CAPITOLO TRENTASEIESIMO: IL TRAMONTO DEGLI EROI.

Chirone del Centauro aveva appena vomitato per la terza volta.

Piegato in due, appoggiato al tronco di un albero nella vecchia foresta di Asgard, non riusciva a controllare gli spasimi che lo avevano travolto, mozzandogli il respiro, tanto violenti e continui erano stati quei colpi di tosse, e portandolo infine a rimettere. La vista offuscata, l’udito ovattato, la bocca impastata dai liquidi interni che premevano per uscire fuori, forzandolo a chinarsi di nuovo, maledicendo le proprie viscere in subbuglio. Una maledizione che invece avrebbe voluto dirigere contro il responsabile dei suoi patimenti improvvisi, il Nefario dello Zodiaco Nero che lo aveva appena infettato con una delle sue piaghe.

"Giornata splendida, non è vero, guerriero di Eracle? Per morire, intendo!" –Commentò sprezzante, avvicinandosi al corpulento combattente.

Chirone neppure gli rispose, faticando persino ad individuarne la sagoma davanti a lui. Basso, un po’ tarchiato, era rivestito di un’armatura color verde scuro, ben adatta per mimetizzarsi nei prati e nelle rigogliose terre da cui proveniva, ma che nelle lande asgardiane risaltava anche agli occhi stanchi del Centauro. Alle sue spalle, il demone che Chirone aveva atterrato poco prima, osservava incuriosito la scena, e anche un po’ intimorito dai poteri di cui Corb si stava servendo.

Corb dei Fomori. Corb il maledetto! Rifletté Alu, notando l’allungarsi di un ghigno sul volto del Nefario irlandese. Un volto puntellato di lentiggini e incorniciato da una folta chioma di capelli rossicci, dello stesso colore della barba incolta che spesso si divertiva ad arricciarsi. Al demone assiro non era mai piaciuto, fin da quando erano stati convocati dal Gran Maestro del Caos, e non solo per il suo odore nauseabondo, come se fosse stato immerso in una fetida palude, ma per il suo atteggiamento subdolo e nascosto, rivelato solo da quegli occhi avidi con cui scrutava i compari. Più che un uomo, ad Alu ricordava un folletto, uno di quei dispettosi ladruncoli di tante leggende celtiche a cui avrebbe volentieri tirato il collo. Ma le ferite che Chirone gli aveva inflitto erano ancora aperte e la sua corazza danneggiata, rendendogli difficile sollevarsi di nuovo in volo, così poté solo appoggiarsi con la schiena a un tronco millenario e godersi lo scontro in atto, certo che si sarebbe concluso presto.

"Sei un lurido vigliacco!" –Ringhiò Chirone, sputandogli in faccia tutto il suo disprezzo. –"È così che combatti? Colpendo a tradimento e sporcandoti poi le mani solo per il colpo di grazia? Miserabile guerriero da poco sei in verità!"

"In verità…" –Rise Corb, ormai piantato di fronte all’indebolito nemico. –"Non sono un guerriero! Non lo sono mai stato, né mi interessa esserlo! Ho avuto un ben diverso addestramento, non militare, non come il tuo, di certo! Ma come vedi ho saputo trarre vantaggio anche dalla mia diversità, da quella che qualcuno potrebbe etichettare come debolezza!" –Aggiunse, tirando un rapido sguardo verso Alu, che, di fronte a quei metifici occhi giallognoli, si ritrasse ancora di più dietro la corteccia dell’albero.

"Il tuo modo di lottare è da pavidi!" –Esclamò il fedele di Eracle, muovendo lesto un braccio e tentando di colpire il Nefario con un pugno in faccia. Ma questi si spostò alla sua destra, lasciando che Chirone fendesse l’aria, prima di colpirlo con un calcio alla schiena e gettarlo a terra, schiacciandolo poco dopo. Godette, Corb, di quei brevi attimi in cui vide l’avversario sguazzare tra il fango e il suo stesso vomito che chiazzavano la neve della millenaria foresta, incapace di rialzarsi e al tempo stesso scosso da nuovi conati che non riusciva a soddisfare.

"Bravo, resta a terra! Mi faciliti il compito di mandarti nei síde, ove terminano la loro esistenza tutti gli sconfitti come te! Ah ah ah!"

