CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO: LA GRANDE BALENA.

La strategia di Ceto non stava funzionando. Aveva vinto, in un breve lasso di tempo, il figlio di Odino e l’altra Asinna sopravvissuta al crollo dei mondi, rinchiudendoli in una prigione mentale. Sebbene, dovette ammettere, i due Dei si siano vinti da soli, sopraffatti da paure recondite che non sono stati in grado di affrontare.

Poi era arrivato Avalon, e il gioco era finito.

Aveva provato lo stesso trucco rivelatosi vittorioso con Vidharr, ma il Signore dell’Isola Sacra l’aveva scoperto subito, dimostrando di non aver timore di niente. Era questa la cosa che la infastidiva e al tempo stesso impensieriva di più, il fatto che per tutta la durata del breve incanto con cui l’aveva travolto non avesse mai percepito la benché minima paura in lui. Com’era possibile? Persino gli Dei, in quell’ora più buia, così prossima alla fine, tremavano terrorizzati di fronte alla perdita della loro immortalità, della loro eterna giovinezza! Persino i verdi campi dell’Olimpo, che da secoli vivevano in un’infinita primavera, si stavano isterilendo, al pari delle Divinità che vi avevano a lungo dimorato tra i fasti e i lussi sfrenati! Come poteva quell’uomo non avere paura della fine?

E poi, in tutta franchezza, si chiese, venendo spinta indietro dall’ennesima onda di energia, chi diavolo è costui? Si definiva il Signore dell’Isola Sacra, sebbene l’isola su cui regnasse fosse solo una zolla di terra in una regione paludosa della Britannia occidentale, ove un tempo il mare giungeva ad invadere i campi, lo stesso mare che le aveva portato informazioni al riguardo, le poche che era riuscita a carpire. Perché c’era poco da dire, poco da scoprire su un uomo le cui origini parevano cinte da aloni di nebbia così fitti come quelli che celavano Avalon al mondo. Era un Angelo, al pari dell’oscura entità che aveva servito Caos negli ultimi secoli, anticipandone la venuta, ma chi e quando li avesse generati nessuno sapeva dirlo. Neppure Anhar lo sapeva, limitandosi a sostenere di essersi risvegliato un giorno, in quel corpo, con quella stessa coscienza. Ma cosa ci fosse stato prima era un mistero che nessuno aveva ancora svelato.

Nessuno tranne due persone.

"Cometa di Avalon!!!" –Esclamò l’Angelo di Luce, generando un globo di energia che schizzò verso Ceto, obbligandola a portare avanti le braccia, i palmi rivolti verso il nemico, per contenerne l’impatto. Ci riuscì a stento, barcollando all’indietro, impacciata dalla mole del suo stesso corpo che non la favoriva in uno scontro diretto.

Non sulla terraferma, quantomeno. Rifletté, iniziando a pensare ad un modo per raggiungere il mare, dove avrebbe potuto recuperare il suo vero aspetto, quello della Grande Balena, con cui aveva tempestato le coste di Asgard con forti colpi di coda, per farla cadere e per spaventarne i difensori. Ma non doveva distrarsi troppo, non doveva cercare, neppure con gli occhi, una via per tornare al mare, perché Avalon l’avrebbe compreso, troppo intelligente per non sospettare un nuovo trucco. A volte, pensava Ceto, era convinta che quegli occhi argentei fossero in grado di guardarle dentro e di scoprire ciò che stava pensando.

"Così è, infatti!" –Commentò il Signore dell’Isola Sacra, strappando un gemito di sorpresa alla Dea oceanica. –"Non che ci voglia molto, in verità! L’hai detto tu stessa, di non aver niente da nascondere! Ed infatti lo percepisco chiaramente! Il tuo cuore è aperto, limpido, pieno di vita, intriso di un amore che ne ha segnato il passare del tempo, un amore per un’unica sola persona, il Dio che combatte negli abissi del Pacifico per restaurare il suo antico nome!"

"Parli bene, Avalon! Tutta la mia esistenza l’ho vissuta in nome di Forco e del nostro amore! Ma dubito che un tipo solitario come te, annebbiato dalla foschia di quell’isola paludosa, possa comprendere cosa significhi vivere per qualcuno!"

