CAPITOLO TERZO: LA CRIPTA.
"Mi avete mandato a chiamare, mio Signore?!" –Esclamò Nikolaos dell’Eridano Celeste, entrando nella Sala del Trono.
La parete occidentale era stata danneggiata e dallo squarcio nel muro passava una brezza leggera, rinfrescando l’aria stantia di un salone che tempi migliori, e ben più eroici, aveva vissuto. Alla pari del Nume che sedeva sull’alto scranno.
"Mio Signore?!" –Ripeté il Luogotenente dell’Olimpo, fermandosi in segno di rispetto ai piedi della scalinata che conduceva al trono, laddove Zeus sedeva silente.
Il volto stanco, il capo appoggiato a un braccio, i lunghi capelli biondi che gli solleticavano le dita, coprendo uno sguardo che trasudava un innegabile timore. Un timore celato per secoli, che il Dio aveva tentato di rimuovere, di cancellare, di sopraffare in molti modi diversi, salvo poi dover ammettere a se stesso di non poter far altro che fronteggiarlo.
"Come coloro che mi hanno preceduto e che in mio nome sono caduti!" –Commentò infine, sospirando e mettendosi in piedi.
"Come dite?!" –Balbettò Nikolaos, non comprendendo le sue parole. Ma Zeus gli fece cenno di lasciar perdere, camminando a passo lento lungo la gradinata fino a raggiungerlo e a invitarlo a seguirlo nel giardino sul retro.
Che fosse il peso dell’armatura, il dolore per la perdita di Era o la paura per l’ultima guerra, il Cavaliere Celeste non poté non notare quanto il Signore degli Dei apparisse vecchio e fiacco, come quando Flegias lo aveva fatto avvelenare da sua sorella. Avrebbe voluto dirgli qualcosa, magari che capiva il suo dolore, che conosceva la spiacevole sensazione di perdere una persona amata, ma preferì rimanere in silenzio, preoccupato di offenderlo, continuando a tallonare il Dio nell’ampio parco sulla cima dell’Olimpo. Non dovettero camminare molto, solo il tempo di portarsi sotto un paio di alberi, dove due feretri di cristallo li attendevano. Prima ancora di avvicinarsi e di guardare al loro interno, il Luogotenente capì già che cosa contenessero. O, per meglio dire, chi.
"Madre… padre…" –Mormorò, osservandone le salme mute e immobili.
"Demetra ha tentato di ricomporle, per quanto fosse possibile, in modo da poter tributare loro il giusto onore." –Spiegò allora Zeus. –"So che questa guerra incipiente ci spinge a metter da parte tutto, strappandoci il tempo nella maniera più brutale, ma voglio che tu sappia che Elena e Deucalione riceveranno il rito che meritano!"
"Non… è necessario…" –Mormorò Nikolaos, il volto segnato dalle lacrime. –"Voglio solo… Vorrei solo che fossero in pace adesso!"
"Sono certo che è così! Nella beatitudine riservata ai giusti e ai puri di cuore, ove le loro anime adesso riposano, ti osservano e ti ammirano assieme a tua sorella Teria. Finalmente riuniti, finalmente sereni e liberi dai fardelli di questo mondo di guerra!" –Declamò il Nume supremo, mentre un leggero fruscio alle loro spalle segnalava l’arrivo di un comune amico. –"Non posso offrirti altro se non una degna sepoltura! Nella cripta ove giacciono i campioni dell’Olimpo! Se vorrai farmi il piacere di accettare un così misero dono!"
"Co… come, mio Signore?!" –Farfugliò Nikolaos, non capendo cosa intendesse.
Fu allora che Euro, Vento dell’Est, lo affiancò, sollevando uno dei due feretri, mentre Zeus si faceva carico dell’altro, invitando il Luogotenente e il figlio di Eos a seguirli lungo un sentiero che scendeva placido lungo il versante nascosto del Monte Sacro. Un sentiero di ricordi che negli ultimi giorni svariate volte aveva inaspettatamente percorso.