A quelle parole Chirone reagì. Poteva sopportare tutto, da soldato addestrato qual’era: il caldo, il freddo, la fatica, il dolore, persino l’idea di sguazzare tra i propri liquidi corporei. Ma non avrebbe mai accettato che qualcuno lo considerasse un vinto. La sola idea gli faceva accapponare la pelle, portandogli all’orecchio le risate di scherno di suo fratello e di suo padre, assieme ai quali aveva prestato servizio in numerose compagnie di ventura. Che cosa avrebbero pensato di lui, che si era fatto vincere da un folletto foruncoloso? Il Cavaliere del Conato Furioso, così lo avrebbero deriso, da qualunque mondo riposassero. E lui non voleva dare loro quella soddisfazione.

"No…" –Ringhiò, avvampando nel proprio cosmo infuocato. –"Non gliela darò mai! Soprattutto a mio padre, che non riteneva possibile che un giorno avrei guidato una compagnia tutta mia, una legione di cui sarei stato insignito comandante! E invece così è accaduto! Ribolli, mio cosmo! Ribolli, magma ardente!" –Esclamò, penetrando il suolo con la sua incandescente aura, che sciolse tutta la neve attorno, incendiando il terreno stesso e gli alberi che vi dimoravano, obbligando persino Alu ad allontanarsi.


"Ti consiglio di fare altrettanto, Corb!!!" –Guaì il demone assiro, senza pensarci due volte, ricevendo solo uno sguardo ostile di rimando.

"Stolto! Il tuo cosmo è ormai ridotto al lumicino, infettato dalle piaghe che comando! Le Piaghe degli Invasori!" –Sibilò il Nefario, ancora con il piede destro intento a schiacciare la schiena del guerriero di Eracle, da cui una violenta fiammata di energia proruppe all’istante, scagliandolo indietro. Fu agile, Corb dei Fomori, ad atterrare a piedi uniti al suolo, ma il suolo stesso si aprì poco dopo, sciogliendosi e sprofondando le sue gambe in un ammasso fuso di neve e magma, da cui tentò di divincolarsi, senza riuscirci, e anzi dovendo lottare per non sbilanciarsi e cadere a braccia tese nel ribollente stagno di cosmo.

"Forse è così… Forse il mio cosmo è davvero l’ombra della magnificenza di un tempo, quando comandavo la Sesta Legione degli Heroes, che in virtù del suo ardore in battaglia fu chiamata la Legione Furiosa! Ma non credere che basti un mal di stomaco per placare la mia furia, folletto! Parola mia, non basta affatto!!!" –Ruggì Chirone del Centauro, rialzandosi e portando avanti le braccia. –"Magma ardente, esplodi!!!"

Una devastante onda di pura lava si sollevò dietro di lui, sorpassandolo e avanzando impetuosa verso Corb, il volto deformato da un’improvvisa paura. Incapace di muoversi, le gambe ormai bloccate dal magma solidificatosi attorno ad esse, poté soltanto strillare disperato prima di essere sommerso e spazzato via.

Fiaccato ma soddisfatto di se stesso, Chirone crollò infine sulle ginocchia, respirando a fatica, prima di spostare lo sguardo sull’altro scontro in atto, a poca distanza da lui.

***

Nel cuore della foresta di Asgard, dove il casato dei Megres si era a lungo esercitato, Iro di Orione stava fronteggiando la carica cieca e selvaggia del Nefario che gli si era lanciato addosso non appena avevano incrociato il suo cammino. Non sapeva niente di lui, neppure il nome, non avendogli questi rivolto parola alcuna fin da quando avevano iniziato a battagliare.

Era alto, biondo, di chiara provenienza nordica, forse di quelle stesse terre in cui Eracle li aveva inviati per difenderle, ma soprattutto era rapido e preciso nel colpire. Letale, come un assassino provetto. Evidenziò, schivando l’assalto del nemico balzando di lato e contrattaccando all’istante, con tre raggi di energia che scaturirono dal suo indice. Tre raggi diretti al volto dell’avversario, che questi fu lesto a deviare muovendo il braccio destro, il cui pugno era ricoperto da un grosso guantone di una qualche lega metallica da cui spuntavano cinque lunghi e affilati artigli. L’unico tocco di colore, ironizzò Iro, in quel deserto di mutismo rappresentato dalla sua bianca armatura e dal silenzioso ma letale guerriero che la veste.