"Non per qualcuno ho vissuto, ma per qualcosa! Per uno scopo! E la tua sconfitta lo testimonierà!" –Disse Avalon, sibillino, prima di espandere il proprio cosmo e generare un’onda di energia che sbatté Ceto a terra, schiantandola nel pavimento ghiacciato, a vari metri di profondità. –"Ti offro una possibilità, Dea dal cuore pieno d’amore! Vattene! Torna nei mari in cui a lungo hai dimorato, aspettando il ritorno di colui cui sei devota, e là resta, là vivi, assieme a Forco! Nessuno vi verrà a stanare, nessuno verrà in cerca di una sanguinosa vendetta!"


"Stai… scherzando?!" –Rantolò Ceto, rialzandosi.

"Non è mia abitudine!" –Chiosò Avalon, fermandosi sul margine del cratere che il corpo della Grande Balena aveva creato. –"Pensaci! È un’offerta molto più generosa di quella che Caos vi porrebbe davanti dopo aver contravvenuto ai suoi ordini!"

"Non dire eresie! Il mio Signore combatte dall’altra parte del globo per portare avanti un piano ordito nel corso di lunghi anni! Come potrei io, sua devota sposa, abbandonarlo? No, Avalon, non voglio la tua pietà né la tua grazia! Voglio solo la vittoria che darà lustro al nome di Forco, che renderà giustizia ai disprezzati popoli dei mari e porrà le basi del nostro nuovo regno!"

"Così tanto desideri regnare? Allora non è forse l’amore il sentimento che guida i tuoi passi…"

"Sbagli! È per amore che combatto, per amore di Forco!" –Sibilò Ceto, espandendo il proprio cosmo, che scaturì dal terreno sotto i piedi di Avalon, scaraventandolo in aria. Ma il Signore dell’Isola Sacra fu lesto a roteare su se stesso, con un’agile capriola, atterrando qualche metro indietro, perdendo il lungo mantello argentato che lo rivestiva e rivelando infine la propria lucente corazza. –"Assieme abbiamo immaginato il nuovo mondo! Assieme abbiamo aspettato l’avvento di Caos, per ridare lustro ai mari dimenticati! Non cederò adesso, neppure davanti a te, Avalon! Cosa sei, in fondo? Che tu sia uomo o Dio, sarai piegato! Neppure tu puoi resistere alla furia degli oceani!" –Avvampò la Dea, mentre il cosmo turbinava attorno a sé, prendendo la forma di un gigantesco capodoglio. –"Grande Balena Bianca!!!" –Tuonò, portando avanti le braccia e scatenando l’impeto del suo assalto.

Avalon dovette bruciare la propria aura cosmica, concentrandola su una barriera che eresse in fretta davanti a sé, venendo comunque spinto indietro. Inoltre, per quanto tentasse di respingerne la foga, l’immenso cetaceo di energia pareva non placarsi, continuando a sbattere furiosamente contro il muro difensivo, fino a incrinarlo.

"Solo non sei, Signore dell’Isola Sacra!" –Esclamò allora una voce, mentre un cosmo divino si aggiungeva al proprio, solidificando la barriera e impedendo al capodoglio di distruggerla.

"Ci siamo anche noi!" –Intervenne una seconda voce, appartenente a una donna, mentre una figura gli passava accanto, balzando poi in aria e liberando piccole sfere di energia dorata. –"Gli Dei di Asgard vivono ancora! Non sono tutti caduti nel Ragnarök!" –Chiarì, bombardando Ceto con un attacco a raffica, obbligando la sposa di Forco a sollevare le proprie difese, rinunciando quindi all’assalto.

"Vidharr! Lieto di vedere che sei salvo!" –Commentò Avalon, riconoscendo il figlio di Odino, il quale, sia pur in notevole affanno, non pareva avere ferite aperte sul corpo. Stessa cosa poté dire dell’Asinna che atterrò poco dopo al suo fianco, con cui aveva scambiato due parole nel palazzo di Asgard, pur senza conoscerla bene.

"Idunn è il mio nome!" –Disse la Dea. –"Sposa di Bragi, Dio della Poesia, e custode delle mele della giovinezza!"

