CAPITOLO DICIOTTESIMO: L’ABISSO OSCURO.
"Tuonen härkä!" –Gridò il Quinto Forcide, scatenando la furia dei Buoi neri della Morte, cui Alcione rispose con il suo massimo attacco.
"Esplosione dei Silenti Abissi!!!"
Le due energie, detonando, scavarono un ampio cratere nel suolo sabbioso dell’Avaiki, scaraventando entrambi indietro, l’uomo contro un edificio adibito a infermeria, la donna contro la parete interna della Conchiglia Occidentale, dove stavano combattendo da una ventina di minuti. Per quanto gli attacchi del guerriero noto come Iku-Turso non fossero della stessa potenza dei suoi, la fedelissima di Eracle non poté fare a meno di notare, con preoccupazione, quanto riuscisse comunque a tenerle testa, quanto riuscisse a fiaccarla in uno scontro che avrebbe già dovuto concludersi da tempo.
Eppure il Quinto Forcide era ancora in piedi, mentre Alcione ogni volta si rialzava sempre più affaticata, sempre più debole, adesso persino con la vista che pareva giocarle qualche scherzo, dovendo sbattere le palpebre più volte per mettere a fuoco la sagoma smilza del guerriero di fronte a lei, che la osservava con ghigno divertito.
"Mi chiedevo quando avresti iniziato a risentirne!" –Commentò spavaldo.
"A risentire di cosa?!"
"Degli effetti del mio colpo segreto che credi di aver disperso con i tuoi attacchi roboanti! Eppure, a dispetto dei nomi altisonanti che da quasi mezz’ora urli, non sono stati difesa sufficiente per impedire alle corna dei Buoi della Morte di ferirti, raggiungendo le numerose parti del tuo corpo non protette dalla ridicola corazza che indossi, e affondando dentro di esse. Piccole ferite, forse appena dei fori, ma sufficienti per infettarti con il veleno racchiuso nelle corna! Cos’è, non sapevi dunque che l’Iku-Turso è il padre delle nove malattie? Eh eh eh! Non so quale ti abbia colpito, ma posso dirti per certo che sono tutte mortali!" –Ghignò. –"Un vero peccato non poter ammirare la tua espressione, di certo attonita e dolorante, sotto quella ridicola maschera che porti sul volto! Anzi no, perché privarmi di questo piacere? Te la toglierò e ti guarderò in faccia mentre muori! Che ne pensi, donna?!"
"Penso che sei folle e ti vincerò!" –Declamò Alcione, lanciandosi avanti, mentre tutto attorno a sé sorgevano alti cavalloni di energia acquatica. Ma non appena portò le braccia in alto, per dirigerne l’avanzata, le sembrò di vacillare, stordita, quasi sul punto di perdere i sensi. Tentò di reagire, stringendo i denti, ma i marosi energetici ne risentirono, sfuggendole di mano, e l’attacco risultò inefficace, strappando un nuovo ghigno al Quinto Forcide.
"Mai promettere più di quel che puoi mantenere!" –Ridacchiò, aprendo di nuovo le braccia di lato, avvolto nel suo cosmo scuro, mentre centinaia di sagome di armenti furiosi apparivano di fronte a lui.
In quel momento le pareti esterne della Conchiglia Occidentale vibrarono di nuovo, così profondamente che tutti coloro che ancora vi dimoravano, nascosti negli edifici o riparati dietro mura di scogli e roccia, si abbandonarono a grida e pianti isterici. Persino l’Isonade però, impegnato contro Gerione del Calamaro poco distante, strinse i pugni, concedendosi una smorfia di disappunto, e l’Iku-Turso capì subito perché.
Aveva percepito anch’egli l’immensa sagoma oscura che aveva invaso le acque attorno all’Avaiki. E non era una bestia come quelle che avevano scatenato contro la Conchiglia Meridionale, di certo orribili a vedersi ma comunque feribili, a incutere loro così tanto terrore, ma una persona sola, di cui non osavano neppure pronunciare il nome, timorosi che potesse porre lo sguardo su di loro e confinarli in tenebrosi abissi da cui mai avrebbero potuto risalire.