"A Chirone non è andata meglio, però!" –Osservò il Primo Comandante degli Heroes, avendo sentito l’indebolirsi del suo cosmo, prostrato da una strana infezione che di certo era stata scaturita da uno dei due Nefari che stava fronteggiando.

Il pensiero per le sorti del compagno lo spinse a reagire, cercando una strategia con cui aver ragione del suo nemico. Questo era, del resto, quel che ci si aspettava da lui, il campione di Tirinto. Il primo tra tutti gli Heroes, e non soltanto cronologicamente.

Così espanse il proprio cosmo, mentre il Nefario bianco si lanciava di nuovo alla carica, con gli aguzzi rostri rivolti al suo cuore, circondandosi da un intenso luccicare di stelle, così vivido da rischiarare la fioca visibilità del bosco. Un luccicare su cui si schiantò, stridendo, il guanto corazzato del servitore del Caos.

"Sorpreso, eh?" –Commentò Iro, incrociando lo sguardo dell’avversario. Occhi azzurri, gelidi come l’inverno, che non lasciavano trasparire emozione alcuna, tranne quella furia che gli faceva muovere i passi. –"La barriera che vedi a mia difesa nessuna mano umana potrà scalfirla! È una cinta che mi protegge da ogni pericolo, una cinta sorretta da tre stelle principali! Alnitak, la cintura! Alnilam, la fila di perle, e Mintak… aaa!!!" –Iro non riuscì a terminare la frase che venne spinto indietro, ferito da un rapido movimento del braccio del Nefario, il cui guanto aveva trapassato la barriera, lasciando spuntare i pericolosi artigli al suo interno. –"Co… come è possibile?! Mai nessuno, neppure gli antichi nemici del Vindice dell’Onestà, sono riusciti ad aver ragione della mia difesa! La cintura di Orione! Come puoi tu, silente ombra, essere riuscito a tanto?!"

Il nemico non rispose, osservando soddisfatto il proprio giocattolo e ripulendone le punte aguzze dalle schegge dell’armatura di Orione che aveva poc’anzi scalfito. Quindi, sogghignando divertito, scattò di nuovo all’attacco, mulinando il braccio in modo da generare continui reticolati di fasci di energia che si abbatterono su Iro da ogni direzione, falciando tutto quel che incontravano sul loro cammino.

Fu svelto, il Primo degli Heroes, a correre tra gli alberi, evitando di essere raggiunto da quegli aguzzi raggi, che distrussero rami e tronchi, pietre e mucchi di neve. Corsero per qualche minuto, girando intorno, tornando indietro e poi cambiando di nuovo direzione, decisi entrambi a stancare l’avversario, senza che nessuno dei due ne parve affatto turbato. Fu Iro, infine, ad interrompere lo stallo, sfruttando il gigantesco tronco di un albero caduto, usandolo per darsi la spinta e balzare in alto, fin quasi in cima alle fronde secolari, lasciando esplodere il proprio cosmo.

"Ascolta, sgherro di Caos, il rimbombo che scuote ogni cuore, anche il più malvagio! Odi il Tuono del Cacciatore!!!" –Esclamò fiero, scagliando l’assalto dall’alto verso il basso, ove il Nefario era rimasto.

Il violento attacco distrusse un po’ di rami sporgenti, prima di abbattersi su di lui, che mosse lesto il braccio destro, generando incessanti reticolati di energia, per smorzarne la furia. Quindi, proprio mentre Iro piombava su di lui, il pugno teso e carico di energia cosmica, il silenzioso membro dello Zodiaco Nero rimase immobile, limitandosi a drizzare l’arto al cielo, con gli artigli rivolti verso il guerriero di Eracle.

L’impatto fu devastante, ben peggiore di quanto Iro si fosse immaginato. Non solo la sua massima tecnica non aveva piegato il Nefario, ma il rostro metallico gli aveva persino squarciato la corazza di Orione su un fianco, raggiungendo la carne e ferendolo, mentre lui era riuscito solo a crepare la sua armatura, distruggendogli l’elmo. Così, vicini l’uno all’altro, i due avversarsi poterono scrutarsi meglio, ma niente di ciò che vide nel volto austero del nemico rassicurò il Primo tra gli Heroes, spingendolo ad allontanarsi all’istante.

