CAPITOLO DICIASSETTESIMO: FUOCO NEL DESERTO.

Le rive del Nilo erano in fiamme.

Il viale delle Sfingi che conduceva a Karnak era il teatro di scontri violenti che da ore andavano susseguendosi, in particolare da quando Andrei aveva guidato le forze dell’alleanza divina in aiuto dei Faraoni delle Sabbie, iniziando un combattimento contro il Comandante dell’Armata delle Tenebre. Aveva già sentito parlare di lui, sebbene le antiche cronache fossero avare di giudizi. Tutti i testi avevano sempre parlato della sua capacità di infiammare gli animi in guerra, del suo ruolo di guida degli eserciti in battaglia, del suo costituire l’essenza stessa della Guerra, il demone furioso che inneggiava al conflitto, ma nessun testo aveva posto l’accento sulla sua effettiva potenza, tale da far impallidire persino l’Angelo di Fuoco.

"Ti arrendi, Andrei?" –Lo derise Polemos, spingendolo indietro con un’onda di energia e godendo di fronte al suo sempre maggior impegno, mentre egli, al contrario, pareva fresco e riposato, come se si fosse appena risvegliato.

"Stai scherzando, spero? O temi forse la mia ira?!" –Ribatté l’altro, espandendo la propria aura cosmica e generando un ampio cerchio di fuoco, che circondò i due combattenti, isolandoli dal resto delle battaglie in atto.

"Se credi che le tue fiamme possano impensierirmi, allora sei male informato!" –Rise il Demone della Guerra, avanzando verso Andrei nelle sue sontuose vesti. Ma bastò che muovesse un piede che subito le vampe di fuoco presero vita, strisciando sul terreno sabbioso e allungandosi ratte verso le gambe del servitore di Caos, per quanto l’emanazione del suo cosmo fosse sufficiente per tenerle a distanza. –"Non penserai di trattenermi ancora a lungo con questo trucchetto? Hai visto che è inutile!"

"Non propriamente…" –Si limitò a commentare l’Angelo di Fuoco, concedendosi un sorriso, prima di infondere ulteriore energia alle lingue rossastre che si chiusero attorno al corpo di Polemos in una spirale di acceso colore, obbligando il Nume a liberare una violenta esplosione di energia per togliersele di torno.

"Ah no?!" –Tuonò, aprendo le braccia e osservando, infastidito, le bruciature comparse a deturpare i suoi eleganti abiti. –"Questi stessi strappi, con cui hai rovinato le vesti che avevo scelto per entrare a Karnak, te li procurerò nel cuore!" –Aggiunse, chiudendo le braccia di colpo e sbattendo le mani, generando al qual tempo un’onda di energia cosmica che sollevò Andrei di scatto, scaraventandolo in alto ed esponendolo ad un secondo attacco da parte di Polemos. –"Muori!!!" –Gridò, investendolo con un globo di energia.

L’assalto sbatté l’Angelo di Fuoco a terra, facendolo ruzzolare sulle dune per una trentina di metri, e quando si rimise in piedi, scuotendo la sabbia dall’armatura, Polemos notò che, a denti stretti, stava ridacchiando. Stupito, gli chiese se non avesse perso il senno, in quell’ultimo capitombolo, oltre all’elmo dell’armatura.

"Tutt’altro! Il senno mio è assai attento e questo assalto non ha fatto altro che fugare un dubbio che mi aveva invaso fin dall’inizio di questo scontro! Un dubbio che, in realtà, mi portavo dietro da un po’, da quando Avalon mi disse che il tuo nome sarebbe stato tra i demoni antichi che il ritorno di Caos avrebbe di certo risvegliato!"

"Che dubbio?!" –Mormorò Polemos, facendosi attento, mentre Andrei si incamminava nella sua direzione.