Placando la furia del suo cosmo, il Quinto Forcide si guardò attorno, mentre l’ombra scivolava lungo la barriera energetica, avvinghiandosi poi ad essa, fino ad aderirvi completamente. Vi fu un tremito, più intenso di tutti gli altri, che scosse l’Avaiki, facendo oscillare la volta lucente, prima che un buco nero si aprisse nella parete vicino a loro, ingrandendosi a poco a poco, fino a mutarsi in una sagoma di tenebra che varcò la soglia della Conchiglia Meridionale, richiudendo la parete dietro di sé.
Stupefatti e sconvolti da quel prodigio, Gerione e Alcione si riunirono tra loro per osservare la figura avvolta di nero che aveva appena vanificato gli sforzi della grande Alii di quel regno, e di colui che la stava sostenendo.
"Non… è possibile!!! Come ha fatto? Come ha potuto oltrepassare la parete esterna?"
"Imparerai a tue spese che non esiste niente, in questo mondo come in quello superiore, che io non possa fare!" –Parlò allora la sagoma tenebrosa, avanzando verso il ponte di sabbia e rocce, assumendo, a ogni passo, ben più definite sembianze umane.
"Signore!" –Strepitarono l’Isonade e l’Iku-Turso, correndogli incontro e inginocchiandosi, uno ad ogni lato. –"Stavamo terminando le operazioni di conquista, per aprirvi la strada alla Conchiglia Madre!"
"Un modo piuttosto edulcorato per dire che non siete ancora stati in grado di prendere la Perla dei Mari!" –Precisò il nuovo arrivato, ascoltando compiaciuto l’inghiottire imbarazzato dei suoi sottoposti. –"Potrei saperne il motivo? Forse la causa di Forco, che vi ha investito del titolo di suoi servitori, donandovi quelle armature azzurre, non è per voi degna di massimo sforzo e impegno?!"
"Sì, signore! Noi serviamo e adoriamo l’unico Imperatore dei Mari!" –Si affrettarono a chiarire i due Forcidi, con un atteggiamento che stupì Alcione e Gerione per quanto servile fosse, portandoli ad osservare con maggior attenzione colui verso cui provavano così deferente timore.
Era un uomo alto, rivestito da una corazza di oricalco, al pari dei suoi subalterni, sebbene fosse di un azzurro ben più scuro, che in alcuni tratti sfumava in un intenso blu notte, quasi volesse ricreare la profondità degli abissi oceanici. Non seppero dire cosa rappresentava, non sembrando legata ad un animale o ad un simbolo specifico, era coprente, essenziale ed elegante, ma priva di orpelli inutili in battaglia. Neppure il volto dell’uomo poterono ammirare, riparato dall’ombra di un elmo che a entrambi ricordò quello di Chirone del Centauro. Solo le labbra erano visibili, torte in un ghigno freddo e serafico.
"Allora correte al Palazzo di Corallo e recuperate la Perla dei Mari, uccidendo chiunque tenti di ostacolarvi! O sarò io stesso a uccidervi per il vostro fallimento!"
"Sì, Signore! Subito!" –Esclamarono i due Forcidi, rialzandosi e girando i tacchi all’improvviso, lanciandosi in una folle corsa lungo il ponte, nonostante Alcione e Gerione sbarrassero loro la strada.
"Dove credete di andare?!" –Esclamò il secondo, lasciando schioccare le due fruste, prima di muovere le braccia e lanciarle avanti. Ma bastò che l’uomo al comando dell’attacco schioccasse le dita che una sottile massa di energia oscura, simile a un buco nero, apparve di fronte al suo petto, attirando a sé i tentacoli del Calamaro, che rimase attonito ad osservarli sparire all’interno di quell’indistinta massa buia.