Non fu però svelto a sufficienza, venendo intercettato, nel balzo all’indietro, dal rapido movimento dell’arto del Nefario, che calò ratto sul piede di Iro, inchiodandolo a terra, trafitto da un paio di artigli del suo guanto micidiale, strappandogli un grido di dolore. Ghignando eccitato, il guerriero del Caos levò lo sguardo su di lui, sfoderando un sorriso perfetto e limpido, come il bianco immutabile della sua corazza, un biancore che contrastava con la sua furia sanguinaria.

Una bestia, nient’altro che una bestia pericolosa! Convenne il fedele di Eracle, poggiandogli la mano sul petto e sprigionando un’onda di energia che lo spinse indietro, un’onda che il Nefario sfruttò per darsi lo slancio e compiere un’agile capriola a mezz’aria per atterrare di nuovo a piedi uniti. Incredibile! Non ho mai visto un uomo così preparato atleticamente! Una vera e propria macchina da guerra!

"Non considerarlo un uomo! Ormai non lo è più!" –Una voce ruppe il silenzio della foresta, portando Iro a guardarsi attorno con attenzione, temendo un secondo attacco. Fu accanto ad un albero poco distante che individuò una sagoma in armatura rossastra, che avanzava caracollando, ferita e sanguinante, riconoscendola all’istante. Era uno dei demoni che aveva lasciato a combattere con Chirone.


"Che ne è del mio compagno?" –Subito gli chiese.

"Non della sua già segnata sorte dovresti preoccuparti! Ma della tua! Le piaghe dei Fomori non lasciano speranza, motivo per cui mi sono allontanato, per non esserne infettato del pari! Ma contro Grendel anche tu poco puoi fare, solo sperare che ti finisca in fretta, senza torturarti, senza giocare con i tuoi organi interni, come è solito fare dopo aver vinto qualcuno!"

"Grendel? È questo il suo nome?!" –Chiese Iro, riportando l’attenzione sul biondo guerriero dalla corazza bianca, intento ad osservare compiaciuto il centellinare del sangue nemico sulle lame del suo guanto. –"Non era una bestia mitologica?!"

"Non lo siamo forse tutti?! Ih ih ih! Spiriti maligni, anime colme d’odio, demoni e creature infernali! Il Gran Maestro del Caos ci ha richiamato per servirlo, facendoci dono di queste corazze! Ma per Grendel ha mostrato una simpatia particolare, ornando la sua armatura di un particolare ornamento, come avrai notato! Unico, tra i dodici, a disporre di un guanto di mithril!"

"Che… cosa?!" –Esclamò Iro, rabbuiandosi. –"E dove l’ha trovato? È materiale rarissimo quanto pregiato! Persino il Sommo Efesto di ben poco ne disponeva e il Fabbro di Tirinto, il coraggioso Leandro, non ha mai avuto l’onore di lavorarlo!"

"Non so cosa dirti, guerriero di Eracle! So solo che il Maestro del Caos disponeva di un frammento di mithril, trovato o rubato chissà dove e chissà quando! A Grendel ne ha fatto dono, a Grendel che ha cullato, allevato e cresciuto personalmente nel corso di questi ultimi anni, da quando lo trovò, quasi morto per ipotermia, in uno dei suoi viaggi nel nord del mondo! In uno dei suoi pellegrinaggi alla ricerca di fantomatici talismani! Lo trovò e ne fu attratto, ammirando la tenacia con cui quel ragazzetto biondo, tutto ossa, fosse riuscito a rimanere in vita nonostante il freddo, nonostante i pochi stracci che aveva addosso! Convinto che avrebbe potuto farne un guerriero letale, lo portò con sé, addestrandolo e facendolo divenire quel che adesso è! Un sicario perfetto, freddo come il ghiaccio e silenzioso come la neve! Desisti, Iro di Orione, ti risparmierai una fine dolorosa!" –Concluse Alu, lasciandosi cadere con la schiena contro un albero, stanco e ferito.

