come scelsi di non fare con il mio allievo, rispettando la sua decisione di morire al termine di una vita intensamente vissuta. Ma non potevo ripetere lo stesso errore, non potevo sacrificare la vita di chi avrebbe potuto guidare gli uomini verso la loro salvezza, non con l’apertura del varco tra i mondi così prossima. Perché a questo sei destinato, tu che sei l’erede del mio discepolo, a questo siete destinati tutti voi, Cavalieri dello Zodiaco!"

"Avalon… io… Non ho parole per ringraziarvi…" –Esclamò il paladino di Atena, commosso e imbarazzato, ma l’Arconte Supremo lo pregò di mettere da parte la gratitudine e tornare a sedersi, che ancora doveva terminare di curarli. Con placida calma passò in mezzo a loro, le lunghe vesti che parevano non sfiorare neppure l’erba tanto leggeri e aggraziati erano i suoi movimenti, applicando impacchi di foglie sulle ferite aperte, accarezzando le fronti ancora calde e donando loro momentaneo ristoro. Quindi, quando giudicò terminate le cure esteriori, offrì loro un mestolo colmo d’acqua, che aveva appena riempito nel Pozzo Sacro, il cuore di Avalon.

"Ci onori di un grande dono, Signore dell’Isola Sacra!" –Commentò Andromeda, sorseggiando quel liquido dal retrogusto ferruginoso.

"Un onore che avete meritato, Cavalieri della Speranza!" –Sorrise Avalon. –"Bevete, vi prego! Nutritevi delle acque del Pozzo Sacro! In nessun’altro luogo della Terra troverete una sorgente dotata di tali mirabolanti poteri! Ciò è dovuto alla posizione dell’Isola Sacra, situata lungo una delle principali Ley Lines che solcano il pianeta, una linea di potenza in grado di catalizzare le energie naturali che la percorrono, permettendo ai fedeli di trovarvi eterno ristoro. Le acque di questo pozzo, costruito all’epoca dei primi insediamenti druidici, provengono da un complesso sistema idrotermale che scorre dentro la collina, estendendosi per molte miglia sotto il Tor e la vicina Glastonbury, sgorgando in una pozza che i cristiani chiamarono Chalice Well! Là i membri della Legione Nascosta di Zeus erano soliti recarsi, per rinvigorire le forze e conservarsi così per la guerra in cui il Signore dell’Olimpo li avrebbe chiamati a combattere! Anche Ascanio vi si immergeva spesso, restandovi per ore, assaporando quell’energia così potente, così antica, in grado di stimolare la mente più fervida e aiutarla a raggiungere il Formhothú!"

"Formhothú?!" –Ripeté Cristal.

"È quel che ricerca un iniziato ad Avalon! Una sensazione ulteriore che va oltre l’esistenza, una percezione oltre i limiti del corpo e della mente. Qualcosa che anche voi avete ricercato, scoprendolo per gradi nel corso della vostra vita, delle battaglie e delle esperienze maturate in questi anni! Prima è venuta la scoperta del cosmo, l’ampliamento dei sensi naturali, il Settimo Senso, elementi che distinguono un Cavaliere in battaglia! Poi siete andati oltre, scendendo vivi all’Inferno e adesso elevandovi al rango di Divinità! È questo che maggiormente temono i Progenitori! L’ho sentita, la vibrazione di dubbio nel cosmo di Erebo, ad Asgard! Egli sa quel che potrebbe accadere; certo, non lo ammetterà mai ma la possibilità che ciò avvenga è reale!"


"Avvenga che cosa?!"

"La loro sconfitta."

"È possibile? È davvero possibile vincere Erebo, Nyx e…?!"

"I gemelli lucenti. Etere e Emera!" –Completò Pegasus, l’unico, tra i cinque amici, ad averli incontrati tutti.