"Pensa per te, piuttosto!!!" –Lo schernirono i due guerrieri, atterrandolo con i loro attacchi, prima di superarlo e dirigersi verso l’altra estremità del ponte. Neppure Alcione riuscì a fermarli, trattenuta, quasi inchiodata sul posto, dall’aura cosmica del guerriero giunto per ultimo, ben più potente dei suoi sottoposti, un guerriero che identificarono infine come il Primo Forcide.
"In… credibile…" –Rantolò Gerione, rialzandosi e sputando sangue. –"Il suo cosmo è… immenso… sterminato… simile a quello del Sommo Eracle!"
"No, è ben diverso, sia pure di uguale potenza! Quest’aura ricorda… un abisso infinito, un baratro senza fondo, un vuoto cosmico in grado di attrarre a sé ogni cosa, persona o essere vivente, senza restituirla."
"E tale infatti è il mio potere! Il potere sconfinato dell’abisso, proprio della Dea primordiale, generatrice della vita, di cui ho preso il nome!" –Precisò l’uomo, permettendo a entrambi di tornare a muoversi. –"Io sono il Primo Forcide, servitore dell’unico Nume Ancestrale da cui la vita discende sul pianeta! E voi, stolti mortali, siete stati sfortunati ad incontrarmi!"
"Parli tanto ma agisci poco!" –Esclamò Gerione, espandendo il proprio cosmo. –"Anche senza le mie fruste, posso ancora combattere! Tentacoli predatori!!!" –Aggiunse, scattando avanti, nonostante le grida di Alcione, mentre migliaia di strali energetici saettavano di fronte a sé, diretti verso il Comandante dei Forcidi.
"Tutt’altro! Puoi solo sparire!" –Commentò questi, aumentando la forza d’attrazione del buco nero che risucchiò per intero l’assalto del fedele di Eracle, prima di attirare a sé anche l’incauto uomo.
"Gerione!!!" –Strillò Alcione, srotolando i tentacoli della piovra e afferrando un polso del ragazzo, ancorandosi al suolo con le gambe. Ma per quanta forza potesse riversare in quella presa, la donna capì ben presto che non sarebbe riuscita a vincere quella del buco nero, non ottenendo altro risultato che stiracchiare il corpo dell’amico, la cui armatura stava andando in frantumi, sottoposta a tale devastante pressione, e forse anche le ossa al di sotto.
"A… Alcione… Lasciami andare…" –Mormorò, osservando negli occhi il suo antico Comandante, la donna al cui fianco aveva a lungo combattuto per la liberazione di Creta dai Turchi Ottomani, in giorni così lontani di cui pochi avevano memoria.
"No… io… non posso perderti… di nuovo!" –Pianse l’eroina della Piovra, mentre il buco nero si espandeva lungo il corpo di Gerione, risucchiandogli le gambe per intero e iniziando a fagocitargli il bacino.
"Non mi perderai. Mai!" –Affermò lui, sollevando un braccio e caricandolo di quel che restava della sua aura cosmica. –"A un’altra vita, Alcione!" –Quindi, senza aggiungere altro, lo calò sul tentacolo arrotolato attorno al suo polso, mandandolo in frantumi e permettendo infine alla forza d’attrazione scatenata dal Forcide di risucchiarlo al suo interno. Ci volle un attimo e poi scomparve, di fronte agli occhi sconvolti di Alcione, che crollò a terra in lacrime. Ma non poté neppure piangerlo, che subito si sentì sollevare dalla stessa forza che aveva inglobato Gerione, la cui fame ancora non si era placata.