"Ci siamo!" –Disse il Signore dell’Olimpo, quando giunsero all’ingresso della cripta, ritagliato tra alberi di tasso e frassini. Il suo cosmo spalancò il portone all’improvviso, accendendo le fiaccole affisse ai muri, prima di varcarne la soglia e descriverne il contenuto ai suoi fedeli.
"Non conoscevo questo luogo…" –Mormorò il Luogotenente, entrando e osservando il mausoleo scavato proprio nella roccia e nella terra dell’Olimpo. –"Non sapevo neppure che vi fosse una cripta sul Monte Sacro."
"Nessuno ne era a conoscenza, fino a pochi giorni fa. Soltanto la mia Divina Sposa." –Chiosò allora Zeus, permettendo a Nikolaos e a Euro di comprendere.
"Dunque è qua… che Eracle e gli Heroes giacevano? Immobili e silenti come statue, hanno aspettato a lungo di tornare a calcare il suolo di questo mondo prossimo alla fine?!" –Commentò l’ultimo figlio di Eos, strappando al Nume un cenno d’assenso.
"Proprio qua, al centro del salone d’ingresso, tredici statue si innalzavano, a ricordarmi il loro destino ogni volta in cui scendevo a pregare per l’anima di uno dei miei Cavalieri! Ogni volta in cui uno dei Cavalieri Celesti moriva!" –E, nel dir questo, accese anche le torce della parte più interna, quella situata proprio sotto la reggia di Zeus.
Un lungo corridoio scavato nella roccia, puntellato da colonne bianche, intervallate ad altari cerimoniali e a statue di marmo. Nikolaos passò tra gli arcaici pilastri, soffermandosi sui piccoli monumenti funebri e sulle figure scolpite, mentre il Signore degli Dei continuava a narrare.
"Qua riposano i campioni dell’Olimpo! Tutti quelli che mi hanno servito con amore, devozione e rispetto! Quel rispetto che io, ahimè, non ho avuto per loro, mandandoli a morire in una guerra che non ho saputo evitare! Quel che ho potuto fare, aiutato dal mio buon amico Ermes, è stato recuperare le loro spoglie dai campi di battaglia, dalle sorti ingrate cui erano precipitati, per tributare loro il giusto onore! La sepoltura degli eroi, priva di canti gloriosi e corone d’alloro, solo il sereno riposo!"
"Giasone…" –Mormorò il Luogotenente dell’Olimpo, osservando una statua rappresentante il giovane che guidò la spedizione degli Argonauti, alla ricerca del Vello d’Oro, la spada sollevata e lo scudo rotondo pronto a difenderlo dagli attacchi nemici. Ne sfiorò il marmo, ricordando i giorni in cui si erano addestrati assieme, i loro scontri, le tattiche di combattimento che avevano studiato, e il momento in cui infine ebbero a metterle in pratica. Il giorno in cui i fulmini saettarono dall’Olimpo.
"Castore… Polluce…" –Aggiunse Euro, in piedi di fronte a due giovani, rivestiti da armature speculari, uno con il pugno teso verso la battaglia, l’altro intento a reggere le briglie di un cavallo. –"Il pugile e il domatore."
"E Oreste, Pelope, Narciso, Paride… tutti i Cavalieri Celesti caduti negli scontri voluti da Flegias, e altri ancora vissuti nel Mondo Antico. Tutti trovano spazio alla corte del Signore degli Dei, proprio come vorrei che anche i tuoi genitori, i genitori del mio Luogotenente, qui potessero riposare!"
"Sarebbe un onore, mio Signore! Mio re!" –Commentò Nikolaos, inginocchiandosi di fronte a Zeus, che gli rispose con un sorriso grato.
Euro sistemò con cura le salme in un angolo e, prima di allontanarsi, tirò un’occhiata agli spazi ancora vuoti. Ne erano rimasti quattro, tutti già ornati degli altari e dei loculi atti a contenere le ceneri o le spoglie dei caduti, in attesa che una statua e le lettere scolpite sul basamento indicassero il nome degli ultimi Cavalieri Celesti.