"Proprio loro." –Chiarì Avalon, raccontandone la storia. –"Essi sono i Primi Nati, i prōtógonoi, da cui tutti gli Dei discendono! Rappresentano la Prima Generazione cosmica, nata dal Caos agli albori del Mondo Antico, un’epoca così lontana che nessuno riesce a immaginarla! Si narra, in cronache antiche, che Caos generò la Notte, sotto forma di uccello nero, ed ella, da sola, per partenogenesi, generò Erebo, a cui si unì per dare vita a Etere e Emera Léohtbora, i Portatori di Luce. Dei quattro, Erebo è quello che maggiormente dovete temere, il più spietato, violento e furioso, e anche il più frustrato! A differenza di Nyx, la Notte del mondo, egli racchiude in sé l’oscurità degli inferi, la tetra desolazione che sta dopo la fine di tutto, e che adesso vuole riversare sulla Terra, donando agli uomini un assaggio dello sconfinato abisso di tenebra che li accoglierà dopo aver detto addio alla vita! Etere, al contrario, è ben più controllato ma non per questo meno temibile, è la parte più alta del cielo, la luce più pura, per gli uomini un miraggio lontano, un sogno fatuo, mentre la sorella Emera rappresenta la luce del giorno. Loro furono i primi dominatori del mondo, coloro che al mondo regalarono la luce e l’ombra, il giorno e la notte. Loro fondarono l’equilibrio su cui millenni di storia si sono retti, in una perfetta alternanza tra l’uno e l’altra. E furono i primi a cadere quando i Sette Saggi si ribellarono al loro creatore, che ne assorbì le energie, venendo confinati anch’essi nell’intermundi."

"Se Caos li ha sacrificati, perché sono tornati per aiutarlo? Perché non schierarsi contro di lui?" –Domandò allora Cristal, cui l’Angelo rispose con un sorriso stanco.

"Perché tu non conosci i poteri di Caos, la sua infinita potenza! Lui ha generato il mondo, creando gli Dei ed essi, in quanto figli suoi, sono tenuti a rispondergli, è nella loro natura! Se anche volessero rivoltarsi contro di lui, e sarebbe un’idea inconcepibile, non riuscirebbero mai a farlo. Dopo millenni trascorsi assieme, avvolti nella stessa oscurità primordiale, i Progenitori sono intrisi dell’ancestrale potere di Caos, sono gocce dello stesso Caos! Così come in ogni essere vivente vi è una parte dei genitori, qualcosa che lo contraddistingue e lo rende loro figlio, a maggior ragione quel legame esiste tra coloro che edificarono il mondo!"

"Eppure è strano…" –Commentò Pegasus. –"Ho percepito i cosmi di Emera e Etere, ad Atene. Erano infiniti, certamente, un bagliore universale che nessun tramonto avrebbe mai potuto avvilire, eppure non erano… non so come spiegarlo… cattivi. Di certo non ostili quanto quelli di Nyx e di Erebo!"

"Non hai prestato ascolto alle mie parole durante l’assemblea nell’arena, Cavaliere?" –Spiegò Avalon. –"La luce e l’ombra sono due lati della stessa medaglia, due parti dello stesso tutto, completandosi a vicenda di modo che nessuna delle due possa esistere senza l’altra! Anzi, nessuna delle due può essere definita in assenza dell’altra! Questo regge l’equilibrio del mondo, il cui funzionamento è garantito dalla loro alternanza. Pensate alle Guerre Sacre: in una misura molto più ridotta, sono dominate dallo stesso principio ciclico. L’ombra non può essere sconfitta per sempre, ma a tempi alterni ritorna per cercare di dominare la luce. Così è sempre avvenuto, in tutte le culture, così avviene adesso, con una sostanziale ma radicale differenza. Che questa guerra che stiamo combattendo non è condotta per dominare, bensì per ricreare. Questo è lo scopo dei prōtógonoi: ricreare il mondo, sulle ceneri di questo che reputano vecchio e logoro!"

"Dobbiamo impedirglielo! Non possono decidere il destino di miliardi di persone!" –Si agitò Pegasus, trovando anche gli amici concordi.

"Possono, e lo faranno, perché a loro non interessa l’umanità. Sono Dei, anzi forse neppure tali si reputano, loro sono entità. Avrete di certo notato l’enorme differenza tra uno di loro quattro e gli Dei che siete abituati a conoscere!"