"Spregevole essere oscuro! Pagherai per ciò che hai fatto al mio amico d’infanzia!" –Tuonò la combattente, espandendo il proprio cosmo azzurro, incurante del dolore per le ferite e dello stordimento provocatogli dalle malattie con cui l’Iku-Turso l’aveva infettata. Per quello, per quelle sciocchezze materiali, ci sarebbe stato tempo. Adesso voleva solo la vendetta. –"Alti flutti spumeggianti!!!" –Gridò, scatenando poderosi marosi di energia, che riempirono all’istante lo spazio tra i due contendenti, senza provocare reazione alcuna nel Primo Forcide, solo l’allungarsi di un ghigno sul suo volto celato. Gli bastò roteare la mano davanti a sé per espandere la macchia nera, in modo da generare un muro contro cui l’attacco si schiantò, scomparendo al suo interno poco dopo, precipitando in un vuoto di cui Alcione non riusciva a vedere, né intuire, la fine. –"Ma… come puoi farlo?"
"Posso perché è nei miei poteri, in quelli della Dea Madre che esisteva agli albori del mondo, e che io ho ricevuto in dono dal mio Signore!"
"Chi sei? Chi sei, davvero?!"
"Vuoi conoscere il mio nome, fanciulla dalle belle gambe? Orbene te lo dirò, che ti faccia da compagnia nel lungo viaggio verso l’eterno oblio! Io sono l’Abisso Oscuro, il vuoto cosmico che impera al di fuori del tempo e dello spazio! Il Leviatano dell’antica Mesopotamia! Io sono Tiamat!!!"
***
Quando Asterios raggiunse il Palazzo di Corallo trovò una donna anziana prostrata a terra, a pochi passi dal sostegno che sorreggeva la Perla dei Mari. Bassa ed esile, così magra che le si potevano intravedere persino le ossa sotto pelle, con radi capelli grigi che le cadevano in ogni direzione, la Alii dell’Avaiki era appena stata sopraffatta da un oscuro potere che aveva vinto le sue difese, distruggendo la barriera che sormontava la Conchiglia Meridionale.
"Ti ho lasciato da sola a sostenere un grande peso!" –Commentò l’Angelo di Acqua, avvicinandosi a passo lento e sfiorandole le spalle con mano amica.
"Non è mai stato tale, né mai lo sarà. Dovresti ben saperlo, tu che l’hai retto prima di me!" –Rispose la donna, rialzandosi a fatica.
Asterios ne osservò il volto, deturpato dal tempo e dalle privazioni cui si era costretta, destinando per quasi due secoli tutto il suo cosmo alla protezione dell’Avaiki sotto il Mar dei Coralli. Quello, del resto, era il compito della grande Alii, la madre spirituale del popolo degli Aeroi, questo era il motivo per cui venivano procreate. Per reggere i destini di un mondo, nel bene e nel male.
"Adesso lo è diventato! Adesso che l’ombra ha allungato il proprio manto persino sugli isolati fondali oceanici, non contenta di aver già inquinato parte del mondo di superficie."
"Sopra o sotto, che differenza fa? Non sono tutti i mondi forse uno solo? I confini tra loro ormai sono scomparsi!" –Bofonchiò la vecchia, scuotendo la testa. –"L’ho sentito, cosa credi, il crollo dell’Albero Cosmico, l’avvizzirsi di un tempo giunto al tramonto! Per cui faremo la nostra parte, anche noi Areoi, sebbene misere siano le nostre forze militari, essendo sempre stati dediti ad altre attività che non la guerra!"
"Lo so bene, figlia mia!" –Le sorrise Asterios, fissandola a lungo e allungando una mano, per sfiorarle la rugosa pelle del piccolo viso, soffermandosi sulle cavità che un tempo ospitavano i suoi bulbi oculari.
"Non sono bella da vedersi, eh? Immagino che sulla Luna tu abbia goduto di ben più piacevoli compagnie! Eh eh eh!" –Ridacchiò Hina, abbandonandosi ad un colpo di tosse. –"Ma non rimpiango niente di quanto ho fatto finora, neppure le rinunce che mi sono costate! Nemmeno gli occhi, che ho offerto in dono a Ukupanipo, affinché li disperdesse nelle acque, permettendomi così di vedere in tutto il mare grazie al cosmo! Nemmeno Odino o Zeus potevano permettersi tanto dall’alto dei loro troni celesti!"