Nikolaos… Ganimede… probabilmente Shen Gado… e? Per chi è l’ultima tomba? Rifletté il figlio di Eos, per poi voltarsi verso Zeus, che lo stava osservando interessato, e arrossire. Il Nume parve intuire i suoi pensieri e accennò un sorriso, prima di invitare entrambi a uscire dalla cripta.
"Spero che questo viaggio tra i ricordi non ti abbia turbato, Cavaliere dell’Eridano Celeste!" –Commentò Zeus, richiudendo il portone e osservando gli occhi lucidi del Luogotenente. –"Volevo dare serenità al tuo animo, non dolore."
"E ci siete riuscito, mio Signore! Davvero! Non solo per l’onore che avete tributato ai miei genitori, ma anche per avermi permesso di rivedere un’ultima volta i miei compagni, i Cavalieri di stirpe divina che mi hanno accolto tra loro anni addietro, senza mai farmi sentire diverso. Senza mai farmi sentire inferiore, per quanto non fossi figlio di un Dio o un eroe leggendario loro pari."
"Pari ma non paria." –Intervenne allora Euro, ricordando una citazione dell’intrepido Re di Iolco, e anche Zeus annuì, mettendo una mano sulla spalla del Luogotenente, mentre camminavano nel bosco di frassini, diretti verso la reggia.
"Per la verità, non sono stato onesto con te, Nikolaos. Non del tutto!"
"Cosa intendete, mio Signore?!"
"Per tutto questo tempo sei stato convinto di essere l’unico umano ad aver mai fatto parte della divina legione dei Cavalieri Celesti, ma in realtà non è così. C’è stato un altro, prima di te!"
"Non lo sapevo… io…"
"È naturale! Ordinai a Giasone e agli altri tuoi compagni di non parlartene, perché per molto tempo non volevo neppure udirne il nome! Il nome di un uomo che mi ha deluso! E anche oggi, ammetto, pensare a quei giorni, pensare all’amarezza di quel passato bastardo mi irrita e infastidisce, per quanto ritenga necessario andare avanti. Andare oltre. Ed è merito tuo, Nikolaos, della tua umiltà, se ho ritrovato una parte di me che le sontuosità del presente mi avevano fatto perdere! Merito tuo di avermi ricordato quanto grandi possano essere gli uomini, in grado di sprigionare, se sorretti dalle giuste motivazioni, un potere vasto come un Dio, pur rimanendo sempre mortali!"
"Mio Signore?!" –Mormorò il Luogotenente, senza comprendere a pieno le parole del Nume Supremo.
"Prima di scendere in guerra, prima di unire le nostre forze a quelle di Atena, Asgard e Avalon, c’è una cosa che devo fare. E voi mi accompagnerete! Tu, giovane Euro, inciterai i venti a spingerci in fretta, permettendo al tuo Dio di conservare le energie, e tu, Luogotenente, conoscerai una nuova storia dell’Olimpo, una pagina buia che ho voluto cancellare ma che, come altre cose, ho invece dovuto imparare ad affrontare!" –Spiegò il Nume, mentre i tre giungevano al limitare del giardino sul retro della reggia, laddove un uomo alto, rivestito da un’armatura marrone li attendeva.
Nel vederli, il guerriero si inchinò, presentandosi.
"Neottolemo del Vascello, Nocchiero di Eracle, al vostro servizio, possente Zeus!"
"Tutto è pronto?"
Neottolemo annuì, prima di rialzarsi e indicare lo strano oggetto che deturpava il terreno fiorito poco distante. Nikolaos la osservò per qualche secondo, prima di capire che era un’ancora enorme, cui era legata una lunga catena composta da robusti anelli metallici che dall’ormeggio saliva in alto verso il cielo, fino ad entrare nella fiancata di una bizzarra costruzione che li attendeva a vele spiegate.
"Una nave…" –Mormorò, mentre Euro sorridendo gli faceva cenno di allungare la mano.