"Ti ringraziamo per averci difeso, Signore dell’Isola Sacra, ma concedici adesso di combattere al tuo fianco! Non che guerreggiare sia il nostro desiderio, ma difendere quel che rimane della nostra terra, la roccaforte eretta in onore a mio Padre, millenni addietro, quando ancora si aggirava vagabondo per il Recinto di Mezzo!"

"Midgard è l’ultimo avamposto della nostra civiltà! Se cade, anche noi cadremo con essa!" –Chiarì Idunn.

"E allora preparatevi a cadere, stolte Divinità! Avresti fatto bene a fingere di dormire ancora, così avreste avuto salva la vita!" –Ringhiò Ceto, rialzatasi, le squame protettive affumicate dall’assalto della compagna di Bragi.

"Ci prendi per vigliacchi? Aggettivo che ben denota la tua personalità, Signora dei Mari! Subdolo è stato il modo in cui ci hai attaccato, risvegliando le nostre paure recondite! Su tutte, il mio timore di non essere all’altezza dei miei fratelli!"

"E il dolore per la perdita del mio compagno!" –Commentò Idunn, abbassando per un momento gli occhi, prima di tornare a fissare Ceto con rabbia. –"Proprio tu, che decanti lo splendore dell’amore, come osi infangare il mio? Pagherai quest’affronto!" –Avvampò, avanzando verso di lei.

Fu Avalon a fermarla, afferrandole un esile braccio e costringendola a voltarsi verso di lui, che stava scuotendo la testa.

"Come?!"

"Non sottovalutatela! La sua forza non ha niente a che invidiare a quella di Forco! Sono alti rappresentanti della Prima Generazione Cosmica, quella cui appartenevano anche i vostri antenati! Ymir, lo ricordate? Il gigante nato dal ghiaccio e dal fuoco agli albori dei tempi. La sua forza potrebbe essere simile!"

"Avalon dice il vero! Prudenza, Idunn!" –Intervenne Vidharr, ottenendo un cenno di scocciato assenso da parte della Dea, che tornò ad affiancare i due, senza perdersi il ghigno divertito comparso sulle labbra di Ceto.

"Bene, pare che dovrò essere io a prendere l’iniziativa! Di nuovo!" –Sibilò, bruciando il cosmo, che si palesò sotto forma di un guizzante colpo di coda con cui travolse i tre avversari, gettandoli a terra, stupiti da quel rapido movimento.

"Co… cos’è successo?!" –Balbettò Vidharr, rimettendosi a fatica in piedi. –"Come ci ha colpiti? Con una verga?!"

Avalon non rispose, atterrato anch’egli da quell’attacco repentino, che gli era parso simile ad una grande frusta, sebbene la Dea non impugnasse arma alcuna. Stufa di giocare in difesa, Idunn si rialzò di scatto, infiammando il proprio cosmo e lanciandosi avanti.

"Brutta strega! Pagherai per aver infangato il ricordo di Bragi!" –Gridò, saltando in aria e aprendo il braccio di lato, scagliando contro Ceto una pioggia di piccole sfere di energia. –"Mele d’oro! Esplodete!!!"

La Dea dei Mari fu svelta a sollevare una rozza difesa circolare, che la attorniò senza lasciare possibilità all’attacco di Idunn di travolgerla. Una difesa che ad Avalon sembrò composta dai musi di tanti animali marini, accatastati l’uno accanto all’altro, in un tributo agli oceani su cui Ceto e Forco volevano imperare.

"Sentinelle del Mare!!!" –Esclamò la figlia di Ponto e Gea, mentre tutte le teste di animale si illuminavano di una luce bluastra, quasi si risvegliassero da un profondo sonno.


"Idunn, attenta!!!" –Gridò Avalon. Ma la Asinna non fu lesta abbastanza.

I musi delle bestie oceaniche sfrecciarono avanti, aprendosi a raggiera attorno a Ceto e investendo, fagocitando, schiacciando tutto quel che incontrarono sul loro cammino. La Custode delle Mele venne travolta e schiantata a terra, a molti metri di distanza, con la Veste Divina danneggiata. Vidharr si portò rapido accanto ad Avalon, unendo le forze per sollevare una barriera su cui l’impeto delle Sentinelle del Mare si schiantò, limitandosi a spingerli indietro, fin quasi a sbatterli contro quel che restava dell’abbattuta montagna che si ergeva alle spalle di Midgard.