"Non avrei dovuto lasciarti da sola… Eppure…" –Asterios fece per confessarle qualcosa ma l’anziana Alii lo bloccò.
"Ognuno ha un compito nell’universo, me lo spiegasti secoli fa, o l’hai forse dimenticato, padre? Tu hai avuto il tuo, io il mio, e solo il tempo dirà se lo abbiamo adempiuto nel migliore dei modi! Sono stanca, lo ammetto, e non sopravvivrò a questa guerra… e forse non mi dispiace neppure tanto! Ho vissuto così a lungo che non ricordo nemmeno quanti amici ho visto morire, a quanti affetti ho dovuto dire addio. Puoi capirmi vero? Per te, per Avalon, per tutti voi, la vita è stato qualcosa di simile, osservare le persone morire e voi perdurare. Mi consola il pensiero che presto li rivedrò tutti e allora nuoteremo assieme, spiriti finalmente liberi nella Perla dei Mari, guscio ove riposano le anime degli Aeroi!"
"Spero che sia così."
"Cosa intendi dire?" –Si rabbuiò subito la donna.
"È solo un’impressione, ma non posso fare a meno di interrogarmi sul perché Caos abbia deciso di attaccare gli Avaiki! Per dominare su un regno dimenticato e privo di ricchezze? O forse… per carpire l’unico vero tesoro di questa terra?!"
"Intendi dire… la Perla dei Mari?!"
"Pensaci! Un contenitore di anime! Considerando quanto egli ami nutrirsi di energia cosmica, degli Dei caduti in particolare, di certo otterrebbe nuovo vigore, che è ciò di cui disperatamente ha bisogno! Non terre da dominare o schiavi, potendo, per quello, disporre dell’intero pianeta!"
"Se quel che dici è vero, il mio impegno nell’impedire un simile crimine, un simile scempio, sarà totale!" –Esclamò Hina, con ritrovato vigore, prima di avvicinarsi alla sfera di luce azzurra ed entrare in sintonia con essa tramite il cosmo. Asterios sorrise, ponendosi di fronte a lei, sull’altro lato del basamento, sfiorandole le mani rugose ed espandendo il cosmo a sua volta. Bastò quel lieve contatto, quello sfiorarsi tra le loro potenti energie, a generare una luce celestiale che avvampò per l’intero Avaiki, rischiarando le profondità oceaniche. Una luce che diede speranza a tutti coloro che combattevano, arrancavano e pregavano Ukupanipo sotto le volte delle Conchiglie ancora in piedi e che annientò le bestie mostruose che stavano tentando di abbattere le pareti esterne.
Asterios non permise loro neppure di gridare, distruggendole e liberando gli abissi da quella minaccia. Pur tuttavia, lo percepì chiaramente, altre provenivano dall’interno ed una in particolare era ben più oscura di quanto temesse.
"Che meraviglia!" –Commentò allora la voce soffice di Avatea, rimasta sulla soglia della grande sala al centro del Palazzo di Corallo, assieme al Selenite che l’aveva accompagnata. –"Avevo dimenticato lo splendore di questo regno, la tranquillità e la bellezza di un fondale marino così ricco di vita e colori!"
Hubal, al suo fianco, la guardò in silenzio, annuendo alle sue parole, prima che la donna si abbandonasse ad un sospiro. Volsero lo sguardo verso l’esterno, verso le quattro strade che conducevano alle altre colonie, chiedendosi da dove sarebbe giunta la prima minaccia. Entrambi percepivano gli scontri in atto: uno nella Conchiglia Settentrionale, tra due combattenti di discreta forza, uno sul ponte che dalla Conchiglia Occidentale conduceva al cuore del regno, dove un’armata di Areoi stava cercando di frenare l’avanzata di due Forcidi, e infine uno all’interno di quell’ultima colonia. E fu quello che maggiormente spaventò entrambi, poiché l’energia cosmica che da là proveniva rivaleggiava con quella di un Dio antico.
