CAPITOLO TRENTESIMO: INCURSIONE.
Zeus stava tempestando Atlante di folgori.
Una dopo l’altra, senza dargli tregua, cadevano sul figlio di Giapeto, scheggiandogli l’armatura, lacerandogli la coriacea pelle e lasciando ruscellare il prezioso ichor lungo il suo muscoloso fisico. Per quanto rivestito da uno strato di cosmo che gli aveva permesso di resistere agli assalti dei Cavalieri di Atena, niente poté contro la luminescenza dell’arma deicida di cui il Cronide disponeva, la stessa che uno dei suoi antichi avversari, durante la Titanomachia, aveva generato, prima di rimuoverla dalla propria memoria.
Il keraunos, la divina folgore sterminatrice, in grado di piegare persino gli Dei della Seconda Generazione Cosmica.
E proprio una tempesta di fulmini stava martoriando il gigantesco corpo di Atlante, spingendolo indietro, in una rozza e scoordinata fuga che Zeus si preoccupò bene di guidare, nel tentativo di condurre il titano nell’unico luogo del Grande Tempio ampio a sufficienza per accogliere la sua carcassa. Tiresia, Virgo e Mur, comprese le intenzioni del Nume, intervennero in suo aiuto, materializzandosi, i primi due, in cielo, davanti agli occhi di Atlante, abbagliandolo con continui lampi di luce, mentre il secondo, dal basso, gli crivellava le gambe con una pioggia di stelle, affiancato da un Cavaliere Celeste che non aveva mai visto.
"Lancia di Icaro!" –Tuonò questi, scatenando, con un rapido movimento del braccio destro, una selva di lunghe aste energetiche che andarono a conficcarsi in una gamba del titano, scaricandovi un profluvio di scariche elettriche. Quindi, vedendo che Zeus era infine riuscito a portarlo a pochi passi dall’ampio anfiteatro, l’uomo concentrò tutto il proprio cosmo in un unico giavellotto di energia che scagliò, balzando più in alto che poté, da una parte all’altra delle gambe di Atlante, trapassandogli i tendini e strappandogli un atroce grido di dolore e rabbia.
In quel momento il Signore dell’Olimpo bersagliò la sua schiena con una sventagliata di folgori, riuscendo infine a prostrare l’antico rivale a terra, osservandolo crollare con le ginocchia al centro dell’Arena dei Tornei, il massiccio busto che barcollava stanco, puntellandosi con le braccia al suolo. Osservandolo con una punta di dispiacere, Zeus fluttuò in aria, fino a portarsi di fronte a lui, invitandolo ad alzare il capo e a guardarlo negli occhi, a mostrargli tutto l’odio accumulato in secoli di solitudine e apatia. Niente di diverso, ricordò, da quel che aveva sorretto l’avanzare furioso di Tifone verso la vetta del Monte Sacro, intrisi entrambi di un viscerale rancore verso gli Olimpi, la generazione che aveva soppiantato quella dei loro padri. Un rancore che tali padri avevano fomentato.
"Non sei poi così differente, in fondo!" –Rifletté il Nume, alla cui mente tornò la tristezza che l’aveva invaso al termine della Grande Guerra, quando aveva ordinato a Ermes e a Efesto di bruciare il corpo di Tifone, fine ben più degna di una nuova eterna prigionia. –"Che debba succedere anche stavolta? Che solo la morte, la fine di tutto, possa darti pace, Atlante? Perché la tua genia ha riversato così tanto odio nei nostri confronti? Il mondo è vasto abbastanza per viverci tutti, in armonia, non credi?"
Atlante non parlò, limitandosi a fissare Zeus con quelle enormi pupille grigie, che al Dio parvero senza tempo, sollevando infine una mano, trascinandola a stento verso di lui, le sanguinanti dita alzate al cielo, quasi a implorare la sua pace, quasi a cercare un cenno d’affetto. Il Signore dell’Olimpo vide un bagliore in fondo a quello sguardo spento e ritenne fosse speranza, così si accostò all’enorme mano, sfiorandola con la propria e lasciando che le loro energie venissero a contatto. Non riconobbe invece il lampo di vendetta che guizzò negli occhi di Atlante, proprio mentre questi stringeva Zeus all’interno del pugno, stritolandone il corpo e l’armatura.