Pegasus annuì, ricordando la strage operata da Erebo sull’Etna, il modo in cui si era sbarazzato di Eracle, Efesto, Ermes, e quanto avevano dovuto sudare persino Alexer e Zeus per tenerlo a sufficiente distanza dalla città di Asgard. Solo lui, alla fine, era riuscito a mandare un colpo a segno, grazie all’aiuto di Balmung e di tutti gli Asi. Cristal parve intuire i suoi pensieri, ponendogli una mano su una spalla, con un sorriso greve, mentre anche Andromeda e Phoenix sospiravano, ben consapevoli della disparità di forze in campo.

"Una domanda, Sommo Avalon!" –Parlò allora Sirio, rimasto meditabondo per tutto il tempo. –"Avete detto che Caos ha generato i Progenitori, non è così? E che quindi in loro giace una stilla di Caos?"

"Proprio così!"

"Ma se dai Progenitori hanno avuto origine le stirpi divine, passando per i Titani, gli Ecatonchiri, i Giganti, giungendo fino a Zeus e agli Olimpi, questo significa che…"

A quelle parole Avalon assentì, lodando l’acuta mente del Cavaliere del Dragone.

"Tutti gli Dei sono figli di Caos, del resto cos’altro sono gli Dei se non ciò che gli uomini vedono in loro, si aspettano da loro, temono da loro? Sono solo parte di un tutto infinito, ove non vi è più distinzione tra umano e divino. Non dimenticate, in fondo, che anche gli uomini sono figli del Caos! Tutti noi lo siamo e ciò spiega la nostra natura ambigua! In ogni essere vivente vi è un frammento di oscurità, un lato oscuro, che serve per apprezzare la luce, per capirne appieno l’importanza!"

"E come la vinciamo, quest’oscurità? Come possiamo spegnerla in modo definitivo?"

"Non so se dovremmo usare quella parola!" –Commentò Avalon, con un sospiro. –"Pur tuttavia io ci credo, ho sempre creduto che sia possibile, e per quel che mi è dato sapere esiste un manufatto in grado di aiutarci, un manufatto forgiato dai Sette Saggi durante la Prima Guerra."

"La Coppa di Luce…" –Mormorò Andromeda, quasi senza volerlo, ricordando di aver intravisto quel pensiero nella mente del Principe Supremo degli Angeli, durante la visione di quella mattina.

"Precisamente." –Rispose questi.

"Cos’è la Coppa di Luce?" –Chiese Cristal.

"L’arma per sconfiggere Caos ed impedire un terzo avvento!" –Affermò Avalon con sguardo serio. –"Saprete di certo che nell’universo tutto è in continua trasformazione e non mi riferisco soltanto alla materia, bensì agli Dei. Pensate alla vostra Dea o ai vostri antichi rivali, Ade, Ares o Nettuno, a quello che avveniva ai loro spiriti dopo la sconfitta sul campo di battaglia! Morivano, questo almeno era quel che sembrava ai più, però dopo qualche secolo ritornavano e le guerre ricominciavano! Questo perché nessuno degli Dei è mai morto per davvero, lo stesso concetto di morte è stato sempre sconosciuto a tutte le Divinità moderne, quelle appartenenti alla Terza Generazione Cosmica, istallatasi sul trono di Grecia dopo la caduta di Crono! Sconfitto in battaglia, perso il proprio corpo o il simulacro usato in quell’epoca, lo spirito di un Dio vagava in un limbo ultraterreno ove era confinato a rimanere per un certo periodo di tempo, la cui lunghezza variava in base al sigillo che lo bloccava! Ricorderete certamente i sigilli di Atena imposti al Tridente di Nettuno o allo stesso vaso che ospitò l’anima del Signore dei Mari?! Orbene, immaginate che questo limbo non esista più, immaginate che non sussista più la possibilità di ritornare, per gli Dei, come non è mai esistita per gli umani! Ciò li renderebbe de facto mortali! A questo abbiamo consacrato la nostra esistenza, a questo abbiamo lavorato per secoli i miei fratelli ed io! A vincere Caos una volta per tutte, a cancellarlo dall’esistenza, senza possibilità di ritorno! La Coppa di Luce ce lo permetterà!"