***
L’onda di energia oscura abbatté Alcione della Piovra, scagliandola contro un mucchio di costruzioni di roccia e sabbia, con l’armatura distrutta in più punti e la maschera ormai frantumata, permettendo al nemico di guardarla negli occhi. Cosa che lei invece non era ancora riuscita a fare, incapace di avvicinarsi a sufficienza per poter osservare il volto celato dalle placche laterali dell’elmo di Tiamat.
"Incredibile…" –Mormorò la donna, rialzandosi nuovamente, tenendosi un braccio indolenzito. –"Il suo cosmo è pari, se non superiore, a quello del Sommo Eracle… Quale artificio sostiene i poteri di quest’uomo, perché tale in fondo è? Quale patto ha stretto per poter disporre di una simile incomparabile energia che a nessun mortale fu mai data in dono?"
"Questionare su problematiche che non ti riguardano non ti salverà dalla fine, Alcione dalle belle gambe!" –Sogghignò il Primo Forcide, avvicinandosi con passo fiero. –"Tanto più che adesso stai per morire, dedica questi ultimi attimi della tua fallimentare esistenza a pregare per coloro che rimangono, i prossimi a scivolare nell’abisso!"
"Taci, ombra!!! Esplosione dei silenti abissi!!!" –Tuonò la donna, portando avanti il braccio destro e scatenando il colpo segreto che le aveva insegnato il suo maestro, il grande Linceo della Piovra. Ma, tremando inorridita, osservò come anche quella volta il suo attacco risultò inefficace, perdendosi interamente all’interno della chiazza di cosmo nero che stazionava di fronte a Tiamat. Un muro che le aveva impedito di portare un colpo solo a segno. –"Anzi no, non un muro, bensì un imbuto dentro cui sono confluite tutte le mie energie, le mie speranze…" –Crollò esausta a terra, stringendo i pugni per la frustrazione.
Proprio in quel momento sentì esplodere un’energia a lei nota. Il cosmo di Nesso del Pesce Soldato, fedele amico e impavido guerriero che in passato aveva salvato Eracle e Tirinto da violenti nemici. E, al pari di lui, anche altri stavano lottando, per tentare di rallentare l’avanzata dei fedeli di Forco. Come poteva lei, un tempo Comandante di una delle Legioni di Eracle, vittoriosa persino sulla Regina Didone, abbandonarsi così facilmente? Lei, che più volte era stata protetta da Gerione, che più volte aveva sacrificato la vita come un fratello maggiore, per permetterle di andare avanti. No, non lo farò! Non mi arrenderò mai! Realizzò, rialzandosi decisa, con il cosmo azzurro che scrosciava attorno a lei, sotto forma di maestose onde cristalline.
"Qualunque cosa tu voglia fare, deponi le armi e forse ti risparmierò la vita! Avrò bisogno, in fondo, di qualche concubina nel nuovo mondo che il mio Signore vuole creare!" –La stuzzicò il Primo Forcide, non ottenendo altra risposta che il sollevarsi impetuoso di marosi di energia, che Alcione scagliò contro di lui, riuscendo persino a stupirlo dalla potenza che dimostrò. Potenza che comunque a niente servì.
"Hai avuto la tua occasione! Ora riposa, per sempre, nell’abisso oscuro!" –Sibilò Tiamat, mentre il buco nero di fronte alla propria corazza cresceva, inglobando l’intero assalto della guerriera e attirandola a sé, nonostante i tentativi della donna di resistergli. A niente valse ancorarsi al suolo con i tentacoli che le rimanevano, uno dopo l’altro vennero distrutti e persino le ossa degli arti parvero schiantarsi con loro. Con un ultimo grido, Alcione vide le proprie gambe confluire in quella macchia oscura senza fondo, e scomparirvi, senza provare alcunché. Neppure dolore. Solo il vuoto, comprese, la attendeva al di là della soglia.
Fu una luce a salvarla all’improvviso. Una luce blu che la avvolse, di fronte allo sguardo sorpreso dello stesso Forcide, che vide la donna smaterializzarsi e apparire a un centinaio di metri di distanza, sostenuta da una seconda figura dal volto ricoperto da una candida maschera.