Un grido rabbioso proruppe dalla gola del titano, prima di iniziare a sbattere la mano contro le gradinate dell’arena dei tornei, distruggendole, deciso a distruggere al qual tempo anche il figlio di Crono, causa principale della sua millenaria sofferenza.
"Resistete mio Re! Siamo con voi!" –Esclamò allora una candida voce mentre una figura scintillante piombava su Atlante, avvolta in una fresca corrente d’aria. –"Spira, Vento di Levante!!!" –Imperò Euro, dirigendo l’assalto verso il volto del colosso, accecandolo. Al tempo stesso una raffica di globi di energia acquatica lo investiva al collo, alla bocca, persino alle narici, liberati da Nikolaos che saltava da un gradone all’altro dell’anfiteatro, seguito da Toma di Icaro che, sfruttando gli stessi venti di Euro, balzò in alto, con la lancia energetica stretta in pugno, mirando ad un occhio di Atlante.
Se ne avvide troppo tardi, il gigantesco guerriero, riuscendo soltanto a chiudere l’enorme palpebra, che venne trafitta dall’asta di energia, strappandogli un violento ringhio. Furioso, Atlante mulinò le braccia di fronte a sé, alla cieca, colpendo Toma ancora in volo e schiantandolo a terra; anche Euro venne travolto, sbattuto contro il Luogotenente dell’Olimpo e ruzzolando assieme a lui lungo gli spalti dell’arena, fino a piombare di fronte al tozzo corpo del titano, che, sia pur ferito, stava tentando di sollevarsi.
"No!!!" –Esclamò allora una cavernosa voce maschile, mentre una cometa di energia si abbatteva sulla spalla del gigante, facendolo barcollare in avanti e distruggendo quel che restava della sua cotta protettiva. Una cometa che presto assunse la forma di un robusto uomo, dal fisico massiccio, che balzò a terra, afferrando Nikolaos e Euro un attimo prima che il movimento a spazzare delle braccia di Atlante li investisse, portandoli in salvo.
"Grazie, divino Eracle!" –Commentò il figlio di Eos, ancora stordito.
Il Signore di Tirinto non disse alcunché, limitandosi a tornare di nuovo alla carica, proprio mentre due nuove comete lucenti si schiantavano sull’altra spalla, anticipando l’arrivo anche di Pegasus e di Atena. Ora, di nuovo riuniti, sugli spalti devastati dell’anfiteatro, i figli di Zeus e i di lui Cavalieri elaborarono un veloce piano d’attacco, su suggerimento del paladino di Atena.
"Useremo la vostra lancia, Milady, catalizzandola con tutti i nostri cosmi!"
Eracle annuì, iniziando ad avvolgere lo Scettro di Nike della propria aura cosmica. Toma, Nikolaos e Pegasus fecero altrettanto, mentre Atena scagliava la lancia verso l’alto, sospinta dagli impetuosi venti di Euro.
"Dike, Philotes, Nike! Mai come adesso invoco il vostro sostegno, amiche mie!!!" –Mormorò la Dea.
La repentinità dell’assalto e l’unione di così potenti cosmi fu tale da impedire ad Atlante di abbozzare qualsiasi difesa, reso anche cieco dal sangue che gli colava dalla palpebra ferita. Troppo tardi notò la lunga asta dorata conficcarsi nella sua ruvida pelle, proprio all’altezza della gola, causandogli un gorgoglio sommesso.
Fu allora che, percependo l’allentare della stretta, Zeus fece esplodere il suo cosmo, con una detonazione che strappò via frammenti del guanto e pelle delle dita di Atlante, permettendo al Nume di issarsi nuovamente in cielo, ferito e con danni vistosi alla corazza, ma più che mai deciso a debellare per sempre tale minaccia.
"Non mi lasci scelta, discendente di Giapeto!" –Mormorò il Signore della Folgore, aprendo le mani al cielo, su cui fulmini argentei iniziarono a danzare, accumulandosi presto in un unico devastante colpo. –"Cadi, colossale Atlante, sotto l’arma deicida che proprio uno dei fratelli di tuo padre creò! Cadi sotto la Folgore Suprema!!!"
