CAPITOLO TRENTUNESIMO: PERICOLO DAL MARE.
Mani era in piedi sulle mura di Asgard, dando ordini ai soldati del nord per controbattere l’offensiva nemica. Shen Gado era rientrato da poco, aiutato da alcuni Blue Warriors sopravvissuti, e l’aveva informato che la piazzaforte di Alexer era perduta e che l’Armata delle Tenebre sarebbe giunta a breve. Non aveva ancora terminato il proprio resoconto che già la prima ondata di frecce nere si era abbattuta sulle mura merlate, obbligando il Selenite di Saturno a intervenire personalmente.
Pur tuttavia c’era qualcosa di strano nell’agire dei loro nemici. Parevano esitare, per quanto Mani non capisse perché. Sentiva chiaramente l’immensa energia oscura provenire da fondo valle, intenta a battagliare con il Cigno e con l’Angelo di Aria, come sentiva gli altri scontri in corso nella foresta di Asgard. Cosa stavano dunque aspettando questi guerrieri? Perché si limitavano a sporadiche incursioni e non sferravano l’assalto definitivo? Di certo non era paura a frenarli, non poteva essere con quell’ombra che saturava il cielo, sostenendo il loro operato e gettando terrore nel cuore dei difensori della cittadella.
E allora cosa? Si chiese l’Ase della Luna.
La risposta lo raggiunse a breve, sotto forma di una scossa violenta che fece tremare l’intera fortezza, gettando molti soldati di sotto dalle mura. Una seconda, ancora più volte, abbatté persino una torretta di guardia, che Mani vide sgretolarsi in una nube di polvere, resti umani e caos, che subito serpeggiò tra gli uomini.
"Non cedete!" –Gridò loro, rimettendosi in piedi e cercando di rincuorare il morale delle guardie. –"Non date al nemico questa soddisfazione! Vuole vederci sconfitti! Vuole vederci piegati! Vuole vederci impauriti! Ma noi non lo saremo!"
In cuor suo non sapeva quanto crederci, ma doveva farlo se voleva tenere alto il morale dei soldati. Quella fortezza a picco sul mare, che Asi e Vani avevano a lungo chiamato Midgard, era tutto quel che restava di Asgard, della vera Asgard, e lui era uno degli ultimi della sua stirpe, aveva il dovere morale di difenderla, anche per coloro che non c’erano più. In quel momento, mentre il suolo tremava una terza volta e l’Armata delle Tenebre ne approfittava per lanciarsi in massa contro il Cancello dei Grifoni, per sfondarlo e penetrare nella cittadella, Mani si ritrovò a pensare a Odino, a Balder, a Heimdall. Avrebbe voluto avere la loro forza, la loro lucentezza, la loro perseveranza. Avrebbe voluto impugnare Gjallarhorn e soffiare nel corno d’oro, per chiamare tutti gli Asi e Vani a raccolta, e con loro i popoli dei nove mondi, per vedere la lancia di Odino insinuarsi tra i nemici e falcidiarli, per ammirare la grazia di Balder e Freyr, avvolti nella luce del sole, e per combattere assieme a Tyr, che di certo sarebbe stato in prima linea contro qualunque creatura demoniaca.
Ma erano tutti caduti, scomparsi durante il Ragnarök che, dovette ammettere, non era ancora finito. Non per gli uomini e per i pochi Dei che ancora resistevano.
Proprio uno di loro attrasse la sua attenzione, il silente figlio di Odino di cui percepì il cosmo nel piazzale retrostante, mentre si allontanava dalla cittadella e si dirigeva verso il versante che scendeva a strapiombo sul mare. Che cosa vuole fare? Non poté evitare di chiedersi Mani, evitando una freccia nemica. Perché muoversi in quella direzione? Non c’è niente là, solo il mare. Che pericolo potrebbe mai venire dal…?
Solo allora lo sentì. Un cosmo potente, antico, oscuro. Un cosmo rimasto celato fino a quel momento, da una maestria che pochi potevano possedere, di certo un Dio. Digrignando i denti frustrato, il Selenite si ritrovò a pensare che avrebbe davvero voluto essere Heimdall. Lui non si sarebbe mai fatto passare un nemico sotto il naso.