"Pasifae…" –Mormorò stanca Alcione, abbandonandosi tra le braccia dell’esile compagna.
Tiamat si mosse verso di loro, ma non appena spostò un piede attorno a sé sorsero centinaia di draghi dalle zanne acuminate, che lo intrappolarono in una solida stretta, stritolandolo tra squame bianche e rosse, prima che una nota voce lo raggiungesse.
"Danza di draghi!!!"
Una voce che non udiva da quindici anni.
L’attacco improvviso lo sollevò da terra, scaraventandolo contro una parete interna della Conchiglia Occidentale, ma Tiamat riuscì comunque ad atterrare a piedi uniti, senza riportare danno alcuno alla sua resistente corazza, di certo la migliore tra le sette, irrobustita dal cosmo dell’oscuro Dio cui era devoto. Quando alzò lo sguardo, vide l’uomo di fronte a sé, ancora avvolto dall’aura intensa con cui l’aveva investito.
Eccolo lì, si disse, con un moto di stizza, finalmente arrivato. Fiero nel portamento, gagliardo nel combattere, sprezzante del pericolo, con quello sguardo sicuro che gli vidi l’ultima volta in faccia. Quella fiducia in se stesso che adesso gli porterò via.
"Ascanio Pendragon…" –Mormorò, digrignando i denti.
"Come conosci il mio nome?!" –Rispose il Comandante dei Cavalieri delle Stelle.
"Non sono così vecchio da essermelo dimenticato! Tutt’altro, me lo sono tenuto bene impresso, per tutti questi anni, sperando di incontrarti di nuovo. E ucciderti!"
"Eh? Che stai dicendo? Ci siamo già scontrati in passato?!"
"Scontrati?! Possiamo metterla così, se vuoi…" –Ghignò Tiamat, espandendo il proprio cosmo oscuro e ricreando il buco nero davanti al suo petto, la cui forza d’attrazione iniziò a richiamare Ascanio verso di sé.
"Aaargh!!!" –Ringhiò quest’ultimo, puntando i piedi per resistere.
"Allontanati!!!" –Gridò Alcione, dall’altro lato dello spiazzo, ben sapendo quel che stava per accadere. Ci volle poco, infatti, affinché il Cavaliere della Natura venisse trascinato avanti, scavando con i piedi corazzati lunghi solchi nel terreno, ma per quanta energia profondesse allo scopo non riuscì a vincere tale poderosa attrazione.
Fu di nuovo la luce azzurra a salvarlo, la stessa che aveva impedito ad Alcione di esserne risucchiata. Veloce e silente, Pasifae apparve, afferrò Ascanio e lo portò alle spalle del Primo Forcide, fuori dalla portata del buco nero.
"Grazie…" –Ebbe solo il tempo di mormorare il Cavaliere delle Stelle, che già Tiamat si era voltato rabbioso, travolgendo la paladina di Eracle con un attacco deciso, che la scagliò molti metri addietro, la corazza sfondata all’altezza del petto da un pugno di energia nera che ancora sfrigolava sopra di lei.
"Mi sono stancato delle tue interferenze, donna!" –Sbraitò il Forcide, rivolto anche ad Alcione. –"E ora che nessuno ci interrompa! Ascanio Pendragon è mio!!!"
"Se così tanto reclami la mia compagnia, servo di Forco, te la darò! Eccomi, sto arrivando!!!" –Ringhiò il giovane uomo, portando avanti il braccio destro e liberando la maestosa figura di un drago rosso, i cui artigli parvero mirare al cuore di Tiamat.
"Ti piacerebbe…" –Commentò questi, aprendo il palmo della mano di fronte a sé e ricreando il buco nero dentro cui l’attacco confluì, perdendosi, di fronte allo sguardo sbigottito di Ascanio. –"Cosa c’è? Sorpreso che esista qualcuno più potente di te? è così dura da ammettere, non essere il primo in qualcosa?! O forse sei semplicemente affascinato dalla Bocca dell’Abisso, suprema tecnica di Tiamat, in grado di combinare attacco e difesa, senza offrire scampo alcuno all’avversario?!"