Il fulmine schizzò lesto dalle mani di Zeus, raggiungendo lo Scettro di Nike e usandolo per penetrare dentro il corpo del titano, facendolo avvampare, gridare di dolore e lacerandogli infine gli organi interni e la coriacea pelle. Fu con un ultimo schizzo di sangue, con cui la stessa Lancia di Vittoria venne espulsa, che Atlante morì, crollando giù disteso su un fianco e abbattendo quel che restava dell’Arena dei Combattimenti.
Toma di Icaro, che si era attardato ad osservare il crollo di quel gigante, fratello di colui che aveva subito la sua stessa punizione per mano di Zeus, fu distratto da quei pensieri e, non fosse stato per il rapido balzo di una figura dai capelli rossicci, sarebbe stato travolto dal marmo delle distrutte gradinate.
"Grazie!" –Mormorò il Cavaliere Celeste, osservando colei che, con agilità, era scattata in suo soccorso, portandolo fuori pericolo, sull’altro lato del piazzale. Era una donna dal fisico atletico, una Sacerdotessa di Atena a giudicare dalla maschera inespressiva che le copriva il volto, sebbene non sapesse indicarne l’età, non potendo vederla in faccia.
"Mai distrarsi in battaglia!" –Commentò Castalia, prima di allontanarsi, diretta verso Atena e gli altri che si erano riuniti poco distante, di fronte allo sguardo attento di Toma.
"Padre, come ti senti?" –Si premurò subito la Dea della Guerra.
"Stanco, come se il peso dei millenni vissuti fosse appena comparso sulle mie spalle! Ma non fiacco né arrendevole!" –Precisò Zeus, mentre Eracle gli si avvicinava, abbracciandolo, felice di vederlo sano e salvo.
"So cosa hai fatto per Pegasus! Ti ringrazio!" –Continuò Atena, indicando la nuova armatura del suo Primo Cavaliere, ancora più lucente e coprente della versione precedente.
"Non ringraziarmi, Atena! Vorrei aver fatto di più, quando ancora ce n’era occasione! Ormai il tempo gioca contro di noi! Crono, nostro antico rivale, sembra tornato a burlarsi di noi, uomini e Dei, saturando le nostre orecchie con l’oscuro tintinnio di lancette che nessuno può fermare!"
"Questo è vero! Pur tuttavia possiamo combattere e distruggere l’infausto orologio che marca la fine del mondo!" –Esclamò Eracle deciso, sbattendo un pugno nel palmo aperto dell’altra mano, strappando grida di assenso da parte di Nikolaos, Toma, Pegasus e persino dal sempre pacato Euro.
Fu in quel momento che la Nave di Argo ricomparve, ammarrando a breve distanza, prima che Neottolemo ne balzasse fuori, presto raggiunto anche da Mur, Virgo e Tiresia, lieti di sapere i compagni ancora vivi.
"Che ne è dei soldati e dei feriti, Neottolemo?" –Domandò Eracle.
"Sono al sicuro! Al promontorio della Prigione di Urano. Vi sono molte grotte naturali ove i fedeli di Atena hanno trovato rifugio, per curare le loro lesioni!"
"E ora cosa facciamo? Sento aure cosmiche espandersi continuamente, in luoghi lontani da qui! Cristal, Sirio, Phoenix e Andromeda hanno bisogno di me!" –Interloquì Pegasus, trovando Virgo concorde.
"Percepisco scontri ancora in atto ad Asgard, in Egitto e… in un regno lontano, in abissi oceanici! Nel primo di questi, in particolare, l’oscurità è forte! Molto forte!"
"Allora è là che mi recherò, a difendere la cittadella di Asgard! Milady, volete venire con me?" –Dichiarò il Cavaliere dello Zodiaco, cui Atena rispose con un sorriso sentito, prima di afferrargli la mano e lasciare che i loro cosmi entrassero in sincronia.
"Verrò con voi!" –Si unì a loro Eracle, subito sostenuto dal Signore dell’Olimpo.