"È davvero possibile?!" –Incalzò Pegasus, con gli occhi lucidi.

Avalon annuì, spostando lo sguardo su tutti loro, indugiando su Andromeda per un istante di troppo, un istante che permise al ragazzo di ricordarsi una conversazione avuta con lui ore addietro.

Quale che sia il costo!

Proprio quelle parole gli tornarono in mente mentre un vento improvviso iniziò a mugghiare, increspando le cime degli alberi di mele, solleticando il manto erboso ed agitando le acque del Pozzo Sacro. Avalon si voltò verso oriente, osservando il cielo caricarsi di nuvole nere, strati di nubi più nere della notte in grado di oscurare anche il lontano baluginio delle stelle. Per un interminabile istante vi fu silenzio sull’alto colle dell’isola sacra, prima che una danza di fulmini neri iniziasse a lacerare il cielo, schiantandosi ovunque attorno a loro, accompagnata da un vorticare furioso di tenebre.

I megaliti di pietra andarono in frantumi, le capanne e gli alloggi delle sacerdotesse e dei novizi vennero travolti da trombe d’aria tetra, il molo e gli approdi dell’isola furono risucchiati in un sempre più vasto vortice che parve inglobare l’intera Avalon, quasi volesse sradicarla dalle fondamenta.

"Non… è possibile!!!" –Esclamò l’Arconte Supremo, fissando il cielo in burrasca con sguardo allucinato. –"Non può essere…"

"Co… cosa succede?!" –Gridò Pegasus, accucciandosi sul terreno, assieme ai compagni, indossando prontamente le armature e cercando di non essere risucchiati da quell’uragano devastante.

"Non può essere venuto fin qua!!!" –Ripeté il Principe degli Angeli, gli occhi sbarrati di fronte a quell’immensa nube nera che pareva fagocitare ogni cosa, facendosi sempre più vicina al gruppetto sulla sommità dell’isola. –"Non ora!!!"

"Avalon!!! Che sta succedendo?" –Continuò Pegasus, prima che l’uomo si voltasse e lo afferrasse per le spalle, obbligandolo a fissarlo.

"Va’ via!!!!" –Disse semplicemente. –"E porta i tuoi amici con te!"

"Ma… Avalon?!"

"Fa’ come ti ho detto, Pegasus! Almeno stavolta obbedisci!" –Gli urlò l’altro, mentre l’immensa nube nera calava sulla cima del colle, vomitando loro contro migliaia di deformi sagome nere, agitate da un vento in tempesta disseminato di folgori d’ebano.

"Nemeton, dammi il tuo potere!!! Forbærne!!!" –Gridò il Signore dell’Isola Sacra, sollevando un braccio al cielo, sul cui palmo aperto un lampo di luce esplose, rischiarando per un momento l’immensità di quella tenebra e obbligando i Cavalieri dello Zodiaco a chiudere gli occhi, accecati da tale improvviso lucore.

Quando li riaprirono, videro che l’intera sommità dell’isola era stata protetta da una cupola luminosa, il cui baricentro era qualche piede al di sopra delle loro teste, proprio dove Avalon si era retto fino a qualche istante addietro. Prima che l’ombra immensa piombasse sulla barriera stessa, scuotendola in profondità e prostrando a terra il suo creatore.

"Avalon!!!" –Lo chiamò Pegasus, correndo verso l’Angelo di Luce, inginocchiato a terra, con un braccio ancora rivolto verso il cielo, lungo cui sangue stava ruscellando copioso. Lo stesso sangue che gli imbrattava il viso, calando da tagli aperti sulla fronte e sotto gli occhi. –"Mio Signore!!!" –Esclamò angosciato il paladino di Atena, non avendo mai visto l’Arconte Supremo così ferito.

