CAPITOLO VENTIDUESIMO: FUOCO INCROCIATO.

Iside era inginocchiata vicino al lago sacro ad Amon, nel cuore del complesso di Karnak, poco distante dalle sale riservate al Signore del Sole d’Egitto. Di fronte a lei svettava imponente una statua, di recente ristrutturata dopo secoli di esposizione sconsiderata alle intemperie e al languire nel tempo, dedicata a Kepri, lo scarabeo sacro, rappresentante il sole sorgente. E lei proprio a quello si stava aggrappando nelle sue preghiere, sperando che l’umanità potesse conoscere una nuova alba. Eppure quel fosco tramonto che da ore imperava sull’intero Egitto minava in lei ogni fiducia, al pari dei violenti scontri di cosmi in atto attorno a lei, scontri che, lo percepiva chiaramente, avevano coinvolto anche suo figlio Horus e la sua progenie.

Sospirando, la Dea della Maternità si rimise in piedi, rivolgendo un ultimo pensiero all’amato scomparso, certa che non troppo a lungo sarebbero stati separati. Aveva ceduto il tiet a Febo, usando il proprio sangue divino per curare le ferite sue, di Marins e di Horus, riparando al qual tempo le loro armature. Il suo compito lo considerava esaurito, perciò che venissero pure ad ucciderla.

"Mia signora?!" –Mormorò una voce alle sue spalle. –"Dovremmo rientrare! Non è prudente restare qua allo scoperto!"

Iside sorrise al giovane Faraone delle Sabbie che Amon le aveva assegnato come scorta, assieme a una ventina dei suoi migliori Soldati del Sole, per quanto la Dea avesse più volte insistito di non aver bisogno di assistenza.

"Ti ringrazio, Ermanubi!" –Si limitò a commentare, incamminandosi verso le stanze a lei dedicate, prima che un’esplosione distraesse entrambi, costringendoli a voltarsi verso il Cortile del Nascondiglio, che si apriva sul lato sinistro della Sala Ipostila. I piloni laterali vennero ridotti in polvere, che un vento sanguigno sparse contro di loro, inquinando la pozza sacra ad Amon, e prima ancora che i soldati potessero reagire due snelle sagome erano già balzate su di loro, sventrandoli uno dopo l’altro.


"Fermatevi!!!" –Gridò allora il Faraone delle Sabbie, avanzando verso gli aggressori, avvolto in un cosmo verdastro.

Le due atletiche figure fissarono per un attimo l’impavido guerriero in armatura rossiccia, scoppiando poi in una risata selvaggia, che alle orecchie di Ermanubi suonò come un’irriverente sghignazzata, prima di ricominciare a massacrare le guardie del corpo di Iside, senza degnarlo di ulteriore attenzione.

"Vi ho detto di fermarvi!!!" –Ripeté allora il giovane infastidito, espandendo il cosmo e scattando avanti, a testa bassa, in una posa che ai due invasori ricordò quella di un cane del deserto. –"Ringhio furioso dello sciacallo!!!" –Tuonò, piombando su una delle due figure, che fu svelta però a balzare indietro, posizionando di fronte a sé il corpo del soldato che stava massacrando, lasciando che fosse il suo stesso compagno a terminare il lavoro. –"Maledizione, siete delle spregevoli carogne!!!" –Avvampò Ermanubi, concludendo l’attacco e cercando di non guardare il cadavere del ragazzo che aveva appena dilaniato con le sue zanne.

"Carogne?! Noi?! Ah ah ah! Tutt’altro, mio caro, noi non ci avventiamo sui resti di una battaglia! Noi la battaglia la causiamo, aprendo le fila! Non restiamo pavide nelle retrovie ad attendere gli eventi!" –Chiarì una delle due figure, che adesso il Faraone delle Sabbie poté riconoscere come una donna, al pari di colei che l’accompagnava.