"Mai! Che guerriero sarei, se rinunciassi alla lotta! Come potrei essere il Primo tra gli Heroes? Il primo tra i fuggitivi sarei, in tal caso!"

"Come credi…" –Mormorò il demone assiro, mentre Grendel, che si era trastullato abbastanza, rimirando il gingillo di cui il suo maestro gli aveva fatto dono, riportò lo sguardo su Iro, espandendo il proprio cosmo. Senz’altro attendere, il Nefario bianco scattò avanti, generando nuovi affilati fendenti energetici, che il fedele di Eracle fu svelto a contrastare con la sua barriera, sollevata qualche metro avanti a sé, per non ripetere il precedente errore.

Uno dopo l’altro, i reticolati di energia del Grendel vi si schiantarono, senza riuscire a superarla, obbligando il guerriero a lanciarvisi contro, il guanto teso avanti a sé e pronto per dilaniarla. Fu allora che il cosmo di Iro esplose, concentrandosi in tre stelle che brillarono vivide nella cintura difensiva.

"Alnitak! Alnilam! Mintaka! Esplodete!!!" –I tre astri rilucettero come grani d’oro, abbagliando Grendel, che, accecato, non riuscì a scalfire la barriera di Iro, prima di spingerlo indietro, danneggiando la sua corazza alle gambe e al ventre. Costretto ad arretrare, il biondo guerriero fissò il rivale con astio, imprecando sconosciute parole contro la Cintura di Orione, prima che un’idea guizzasse nella sua mente. Ghignando, piantò il rostro di mithril nel suolo, scavando in profondità, prima di fare forza e sollevare l’intera zolla di terra davanti a sé, su cui anche Iro si ergeva, scagliandola in aria. Preso alla sprovvista da quell’inusuale strategia, il fedele di Eracle barcollò, mentre Grendel si lanciava in alto, mirando al suo cuore con i gelidi artigli.

I riflessi del Primo Comandante gli permisero di evitare l’affondo, proprio mentre la gravità li faceva cadere verso terra, assieme a mucchi di terriccio e neve. Ma anche in quel momento Grendel tentò di trafiggere l’avversario, spostando il braccio verso di lui, che però si aspettava quella mossa e aveva già unito gli arti per bloccare il pericoloso guanto, afferrando il Nefario per il polso e fermandolo.

Caddero a terra così, Iro intento a tenere a distanza quel rostro maledetto e Grendel che ululava, ringhiava, emetteva versi osceni nel tentativo di riprendere possesso del suo arto. Con il braccio sinistro, colpì il guerriero di Tirinto al volto, al mento, sul naso, massacrandolo di pugni, mentre già le gambe studiavano la postura più adeguata per bilanciare il peso e strappar via il manufatto che Iro stava trattenendo.

Fu però ancora una volta il Primo tra gli Heroes a sorprenderlo, torcendogli il polso all’improvviso e gettando il Nefario schiena a terra, assieme alla consapevolezza di non poter più muovere la mano, priva ormai di sensibilità. Con un calcio violento, Iro allontanò il nemico da sé, schiantandolo contro un albero e sommergendolo sotto un cumulo di neve che crollò su di lui, strappando una risata ad Alu che, seduto poco lontano, osservava divertito lo scontro. Non passò che un attimo che già il cosmo biancastro del Grendel annientava neve e albero, mentre il guerriero si rimetteva in piedi a fatica, tenendosi il polso rotto con la mano opposta.

"Tempo di scrivere la parola fine sulla tua nefasta esistenza! Sento cosmi inquieti esplodere all’interno delle mura di Asgard e dubito che quel damerino di Shen Gado e l’Ase della Luna riescano ad occuparsi di tutti loro! La mia presenza è necessaria altrove, Grendel! Cedi il passo!"

Il Nefario mosse impercettibilmente la bocca e Iro capì che non l’avrebbe fatto. Anche senza più l’artiglio su cui tanto faceva affidamento, avrebbe continuato a combattere. Per cosa poi? Si chiese il fedele di Eracle, bruciando il cosmo fino al parossismo, abbagliando persino Alu da quanto intensa era la sua aura.