"Non mi avete sentito, Cavalieri? Non avete sentito quel che vi ho detto finora? Andate via!!!" –Tuonò, rimettendosi in piedi, mentre già la nube nera tentava un nuovo assalto alla barriera di luce, avvolgendola per intero, stritolandola, percuotendola, assorbendola lentamente fino a prosciugarla, e infine mandandola in frantumi, come fosse nient’altro che un misero vetro.

L’onda d’urto spinse Avalon e i cinque Cavalieri dello Zodiaco a terra e quando quest’ultimi si rialzarono videro che l’Arconte di Luce si era già rimesso in piedi, ergendosi di fronte a loro, a braccia aperte, con il cosmo portato al parossismo.

"Non passerai!" –Si limitò a dire, recitando una preghiera in gaelico antico, che soltanto Andromeda sul momento riuscì a comprendere. E, nel farlo, pianse.

Perché era un canto d’addio.

L’immensa nube nera piombò sul Principe Supremo degli Angeli, investendolo con la sua smisurata tenebra ma egli non cedette, non arretrò di un passo, rivestito da una luce così vivida in grado di contrastare per un momento quell’abisso primordiale.

"Mio Signore! Siamo con voi!!!" –Avvampò allora Pegasus, caricando il pugno destro di energia cosmica, ma bastò che muovesse un passo avanti che un’onda d’energia mentale lo spinse indietro. –"Ma… Mio Signore… perché?!"

Fu allora che Avalon si voltò, mentre l’ombra ormai era su di lui, attorno a lui, avvinghiando il suo corpo da ogni direzione, pur incapace di proseguire oltre quella barriera rappresentata dal suo corpo, come se quel misero corpo mortale potesse a lungo opporsi al Generatore di Mondi.

"Andate via, Cavalieri di Atena! Vi prego! Se moriste voi, morirebbe la speranza! Voi siete il futuro per le genti libere di tutto il mondo! Voi siete coloro che tutti attendono, quando pregano qualunque Dio possa salvarli e dare un senso alle loro esistenze! Voi siete il domani! Addio, giovani Cavalieri, e grazie per avermi regalato un sogno per cui vivere!" –Sorrise loro il Signore dell’Isola Sacra, prima di lasciar esplodere tutto il suo cosmo in una nebulosa di luce.

La detonazione improvvisa non fermò l’avanzata del Caos, che di quella luce si nutrì, fagocitandola e svuotando poi l’involucro terrestre che l’aveva contenuta per così lungo tempo. Inorridendo, Pegasus vide le tenebre strisciare attorno al corpo di Avalon, prima di entrargli dentro, dalla bocca, dalle narici, dagli orecchi, sfaldandolo, disgregandolo, riducendolo a mera polvere.

"Nooo!!!" –Gridò il Cavaliere di Atena, tra le lacrime, lanciandosi avanti e liberando una devastante cometa di energia, cui subito andarono a sommarsi un dragone d’acqua, una fenice di fuoco, un cigno di ghiaccio e una tempesta di energia. Ma a niente servì quel loro assalto, venendo inglobato al pari del corpo di Avalon, disintegrandosi come pulviscolo nel vento. Un’esplosione subitanea li spinse indietro, oltre il bordo della radura, facendoli ruzzolare di sotto, lungo il terreno distrutto ove un tempo sorgevano meleti e capanne di legno. Caddero fino alla spiaggia paludosa, rialzando subito lo sguardo verso la sommità, ove l’immensa nube di Caos li sovrastava, risucchiando un intero mondo nelle sue viscere oscure.

"Dobbiamo… ritentare!" –Mormorò Pegasus, chiudendo le dita a pugno e cercando l’assenso dei compagni. Ma Andromeda lo bloccò, afferrandogli un braccio e scuotendo la testa, di fronte agli sguardi attoniti degli amici. Non ebbe tempo di aggiungere altro che una tempesta di fulmini azzurri rischiarò il cielo, abbattendosi attorno a loro, in modo da generare un cerchio protettivo che le tenebre non poterono oltrepassare.

In mezzo a quella pioggia di folgori apparve una sagoma che Cristal ben conosceva, un uomo in armatura azzurra che in silenzio si limitò ad agguantarli tutti, tenendoli vicino a sé mentre il suo cosmo li circondava e li teletrasportava via, lontano da Avalon e dalla morte.