Alte e slanciate, con un fisico impeccabile, risultato di un costante addestramento, entrambe le guerriere indossavano scure corazze dai riflessi violacei, piuttosto semplici in verità. Solo una delle due presentava una caratteristica singolare agli occhi di Ermanubi, che non poté staccarvi lo sguardo. Sul pettorale della donna finora rimasta in silenzio era stato disegnato un volto umano nell’atto di gridare di follia, gli occhi sgranati, quasi allucinati, iniettati di un rosso ardente e male auspicante.

"Ammiri la mia opera, giovane egizio?" –Ridacchiò infine questa donna, muovendosi avanti e spostandosi i lunghi capelli biondi dietro la schiena. –"Vivendo qua, in queste aride terre, di certo non avrai mai avuto il piacere di incontrarlo, ma quest’uomo che vedi qua ritratto è il figlio di Zeus Olimpio, ritratto il giorno in cui gli feci perdere la ragione! È una storia che immagino tu non conosca e con cui non voglio tediarti, mi limiterò solo a raccontarti il finale!" –Aggiunse, portandosi a pochi passi dal Faraone delle Sabbie, che non riusciva a muoversi, inchiodato a terra da un enorme potere psichico. –"Egli impazzì!" –Sibilò la donna, prima di abbandonarsi a una sonora sghignazzata, piegando il ragazzo a terra, che si portò le mani alla testa, scuotendola disperato.

"Ermanubi!!!" –Intervenne allora Iside, muovendosi verso di lui, cinta dall’ultimo plotone di Soldati del Sole che resisteva a sua difesa.

"Dunque questo è il tuo nome, Ermanubi dello Sciacallo?!" –Le disse la donna dal biondo crine, chinandosi su di lui e sfiorandogli il mento, sì da sollevargli la testa e permetterle di ammirarne compiaciuta lo sguardo. –"Quale coincidenza! Perché proprio uno sciacallo sei adesso diventato e quelle alle tue spalle sono carogne su cui devi avventarti! Divorale! Sbranale! Squartale in pezzi così piccoli da renderli irriconoscibili! Ah ah ah!" –Rise infervorata la guerriera, mentre il giovane si rimetteva in piedi, voltandosi verso Iside e i suoi compagni e fissandoli con occhi vitrei, che parvero loro spiritati. Non disse niente, limitandosi a scattare avanti, le mani artigliate ricolme di energia cosmica, scagliandosi sulle guardie a protezione di Iside, massacrandole una dopo l’altra.

"Ermanubi, fermati!!!" –Gridò la madre di Horus, affranta, prima che le due nemiche balzassero su di lei, afferrandola per le braccia e immobilizzandola in una spirale di cosmi oscuri, che presto piegò l’indebolita Divinità a terra.

"Nutriti, Ermanubi, nutriti di questa bella carcassa!" –Ringhiò colei che aveva preso possesso della mente del giovane, invitandolo ad avvicinarsi e a sfoderare le zanne.

Iside lo fissò per un’ultima volta, notandone lo sguardo indemoniato, e capì che la sua ora era giunta. Riuscì soltanto a pensare a Osiride, che presto avrebbe abbracciato di nuovo, e a Horus e Febo, augurandosi che potessero vivere a lungo, prima che il braccio teso di Ermanubi dello Sciacallo le trapassasse lo sterno, facendole vomitare sangue.

***

"Madre!!!" –Mormorò Febo, tendendo d’istinto i sensi e voltandosi verso le mura di Karnak, dal cui interno percepiva scontri in atto.


"Attento, Febo!!!" –Gridò il compagno, balzando su di lui e afferrandolo un attimo prima che il potente pugno del gigantesco nemico lo schiacciasse nel suolo sabbioso. –"Che stai facendo? Non distrarti!" –Lo redarguì Marins, rimettendosi al qual tempo in piedi e bruciando il proprio cosmo lucente. –"Maremoto dei mari azzurri!!!" –Urlò, liberando un gorgo di energia che si abbatté su un gruppetto di Lestrigoni che li aveva presi di mira, scagliandoli lontano, contro il resto del loro esercito.