"Che attacco… devastante!!!" –Commentò il figlio di Odino, con il fiatone. –"Se tu non ne avessi compreso il funzionamento, saremmo stati sbaragliati!"

Avalon gli diede ragione, ritenendo che quel colpo racchiudesse tutta la foga, e al tempo stesso la frustata disperazione, di creature obliate e perse negli abissi oceanici, creature su cui Ceto dominava. Lei, la Perigliosa, la possente Balena Bianca, colei che scatenava i pericoli del mare.

"Volete riprovare?" –Sogghignò la Dea, richiamando a sé i musi animaleschi, che tornarono a chiudersi attorno al suo tozzo corpo, una cintura che solo un attacco potente e mirato avrebbe potuto sfondare. –"O forse no?" –E mentre Avalon e Vidharr riflettevano sul da farsi, un nuovo rapido e violento colpo di coda li travolse, gettandoli di nuovo a terra. Ma quella volta, mentre si rimetteva in piedi, il Signore dell’Isola Sacra vide una sinuosa prominenza scivolare all’interno della cintura difensiva di Ceto, capendo infine quel che era accaduto.

"Le sue forme…" –Rifletté, aiutando Vidharr a rialzarsi. –"Le scaglie che credevo indossasse come rustica corazza… sono davvero la sua pelle… la protezione che la sua pelle assume in questa forma umana."

"Forma… umana?! Intendi dire che… è davvero un pesce?"

"Un pesce, una balena, un qualche mostro marino! Non ha importanza in realtà. Quel che è importante è evitare quel lesto colpo di coda, la sua coda!"

"Hai capito, allora! L’acume non ti manca, Signore dell’Isola Sacra!" –Rise Ceto, avvolta nel suo cosmo blu mare. –"Dici il vero, tra tutti gli Dei antichi io sono colei che maggiormente si è adattata alla vita nei mari, persino più del mio compagno! Io sono la prima Dea ad aver mutato la propria forma, rifuggendo da quella sempre ricercata bellezza che da Nyx in poi tutti hanno bramato! Pensate a Zeus, quel biondino dal fisico atletico, o alle Divinità Olimpiche di cui si è circondato, tutte giovani, belle ed eleganti! Sempre desiderose di far sfoggio di una bellezza esteriore, di cui a me poco è importato! Quel che volevo era sentirmi a mio agio, nei mari dove sono nata e in cui sono cresciuta, e solo in quella forma potevo sentirmi realizzata! Io sono il primo metamorfo, una consuetudine che a stento si è diffusa in altre culture ma che invece ha prosperato nei mari, ambiente ideale e più ricettivo!"

"Vidharr!" –Gli parlò Avalon, tramite il cosmo. –"Ho bisogno di te! Posso sfondare la sua barriera, ma riuscirai a contrastare la furia delle Sentinelle del Mare da solo?"

Il figlio di Odino annuì, iniziando a radunare tutte le proprie forze, prima che un cosmo amico si unisse a lui.

"Non solo è!" –Commentò Idunn, avvicinandosi all’Ase.

Avalon annuì, espandendo la propria energia e concentrandola sull’indice destro da cui scaturì una selva di raggi lucenti.

"Ah ah ah! Vorresti penetrare la mia barriera con quegli strali sottili? Le troppe nebbie ti hanno affumicato il cervello, Avalon!" –Rise Ceto, osservando i fasci di luce schiantarsi sui musi animaleschi, che parvero quasi sogghignare con lei. Quindi, con estrema velocità, la Dea ricreò la propria coda squamata, muovendola ratta verso i tre compagni, per atterrarli di nuovo.

"Ora!!!" –Gridò Avalon, saltando ed evitando il colpo di coda. Vidharr e Idunn fecero altrettanto, strappando un moto di fastidio alla sposa di Forco, ma, indeboliti dalle ferite precedenti, dovettero planare subito dopo a terra.

"Sentinelle del Mare!!!" –Imperò allora Ceto, scatenando la furia delle bestie oceaniche, che di nuovo si abbatterono sui compagni, obbligandoli ad un estremo sforzo per contrastarle. Vidharr fu piegato dalla foga, costretto a poggiare un ginocchio a terra mentre teneva le braccia avanti a sé, unite e con i palmi volti all’avversaria, cingendo lui e Idunn di un velo difensivo, sostenuto anche dal cosmo dell’Asinna. Per un breve istante Ceto non vide alcunché, la visuale limitata dallo scontro di energie in atto, dal turbinare furioso dei cetacei e delle altre creature mostruose che aveva liberato e dallo splendore dorato della difesa degli Asgardiani.