Il Luogotenente esitò un istante, prima di rispondere al comando del figlio di Eos, stringendogli la mano, proprio mentre questi spalancava le ali della sua corazza, sollevandosi verso il vascello e portando Nikolaos con sé. Zeus li aveva già raggiunti e Neottolemo arrivò per ultimo, camminando sulla catena tesa con la leggerezza e la grazia di un’angelica creatura.
"Siamo pronti a partire!" –Esclamò, ritirando l’ormeggio, di fronte agli occhi stupefatti di Nikolaos.
"Molto bene! Mi compiaccio di questa solerzia!" –Precisò Zeus, prima di dare ordine a Euro di scatenare i venti su cui dominava, diretti verso oriente.
"Destinazione, mio Signore?!" –Chiese l’Hero del Vascello, mentre afferrava il timone della nave volante.
"Le vette del Caucaso."
***
Nel silenzio degli abissi oceanici, Forco riposava tra le braccia della sua sposa antica, l’unica che avesse mai colmato d’amore la sua esistenza. Sapeva, dai messaggeri che talvolta giungevano dal mondo di superficie, che anche gli altri Dei, i giovani Dei cresciuti dopo la caduta di Crono e dei Titani, erano in grado di amare, ma non con la stessa devozione che aveva sempre caratterizzato il suo rapporto con lei. Lui, in fondo, non l’aveva mai tradita, né la sua compagna aveva fatto altrettanto, uniti per sempre da un patto suggellato nelle acque abissali. Un patto di cui le acque stesse erano state testimoni e officianti, e che mai era stato disonorato. Del resto, erano entrambi consapevoli che il tempo trascorresse, anche piuttosto in fretta per coloro che si affannavano ad agire fuori dalla sicurezza del loro regno. Ne avevano avuto prova quando avevano ricevuto notizia della morte di alcuni loro figli, giovani, anch’essi, e incapaci di dimorare troppo a lungo in quella profonda tranquillità che né Forco né la compagna avrebbero mai cambiato per nessun’altro regno.
Che Zeus si tenga il suo colle fiorito e Ade il suo lurido oltretomba! Amava ripetere l’atavico Signore dei Mari, cullato dal delicato abbraccio di colei cui si era unito tempo addietro e con cui aveva generato una numerosa prole. Le sorelle Gorgoni, le anziane Graie, la mostruosa Scilla e Ladone, il Custode del Giardino delle Esperidi, ne erano terrificante rappresentanza. Ma nessuno di loro, con suo grande rammarico, aveva recepito il così intenso amore dei genitori verso gli oceani, preferendo dirigersi in superficie a trascorrere la loro esistenza. Per questo motivo Forco aveva dovuto cercare altrove, per creare il proprio esercito, tra quegli uomini così corruttibili cui molte altre Divinità avevano guardato per farne strumenti di guerra nelle loro mani. Anche Zeus, Nettuno e persino il tenebroso Ade si servivano degli uomini, restii, forse impauriti, a sporcarsi le mani in prima persona; e anche se tra le loro fila figuravano figli di Divinità o uomini graziati di doni divini, la maggioranza delle loro schiere era composta da esseri mortali.
"Mortali…" –Rifletté Forco in quel momento, prima che una voce adolescenziale lo distraesse.
Liberandosi di malavoglia dall’abbraccio della compagna, l’antico Dio scese dallo scoglio ove riposava, andando incontro al giovane dai capelli rossicci che era appena entrato nell’ampia caverna sottomarina.
"Chiedo venia, Imperatore! Ma è arrivato un dispiaccio urgente per voi!" –Esclamò un ragazzo che non dimostrava più di vent’anni. –"Il Lord Comandante delle Armate delle Tenebre vi invia le istruzioni per l’imminente attacco!" –Aggiunse, porgendogli un corno di conchiglia, dentro il quale era incassato un plico arrotolato. –"Vostra figlia, Steno, lo ha appena consegnato!"