"Noi invece porteremo aiuto ai combattenti egizi!" –Precisò Nikolaos, ricevendo uno sguardo di assenso da parte di Euro. Quindi, mentre tutti si preparavano per le loro nuove destinazioni, si avvicinò a Castalia, scambiando qualche parola con la donna che amava, la donna che sentiva di amare da secoli, quasi avessero vissuto già un’altra vita in passato. –"Come ti senti? Non affaticarti! Aspettami, quando l’ombra finirà, quando questa giornata sarà passata, ci siederemo ai piedi dell’Olimpo, sotto l’albero dove i miei genitori si dichiararono amore eterno, osservando sorgere il sole, la prima alba del nuovo mondo!"
La Sacerdotessa di Atena annuì, sorridendo sotto la maschera, prima di ricambiare l’abbraccio del Cavaliere Celeste. Nel farlo, nel sollevare le braccia attorno alle sue spalle, qualcosa tintinnò, uno strano pendaglio che portava legato al polso. Nessuno, tranne Toma di Icaro, lo notò.
***
Il diversivo ha funzionato alla perfezione, si disse Reidar, osservando gli arcieri di Asgard incoccare e tirare nuove frecce verso la boscaglia che si apriva di fronte alle mura esterne della cittadella. Soldati in armature oscure, armati di lance in grado di sprigionare raggi di energia, in groppa a feroci lupi, grossi come bisonti, e per di più corazzati, avevano subito attirato l’attenzione delle guardie, portandole a concentrare sulla via principale il grosso delle loro difese. Il Nefario dei Warg era stato chiaro con i sottoposti: dovevano logorare il nemico, fargli credere di essere in procinto di assaltare in massa il Cancello dei Grifoni, lasciandosi individuare di tanto in tanto e approfittandone per sferrare limitate offensive alle mura. In questo modo lui avrebbe avuto tutto il tempo per entrare dentro la cittadella e fare quel che doveva.
"Non mi hai ancora detto perché vuoi così disperatamente raggiungere la sala del trono!" –Commentò una voce atona, distraendo Reidar dai suoi pensieri.
"Sschh! Fai silenzio, stupido! Vuoi farci scoprire? Non sappiamo se vi sono altri guerrieri dotati di cosmo all’interno della fortezza!"
"Le mie nebbie potrebbero distrarre i loro sensi il tempo sufficiente per farci entrare, in tal caso!" –Precisò l’altro, continuando a seguire il parigrado sul limitare della foresta, giungendo in fretta al versante occidentale della roccaforte, in parte rivolto sul mare ghiacciato. Là, come notarono, la sorveglianza era più scarsa, ulteriormente ridotta dal diversivo messo in atto, e poterono raggiungere non visti la sporgenza rocciosa sotto il canale di scolo, di cui, Reidar ben lo sapeva, potevano servirsi per entrare all’interno della cittadella.
Glielo aveva detto fin dall’inizio, a Duppy, qual era il suo piano, che non prevedeva morire in massa di fronte alle porte di una cittadella che, senza l’aiuto dei Progenitori, di certo non sarebbero riusciti ad espugnare. E l’altro aveva annuito, intrigato dall’intraprendenza del Nefario dei Warg, che sapeva muoversi in quelle terre con la sicurezza di chi a lungo vi aveva vissuto. Fino al giorno della vergogna! Ringhiò, tenendo a freno l’ira, issandosi su fino alla grande grata che chiudeva il canale di scolo, strattonandola poi con forza e spingendola dentro, in modo da poter entrare nel passaggio segreto. Duppy fu subito dietro di lui, seguendolo nel tortuoso labirinto sotterraneo della fortezza, fino ad un ampio cortile interno, non distante, da quel che Reidar ricordava, dagli ambienti destinati agli inservienti. Contrariamente a quanto si aspettasse, però, le cucine e i locali di servizio erano affollate di gente, sia servitori della famiglia reale che gente comune, che offriva la propria arte in cambio di un pasto caldo. Stupido! Si disse il Warg. Avrei dovuto pensarci che tutto il popolo sarebbe stato riunito a palazzo! Vabeh, meglio così, saranno in molti ad assistere alla decapitazione della loro regina e poi inzupperò la sua chioma bionda nella loro sbobba, forzandoli a mangiare! Sì, anche quei bastardi che mi hanno dimenticato in fretta, soppiantandomi con altri idoli, pagheranno!