"Ho percepito qualcosa… Un’ombra ha varcato la soglia di Karnak! Più d’una, in verità! E mia madre… Iside… lei sta languendo!" –Mormorò il biondo Cavaliere del Sole, gli occhi umettati di lacrime. –"Devo andare da lei! Devo salvarla!"

Marins rimase per un istante ad osservare il compagno, riflettendo sul da farsi. Andrei stava ancora fronteggiando il terribile Demone della Guerra, in uno scontro destinato a procrastinarsi fino alla distruzione di uno dei contendenti; Horus e la Dea Gatta, poco distanti, stavano tenendo impegnata l’agile Chimera e Sin degli Accadi stava guidando i Soldati del Sole in uno scontro frontale con l’Armata delle Tenebre. Loro avevano i Lestrigoni di cui occuparsi, quei grossi guerrieri coperti di placche resistenti in grado di deviare la maggior parte degli attacchi comuni. Come potevano abbandonare i compagni? Pur tuttavia Marins comprese le esigenze dell’amico, il bisogno di salvare una persona che per lui significava tutto, per lui era la madre.

"Io non ho parenti in vita!" –Commentò il Cavaliere dei Mari Azzurri. –"Soltanto una lontana zia, che ormai si sarà dimenticata di me! Cara zia Susy, chissà come sta, se ha trovato uno spicchio di felicità che solo i libri parevano offrirle! Non ho felici ricordi di famiglia cui aggrapparmi, ma ti aiuterò per proteggere la tua, amico mio!"

Febo sorrise all’ennesima dimostrazione d’affetto che li legava, prima di voltarsi entrambi verso una coppia di Lestrigoni che torreggiava alle loro spalle, le braccia già sollevate per pestarli. Non dovettero neppure liberare i loro colpi segreti che dorate scariche energetiche avvolsero i due colossi, aprendo crepe nelle loro corazze e facendo schizzar fuori sangue e materiale organico. Marins approfittò del momento per trafiggerli entrambi al costato con il Talismano da lui custodito, osservandone poi i robusti corpi crollare nella sabbia e rivelando la figura ammantata di luce che era giunta in loro aiuto.

"Ho udito anch’io il lamento che si leva dalle mura di Karnak! Andate, Cavalieri di Avalon, e proteggete chi avete caro! Ioria del Leone vi guarderà le spalle!"

"Ti ringrazio, Cavaliere di Leo! La stessa nobiltà che intravidi quel giorno nel cuore di tuo fratello regna in te!" –Commentò il figlio di Amon Ra, prima di scambiarsi un ultimo cenno d’assenso con Marins e sfrecciare via, lungo il Viale delle Sfingi di Karnak, attorno al quale violenti scontri erano in corso.

***

Non appena ebbero varcato la soglia monumentale che si apriva sul grande cortile porticato, Febo e Marins impallidirono di fronte alla carneficina appena consumatasi. Un centinaio di Soldati del Sole giacevano a terra, in posizioni scomposte, le vesti stracciate, i corpi smembrati, il sangue che macchiava il suolo e le mura esterne della Sala Ipostila. Là dove un tempo i fedeli e i visitatori che giungevano a Karnak potevano ammirare magnifici bassorilievi che illustravano scene di battaglia, i trionfi dello splendente Amon sull’oscuro Apopi, adesso baluginavano macabri i resti di coloro che per il Dio del Sole avevano dato la vita.

Marins deglutì a fatica, nauseato da quell’orrore, da tutta quella violenza gratuita che non aveva ragione d’essere; fece per dire qualcosa, per consolare Febo al suo fianco, ma questi, chiudendo le mani a pugno, stava già avanzando, nel mucchio di cadaveri, sincerandosi con un rapido sguardo se vi fosse qualche superstite. Quindi, drizzando i sensi, percepì due violenti scontri in atto, uno all’interno della Sala Ipostila e uno all’esterno, vicino alla pozza sacra ad Amon, dove sua madre era solita pregare.

Costretto ad una scelta, Febo decise di fidarsi di suo padre, ben sapendo che pochi avversari sarebbero stati in grado di impensierirlo; ma quando si mosse verso il Cortile del Nascondiglio, il tocco apprensivo della mano di Marins lo sfiorò, dando voce ai suoi pensieri.