Forco lo afferrò incuriosito, soffermandosi sul sigillo di ceralacca che lo teneva fermo, il simbolo del potere di Polemos.
"Ridicolo!" –Commentò con disprezzo, gettando addosso al ragazzo sia la conchiglia che la missiva. –"Queste patetiche manifestazioni del proprio ruolo suscitano in me un’ironia sconfinata, Kelpie! E mi sorprende e irrita al qual tempo che mia figlia si sia prestata alla causa! Pur nella sua deformità, pur nella sua orrida bellezza, ha chinato il capo al Demone della Guerra, mettendo a sua disposizione i propri servigi! Umpf, è assurdo!!!" –Tuonò, alzando la voce, mentre il giovane si rimetteva in piedi, pur senza permettersi di aprire bocca. –"Gli Dei dei Mari non si prostrano di fronte a nessuno! Dovrebbe averlo capito ormai! Compagni, non servi, è questo che siamo!"
Quindi, vedendo che il guerriero dai capelli rossicci non sapeva cosa fare di quel plico, sbuffò scocciato, dicendogli di aprirlo e leggerlo in sua vece, cosa che l’adepto si affrettò a fare in pochi secondi.
"Il Lord Comandante, suprema guida dell’Armata delle Tenebre, richiede l’intervento immediato dei Forcidi nella battaglia che sta per scatenarsi nel continente africano! Seguono le indicazioni esatte dei siti che saranno attaccati!"
Forco allungò un occhio sulla missiva, riconoscendo i luoghi ove la sua nuova vita era ricominciata, quando suo padre lo aveva risvegliato da una prigionia durata millenni. Torse le labbra in un ghigno serafico, intuendo le ragioni che muovevano Polemos in quell’assalto, e le comprese, avendo saputo quel che l’esercito egizio aveva realizzato nei giorni precedenti, meritandosi quindi quella subitanea ritorsione. Pur tuttavia non sembrò interessato, né diede a Kelpie alcun ordine riguardo ad un’eventuale risposta, pregandolo soltanto di congedarsi.
Obiettivo ben poco interessante! Rifletté, ricordando lo sconcerto che l’aveva invaso quando Ponto lo aveva liberato, permettendogli di rimirare, con occhi propri, le sconfinate distese dell’Africa desertica, interrotte da sporadiche oasi e da bizzarre costruzioni triangolari. Un regno così diverso dalla freschezza dei domini oceanici, un regno su cui mai avrebbe voluto imperare, destinandolo eventualmente solo ad essere una colonia penale, niente di più.
"Quali nuove dal mondo di sopra, mio amato?" –La soffice voce della compagna lo rubò ai suoi pensieri, mentre il suo sinuoso corpo lo raggiungeva, affusolandosi attorno al proprio, assieme al proprio, scambiandosi effusioni e carezze.
Il mondo di sopra. Così lo chiamava lei, con quella spontaneità che lo faceva sempre sorridere e che rimarcava di continuo la distanza tra la loro intimità e tutto quel che stava fuori.
"Polemos ha mosso le sue truppe!" –Spiegò Forco, mettendo di proposito l'accento sull’aggettivo possessivo. –"Primo obiettivo è stato marciare contro l’Egitto con il duplice intento di vendicarsi dell’intervento di Amon Ra e anche di fagocitarne il potere! Di certo Osiride e quegli strambi Dei lunari saranno stati un antipasto prelibato, ma una splendente e ancestrale Divinità come il Pastore dell’Universo permetterebbe a Caos di divenire davvero potente!"
"È dunque vendetta ciò che anima il nuovo Comandante dell’Esercito delle Tenebre? Un sentimento così basso e barbaro?" –Rifletté la sua sposa, portando Forco a porsi la stessa domanda.