Duppy gli batté sulla spalla, annunciandogli la propria idea, sorprendendo di nuovo Reidar per l’astuzia che quel Nefario stava dimostrando. Non solo aveva ingannato i due guerrieri nella foresta dei Megres, con quelle illusioni, ma era riuscito persino a disorientare il Principe Alexer. Così, avvolti nelle sue nebbie, entrarono nei locali di servizio, mascherandosi alle altre persone, che in loro videro soltanto due vecchi stanchi, dalla pelle rugosa, infagottati in abiti logori. Sogghignando, Reidar fece strada verso la parte alta del palazzo dove sapeva trovarsi il Salone del Fuoco. È fatta! Flare di Polaris, vengo a prendere la tua testa!
***
Castalia sedeva sulla gradinata distrutta dell’arena dei combattimenti, nello stesso posto in cui, quella mattina, aveva ascoltato gli Angeli parlare dell’ultima ombra. Quell’ombra che già aveva inghiottito il Santuario di Atena.
Sospirando sconsolata, fece per rialzarsi, per tornare ad aiutare Yulij e Kama con i feriti. Esitò un momento, lasciando che la brezza della sera le rinfrescasse il volto stanco, chiudendo gli occhi e pensando a Nikolaos, a Pegasus, ad Atena, ai compagni che erano andati ad Asgard a combattere. Se ne erano andati quasi tutti, a parte i malridotti Cavalieri di Bronzo, in quel frangente di ben poca utilità; anche Tisifone era lontana, a guerreggiare in un regno di cui l’Aquila aveva sentito parlare solo in lontane leggende. Chiudendo la mano destra a pugno, mormorò una preghiera per tutti i Cavalieri di Atena, e non solo, sperando di rivederli quanto prima, quindi si mosse, recuperando la maschera appoggiata sul gradone e incamminandosi verso l’infermeria, fermandosi all’improvviso.
Un uomo era appena apparso davanti a lei. O forse la stava osservando già da qualche minuto?
D’istinto, la Sacerdotessa di Atena fece un balzo indietro, spostando la testa di lato, di modo che i capelli le nascondessero il volto. Per quanto la Dea avesse abrogato quella vetusta regola di scelta tra amore e morte, in lei il senso dell’onore albergava intenso e non intendeva venir meno al giuramento pronunciato al momento dell’investitura.
"Che fai qua?!" –Esclamò subito, fissando di sbieco l’uomo in armatura turchese, il Cavaliere Celeste che non aveva mai visto finora. –"Credevo tu avessi seguito Zeus ad Asgard!"
"Stavo per andarmene… ma prima volevo parlare con te!" –Commentò questi, avvicinandosi. –"C’è una cosa che credo di aver visto, una cosa che appartiene a qualcuno che ho caro!"
"Stai lontano, ti prego! Non avvicinarti!" –Disse Castalia, ma ormai l’uomo le era di fronte e le aveva già afferrato il braccio destro, con cui stava tentando di rimettersi la maschera in fretta e furia. Glielo torse delicatamente, lasciando cadere tale protezione e strappandole un tintinnio ben noto.
Sorrise, il Cavaliere di Zeus, osservando il pendaglio legato al polso della donna.
"Chi te lo ha dato? È tuo?"
Castalia sulle prime non capì, avendo ancora il viso rivolto in tutt’altra direzione, quindi, vedendo che l’uomo non accennava ad allontanarsi, spostò lentamente lo sguardo, fino ad incrociare il suo. Fu un attimo, ma bastò alla Sacerdotessa per recuperare consapevolezza di sé, divincolandosi dalla sua presa e saltando alle sue spalle, mettendogli un braccio attorno al collo.
"Perché vuoi saperlo? Chi sei tu? Come mai non ti ho mai visto sull’Olimpo?!"
"Eh eh eh…" –Rise l’uomo, colpito dalla prontezza del Cavaliere di Atena, che lo strattonò ancora per qualche istante, finché non sollevò il braccio destro a sua volta, rivelando quel che portava in un incavo dell’armatura.