***
Vidharr l’aveva sentito avvicinarsi, quel cosmo oscuro e silente. Era strisciato nelle gelide acque del Mare Artico, confondendosi con le zolle di ghiaccio che ne ricoprivano la superficie, sebbene di bianco non avesse niente. Tutt’altro. Era un’ombra, come quelle che avevano marciato su Bifrost poco tempo addietro, quanto non seppe dirlo neppure lui, incapace di misurare il tempo da quando Yggdrasill era crollato e i mondi si erano ribaltati. Come aveva potuto sopravvivere era un mistero anche per lui, che spesso aveva accompagnato il padre alla fonte di Mimir o a conversare con le Norne, alla ricerca di un più profondo senso che andasse al di là del fenomenico. Ma pur con tutta la sua sapienza, pur con tutta la sua dottrina, non riusciva a darsi una risposta, non sapeva spiegare come fosse stato in grado di sopravvivere al crollo dei mondi, a differenza dei ben più coriacei Odino e Tyr o del più meritevole Balder.
Li ricordava ancora con affetto, sebbene i ricordi tendessero a svanire, facendosi fumose immagini di una vita passata che quasi non sembrava più sua. Ricordava i sorrisi dello splendente figlio di Odino, in grado di dare sollievo persino ai morti di Hel con la sua sola presenza. Ricordava l’abilità guerriera di Tyr, che non aveva esitato a mettere una mano in bocca a Fenrir, come pegno di fede. E ovviamente ricordava il Padre di Tutti. Allfǫðr, così lo chiamavano i popoli dei nove mondi, ritenendo che tutti discendessero da lui.
Per lui era semplicemente il padre, con i suoi pregi e difetti. Ma alla fine era stato un buon padre, pronto a combattere in prima linea per difendere la sua terra e la sua famiglia! Rifletté Vidharr, camminando a piedi nudi sul freddo piazzale sul retro della cittadella di Asgard. E lui? Lui era degno di essere suo figlio?
Se l’era chiesto spesso, nel tempo trascorso alla corte di Odino, se fosse davvero meritevole di esserlo. Sugli altri non aveva mai avuto il minimo dubbio. A dispetto del suo carattere burbero, Tyr era un abile guerriero, forse il più forte in battaglia, secondo solo a Odino, ed era altrettanto coraggioso. Su Balder poi non poteva spendere che buone parole. Balder era l’eroe di cui Asgard aveva bisogno, il sole che sorgeva ogni volta che l’ombra pareva minacciarne i confini. Balder era giusto, misericordioso, caritatevole, dispensatore di sorrisi e gesti accorti. Balder era l’amore nella sua forma più pura e concreta. E Vidharr? Cos’era Vidharr, che i popoli di Asgard chiamavano il Silente? Non doveva poi essere granché, agli occhi dei fedeli, se gli avevano dato quell’appellativo, di certo non in segno di encomio.
In confronto agli epiteti che decantavano la gloria di Odino, lo splendore di Balder o di Freyr, il suo era davvero un nomignolo. Ma, del resto, come avrebbero dovuto chiamarlo? Per quale impresa avrebbero dovuto ricordarlo? Non aveva mai fatto alcunché, se non sedere ai piedi del trono, limitandosi ad ascoltare il padre e ad annuire. Non aveva partecipato a guerre o a cerche, non aveva passeggiato per i Nove Mondi dispensando gioia e sorrisi. Non aveva mai neppure scoccato una freccia, addirittura vietando che nei boscosi terreni ove risiedeva fossero cacciati animali, togliendo divertimento a Tyr, Ullr e a molti altri Dei avventurosi. Insomma, motivi per amarlo e ispirare gli scaldi a cantarne le lodi non ce n’erano. Tutto ciò per cui era noto erano le sue grosse scarpe, delle belle scarpe in verità, che Frigg gli aveva preparato con l’aiuto di Idunn dopo essersi lamentata che nessun calzolaio di Asgard avesse calzature adeguate al piede del figlio. Per una macabra ironia, convenne Vidharr osservandosi le dita imbrattate di neve e fanghiglia, adesso aveva deciso di girare scalzo, sentendosi molto più a suo agio nel toccare il gelido suolo, nel percepirne l’aspra durezza ma anche la resistenza, un freddo che non sapeva di morte bensì di speranza, un freddo che contribuiva a mantenerlo vivo.