Fu quando la luce parve scemare d’intensità, e il suo attacco disperdersi, che si accorse che dietro il velo di Vidharr c’erano solo due figure. Di Avalon nessuna traccia.

Terrorizzata, si guardò attorno, notando solo allora la cortina di nebbia che era sorta attorno a lei, quella stessa foschia che tanto aveva deriso in precedenza.

Su tutto una voce sorse.


"Cometa di Avalon!"

Una scintillante sfera di energia argentata squarciò il cielo, piombando ad incredibile velocità su Ceto, così rapida che persino la Dea faticò ad individuarla fino a che non sfondò la sua cintura protettiva, abbattendosi sul suo fianco destro e facendola urlare di dolore. Mai, in tutta la sua lunga vita, la sposa di Forco aveva provato un calore così rovente. Lei, da sempre nascosta negli anfratti oceanici, da sempre schiva e disinteressata ai raggi del sole, che a stento giungevano in così profonde immensità, aveva per la prima volta provato cosa fosse l’abbagliante luce di un cosmo ardente.

Stringendo i denti per il dolore, gli occhi arrossati di lacrime e rabbia, la Grande Balena crollò sulle ginocchia, tastandosi il fianco ferito, osservando con orrore le squame annerite, carbonizzate, morte ormai. Se la cometa di energia non fosse stata rallentata dalla barriera che la attorniava, di certo sarebbe morta.

"Maledetto!!!" –Ghignò, rimettendosi in piedi e fissando Avalon con astio. Avalon il nemico, Avalon che gli impediva di portare a termine il progetto cui lei e Forco avevano lavorato a lungo. Avalon senza il quale Asgard sarebbe già caduta, assediata dall’esterno e attaccata dall’interno. Come avrebbero potuto resistere i pochi sparuti difensori alla furia della Signora dei Cetacei? –"Sì, sono la Grande Balena, non una Deuccia qualsiasi! E non tollero simili affronti!!!" –Avvampò, il volto deformato da una collera improvvisa.

"Ecco dunque la tua vera natura! Non Dea d’amore, ma Dea di guerra!" –Chiosò Avalon, non ottenendo altro che farla infuriare ancora di più. Avvolta nel suo cosmo bluastro, Ceto si lanciò avanti, piombando in mezzo ai tre alleati e obbligandoli a scattare ognuno in una direzione diversa, proprio come voleva. Solo quando videro i volti delle creature bestiali lampeggiare attorno alla Dea, Vidharr comprese l’errore che avevano commesso, esponendosi ad un attacco diretto.

"Sentinelle del Mare!!!" –Tuonò infatti Ceto, liberando il suo colpo a raggiera e investendo i tre avversari, scagliandoli a terra. Quindi, fiaccata da quel prolungato sforzo sulla terraferma, si accasciò, tenendosi il fianco ferito. Claudicando, raggiunse un cumulo di neve, poco distante dal corpo svenuto di Avalon, e lo scavò con le mani, riempiendosele e portandole poi alla bocca, succhiando avidamente quell’acqua di cui così tanto aveva bisogno.

Non posso restare ancora qui! Realizzò, ammettendo che quello scontro era durato molto più di quanto avesse pensato all’inizio, incamminandosi infine verso il sentiero che conduceva alla costa estrema di Asgard, quella che si affacciava sul Mare Artico, da cui ore prima era giunta. Doveva tornare in acqua, recuperare la sua vera forma e permettere così alla ferita di rimarginarsi. Non ci sarebbe voluto molto, solo qualche minuto a mollo nella fonte della vita, qualche minuto di beatitudine.