Un ciondolo identico a quello di Castalia.
"Ma… come?!"
"Lo riconosci?!" –A quella domanda la Sacerdotessa lasciò la presa, rimanendo con lo sguardo vacuo per qualche istante, mentre Toma si voltava e le metteva le mani sulle spalle, costringendola a guardarlo in faccia. –"Se così è, allora devi riconoscere anche me, sorella!"
Castalia non rispose, imbarazzata e tormentata da quell’uomo che fino a poco prima non conosceva nemmeno e che adesso pretendeva di essere suo fratello. Il fratello che aveva perduto anni addietro.
"Menti!!!" –Gridò, recuperando la maschera e allontanandosi di corsa. –"Mio fratello è morto! Non osare giocare con i miei ricordi, non permetterti di infangare il suo nome! Mio fratello è caduto in Egitto, in missione per il Grande Sacerdote!"
"È questo che ti hanno raccontato? È questo che il Santuario ha inventato per giustificare la mia assenza?!" –Mormorò il Cavaliere Celeste, spostandosi alla velocità della luce e riapparendo di fronte a Castalia. –"Umpf, forse una scusa che Arles trovò per nascondere la verità! Per impedire che altri seguissero la mia strada, la strada dell’ambizione, desiderando sempre qualcosa di più alto, di più grande, di migliore! Non sono morto, Castalia, semplicemente abbandonai l’addestramento per diventare un Cavaliere di Zeus! Perché servire Atena quando mi si prospettava la possibilità di servire il Re degli Olimpi?! Eh eh eh!"
Quella risata cristallina scosse la Sacerdotessa, portandola ad avvicinarsi all’uomo, a sfiorargli il volto e a guardarlo fissa negli occhi, in quelle iridi turchesi in cui così a lungo aveva sperato di specchiarsi di nuovo.
"Toma…" –Mormorò infine, sforzandosi di trattenere le lacrime. –"Sei davvero tu?"
"Sì, sorella! Sono io e sono felice di rivederti!"
"Anch’io!" –Commentò Castalia. –"Anch’io!" –Aggiunse, prima di colpirlo con un veloce schiaffo sulla guancia destra. –"Adesso ho importanti faccende di cui occuparmi, ma prima di morire in questa guerra sono curiosa di ascoltare le tue scuse!" –Gli disse, allontanandosi nella sera ateniese.
***
Flare era assisa sul trono che fu di sua sorella, e prima ancora di suo padre, fissando le fiamme ardere nell’enorme braciere al centro del salone. Narravano, le antiche cronache della famiglia, che qualche loro antenato fosse stato in grado di vedere il futuro in quelle fiamme, di vedere lontano. Ma, per quel che ne sapeva, né Ilda né tantomeno lei avevano mai dimostrato simile potere, sebbene in quel momento avrebbe dato tutto, anche la sua stessa corona, pur di conoscere la sorte in cui sarebbe incorsa. Dopo Orion, Artax e Ilda, avrebbe dovuto perdere anche Cristal?
Quel pensiero le fu intollerabile, spingendola ad alzarsi all’improvviso e a camminare fino alle grandi vetrate rivolte verso sud, da cui poteva intravedere le mura esterne di Asgard, su cui regnava grande agitazione, da quando, così Enji le aveva riferito, un gruppetto di guerrieri oscuri aveva tentato una sortita contro il cancello principale. Anche da quella distanza, Flare riuscì a scorgere l’imponente sagoma di Mani, Ase della Luna, dare ordine ai soldati e proteggerli con il cosmo dagli assalti che giungevano sporadici dal basso. Fece per chiamare Enji, per avere informazioni sull’assedio in corso, quando la porta laterale si aprì di colpo, stupendola, essendo un passaggio diretto verso le sue stanze. Rimase ancora più stupita quando vide sua sorella uscir fuori dall’oscurità, vestita come l’ultima volta in cui l’aveva salutata, in tenuta da battaglia. Sporca, ferita, con i capelli scarmigliati, ma con lo sguardo colmo di felicità nel rivederla.
"Flare! Sorella mia!!!" –Esclamò subito, correndole incontro.