"Per quanto ancora?" –Parlò infine una voce, sorprendendo il figlio di Odino, che si voltò giusto in tempo per ritrovarsi proprio suo padre di fronte.
"Allfǫðr?!" –Mormorò, sgranando gli occhi.
"È forse il massimo movimento che ho visto compiere al tuo volto, figlio mio!" –Commentò schietto il Signore degli Asi. –"Imperturbabile maschera hai offerto al mondo, per troppo lunghi anni, al punto da non destare emozione alcuna ai popoli su cui abbiamo imperato. La stessa mancanza di emozioni che ti ha colmato il cuore, spingendoti a chiuderti in te stesso."
"È stata una forma di difesa, padre! Lo sapete bene!" –Si limitò a spiegare Vidharr, avanzando verso il genitore ritenuto perduto, il quale, a quelle parole, annuì.
"Certo, certo! Io lo so! Ma il mondo non ha mai capito! Il mondo ti ha sempre considerato lontano, rifuggendoti, come tu hai lo hai rifuggito!"
"Io non…" –Tentò di replicare Vidharr, ma Odino lo interruppe alzando una mano.
"Tu cosa? Non ti sei forse costruito una dimora nella parte più isolata del regno, una buia casa di legno al centro di una foresta così fitta da rendere difficoltoso persino ai raggi di sole penetrare al suo interno? Una foresta in cui neppure Huginn e Muginn amavano svolazzare, percependone il disagio, l’inquietudine. La solitudine. Una via triste hai scelto di percorrere, figlio mio, proprio tu, con le tue possibilità! Perché? Perché questa chiusura? Non c’era dunque amore nella solarità di Balder? Non c’era passione nelle azioni di Tyr, o solennità nell’epica di Bragi? Gli Dei tuoi fratelli, tuoi compagni, hanno sempre offerto molto ad Asgard, hanno reso grande la nostra civiltà. Tu, Vidharr, cosa hai fatto?"
Per qualche secondo il Nume non rispose, limitandosi a fissare il padre con sguardo inespressivo, dimentico di tutto. Della guerra in corso, delle scosse che aveva percepito poc’anzi e che lo avevano spinto a scendere dalla Torre della Solitudine per controllare, persino del cadavere di Odino che i Cavalieri dello Zodiaco avevano riportato a Midgard, e che lui stesso aveva cremato, in silenzio, di nascosto da tutti. Già, questa era la sua natura. Una natura solitaria, introversa, riservata. Un animo che persino a suo padre aveva faticato a mostrare.
"Perdonami se ti ho deluso! Forse avresti voluto che fossi morto ad Asgard e che Tyr o Balder fossero qua, adesso!" –Disse infine, sospirando, strappando un sorriso al vecchio dalla barba grigia che gli stava di fronte.
"Caro ragazzo…" –Gli parlò il Dio con voce soave, avvicinandosi. –"Non avrei potuto desiderare di meglio. Ti ho osservato, da lontano, consapevole delle tue capacità e dei tuoi limiti, e proprio questi mi hanno permesso di essere qui!"
"Ma… come puoi essere qua, padre? Credevo che, con l’avvento di Caos, tutti gli Dei caduti fossero destinati a… scomparire per sempre…"
"E così è, infatti! Così è, Vidharr!" –Chiosò Odino, fissando il figlio con sguardo deciso.
Solo allora Vidharr si accorse che il padre aveva entrambi gli occhi.
***
L’inquietudine non gli si addiceva, eppure era un sentimento che Avalon stava provando in quel momento, come in poche occasioni passate. La prima volta che ne era stato invaso, quindici anni prima ormai, era la notte in cui Micene era morto, la seconda, nonché l’ultima, quando Nyx era riapparsa e il varco tra i mondi si era aperto. In quel momento aveva capito che tutto quello che aveva fatto fino ad allora stava per essere messo alla prova e che, in nessun caso, avrebbe potuto tornare indietro. Solo vittoria o sconfitta potevano esistere, per sé e per la Terra.