"Ricordi le parole di Avalon durante l’assemblea dell’alleanza? Nessuno può uccidere un Angelo. Sarà vero?"

Febo non rispose alcunché, avendo percepito anch’egli l’oscurità che si annidava tra i colonnati della Sala Ipostila. Un cosmo terribilmente oscuro, striato di sangue, che temettero entrambi di conoscere.

Un grido di donna mise fine alle loro esitazioni, portandoli a scattare attraverso il Cortile del Nascondiglio, raggiungendo infine il cuore di Karnak, il lago sacro ad Amon Ra, benedetto dalle luci del sole sorgente. Là, sulle sponde ormai macchiate di sangue, giaceva la Dea che aveva cresciuto Febo, prendendosi cura di lui come una madre, massacrata dalla violenza di un uomo in armatura rossa e da due donne rivestite di scure corazze. Inorridendo, il Cavaliere del Sole riconobbe nel carnefice di Iside uno dei guerrieri di suo padre, mentre Marins, rimasto pochi passi alle sue spalle, scrutava guardingo le snelle sagome di coloro che stavano riempiendo di calci il deturpato corpo di Iside, cercando di non notare i cadaveri massacrati dei Soldati del Sole che costellavano il cortile.

"Come osate?!" –Tuonò Febo, espandendo all’istante il proprio cosmo.

"Oh bene, sorella! Sembra che finalmente avremo modo di divertirci, con due giovani che non sono affatto male! Cosa ne pensi?!" –Sghignazzò una delle due, con mossi capelli rossicci, che parevano tinti col sangue delle sue vittime.

"Sai bene che ho un debole per i biondi!" –Ridacchiò l’altra. –"Rimpiango che il Maestro del Caos non ci abbia fatto partecipare al Ragnarök! Chissà quanti biondi vichinghi avremmo potuto conoscere!"

"Tacete, demoni della peggior specie!!!" –Ruggì il Cavaliere del Sole, sollevando un braccio al cielo, sul cui palmo aperto una sfera di ruggente energia rossastra apparve all’istante, prima che il ragazzo la dirigesse verso le due guerriere.

Svelte furono entrambe a scattare di lato, lasciando che il globo incandescente esplodesse nella pozza alle loro spalle, ma Febo non diede loro tempo di rifiatare, scattando avanti, già con una nuova sfera di energia in mano. La donna dai capelli biondi, su cui il figlio di Amon si avventò, reagì con un’identica sfera energetica, lasciando che le due detonassero violentemente, spingendo entrambi indietro. Non riuscì, la compagna dalla chioma sanguigna, ad accorrere in suo aiuto, bloccata sul posto dalla carica di Marins, che la colpì con una spallata, schiantandola contro la statua dedicata allo Scarabeo Sacro. Se non fosse stata lesta di riflessi, la donna vi sarebbe rimasta conficcata, trapassata dal luminoso tridente che il Cavaliere dei Mari Azzurri subito scagliò su di lei, costringendola a muoversi ancora.

"Pare che ben più combattive prede abbiamo infine trovato!" –Commentò allora. –"Ero stufa di quegli insulsi soldati, ai miei occhi carne da macello, niente più!"

"Non denigrare coloro che con devozione e coraggio hanno combattuto per difendere il tempio sacro a mio padre, donna! Non hai rispetto per la vita?" –Declamò Febo.

"Tuo padre?! Dunque sei tu il famoso Febo, il bastardo che Amon ebbe da una donna greca, suscitando le ire di Apollo?! Ti sei ben conservato per avere… quanti? Mille anni?!"

"La tua ironia è fuori luogo! Prepara le difese, invece!" –Rispose il Cavaliere del Sole, presto affiancato dal compagno, mentre anche le due donne si radunavano tra loro e una delle due sbraitava qualche ordine al guerriero in armatura rossa, rimasto immobile accanto al corpo massacrato di Iside. –"Ma quello… Ermanubi dello Sciacallo?! Cosa fai con loro? Perché combatti dalla loro parte?!"