"Ilda!!! Ma come?!" –La ragazza quasi non riusciva a parlare, tanto contenta e confusa al tempo stesso nel ritrovare colei che credeva perduta tra i flutti dell’Artico. –"Com’è possibile? Io credevo che tu… Loki…"
"Sono salva, Flare! Sono ancora viva! È un segno del cielo, non credi?!" –Le disse la sorella, asciugandole le lacrime con un dito e poi stringendola a sé, in un deciso abbraccio. Ma fu quel contatto a farle percepire che qualcosa non andava, quel gelo che d’improvviso le si insinuò nel corpo, spingendola a irrigidirsi e a muovere un passo indietro, per quanto ancora Ilda la tenesse a sé.
"Flare, sorella mia! Cosa ti succede? Non sei felice di rivedermi?"
"Ilda… io…" –Balbettò la fanciulla, non sapendo cosa dire o fare, sconcertata da quel ritorno che aveva dell’incredibile. Certo, sapeva bene che più volte Cristal e i suoi compagni si erano trovati a un passo dalla morte, giungendo persino a indugiare sulla Bocca di Ade, ma mai aveva visto una persona tornare a nuova vita. Fu una giovane voce a toglierla da ogni indugio, mentre un’agile figura scattava avanti, avventandosi su Ilda con la lama sfoderata.
"Stai indietro, demone!!!" –Gridò Bard, comparendo davanti a Flare, che venne spinta via dalla sorella, cadendo a terra. –"State bene, Regina?"
"Io… sì, grazie Bard! Ma cosa succede?!"
"Come cosa succede?! Non vedete il guerriero davanti a voi, Flare?! L’uomo dalle vesti grigie il cui sguardo spiritato vi fissa come fosse posseduto da un demonio?!" –Esclamò il Capitano della Guardia, la spada ancora rivolta verso colui che la Regina di Asgard vedeva come Ilda.
"Bard, io… vedo… mia sorella!!!"
"Co… come?!" –Balbettò il ragazzo, non comprendendo le parole della Celebrante, interrotte da continui singhiozzi. Fu quell’esitazione, che lo portò ad abbassare la lama per un istante, a costargli cara, venendo travolto dalla carica dell’avversario che lo spinse di lato con un manrovescio, facendogli perdere la presa sull’arma, prima di sbatterlo a terra e bloccarlo sotto il suo tacco.
"Ilda, ma cosa stai facendo?!" –Gridò Flare, correndo verso di lei e afferrandole un braccio. Ma questa subito si scosse, gettando la Regina di Asgard a terra, a poca distanza dal braciere, le cui scintille le bruciacchiarono persino il vestito.
"Flare!!!" –Ringhiò subito Bard, dimenandosi sotto il peso del nemico e riuscendo ad afferrare un pugnale che portava alla cintura, conficcandoglielo in una gamba. Lo spessore dell’armatura impedì alla lama di scendere in profondità, limitandosi ad una scheggiatura, ma fu sufficiente per permettere al giovane Capitano della Guardia di rotolare di lato, recuperare la spada e rialzarsi. –"Rivelati, mostro! Che inganno è mai questo? Come potete vedere vostra sorella in quest’uomo, mia Regina?"
"A questa domanda posso rispondere io!" –Esclamò allora una quarta voce, attirando l’attenzione dei presenti verso la porta laterale da cui un uomo, rivestito da una scura armatura, era appena apparso, reggendo per il colletto della veste il consigliere reale. –"A cuccia con la tua padrona, Enji!" –Ringhiò, gettandolo vicino al braciere, la cui luce permise a Flare di osservarne il volto tumefatto e sanguinolento. –"E non ci riprovare!"
"Ma tu… sei… Reidar?!" –Sgranò gli occhi la Regina di Asgard, rimettendosi infine in piedi, mentre la figura che aveva creduto sua sorella si allontanava, prendendo posizione a fianco dell’uomo, che Bard e Flare scrutarono intensamente.
Alto e ben piazzato, possedeva i lineamenti tipici dei popoli del nord Europa, con lunghi capelli biondi, sfilacciati, che incorniciavano un viso maschile e due vividi occhi grigi. Ma fu l’armatura che indossava a catalizzare la loro attenzione, così simile ad una delle sette corazze dell’Orsa Maggiore.