Con quel pensiero in mente aveva abbandonato la Biblioteca dei Polaris, uscendo sul retro della fortezza di Asgard, proprio dove Vidharr si era diretto poco prima.
"Vado a controllare!" –Aveva esordito il figlio di Odino, rompendo il silenzio che lo caratterizzava. Un silenzio che ad Avalon, comunque, non dispiaceva. Da allora erano trascorsi dodici minuti e Vidharr non aveva fatto ritorno.
Certo, anche le scosse che avevano gettato la roccaforte nel panico erano terminate e forse il Silente ne aveva davvero rimosso la causa, pur tuttavia Avalon sentiva ancora un’aura maligna infestare Asgard, un’aura di provenienza ben più vicina che non la fosca nube che saturava il cielo. Inoltre, per quanto provasse, non riusciva a mettersi in contatto con il figlio di Odino, nonostante ne avvertisse ancora la presenza.
C’è qualcosa di strano nel suo cosmo! Osservò, camminando nell’ampio piazzale dove Ilda era solita radunare il popolo per rendere omaggio a Odino. Voltando lo sguardo verso destra, Avalon vide i resti della statua dell’Ase giacere poco lontano, circondati da una palizzata di legno dentro cui gli uomini di Alexer avevano lavorato per risistemarla e poter tornare ad innalzarla un giorno non lontano. Una prospettiva che aveva animato molti di loro, anche i più pessimisti verso il futuro, e a cui dovevano continuare a guardare se volevano sopravvivere.
Sopravvivere. Una parola che adesso gli suonava così lontana. Adesso che l’ombra era arrivata.
"Cos’è che temi davvero?" –Gli disse una voce all’improvviso, rubandolo ai suoi pensieri, come se i suoi stessi pensieri avessero trovato forma davanti a sé, in un’anziana sagoma dagli occhi grigi che il tempo pareva non aver ingobbito.
"Tegel…" –Mormorò Avalon, riconoscendo il Primo Saggio.
"Questo era il mio nome, sebbene non l’abbia usato per molto tempo." –Sospirò questi, carezzandosi la folta barba bianca. –"Chi avrebbe dovuto chiamarmi così, in fondo? Gli amici con cui combattei un tempo contro la Prima Ombra? Raminghi nel mondo, ci dividemmo e perdemmo, uno dopo l’altro, cadendo in guerre che non ci appartenevano. Guerre che avevamo fatto di tutto per scongiurare ma in cui gli Dei moderni, i figli della Prima Generazione Cosmica, precipitarono il pianeta. Umpf, che ironia, vero? Sopravvivere al Caos per morire a causa dei suoi figli!"
"Maestro, nessuna morte è stata vana, nessuna di quelle dei Sette Saggi! Voi siete il nostro esempio, faro a cui guardare ogni volta in cui crediamo di smarrire la via!"
"Davvero?!" –Soppesò l’Antico, rabbuiandosi per un momento. –"Allora cosa fai qua? Perché non sei a compiere il tuo dovere? Il tuo vero dovere…"
Avalon non rispose, distogliendo per un momento lo sguardo. Ci aveva pensato a lungo, a quel che avrebbe dovuto fare, in quella lunga giornata trascorsa a meditare nella Torre della Solitudine, a espandere la sua aura sull’intera Asgard in modo da impedire all’Armata delle Tenebre di avanzare. Ma, alla fine, aveva davvero senso quel suo agire? Quel loro stare in difesa? Quel loro attendere sempre che gli eventi si verificassero? Come garante dell’equilibrio, aveva la risposta che necessitava. Pur tuttavia l’equilibrio si era rotto nel momento in cui il varco tra i mondi si era aperto e Caos era tornato. Adesso anche lui avrebbe dovuto scegliere dove stare.