Avanzando verso la scogliera, non poté fare a meno di pensare a Forco, il cui cosmo sentiva espandersi in abissali profondità. Lo sentiva chiaramente, come se fosse lì, a combattere vicino a lei, perché il mare gliene parlava, il mare le raccontava ogni cosa, a lei che sapeva ascoltarlo. Il suo amato stava lottando, per prendere la Perla dei Mari e sedere sul trono di corallo dell’Avaiki, la loro nuova casa. Dopo tanto peregrinare di anfratto in anfratto, sfuggendo gli occhi stanchi degli Dei moderni, che ormai ben di rado poggiavano lo sguardo sugli abissi oceanici, avevano convenuto entrambi di doversi sistemare, di volersi sistemare, signori di un regno che avevano conquistato assieme. Con quel pensiero nel cuore, Ceto arrivò sul bordo della scogliera e si lanciò di sotto, a braccia aperte, pregustando già il contatto con la gelida acqua dell’Artico, la bellissima sensazione di tornare a casa e abbracciare i figli rimasti in trepidante attesa. Non quelli che aveva realmente partorito, che strade diverse avevano scelto, strade che avevano condannato molti di loro all’oblio, bensì il mare e le sue creature, di cui si sentiva la madre.

E adesso la madre sta tornando! Sorrise, continuando a precipitare. A precipitare. A precipitare.

Senza raggiungere l’acqua.

Com’era possibile?! Spalancò gli occhi all’improvviso. Il mare era lì, calmo e gelido, sotto di lei, con le azzurre acque tinte di bianco e lei ci stava piombando dentro, eppure… non riusciva a raggiungerlo. Più cadeva, più sembrava sprofondarvi dentro, e più il mare stesso si allontanava, più la superficie marmorea dell’Artico pareva sprofondare con lei, in una discesa infinita, senza che lei vi si potesse abbeverare.

Cosa sta succedendo?! Si disse incredula, travolta da un terrore inatteso. Provò persino ad allungare le braccia, annaspando, quasi nuotando nel vuoto che seguiva il balzo, ma non trovò niente davanti a sé. Soltanto un ulteriore vuoto. Il mare non l’avrebbe raggiunto più.

"No!!! No!!! Non è possibile!!!" –Gridò, sconvolta da tale infausta prospettiva.

Proprio in quel momento il suo tozzo corpo si schiantò su una dura superficie, sprofondando per qualche metro tra lastre di pietra distrutte, terriccio smosso e neve. A fatica, cercando di ignorare il dolore delle ossa spezzate dentro di sé, Ceto affannò nel rialzarsi, nel ritornare alla superficie, stordita da quella concatenazione di eventi che non aveva senso. Le bastò tirarsi su e osservare il retro del palazzo di Asgard per capire che era ancora lì, nel piazzale dove aveva combattuto e dove era stata abbattuta una seconda volta.

Avalon apparve in quel momento nel suo campo visivo, fissandola in silenzio, con quello sguardo inespressivo che pareva nascondere un’infinita inspiegabile malinconia. E allora la Dea dei Mari capì cos’era accaduto.

"Mi hai imbrogliato!"

"Credevi che non fossi in grado di ricreare un trucchetto come il tuo? Non è stato poi difficile entrare nella tua mente e scoprire cosa volevi davvero, cosa disperatamente bramavi, per usarlo contro di te, come non ti sei peritata di fare con le paure inconsce di Vidharr e Idunn!" –Precisò il Signore dell’Isola Sacra. –"Hai ammesso tu stessa di essere un libro aperto; io ho solo sfogliato le tue pagine e dietro l’amore per Forco e la speranza di un futuro assieme ho trovato anche una recondita paura all’idea di vivere in un mondo senza acqua, all’idea di vivere fuori dagli oceani! Ecco perché volevi tornare al mare, per recuperare forza e scagliarti di nuovo contro Asgard! Ma ti dirò una cosa, che forse hai dimenticato! Mesi addietro già un’altra bestia ha provato ad abbattere le mura della cittadella, un Leviatano al servizio di Anhar, terminando la sua sofferente esistenza in una baia poco distante! Esattamente, cosa ti ha fatto credere di poter raggiungere un risultato migliore?!"

Ceto non rispose, avvampando nel proprio cosmo bluastro, ma prima che potesse lanciarsi avanti si ritrovò prigioniera di una morsa psichica, che Vidharr aveva appena stretto su di lei. Lo sguardo dispiaciuto, come sempre di fronte a una battaglia e alla morte, il figlio di Odino pareva comunque risoluto a non permetterle di agire più, a non permetterle ulteriori devastazioni.