"Voglio sapere cos’è tutto quest’odio che provi verso me, che neppure ti conosco?!"
Il Primo Forcide strinse i pugni al suono di quelle parole, muovendo poi il braccio e scagliandogli contro un attacco di pura energia, come quello che aveva steso Pasifae poco prima, ma ancora più potente. Per fronteggiarlo, Ascanio dovette incrociare le braccia davanti al volto, concentrandovi tutto il suo cosmo, ma neppure ciò gli impedì di essere spinto indietro, con i bracciali della corazza danneggiati e fumanti dall’intensa pressione scaricata da Tiamat.
Che sia davvero lui? La Divinità primordiale che ha dato origine alla Terra? Che Caos sia riuscito anche in questo, a risvegliare antichi progenitori di pantheon diversi? Perché stupirsi, in fondo? Se tutti gli Dei sono un unico Dio, egli può, dall’alto della sua posizione di creatore, manovrarli tutti! Immerso in quei pensieri, il Comandante di Avalon si avvide troppo tardi che Tiamat era scomparso, diluendosi in una sagoma nera, che in breve lo avvolse, quasi navigasse nell’aria attorno a sé, volteggiandogli intorno, osservandolo e al tempo stesso incutendogli timore.
"Rivelati, pavido!!!" –Gridò infine Ascanio, lanciandosi avanti, verso la fluttuante sagoma oscura, con il pugno chiuso e carico di energia, ma ritrovandosi solo a colpire l’aria, mentre già la nera evanescenza si ricomponeva dietro di lui.
"Attento!!!" –Strillò allora Alcione, affannando nel rimettersi in piedi, per correre in suo aiuto. Ma non fu lesta abbastanza da impedire a Tiamat di afferrare il giovane per il collo, ricomparendo alle sue spalle, e sbatterlo contro la parete interna della Conchiglia Occidentale, avvolto in lunghi filamenti di tenebra che si avvoltolarono attorno al suo corpo, insinuandosi nelle aperture tra le placche della sua corazza e raggiungendo la pelle al di sotto, azzannandola con bramosia.
"Sei… meschino…" –Rantolò Ascanio, il volto una maschera di sudore. –"Meschino e codardo… forse non sei in grado di affrontare uno scontro diretto?!"
"Giudica tu quel che sono stato in grado di fare, dove sono stato in grado di giungere, da quando mi abbandonasti sotto il sole di Grecia!" –Ringhiò l’altro, avvicinando il volto a quello del Cavaliere, che ancora non riusciva a vedere altro che tenebra sormontargli le labbra.
"Che… stai dicendo?!"
"La verità. Sei tu meschino e codardo, Ascanio. Su una bugia e su un tradimento hai costruito la tua fortuna, abbandonando un amico, attratto dal potere e dalla gloria, la stessa che avevi sempre cercato! Lo ricordo bene, il tuo sguardo che si illuminava dopo una vittoria, ogni volta in cui mi sbattevi a terra, cercando compiacimento nelle parole del maestro, negli sguardi dei presenti, che potevano ammirare il grande Ascanio all’opera! Ti sei preso tutto, affetti, gloria e trionfi, e non mi hai lasciato niente! Vuoi sapere quanto ti odio? Vuoi vedere realmente quanto odio provo per te? Allora toglimi l’elmo!!!"
"Che… cosa?!" –Rantolò il Cavaliere della Natura, sbattuto con forza contro la parete retrostante e quasi soffocato dall’algida presa di Tiamat sul suo collo.
"Fallo!!!" –Gli gridò questi di nuovo, costringendolo ad obbedire, ad allungare la mano verso la sua testa e ad afferrargli l’elmo protettivo, alzandoglielo di colpo.
E rimanendo esterrefatto.