Fu con quella consapevolezza che guardò di nuovo il Primo Saggio, proprio mentre un urlo terribile squarciava le tenebre. Un urlo di donna proveniente dall’interno del palazzo di Asgard.
Flare! Mormorò d’istinto il Principe Supremo degli Angeli, riconoscendone il cosmo e muovendo subito un passo in direzione della fortezza.
Tegel gli si parò davanti ma Avalon capì che non era lui, non poteva essere lui. Poiché l’Antico non avrebbe mai questionato al riguardo.
"L’Antico avrebbe capito!" –Rifletté, espandendo il proprio cosmo e spingendo l’anziana sagoma indietro, rischiarando l’intero piazzale con la propria aura argentea.
"Cosa fai, Avalon, levi la mano sul tuo maestro?" –Parlò il vecchio, con una voce che all’Angelo suonò ben diversa, strappandogli un sorriso compiaciuto.
"Pare che il tuo incanto sia finito! Chiunque tu sia palesati!" –Precisò, volgendogli contro il palmo della mano su cui un globo di energia era appena apparso. –"Ora!"
Una risata sottile scaturì dalle avvizzite labbra del Primo Saggio, che si allungarono divenendo una bocca sanguigna, sormontata da avidi occhi di donna, mentre il suo corpo si rivelava infine per quello che era. Una donna sì, ma non così aggraziata come Nyx o come Atena. Era grossa, e neppure tanto alta, e non portava armatura alcuna, soltanto una strana copertura di scaglie azzurrognole, di qualche animale marino che Avalon non seppe riconoscere. I capelli, lunghi e mossi, erano di un blu scuro ed erano avvolti al suo corpo, per nasconderne in parte le forme, per quanto non sembrasse turbata da quella sua apparente nudità.
"Perché dovrei?!" –Disse infine, rispondendo alla silenziosa domanda del Signore dell’Isola Sacra. –"I vestiti servono a nascondere le imperfezioni, a celare qualcosa che non vogliamo mostrare, ma io, che sono in pace con me stessa, che ho avuto tutto quel che potessi desiderare dalla vita, non ho niente da nascondere. Io sono così. Sono la Grande Balena, sorella e sposa del Sommo Forco, Imperatore dei Mari!"
"Ceto, la Possente!" –Mormorò Avalon, ben conoscendo la sua storia. –"Cosa fai qua? Sento il cosmo del tuo consorte esplodere molto distante da qui, in un regno ai più sconosciuto!"
"Sconosciuto agli abitanti del mondo di superficie, non a chi ha sempre vissuto negli oceani! L’ignoranza su ciò che vive e prospera nei mari non è ammessa alla corte del mio Signore, né sarebbe ammissibile dalla sua eterna compagna!" –Sorrise Ceto. –"Comunque dici il vero, Signore dell’Isola Sacra! Il mio posto è a fianco del mio consorte, ma non potevamo disobbedire entrambi! Gli ordini del Lord Comandante dell’Armata delle Tenebre erano precisi e ad essi a modo nostro ci siamo attenuti! Forco ed io conquisteremo due regni, ai poli opposti del mondo, uno sotto l’acqua e uno sopra! Ritengo che basteranno per far dimenticare la nostra assenza in Egitto, non credi?"
"Quello che credo è che non conquisterai alcun regno, possente Ceto!" –Si limitò a risponderle Avalon, puntandole contro l’indice della mano destra e liberando un raggio di energia che esplose ai piedi della donna, costringendola a balzare indietro. A dispetto della sua stazza, era agile e scattante, e l’aura che emanava era satura di oscurità, per quanto fosse un’oscurità diversa da quella di Nyx. Un’oscurità abissale, che solo chi a lungo aveva vissuto in luoghi dove a fatica la luce del sole era giunta poteva sprigionare. Inoltre, ponderò l’Angelo concentrando i propri sensi, vi era qualcos’altro in lei, qualcosa in grado di tingere quell’ombrosa aura cosmica con una sfumatura originale. Ma cosa?!