"Ma fammi il piacere! Vorresti imbrigliare la furia della Grande Balena con questi ridicoli cerchi di energia?!" –Ringhiò la Dea, espandendo il proprio cosmo e alzando le braccia di scatto, liberandosi e spingendo i tre alleati indietro di qualche passo, mentre dalle ferite aperte tra le sue scaglie grondava sangue divino. Ferite che ormai non era più in grado di nascondere né di curare, fintantoché non avesse raggiunto il mare.

"E tu non lo raggiungerai!" –Chiosò Avalon, puntandole contro l’indice destro e crivellandola con migliaia di fasci di luce.

"Raughrrr!!!" –Ceto ringhiò, la bocca deformata in fauci animalesche, mentre l’ichor che scorreva nascondeva il cambiamento in atto nel suo corpo, un cambiamento che non riusciva più a controllare. Volente o nolente, avrebbe presto recuperato la sua forma animalesca, quella con cui si era adattata a vivere negli oceani. –"Lasciatemi… passare! Voglio tornare… al mare!!!"

"No!" –Esclamò Avalon. –"Ti ho offerto un’opportunità di salvezza e l’hai rifiutata! Ora affronta la fine di tutto, la stessa fine cui tu e il tuo sposo avete destinato il popolo libero dell’Avaiki!" –Aggiunse, espandendo il proprio cosmo e sollevando un’impetuosa corrente di energia simile ad un fiume di stelle.

"E sia! Che queste parole valgano anche per te, Gran Tessitore! Che questo sia il tuo ultimo scontro!!! Cadi! Grande Balena Bianca!!!" –Tuonò Ceto, portando entrambe le braccia avanti e generando un enorme capodoglio di energia, che si scosse davanti a sé, impennandosi e gettandosi di muso all’interno della torrenziale corrente liberata da Avalon.

"Nebulosa delle stelle!!!" –Imperò questi, aumentandone la furia e riuscendo infine a frenare l’avanzata dell’enorme cetaceo, spingendolo via, disperdendolo, mentre il fiume di energia stellare si abbatteva su Ceto, scaraventandola in alto.

"Ora!!!" –Intervenne Vidharr, scagliando un’onda di energia contro la Dea, esposta anche al contemporaneo assalto di Idunn, che la stava bombardando con migliaia di mele dorate, distruggendone le ultime scaglie, tra grida di atroce tormento.

Ricadde a terra, la non più perigliosa Ceto, e lì rimase, per minuti che le parvero interminabili, in un cratere nel devastato piazzale, traboccante del sangue e dei tessuti umani che aveva perduto, colpita, squarciata, quasi sventrata, in una forma che non era in grado di controllare a pieno. Se solo fosse riuscita ad arrivare al mare, se solo avesse potuto guarire… Rantolò, nell’estremo tentativo di muovere gli arti. Faticò ad arrivare alla cima dell’avallamento, la vista appannata dal sangue che le colava da una ferita sulla fronte. Ma anche priva di occhi, poté sentire gli sguardi dei tre alleati su di lei, sguardi che si soffermavano sul suo tozzo corpo deforme, che stava tentando di recuperare l’altra forma, la sua vera forma, quella nascosta sotto squame che ormai erano state scheggiate e divelte. E poté sentire anche il cosmo di Avalon espandersi di nuovo, davanti a lei, a sbarrarle il passo.

"Qui tutto finisce!" –Commentò questi.

E Ceto dovette dargli ragione.

Con tutte le ultime forze, mulinò la propria grossa coda, scagliando indietro sia l’Angelo che gli Dei di Asgard, giusto di qualche metro, una distanza sufficiente per permetterle di scattare avanti, di correre via, raggiungere la scogliera e gettarsi di sotto, finalmente nel mare. Avalon e Vidharr la inseguirono all’istante, osservandone la tozza sagoma sanguinante sprofondare in abissi da cui, erano certi, non sarebbe emersa mai più.

***

Tra le rovine del castello di Alexer, all’imbocco della Valle di Cristallo, il Cavaliere del Cigno stava tentando di opporsi all’avvento delle tenebre di cui si attorniava il Progenitore che gli stava davanti. Un Dio la cui immensità pareva essere più vasta di qualunque spazio la mente potesse concepire. Un’oscurità primordiale, la definì Cristal, muovendosi a passo rapido nella pioggia di strali neri che Erebo gli stava dirigendo contro.