"Sentimento che, ahimè, conosco bene, poiché anch’io l’ho provata, e tuttora la provo, nei confronti di coloro che a torto, nel corso dei secoli, si sono vantati di essere i Dominatori dei Mari! Ciononostante la mia rivalsa sarà in grande stile e coinvolgerà anche te e coloro che ci sono fedeli, mia adorata!" –Declamò il Nume, fissando la consorte negli occhi. –"Se Polemos ha attaccato il più grande regno divino sulla Terra, noi colpiremo quello sotto il mare! Il regno sommerso nato dalle rovine della leggendaria Mu! Ordina ai Forcidi di muovere verso il Pacifico! Attaccheremo adesso e attaccheremo in massa, con tutte le nostre forze! Piegheremo quelle ridicole Conchiglie e i buffi abitanti che le abitano! Gli Avaiki degli Areoi saranno nostri!"
***
Toru guardava la Conchiglia Madre ammirato.
Non era la prima volta che veniva convocato e, sebbene preferisse gli ambienti esterni, meno affollati dell’immensa capitale, rimaneva ogni volta affascinato da quell’antica struttura, cuore pulsante del loro impero. Alta, cento metri e forse più, si innalzava tra silenti e quieti abissi, rifulgendo di chiari bagliori allo strusciare delle correnti marine. Era vasta e spaziosa quanto una città degli uomini, o almeno così gli avevano detto quando era bambino, poiché Toru una città di uomini non l’aveva mai vista. Lui conosceva solo l’Avaiki dedicato al grande Ukupanipo, Signore dei Pesci e protettore dei mari. Là era cresciuto, era stato addestrato ed aveva infine superato la prova, combattendo contro lo squalo bianco, a mani nude, e dimostrandosi degno della fiducia ricevuta dal Dio abissale.
Sorridendo a ricordi sereni, l’uomo dal fisico atletico e dai piccoli ma attenti occhi neri varcò il ponte che collegava la Conchiglia ove risiedeva con quella principale, percependo un’improvvisa vibrazione. Qualcosa di grosso, di molto grosso, si stava muovendo. Durò un attimo, quella sensazione spiacevole, poi scomparve e per quanto Toru scandagliasse il fondale oceanico con i suoi sensi acuti non riuscì a ritrovarla.
Scosse la testa, stranito, riprendendo a camminare per le strade interne dell’Avaiki, passando attraverso basse costruzioni di sabbia e corallo e spazi pubblici, ove numerosi bambini si allenavano nuotando nelle grandi vasche che sorgevano dal terreno, riempite direttamente da canali sotterranei che le collegavano al mare.
Anche lui era stato come loro, anche lui era stato un giovane polinesiano deciso ad apprendere i segreti del mare, trascorrendo giornate intere a nuotare, per stabilire un contatto con l’oceano circostante, per entrare in comunione con il mondo che lo attorniava, ben più ricco e profondo di quanto coloro che vivevano in superficie potevano immaginare. Strani mondi, quelli. Sempre in guerra tra di loro. Forse per questo i nostri antenati decisero di chiudere con loro ogni rapporto. Si disse Toru, raggiungendo infine il cuore della Conchiglia, ove sorgeva un palazzo di corallo, l’unico autorizzato ad elevarsi al di sopra delle altre costruzioni, piuttosto basse in verità, di modo che potesse essere visibile da ogni parte dell’Avaiki, anche dalle Conchiglie esterne.
Là Hina lo stava aspettando.
In piedi, al centro del salone principale del santuario di Ukupanipo, l’anziana donna, dal viso scavato dal tempo, stava ritta di fronte a una colonna di corallo alta circa un metro, sulla cui sommità riluceva una sfera di luce. Una perla azzurra, grande come un teschio umano, che emetteva bagliori in grado di rifulgere in tutto l’Avaiki.
"Qualcosa non va!" –Esclamò il muscoloso guerriero, varcando la soglia dell’ampia sala.
"Lo hai percepito anche tu, dunque!" –Si limitò a commentare la donna chiamata Hina, senza neppure voltarsi verso il nuovo arrivato, continuando ad osservare la sfera azzurra.