L’attacco di Ceto arrivò repentino, forzando il Signore dell’Isola Sacra a sollevare una barriera di energia a sua difesa, su cui l’assalto avversario impattò, spingendolo di qualche passo indietro. Qualche passo che gli permise di notare, nella neve ammassata ai margini del piazzale, due corpi abbandonati, che prima non aveva visto. Uno era quello del figlio di Odino, i capelli color nocciola scarmigliati e bagnati di neve, l’altro era quello di una donna adulta, che Avalon aveva incrociato nei corridoi della fortezza. Una delle tre Divinità nordiche sopravvissute al Ragnarök.
"Altre prede cadute nella tua trappola, immagino!"
Ceto annuì compiaciuta, spiegando che con loro era stato molto più semplice, dotati di minori barriere mentali. –"Non c’è voluto molto per piegarli e convincerli della veridicità di quanto stava accadendo!"
"Cosa stanno vedendo?!" –Chiese Avalon, avvicinandosi ai due e notando come avessero ancora gli occhi aperti, intenti ad osservare qualcosa, persi nel cielo cupo di quel tramonto. –"E perché non si svegliano, adesso che stai combattendo con me?!"
"Non so quale immagine sia apparsa loro di fronte! I miei poteri si limitano a risvegliare le paure recondite in ogni individuo, dando loro forma concreta, imprigionando le vittime in un mondo fittizio da cui potranno uscire solo se sapranno vincerle!"
"Ma certo! Ceto, la perigliosa, la personificazione delle intemperie, dei pericoli nascosti nel mare e, per estensione, dentro ognuno di noi!"
La compagna di Forco sorrise, prima di espandere il proprio cosmo e scattare all’attacco. Quell’Avalon non le piaceva. Nemmeno un po’. Non era avversario da poco se era riuscito a vincere la sua tecnica con facilità, anzi la Dea aveva persino avuto timore di non essere nemmeno riuscita a raggiungerlo, di non essere riuscita a scalfire la corazza di integrità che lo ricopriva, consapevole nel profondo del proprio ruolo. Possibile? Si chiese, abbattendosi con foga contro la barriera del Signore dell’Isola Sacra. Possibile che esista un uomo senza paure nascoste? Che uomo sarebbe? Anzi, che Dio sarebbe, perché di un Dio dovrebbe trattarsi?
La risposta a quella domanda Ceto l’avrebbe avuta a breve, pagando cara la sua curiosità.
***
Un pugno allo stomaco mise fine al patetico tentativo di Bard di proteggere Flare, prostrando il ragazzo in ginocchio, con il sangue che gli imbrattava la bella uniforme della Guardia Reale. Non contento, Reidar lo afferrò per il collo, tirandolo su e strattonandolo, di fronte allo sguardo terrorizzato e lacrimoso della Regina di Asgard, che stava implorando il Nefario di lasciarlo stare.
"È solo un ragazzo! Smettila!!!" –Pianse la fanciulla, avvicinandosi, ma bastò che Reidar la fissasse con sguardo truce per arrestare i suoi passi. Bard tentò di approfittare di quel momento per pugnalarlo, ma l’uomo, che si aspettava quella mossa, aumentò la presa sul suo collo, fino a mozzargli il fiato, osservandone il volto colorarsi di rosso, l’espressione sconvolta, quasi stravolta, prima di gettarlo a terra e calciarlo via. –"Bard!!!"
"Non preoccuparti della sua vita, Flare di Polaris, è la tua che voglio!"
"Bene, dunque…" –Mormorò lei, cercando di calmarsi, per quanto la vista del cadavere di Enji che bruciava nel braciere e del corpo massacrato di Bard stesse per farla vomitare. –"Se è me che vuoi, vieni a prendermi, Reidar! Se pensi che uccidendomi potrai cancellare il passato e le scelte di Ilda, fai pure, ma non diverrai mai Cavaliere di Asgard! Enji ha detto il vero e le tue azioni lo dimostrano! Tu non sei degno di niente! Neppure di vedermi piangere!"
"Piccola impertinente!!!" –Sibilò il Nefario, avventandosi su di lei ma venendo spinto indietro da un’improvvisa esplosione di luce. Quando si rimise in piedi e levò lo sguardo, Reidar vide Flare avvolta da un’iridescente aura cosmica, che le ricopriva la pelle, solleticandole il viso e elettrizzandole i capelli. Nella mano destra, notò, era spuntata la lancia a tre punte che Ilda utilizzava in battaglia e che adesso aveva donato alla sorella.