Il Faraone delle Sabbie non disse alcunché, limitandosi a scattare avanti, le braccia artigliate pronte per ghermire il biondo figlio di Amon, che esitò un momento, non desiderando colpire colui che, fino a quel momento, aveva sempre considerato un fedele servitore di suo padre. Fu Marins a intervenire a sua difesa, posizionandosi di fronte all’amico e investendo Ermanubi con un vorticante globo di energia azzurra, che lo travolse in pieno, sradicandolo da terra e schiantandolo poi dentro la pozza sacra ad Amon, con l’armatura distrutta in più punti.

"Perdonami…" –Mormorò quindi, rilassando le braccia e ottenendo al qual tempo un gesto di stanco assenso da parte del compagno.

"Ben fatto, Cavaliere azzurro! Adesso siamo rimasti in quattro, numero perfetto per uno scontro incrociato! Chissà potremmo anche divertirci a scambiarci gli avversari, pratica a cui mia sorella ed io siamo solite abbandonarci quando gli uomini ci stufano! Ah ah ah!" –Rise sguaiata la guerriera dai capelli vermigli, che parvero agitarsi, mossi da un vento oscuro, quasi fossero la chioma di una Gorgone. –"Da quale preferisci iniziare sorella? Dal bastardo o dal marinaio?"

"Chi siete?!" –Tuonò infine Febo.

"Che sbadate, non ci siamo presentate! Permettetemi di rimediare a quest’increscioso errore prima di scatenarci in una mortale quadriglia!" –Sibilò allora la donna bionda, avanzando verso i due Cavalieri, che subito alzarono le braccia in posizione di guardia. –"Il mio nome è Lissa, Dea della Rabbia e del Furore cieco! E la mia deliziosa sorella è Keres, meglio nota come morte violenta! Siamo le più potenti delle Astrazioni, figlie di Nyx, Signora della Notte e Prima Dea! E ora che conoscete il nostro nome, potete morire!" –Ringhiò, scattando avanti, i pugni chiusi e sfrigolanti una potente energia cosmica, obbligando Febo e Marins a scartare di lato.

Subito il Cavaliere dei Mari Azzurri evocò un globo di energia celeste, che turbinò di fronte a sé prima di scagliarlo contro la Dea della Rabbia, che neppure si mosse, spalancando le braccia di lato e investendo l’attacco con un’onda di energia, che lo disperse e scaraventò persino il ragazzo indietro.

No! Analizzò, rialzandosi all’istante. Non è stata un’onda di energia, è stata un’onda sonica! Un urlo quasi, che non è uscito dalle sue labbra, bensì… dalla sua armatura?! Sgranò gli occhi, osservando lo sguardo inebriato di follia dipinto sul pettorale della nemica, uno sguardo che apparteneva ad un uomo che credeva di aver già visto, senza ricordare quando e dove. Solo allora si accorse che Febo era stato intrappolato, avvinto da lunghi filamenti rossastri e sbattuto a terra, sotto il tacco divertito della Dea chiamata Keres.

"Smettila di dimenarti, bel biondino! Il tocco dei miei capelli non ti aggrada, forse?! Non sono delicati come la chioma della regina Berenice ma di certo sanno come catturare l’attenzione degli uomini! Eh eh eh!" –Ridacchiò questa, continuando ad avvolgere il corpo del Cavaliere del Sole nella sua folta capigliatura, che si era animata e allungata, come sinuosi serpenti, fino a stritolarlo nella sua morsa, lasciando libero soltanto il volto, e neppure tutto. Solo una sottile striscia che attorniava gli occhi, permettendo a Febo di continuare a vedere. E quello che vide fu l’abominevole dipinto di un uomo dallo sguardo indemoniato che si avvicinava minaccioso, mentre Lissa sghignazzava, avvolta nel suo cosmo oscuro.