In un lampo di luce Pegasus, Andromeda, Cristal, Sirio e Phoenix apparvero nel piazzale sul retro della fortezza di Asgard. Lo riconobbero subito, per quanto fosse notte inoltrata, come identificarono le tre sagome in impaziente attesa, rischiarate dalla luce di una torcia che Atena stringeva in mano.

"Flare…" –Mormorò Cristal.

Proprio la Celebrante di Odino era stata fino ad allora intenta a parlare con Mani e con Alexer, quando quest’ultimo aveva percepito l’immensa tenebra lambire i confini dell’isola sacra e iniziare ad assorbire l’energia del fratello. Così era intervenuto, facendo quello che andava fatto, quello che Avalon avrebbe voluto facesse.

"Dobbiamo… tornare indietro!!!" –Esclamò subito Pegasus, ancora scosso. –"Avalon ha bisogno di noi!"

"Pegasus…" –La voce calma di Andromeda era incrinata dalle lacrime.

"Dobbiamo andare! Possiamo ancora salvarlo! Possiamo combattere!!!" –Ripeté il Primo Cavaliere di Atena, supplicando i compagni con sguardo stravolto. Quindi, vedendo che nessuno accennava a rispondergli, che nessuno sembrava pronto a seguirlo in quell’impresa, si voltò verso l’uomo dall’armatura azzurra che li aveva teletrasportati tutti ad Asgard. –"Principe Alexer, perché ci avete trascinato via?"

"Per salvarvi!" –Commentò questi, rialzandosi e inspirando a fatica. –"E per onorare la memoria di mio fratello che così tanto ha creduto in voi, che a lungo ha atteso il vostro arrivo! E dall’impeto che riversi in guerra, Cavaliere di Pegasus, credo che egli avesse visto giusto! Voi siete la speranza!" –Gli disse, con voce più calma, prima di poggiargli una mano sulla spalla destra e guardarlo in faccia. Solo allora, mentre il suo cuore accennava finalmente a calmarsi, Pegasus notò le lacrime rigare il volto dell’Angelo di Aria. –"Lui è morto e gettarsi allo sbaraglio non lo riporterà indietro! Tornare ad Avalon adesso significa farsi uccidere da Caos!"

"Lui è morto…" –Ripeté il paladino di Atena, quasi come quelle parole per la prima volta gli mostrassero la realtà. –"Aaargh!!!" –Gridò, scagliando un pugno verso il lastricato, mandandolo in frantumi, e accasciandosi poi per la sopraggiunta stanchezza. –"Non può essere vero! È solo un incubo! Atena, non può essere! È un’illusione creata dai nostri nemici, nient’altro, vero?!"

La Dea gli si avvicinò, aiutandolo a rialzarsi e prendendogli le mani tra le proprie, fissandolo con tenerezza, senza riuscire a nascondere le lacrime.

"Ha inseguito un sogno di pace per tutta la vita e quel sogno, quell’ideale di salvezza per l’umanità, l’ha visto in noi!" –Parlò allora Andromeda, lentamente, trattenendo i singhiozzi per una fine che pure avrebbe dovuto aspettarsi, avendola già vista. –"Sapeva che sarebbe morto, ma si è eretto comunque davanti a noi! Per difenderci! Per darci un’opportunità!"

"Non lo deluderemo!" –Intervenne Cristal, affiancando l’amico. –"Potete esserne certo, Principe Alexer! Noi non tradiremo mai gli ideali di Avalon, ideali che vostro fratello ci ha affidato, sacrificando la propria vita per la nostra!"

"Noi combatteremo!" –Chiosò Sirio. –"Contro Caos, contro i Progenitori! Contro chiunque ancora verrà a minacciare questa nostra bella Terra così colma d’amore!"

"Per Avalon! Per Atena! Per gli uomini!" –Concluse Phoenix, prima che la stessa esclamazione fosse ripetuta dai suoi compagni. Dai suoi amici.

"Per gli uomini!!!"