"Tuono del Cacciatore!!!" –Imperò Iro, liberando il devastante assalto appreso da Eracle secoli addietro. Grendel tentò di opporvisi, muovendo il braccio destro con l’ausilio del sinistro, ma i fendenti che riuscì a scatenare, ben più deboli dei precedenti, non poterono frenare l’urlo di Orione, che lo investì in pieno, distruggendo la sua armatura e la pelle al di sotto, fino a schiantarlo a terra, in una pozza di sangue. Rossa, come un colore che non aveva mai segnato la sua vita, dominata soltanto dal bianco.

Stanco per il violento scontro e con ferite aperte a un fianco e a un piede, Iro si appoggiò ad un albero, per regolarizzare il respiro. Sapeva che non era ancora finita. Alu lo attendeva pochi passi più in là ma il demone, stranamente, non sembrava avere fretta alcuna, intento ad osservare l’aria attorno, ad annusarla quasi, prima di riportare lo sguardo su di lui. Uno sguardo che, Iro lo notò, era di terrore puro.

***

La sconfitta di Polemos prese Chimera alla sprovvista, strappandogli un vagito di sorpresa, fastidio e dolore. Un crogiuolo di sentimenti diversi, sospinti dal vento dei ricordi, che sfociò in un urlo gravido di collera, un urlo che anticipò l’esplodere del proprio cosmo. In un attimo si sbarazzò di Reis e Jonathan, scaraventandoli lontano, scheggiando le loro armature dorate, prima di lanciarsi verso la riva del Nilo.

Furono Bastet e Horus a sbarrargli il passo, indeboliti ma mai proni. La prima scattò al suo fianco, cercando di colpirlo con una miriade di fasci di energia, il secondo planò dall’alto, sostenuto dalle ali argentee della Veste Divina, deciso a sbatterlo a terra con un calcio volante. Ma entrambi fallirono, forzando il biondo guerriero a fermarsi e ad occuparsi di loro, non più per gioco o divertimento bensì per ucciderli.

Con un solo colpo di coda afferrò un piede del Dio Falco, prima che lo raggiungesse alla nuca, strattonandolo e lanciandolo contro l’allieva di Sekhmet, facendoli ruzzolare a terra. Non pago, caricò la gamba destra di energia cosmica, calandola al suolo e godendo di fronte all’improvvisa vampa che scaturì dal terreno sotto i suoi nemici, che li scagliò molti metri in alto, travolti e dilaniati da zanne energetiche simili a quelle di una fiera sanguigna.

"E ora… l’ultimo colpo!" –Sibilò, balzando in alto, il pugno carico di cosmo violaceo. –"Morite, Dei d’Egitto! Fauci delle tre bestie!!!"

Il poderoso assalto investì Horus e Bastet, ferendoli in più punti, non solo dove le corazze non coprivano i loro corpi ma anche dove fino ad allora non avevano subito danni, esposti ad una furia che pareva essere persino aumentata, nonostante la lunghezza dello scontro. Fece il possibile, il figlio di Osiride, per proteggere se stesso e la Dea Gatta, afferrandola e tirandola a sé, prima di aprire le ali e offrire la schiena all’attacco avverso, sperando così di limitare i danni. Fu mentre precipitavano a terra, prima di schiantarsi e perdere i sensi, che Horus realizzò che il potere del guerriero oscuro era triplice, come la bestia del mito. E forse, si disse, ricordando il mito di Chimaira, non solo la sua forza è tale. Ma anche la sua natura.

Sbarazzatosi degli ultimi Dei egizi, Chimera poté raggiungere infine le devastate rive del Nilo, vagando con lo sguardo alla ricerca del corpo del suo mentore, senza riuscire a individuarlo. Frustrato, scagliò un violento pugno di energia contro l’acqua, sollevandola e finendo persino per schizzarsi.

"Non lo troverai più!" –Disse allora una voce, costringendo il biondo soldato a voltarsi verso colui che aveva appena parlato. Un uomo alto dai capelli verdi, rivestito da una corazza arancione, di certo un membro della guardia scelta da Amon Ra per difendere Karnak. –"La corrente deve averlo già portato oltre! Chissà magari è già oltre i templi di Abydos o magari si è arenato presso Qeda!"