"Keres, sorella, forse il bastardo di Karnak preferisce il tocco delle mie labbra! Lasciami verificare!" –Frusciò, chinandosi sul giovane e posandogli un bacio in mezzo agli occhi, saturo di tutta la sua tenebrosa potenza. Bastò quel contatto a far esplodere il cosmo di Febo, che avvampò come astro nascente incendiando la rossiccia chioma che lo imprigionava e forzando le Astrazioni a balzare indietro, per non essere ustionate dall’impetuosa corona di fuoco che l’aveva avvolto. Respirando a fatica, il Cavaliere di Avalon fece per rialzarsi, quando percepì un improvviso peso sul cuore, che lo piegò di nuovo, costringendolo a poggiare un ginocchio a terra.


"Febo!!!" –Lo chiamò allora Marins, avanzando verso di lui, prima che l’agile salto di Keres gli chiudesse ogni accesso al compagno. –"Stammi lontana, strega!!!" –Avvampò, mulinando il Tridente dei Mari Azzurri e mirando al cuore della Dea, che, bruciando il proprio cosmo oscuro, ne frenò l’impatto, afferrandone le punte con le mani, incurante dello stridore di quell’arcaico metallo sulle dita e del ruscellare del proprio sangue divino.

"Spiacente, ragazzo, ma dovresti aver capito che io non possiedo un cuore!" –Sghignazzò, spingendo lontano il Talismano, di cui Marins perse la presa, e gettandolo in acqua, prima di avventarsi sul ragazzo e tempestarlo di artigli di energia incandescente. Un destro dietro l’altro permise a Keres di scaraventarlo contro la statua di Kepri, abbattendola all’impatto, e là inchiodandocelo, trafitto al costato da potenti unghioni energetici.

"Keres! No!!!" –Urlò allora Lissa, richiamando la sorella. –"Trattieni la tua furia! Lascia che sia il bastardo a sbarazzarsi dell’amico del cuore! Lascia che sia il responsabile della fine di Amon e di Karnak ad affossare definitivamente il regno di suo padre!"

A quelle parole Keres ridacchiò, voltandosi verso la Dea della Rabbia, in piedi accanto al corpo sofferente di Febo. Anche Marins levò lo sguardo, senza capire cosa stesse davvero guardando, senza capire come poteva quell’infingarda Divinità aver prostrato il compagno, spegnendo in lui ogni fiamma vitale, ogni desiderio di lotta in difesa della propria famiglia, della propria terra. Con orrore, il giovane americano vide Febo alzarsi infine in piedi, lo sguardo privo di ogni raziocinio, gli occhi sgranati e sofferenti, intrisi di una follia che non gli era propria. La stessa follia che Marins aveva rimirato poco prima in Ermanubi dello Sciacallo e nella testa pitturata sulla corazza di Lissa. E allora capì quel che era accaduto.

"Lissa… Dea del Furore Cieco! Ora mi ricordo di te!" –Mormorò, sputando sangue sul braccio di Keres, che ancora lo teneva bloccato contro il basamento della statua di Kepri. –"Sei la Divinità che conduce al delirio, alla rabbia, alla perdita di sé, uomini e animali! Fosti tu ad aizzare i cani contro Atteone, reo di aver visto l’adorata Artemide nuda? E ugualmente tu instillasti la pazzia nel Sommo Eracle, portandolo ad uccidere i suoi stessi figli! Adesso riconosco il volto che porti, con ignominioso onore, dipinto sul petto! Il volto di Eracle impazzito e furioso!"

"Il volto del mio più grande successo!!!" –Sghignazzò la Dea, carezzando i capelli del biondo Cavaliere di Avalon. –"Riuscire a piegare persino la mente di un coriaceo semidio quale Eracle era a quel tempo! Al confronto, piegare la psiche di questo ragazzo è stato un gioco, poiché essa era già malata!"

"Cosa… vuoi dire?!" –Rantolò Marins, spostando lo sguardo sull’amico.