"Grazie!" –Si limitò a commentare quest’ultima, capendo che Ilda continuava a vegliare su di lei e sull’intera Asgard, e lo avrebbe fatto fino alla fine dei tempi.
"Non ti servirà!!!" –Ringhiò Reidar, scattando avanti. Ma bastò che Flare torcesse il tridente per liberare un raggio di energia che il Nefario dovette scansare, gettandosi di lato, sull’altro lato del braciere. Un secondo raggio distrusse il pavimento di pietra tra i suoi piedi, obbligandolo a contrattaccare all’istante. –"Artigli del…"
"Non ce n’è bisogno!!!" –Li interruppe una voce all’improvviso, costringendo entrambi a voltarsi verso il trono, vicino al quale una limpida figura era appena comparsa. Stanco e ferito, ma con la stessa luce di speranza negli occhi che lei vi aveva visto la prima volta in cui si erano incontrati, nelle segrete del palazzo, Cristal il Cigno indossava la sua Armatura Divina e si stava avvicinando a Flare a braccia aperte. –"Mia adorata…"
"Cr… Cristal?!" –Balbettò lei, stordita. –"Come puoi essere qui?!" –La stessa domanda lampò nella mente di Reidar, che fu però più lesto a reagire, guardando oltre la bianca figura e non trovando più nessuno. –"No! Stai indietro!!! Non puoi essere tu!!!" –Si riprese la Regina di Asgard, puntandogli contro la lancia, per quanto solo quel gesto le costasse in termini di subbuglio interiore.
"E in effetti non è lui!" –Ghignò allora Reidar, balzato alle spalle della donna, torcendole il braccio e facendole cadere l’arma, prima di sbatterla contro la parete a vetri, schiacciandole la faccia contro la finestra. –"È il mio amico Duppy! Tu sai cos’è un Duppy, vero, Flare? Come, la vostra fornitissima biblioteca, in cui tu e capelli d’oro-Artax vi rinchiudevate nei momenti di intimità non te lo ha spiegato? Nel folklore della lontana Giamaica è uno spirito malevolo. Per me è un buon alleato, in grado di generare illusioni nelle menti nei nemici, mostrando loro persone o oggetti fasulli! È così che mi ha fatto arrivare fin qua! A buon rendere, amico!" –Ghignò il Nefario dei Warg, spostando i capelli di Flare all’indietro, carezzandole il collo con gli artigli disposti sul bracciale della propria corazza e aprendole un taglio. –"Che delusione! Credevo tu avessi sangue blu! Pazienza, mi accontenterò di questo banalissimo rosso! Addio, Regina di Asgard dalla corta vita!" –Aggiunse, muovendo il braccio per squartarle in ventre, ma bastò che Flare urlasse per spingerlo indietro.
Fu un urlo terribile, carico di tutta l’angoscia provata fino ad allora, del dolore per la perdita dei propri cari, del timore per chi ancora avrebbe dovuto proteggere, della colpa per non sentirsi in grado, ma soprattutto fu un urlo carico d’amore per il prossimo, un sentimento che Reidar non conosceva e da cui venne sopraffatto, gettato a terra, travolto da un’improvvisa onda di cosmo. Tutti nella fortezza di Asgard sentirono esplodere il cosmo di Flare, e anche più in basso, tra le rovine del Palazzo di Alexer, Cristal sollevò il capo, percependo una fitta al cuore.
I vetri del Salone del Fuoco andarono in frantumi, travolgendo Reidar e ferendogli il volto, mentre le fiamme del braciere si innalzarono alte, avvolgendosi a spirale attorno al falso Cavaliere del Cigno, obbligandolo ad allontanarsi, recuperando al qual tempo il suo vero aspetto. Durò solo un minuto e alla fine Flare si accasciò esausta contro la parete, respirando a fatica, prima di guardarsi attorno inorridita da quel che aveva fatto, da un potere che non aveva mai esercitato.