"Osorkon dice il vero! Il Nilo non perdona! Il Nilo sa cosa avete fatto quest’oggi, come avete rovinato le sue terre, e non ti permetterà di riunirti al demone che ha scatenato quest’inferno!" –Aggiunse un altro guerriero, dai lunghi capelli violetti, affiancando il compagno, rivestito di un’armatura di simile fattura.

"Quel demone…" –Strinse i pugni Chimera, parlando a denti stretti. –"Era il mio mentore, il mio maestro! Colui che mi ha addestrato e mi ha permesso di scoprire la mia vera natura! E voi, che ardite starmi di fronte, presto conoscerete la furia delle tre bestie!"

"Le bestie come te sono destinate solo al macello! Carne per carogne sarai!" –Gridò l’uomo chiamato Osorkon, spalancando le ali della corazza e spiccando un balzo. –"Sei con me, Tutmosis?"

"Come sempre!" –Si limitò a rispondere l’altro, espandendo il proprio cosmo. Ma prima ancora di liberare un qualunque colpo segreto, Chimera era già sfrecciato verso di lui, evitando i miseri affondi del Faraone del Falco Sacro e afferrando il compagno per il collo.

"Tutmosis!!!" –Gridò Osorkon, muovendosi per tornare indietro, in suo aiuto, prima che la serpentiforme coda di Chimera lo afferrasse per le gambe, chiudendogliele e sbattendolo a terra, con la faccia sulla sabbia ai guerrieri egizi tanto sacra.

"Taci! Non voglio più udire la vostra ridicola voce! Non voglio più sentirvi respirare! È inammissibile che vermi come voi, i primi che dovrebbero cadere in una battuta di caccia, siano ancora in piedi e il mio mentore, Nume Supremo della Guerra, sia stato vinto! Io… non lo accetto!!!" –Ringhiò il biondo seguace di Caos, liberando il suo cosmo ardente, che percosse l’intero corpo di Tutmosis, facendolo ballare, folgorato da migliaia di scariche energetiche potenti al punto da distruggere la corazza del Faraone delle Sabbie e impedirgli qualsiasi contromossa. Non riuscì neppure a parlare, il fedele di Amon, neppure per rivolgere un’ultima preghiera al Dio per cui sarebbe morto. Poté solo rimirare gli occhi rossastri di Chimera, saturi di un odio che non aveva mai visto in nessun essere umano. E quella fu l’ultima immagine che vide, prima che il suo corpo si schiantasse e la sua anima scivolasse verso Amenti.

"Ma… maledetto!!!" –Avvampò Osorkon del Falco Sacro, che intanto smaniava, nel disperato tentativo di liberarsi dalla coda di Chimera.

"Non t’agitare troppo, ragazzetto! Non crederai che voglia ucciderti così, mentre ti dibatti come la selvaggina afferrata da una tagliola? Oh no, ti lascerò correre, scappare, piangere tutte le lacrime che vuoi, e intanto ti darò la caccia, ti stanerò e infine ti sgozzerò, gettando il tuo cuore ai coccodrilli del Nilo!" –Rise il guerriero dai capelli biondi, la cui aura cosmica stava schiacciando Osorkon a terra.

Proprio in quel momento una gigantesca fiammata spazzò via gli ultimi golem creati da Jared, gettando il Nefario a terra, con la corazza danneggiata e la pelle ustionata in più punti. Sin degli Accadi, a poca distanza, lo intimava a rialzarsi, per dargli il colpo di grazia, non amando infierire su inermi avversari. Dall’altro lato del campo di battaglia, quello rivolto verso Karnak, Andrei e Phoenix avevano appena sollevato un muro di fuoco, uno sbarramento atto a chiudere all’Armata delle Tenebre qualsiasi via verso il tempio di Amon. Ringhiando furioso, il discepolo di Polemos vide che il muro di fiamme si stava espandendo anche ai lati, assumendo in fretta la struttura di un rettangolo aperto solo su un lato, quello rivolto verso di lui. Verso il Nilo.

"Fuoco o acqua." –Rifletté, sondando con il cosmo l’intera area, alla ricerca dei potenti compagni giunti con lui in Egitto. –"Due modi diversi per morire, entrambi non gratificanti per l’armata che avrebbe dovuto radere al suolo questo vetusto tempio, facendone la prima base per la successiva avanzata verso nord."