"Quel che ho detto! Ben poco ho dovuto fare in verità, poiché il bastardo già si riteneva colpevole della caduta in miseria del padre! Ma di certo, tu che gli sei amico, lo saprai! Saprai che, a causa della sua nascita vi furono spaccature nel pantheon egizio e molti Dei, fino ad allora alleati di Amon Ra, lo abbandonarono, andando per la loro strada e contribuendo al degrado culturale e religioso di queste terre, degrado che divenne abbandono quando il Nume del Sole prese la netta decisione di uscire dal tempo! E sempre a causa sua sofferenza e morte sono tornate a regnare a Karnak, portando Osiride e la sua sposa amata alla morte! Ah ah ah! In un animo tormentato come quello dell’amico cui così tanto sei devoto, la scintilla della pazzia era già presente, attendeva solo di essere accesa! Divampa, adesso, follia!!!" –Strillò Lissa, espandendo il proprio cosmo oscuro, che avvolse il corpo del Cavaliere del Sole, sopraffacendone la luce.

"Nnn… Nooo!!!" –Gridò allora Marins, liberandosi dalla morsa di Keres con un vortice di energia acquatica, che sorse ratto attorno a sé, sollevando la Dea e spingendola indietro, mentre il Tridente dei Mari Azzurri sfrecciava di nuovo nelle sue mani.

"Non a me devi mirare, baldo giovane, bensì all’amico tuo!" –Sogghignò Lissa, mentre Febo, dallo sguardo spiritato, avanzava a passo malfermo, fino a portarsi di fronte a Marins.

"Febo…" –Mormorò quest’ultimo, incapace di affondare l’arma nel petto del compagno.

"Devi ucciderlo o lui ucciderà te!" –Sibilò compiaciuta la Dea del Furore Cieco.

"Ti sbagli! Non accadrà!" –Rispose Marins, lasciando cadere a terra il Talismano e stringendo forte una mano di Febo, infondendogli il suo cristallino cosmo azzurro. –"Né ora né mai leverò la mano su un amico, tanto più contro il migliore che ho! Febo, risvegliati, so che puoi sentirmi! L’ombra di Lissa è una nube che il tuo cosmo luminoso può dissolvere in un battito di ciglia! Sei il figlio del sole d’Egitto e soprattutto sei un amico, da sempre dedito a combattere per nobili cause e difendere coloro che hai cari! Non incolparti della morte di Osiride, né di Iside, ma pensa a quelli che possiamo ancora salvare! Pensa a tuo padre, che affronta l’ombra nella Sala Ipostila, a tuo fratello Horus che ancora affanna contro l’Esercito delle Tenebre, e a me, che ti sono amico! Pensa alla tua famiglia e lotta per questo!"

"Sprechi il fiato, ragazzo…" –Ringhiò allora Keres, balzando sul Cavaliere dei Mari Azzurri. –"In quanto a me, sono stanca di aspettare, stanca dei tuoi trucchi, Lissa! Io sono qui per uccidere e trucidare! E ora… muori!!!" –Avvampò, mentre Marins si dimenava sotto di lei, allungando il braccio destro per recuperare il Tridente dei Mari, ma venendo inchiodato al suolo dagli artigli incandescenti della Dea.

"Muori tu, invece!!!" –Esclamò una voce tirando su di peso Keres dal corpo del ragazzo e scagliandola in aria, prima che una sfera di ardente energia la raggiungesse, distruggendo la sua corazza e facendola precipitare al centro della pozza sacra. –"La lascio a te, Marins! Io ho un conto in sospeso con Lissa…" –Aggiunse Febo, il cui cosmo riluceva adesso di una vivida fiamma di speranza.

"Lieto di riaverti tra noi!" –Sorrise il compagno, rimettendosi in piedi, con il Tridente dei Mari Azzurri saldo nella mano destra.