"Precisamente! Questa è la corazza che avrei dovuto vestire o, per meglio dire, la sua copia oscura, ben più resistente dell’originaria, forgiata su mia richiesta dal Gran Maestro del Caos!"
"Reidar, che stai facendo? Tu sei uno di noi, un abitante di Asgard! Come puoi sevire Caos?!" –Esclamò Flare, sconcertata.
"Uno di voi?! Ah, adesso lo sono, dunque? Ma quando si è trattato di investire i migliori Cavalieri del reame vi eravate forse scordati di me?!"
Bard parve non capire le parole dell’uomo, così Flare gli spiegò brevemente che Reidar, al pari di Orion e Artax, era un membro della Guardia della Cittadella, cresciuto e addestrato assieme a loro.
"Vicini ma non così troppo, alla fine!" –Sibilò il Nefario. –"In fondo, quando vostra sorella nominò i Cavalieri di Asgard, scelse Orion e Artax, ma non me! E la corazza che avrei dovuto vestire, quella per cui mi ero così duramente allenato, dando tutto me stesso, andò a Luxor! A uno scombinato orfano che aveva passato la vita nella foresta, bruciandosi il cervello abitando con i lupi!!! Quale onta mi riservaste! Perché?! Perché?!" –Tuonò, avvampando nel proprio cosmo violaceo. –"Non ero forse meritevole di un’armatura, non ero forse degno di essere elevato allo stesso rango dei miei compagni? O forse Orion e Artax, favoriti dalle dame di corte, avevano ben altri modi per compiacere la regina e sua sorella?!"
"Reidar, è stato solo un malinteso! Io… non so cosa pensasse Ilda in quel momento, non era neppure in sé, prigioniera dell’Anello del Nibelungo!!!"
"Idiozie! Avrebbe dovuto scegliere me, non quel barbaro sudicio! E tu, che da bambina avevi giocato con me e Artax, non muovesti un dito, neppure accennando una mia eventuale candidatura! Non ero nelle grazie delle sorelle di Polaris? Pfui!!!" –Sputò Reidar rabbioso. –"Io le sgozzo le sorelle di Polaris!!!"
"Provaci e ti ammazzo!!!" –Gli si parò subito davanti Bard, con la lama puntata verso di lui.
"Togliti dai piedi ragazzino!" –In un attimo, Reidar gli fu accanto, torcendogli il braccio e facendogli cadere l’arma, quindi, incurante delle sue grida di dolore, lo colpì con un calcio al basso ventre, facendolo accasciare, per poi scagliarlo contro il trono. –"E ora a noi due!"
"A noi tre!" –Precisò una voce, mentre un rumore metallico fece voltare Reidar giusto in tempo per vedere Enji che, afferrata la caduta spada del Capitano, la stava brandendo contro di lui, avendogliela appena sbattuta contro l’elmo. –"Ti sei già dimenticato di me? Atteggiamento strano per un bambino viziato che frigna per essere stato messo da parte! Vuoi sapere la verità, Reidar? Pur sotto la prigionia dell’Anello del Nibelungo, Ilda non ti scelse perché non eri degno! Non eri meritevole di un’Armatura del Nord, e il fatto che tu ne fossi così ossessionato da riempirti il cuore di odio e spingerti a ricreare un surrogato della corazza che non sei stato in grado di conquistare la dice lunga sulle tue debolezze mentali! Non sei degno di portare il titolo di Cavaliere del Nord!"
"Tu invece sei degno di morire per mia mano, Enji!" –Ringhiò il Nefario, piombando sul fedele consigliere e sventrandolo con gli artigli di cui erano dotati i bracciali dell’armatura. Schizzi di sangue piovvero addosso a Flare, che strillò impaurita, mentre la spada cadeva dalle mani di Enji e il suo corpo squartato veniva gettato con una spallata dentro il braciere del salone. –"Allora, chi vuol essere il prossimo? Tu, giovane soldatino, o la bella Regina di Polaris? Ah ah ah!" –Sghignazzò Reidar dei Warg.