Dei cosmi di Keres e Lissa non trovò traccia, neppure all’interno di Karnak. Apate e Disnomia erano cadute, e probabilmente anche Oizys, per quanto di quelle infide Astrazioni non gliene fregasse niente. I Lestrigoni erano stati quasi tutti abbattuti, eccezion fatta per un’ultima decina, riuniti al centro del perimetro fiammeggiante con i Nefari sopravvissuti. Ben pochi per riuscire ad abbattere l’Angelo di Fuoco, il Cavaliere Divino e Amon Ra! Senza contare i quattro seguaci di Avalon ancora vivi, e il Cavaliere d’Oro che ha vinto Beira! Dovette ammettere Chimera, volgendo lo sguardo verso est, oltre Karnak. Oltre l’Egitto.

Là, presso il porto di Ghalib, dove Forco e i suoi sottoposti sarebbero dovuti arrivare, marciando poi sul tempio dal lato opposto, cingendolo in un massiccio assedio. Dove diavolo è finito quell’idiota? E che ne è dei guerrieri dei mari che si vantava di aver restaurato? Maledetto lui e tutta la sua genie mostruosa! Spero abbia una spiegazione soddisfacente per la sua defezione! Quindi, comprendendo di non poter fare altro, vociò ai Nefari e al resto dell’Armata delle Tenebre di ritirarsi.

"Mio Signore, non ce lo permetteranno! Non ci lasceranno andare via!" –Lamentò Jared, il volto per metà ustionato dalle fiamme del Selenite di Marte.

"Ci penseranno i Lestrigoni ad offrirci una possibilità di fuga! Mi avete sentito? Voi, grossi giganti deformi, dimostrate che il Lord Comandante non aveva sbagliato a volervi in squadra! Avanzate, coraggio! Marciate compatti verso i nostri nemici! Marciate verso la fine di tutto!!!" –Imperò, spingendo i robusti soldati avanti con la propria aura cosmica, permettendo al resto dell’esercito e ai tre Nefari sopravvissuti di ricongiungersi a lui.

"Do… dove credete di andare?!" –Rantolò il Faraone delle Sabbie, disteso sotto di lui.

"Torniamo a casa, idiota! E tu verrai con noi! Misera preda, ma meglio di niente!" –Chiosò Chimera, stordendolo con un pugno in testa. Quindi diede ordine al Wendigo di metterselo in spalla, prima di avvolgere il resto delle truppe nel suo cosmo e invocare l’aiuto dell’ancestrale Divinità cui erano fedeli. Lui li avrebbe protetti. Lui li avrebbe ricondotti al Santuario delle Origini, dando loro una seconda possibilità.

Non riuscì a trattenere un gemito di dolore, che mutò presto in uno strillo disperato, quando l’ombra di Caos si allungò su di loro, sovrastandoli e inglobandoli in una nube oscura, dentro la quale, uno dopo l’altro, vennero massacrati.

"Pietà! Pietà, mio Signore!!!" –Gridò Chimera, mentre artigli di tenebra dilaniavano i soldati che fino a poco prima avevano lottato in suo nome. –"Non è stata colpa nostra! Forco ci ha abbandonato! Lui è il colpevole… luiii!!!" –Strepitò, al pari dei Nefari, sentendo il sangue ribollire nelle vene, le corazze schiantarsi, le ossa scricchiolare, sul punto di esplodere. Quindi, quando temette che sarebbe davvero stata la fine, la nube nera svanì, evaporando all’istante, come non fosse mai esistita.

Guardandosi attorno, l’allievo di Polemos vide che erano di nuovo nel deserto del Taklamakan, di fronte alla Porta della Notte. Allora, e solo allora, si concesse di cadere in ginocchio sull’arido suolo, vomitando sangue e chissà quale liquido interno, prima di voltarsi verso coloro che erano rimasti, i pochi fortunati a sopravvivere ad una collera così oscura. Jared, Eogan, il Wendigo, e la carcassa di Osorkon del Falco, ultimo Faraone delle Sabbie a morire per Amon Ra. Del resto dell’Armata delle Tenebre non erano rimaste neppure le ceneri.

"Forco, tu sia dannato per l’eternità!!!" –Ringhiò Chimera.