"Merito tuo!" –Rispose Febo, prima di voltarsi verso Lissa e piantarle uno sguardo fiammeggiante addosso. Uno sguardo di una potenza tale da schiantarla contro i resti del colonnato abbattuto del Cortile del Nascondiglio, mentre alte fiamme si levarono subito attorno a lei. –"La tua visione delle cose, il modo in cui contorci la realtà, è solo un punto di vista, e come tale è opinabile! Qualcuno ritiene che gli Dei, per la loro superiorità rispetto alle cose umane, rappresentino l’immutabilità, la fissità rispetto al cambiamento; eppure io, che di un Dio sono figlio, ho sempre ammirato il coraggio che mio padre ha avuto di cambiare, di reinventare se stesso, gettandosi alle spalle un funesto passato! Per quel coraggio, per quel mutamento intervenuto in lui, allo scopo di dare un futuro a me e alle genti di Karnak, io combatto! Sono il figlio del Sole d’Egitto, e tu, miserabile Astrazione che godi dei tormenti altrui, sarai la prima ad ammirare la mia luce!!! Ammira lo splendore dell’Occhio di Ra!!!" –Declamò, sollevandosi a mezz’aria, con entrambe le braccia alzate al cielo, quasi a reggere una figura di puro cosmo simile ad un occhio spalancato, da cui sorsero vivide lingue di fuoco, abbattendosi su Lissa, che ancora claudicava nel rialzarsi, e incenerendola all’istante.

Con un grido atroce, nient’affatto dissimile da quello cui le sue vittime si abbandonavano quando ritrovavano la lucidità, consapevoli del male commesso mentre erano stati travolti dalla pazzia, la Dea del Furore Cieco arse, consumandosi in un’unica fiammata, lasciando di sé soltanto resti carbonizzati dell’armatura, su cui il volto di Eracle ormai non strillava più.

"Io non sono un bastardo!" –Commentò Febo, planando a terra, fiero di aver avuto ragione anche di quell’epiteto che a lungo aveva marchiato la sua esistenza. soprattutto in giovane età.

"Vermi infami, siate maledetti!!!" –Rantolò allora Keres, con la corazza danneggiata, cercando di uscire dal lago di Amon.

"Resta lì! Lascia che siano le acque della pozza sacra, che hai inquinato con la tua sola presenza, a occuparsi di te!" –Parlò Marins, ergendosi di fronte a lei, avvolto nel proprio cosmo azzurro. Socchiuse gli occhi, mentre immense colonne di energia acquatica si sollevavano attorno alla Dea, che si guardò attorno per la prima volta con sguardo smarrito, incapace di trovare una via di fuga in quella muraglia azzurra che la circondò all’istante, precipitando su di lei e schiacciandola in imperiose spire. –"Maremoto dei mari azzurri!!!" –Tuonò il Cavaliere di Avalon, gettandola di nuovo in alto, travolta da potenti marosi che la stramazzarono contro le mura esterne del tempio di Amon, facendole crollare su di lei.

"Madre…" –Udì allora Febo mormorare, voltandosi e trovando l’amico chino sul corpo spezzato della Signora della Maternità. –"Sono arrivato tardi, perdonatemi…" –Singhiozzò il ragazzo, carezzando il volto spento della Dea. –"Voi mi avete sempre sorretto, difeso, cullato quando ero bambino, e io vi ho ricambiato conducendo voi e il vostro sposo alla morte!"

"Febo…" –Sussurrò la fioca voce di Iside, stupendo il ragazzo che non credeva fosse ancora viva. –"Sbagli… In verità, sei arrivato in tempo." –Aggiunse, sorridendogli, prima di spegnersi tra le sue braccia.

Il Cavaliere del Sole, in lacrime, la chiamò più e più volte, ma la Dea ormai se ne era andata, abbandonando quelle spoglie mortali e scendendo in Amenti, ove avrebbe ritrovato il suo sposo e con lui sarebbe rimasta, a proteggere Febo e Horus da lontano. Convinto di quella certezza, Marins affiancò l’amico, sfiorandogli la spalla con una mano e portandolo a voltarsi verso di lui, accennandogli un sorriso stanco ma sentito.

Proprio allora un boato gigantesco anticipò l’esplodere del soffitto della Sala Ipostila, ove, entrambi lo percepirono chiaramente, un devastante scontro di cosmi era ancora in atto. Uno scontro tra l’ombra e la luce.