Fu Duppy il primo a rialzarsi, tenendosi la testa stordito, incapace di avvertire bene i suoni. Forse fu per quello che, mentre si incamminava verso Flare, non udì il lieve passo di Bard, portatosi alle sue spalle, né il sibilo della lama che si piantava nel suo collo, fuoriuscendo dal gargarozzo. Un ultimo gorgoglio di sangue e il demone si accasciò a terra, privo di vita.
"Flare!!! State bene?!" –Esclamò il ragazzo, precipitandosi su di lei, ancora stordita e sconvolta da quanto appena successo. La aiutò a rialzarsi, dicendole di non preoccuparsi, dicendole che sarebbe andato tutto bene, quindi la guidò verso l’uscita del salone, da cui avrebbero potuto ricongiungersi a Mani e al resto delle guardie. Ma non appena raggiunsero il portone, afferrandone la robusta maniglia, un sibilo li fece voltare, giusto in tempo per evitare che la lancia dei Polaris si piantasse nella testa di uno dei due, conficcandosi invece nel legno della porta.
"Dove credete di andare?!" –Ruggì Reidar, rimessosi in piedi. Il volto era deturpato dalle schegge di vetro, l’armatura un po’ affumicata dalle fiamme, ma lo spirito di vendetta che l’aveva guidato ad Asgard non si era ancora sopito. In un attimo fu su di loro, gettando a terra il ragazzo e tempestandolo di pugni. Un ultimo, con gli artigli bene in vista, gli sfondò la cassa toracica, facendogli vomitare sangue.
"Bard!!!" –Strillò Flare in lacrime, prima di ricordarsi del tridente scagliato da Reidar. Lo svelse dal portone, impugnandolo, ma l’uomo fu svelto a strapparglielo di mano, sbattendola a terra e piantandoglielo proprio tra le gambe, affondando in un pezzo di pelliccia.
"Muoviti ancora e ti sgozzo come un maiale!" –Le ordinò, fissandola con occhi ricolmi di odio. Ma quando fece per svellere l’arma, si accorse che una mano la stava trattenendo, una mano macchiata di sangue. –"Ragazzo, ancora vivo?" –Lo schernì, osservando il Capitano della Guardia, dall’ormai vitreo sguardo, ancorarsi al tridente dei Polaris. E non lasciarlo andare. –"E mollalo, idiota!!!"
Reidar si chinò su di lui, per staccargli il braccio, ma in quel momento, raccolte tutte le forze che aveva in corpo, fino all’ultima stilla, Bard si sollevò, colpendolo al mento con un destro diretto, che spinse l’uomo indietro, facendogli sputare sangue, denti rotti e persino un pezzo di lingua. Meravigliato, e ormai fuori di sé dall’ira, il Nefario concentrò il cosmo sul braccio destro, per strappar via la vita da quel fastidioso moccioso, che già aveva impugnato la lancia di Ilda, puntandola verso di lui.
"In nome del grande Orion!!!" –Tuonò, scattando avanti, il corpo rivestito di uno strato di luce bianca, che sorprese la stessa Flare. Ma ancor più la sorprese vedere il tridente sfondare l’armatura del nemico, trafiggerlo al ventre e sbucare fuori dalla schiena.
Un rivolo di sangue scivolò dalla bocca aperta di Reidar, gli occhi grigi sgranati per l’incredulità, prima che il suo corpo senza vita crollasse di lato, con l’arma ancora conficcata nello stomaco. Anche Bard cadde poco dopo, le lacrime che gli riempivano gli occhi. Lacrime di felicità per aver tenuto alto il nome del suo maestro.
Piangendo e gridando, Flare fu subito su di lui, girandolo sulla schiena e tenendogli in alto la testa, sforzandosi di non impazzire. Lo cullò, gli tenne la mano, gli bagnò il viso di lacrime e alla fine lo lasciò morire, certa che, qualunque mondo lo avesse accolto, gli avrebbe tributato i giusti onori.
"Addio, allievo di Orion! Addio, amico mio!" –Pianse l’ormai sola Regina di Asgard.