Aveva sentito, poco prima, esplodere il cosmo di Flare e quello di Avalon, chiedendosi con ansia cosa stesse accadendo ad Asgard, quale nemico avesse potuto giungervi senza che lui ed Alexer lo notassero. Pur tuttavia dovette scacciare quei pensieri, sforzandosi di aver fiducia nel Principe degli Angeli, che di certo avrebbe fatto il possibile per difendere l’ultima Sacerdotessa di Odino. Non fu facile accantonare quei timori, che continuavano imperterriti a ronzargli il testa, a distrarre la sua mente, ma doveva farlo. Doveva resistere, dando tutto se stesso, per proteggere coloro che credevano in lui e che a lui si affidavano. Alexer, ancora sepolto sotto cumuli di roccia e neve, i Blue Warriors feriti, uomini che comunque non erano arretrati di fronte al pericolo, Flare e gli abitanti di Asgard, per cui rappresentava l’ultima barriera. E infine per Eir, la Asinna della Medicina intervenuta in suo aiuto, usando il cosmo per tenere Erebo a distanza, in modo da impedire alla sua tossica aura di lambirgli il corpo e piegarlo.

"Ah ah ah! Danzi bene, Cigno bianco! Mi allieta vedere che le mie daghe riescono a farti tenere il ritmo!" –Sghignazzò il Dio primordiale. –"Ma cosa accadrebbe se aumentassi l’andatura? Se la musica… salisse di intensità!!!" –Rise, incrementando il profluvio di strali oscuri e obbligando Cristal ad uno sforzo maggiore per schivarli tutti.

Non ci riuscì e fu trafitto ad una gamba, perdendo velocità ed esponendosi alla carica delle migliaia e migliaia di altre daghe nere che non aspettavano altro che trafiggerlo. Con un ultimo titanico sforzo, sollevò un muro di ghiaccio, ben sapendo quanto poco sarebbe durato, solo il tempo di un respiro.

"No!!!" –Fu un’acuta voce giovanile a riscuoterlo, costringendolo a rialzare la testa e ad ammirare un lucore azzurro ergersi a sua difesa, mentre sciami di comete energetiche saturavano lo spazio che lo separava da Erebo, contrastando i tenebrosi fasci del Nume. –"Non farai del male al mio amico!!!"

"Che cosa?!" –Esclamò questi, per la prima volta sorpresa nel riconoscere il nuovo arrivato. Un vecchio avversario.

"Pegasus…" –Mormorò Cristal, accasciandosi dietro al compagno, felice di vederlo.

"Stai bene, amico mio? Riposati, quel tanto di cui avrai bisogno per recuperare le forze! Mi occuperò io di questo spiritello fastidioso!"

"Moccioso impertinente! Sei ancora vivo?!" –Tuonò Erebo, sollevandosi in aria davanti a lui, avvolto nella propria aura oscura.

"Ci rivediamo, occhietti rossi! E ho pure una nuova armatura, adesso!" –Disse Pegasus, prima di scattare avanti, liberando il proprio colpo segreto, che sfrecciò verso il Nume primordiale, strappandogli un sorriso divertito.

"Tanto giovanile ardore… Peccato sia destinato a perdersi…" –Chiosò, parando ogni singola sfera di energia azzurra, prima di avvolgerle in una spirale d’ombra e radunarle tutte sopra di sé, con un semplice movimento del braccio destro.

Ma proprio in quel momento tre attacchi lo raggiunsero simultaneamente, tempestandogli la schiena e facendo fumare persino la sua tetra corazza tanto acceso era il cosmo di coloro che lo avevano investito. Voltandosi rabbioso, Erebo notò che Alexer si era liberato dalla frana ed aveva appena liberato le sue folgori. Al suo fianco, una fanciulla dai capelli viola, rivestita da un’armatura dorata e d’avorio simile ad una campana stilizzata, e un giovane dai capelli biondi, la cui Veste Divina rischiarava la sera di Asgard ad ogni minimo movimento.

Non ebbe bisogno di chiedere loro chi fossero, che già Zeus e Atena lo attaccarono.