Toru annuì, ma non seppe spiegare cosa avesse sentito. Di certo niente di buono se persino la grande Hina del Lactoria, massima autorità nel culto del Signore dei Pesci, pareva inquieta, al punto da non staccare gli occhi dalla Perla dei Mari. Perché? Cosa potevano dirle, in fondo, i morti, che lei non fosse in grado di vedere da sola?
"Anche gli spiriti degli aumakuas sono inquieti! Osservali, si agitano come anguille, quasi volessero avvisarci di un pericolo imminente! Ma quale?!" –Si interrogò l’anziana Alii, carezzandosi il mento grinzoso con lunghe rachitiche dita.
"Temete uno tsunami, potente Hina? Per quale motivo il Signore dei Pesci dovrebbe essere adirato con noi, il popolo che da sempre lo venera e ringrazia per i pasti che ci concede! Lui sa bene che siamo gente di buon cuore, che amiamo e rispettiamo il mare in cui ci permette di risiedere, cacciando solo ciò di cui abbiamo bisogno per sopravvivere, senza abusare delle altre specie che popolano il mondo sommerso!"
"Non la collera di Ukupanipo temo. Ma un’ira ben più violenta e altrettanto arcaica." –Sospirò la sacerdotessa. –"Ho avvertito poderose energie oscure divampare nel mondo superiore, sintomi inequivocabili dell’innalzarsi di un nuovo conflitto."
"Umpf! Come se fosse una novità! A cos’altro sono mai stati dediti gli uomini se non a farsi male tra loro? Incapaci di vivere in pace, sereni e paghi di quello che hanno, di quello che i loro Dei han concesso loro, hanno sempre desiderato altro, hanno sempre ambito ad andare oltre, conquistando regni che non erano loro, che non erano neppure pensabili per esserlo! La nostra antenata, la regina Antalya, compì un’ottima scelta quando decise di fondare il primo Avaiki, qua, nel grande oceano meridionale, isolandoci e lasciandoci fuori dai conflitti del mondo."
"Non credere che sia stato l’amore per i posteri a determinare la sua scelta, Toru. Antalya era stanca. A lungo aveva combattuto, in vita, fronteggiando un’ombra primordiale come quella descritta nei primi
wā dei canti di Kumulipo. Un’ombra che risponde ad un solo nome." –Spiegò, voltandosi infine e fissando Toru con le cavità dei suoi occhi."
Pō!" –Convenne l’uomo. –"Oscurità!" –Aggiunse, rabbrividendo al sol pensiero e cercando al tempo stesso di non distogliere lo sguardo dalla deformità che segnava il volto di Hina. Anche con le palpebre chiuse, anche priva dei bulbi oculari, l’anziana Alii poteva comunque spaziare lontano, grazie alla forza del cosmo,E fu quell’antica sapienza che le permise di avvertire per prima l’onda in arrivo.
Si schiantò contro la Conchiglia esposta a meridione, facendola vibrare per l’intera sua estensione, scuotendola nel profondo e strappando grida di paura a tutti i suoi abitanti. Per quanto abituati a sconvolgimenti oceanici, quali maremoti o scosse telluriche, era la prima volta che un maroso di così intensa potenza si abbatteva non previsto sull’Avaiki.
"Raduna gli Areoi! Siamo sotto attacco!" –Esclamò Hina, mentre Toru la guardava sorpreso, non capendo come potesse essere possibile. Aprì la bocca per porle una delle molte domande che gli riempivano la mente, ma lei lo prevenne, sollevando un dito e intimandolo di fare presto. –"Cercherò di rallentarli, mantenendoli all’esterno fin quando Kahō
ʻāliʻi non mi chiamerą a sé. Non so quando sarà, ma in quel momento non sarò triste, potendo riabbracciare coloro che ho perduto in questa lunga vita ricevuta in dono da mio padre! Ora va’, possente Toru, hai la benedizione di Ukupanipo e di tutti gli Dei del Mare! Che le fauci dello squalo bianco squarcino il petto di molti nemici! Che il magnifico predatore sappia difendere l’Avaiki che lo ha investito!"