"Come combatte un Signore della Guerra? Come combatte colui che, più di qualunque altro Dio o soldato, alla guerra è massimamente devoto, al punto da farne il perno della sua intera esistenza? Le tecniche e le strategie di Ares mi sono ben note, fin dal Mondo Antico, e non mi hanno mai entusiasmato! Un ariete che carica a testa bassa, niente di più! Al pari di quelle infoiate delle Makhai, tutte urla selvagge e furia battagliera, ma ben poca sostanza! Tu, invece, hai attirato il mio interesse, perché vedi, Polemos, dei Cinque Arconti garanti dell’equilibrio io sono quello che ha sempre cercato di modificarlo, quest’equilibrio. Io sono colui che si è trovato stretto in questi panni, desideroso di intervenire e scendere in campo, per modificare l’esito di battaglie che la mia abilità, la mia strategia e la mia potenza d’attacco avrebbero potuto ribaltare!"

"A modo tuo sei un Signore della Guerra, dunque!" –Precisò l’avversario, ascoltando interessato.

"No, non la guerra cerco, ma il confronto, l’azione, l’intervento! Io aborro rimanere ad osservare gli eventi, come mio fratello ha fatto per millenni! Ma è chiaro che, in un conflitto di proporzioni grandiose come questo, intervenire significa combattere e quindi sì, scendere in guerra!" –Ammise Andrei. –"E adesso che ti ho di fronte e ammiro la tua straordinaria potenza, non posso fare a meno di notare che tu, che della guerra sei il demone, sembri non amarla affatto!"


"Co… cosa?!" –Balbettò Polemos, preso alla sprovvista da quella dichiarazione.


"Puoi nasconderlo quanto vuoi, dietro i begli abiti di cui ti orni, dietro la noncuranza con cui abbatti e uccidi gli avversari, quasi tu stessi schiacciando fastidiosi insetti, ma la verità è una soltanto! Tu non ami combattere perché hai paura di perdere! E se questa prospettiva sussiste, significa che esiste un modo per vincerti!"

"Ah ah ah! Di tutte le idiozie viste e sentite su un campo di battaglia, questa è la migliore! Complimenti, Andrei! Sei quasi riuscito a distrarmi con le tue chiacchiere! Adesso possiamo riprendere a combattere, anzi a non combatterci!" –Sghignazzò il fedele di Caos, prima di spingere l’avversario indietro con un’onda di energia, cui Andrei tentò di opporsi incrociando le braccia davanti al viso, avvolto da una solida aura fiammeggiante che gli impedì di cadere.

"Vedi? Non fai che darmi ragione! Come puoi pretendere di vincermi senza usare una tecnica segreta? Non ti basteranno certo semplici emanazioni di energia! Possono andar bene per sconfiggere guerrieri di basso rango ma non un Angelo mio pari! Non l’Arconte che porta nel cuore il fuoco della vittoria, che mi attende alla fine di questo scontro!!! Cadi, Polemos! Flame of Victory!!!" –Tuonò Andrei, muovendo il braccio destro e liberando una turbinante spirale di fuoco che piombò sul Demone della Guerra, obbligandolo a balzare in alto, mentre il suolo sotto di lui esplodeva.

Non fu lesto però a portarsi fuori dal raggio d’azione dell’assalto, venendo raggiunto ai piedi e alle caviglie dalle lingue di fuoco scatenate da Andrei, che lo sbatterono a terra, faccia nella sabbia, avanzando poi verso di lui, arrotolandosi attorno al suo corpo e imprigionandolo in una gabbia fiammeggiante.

"Ti sei… spinto… oltre…" –Sibilò Polemos, espandendo il cosmo all’improvviso e liberandosi da quell’effimera prigione, distruggendo le fiamme stesse e la duna sabbiosa su cui si trovava, spianandola fin quasi al livello del terreno.

"Anche tu, a quanto pare!" –Rispose Andrei di rimando, osservando il corpo del Lord Comandante, ormai nudo di fronte a sé, con gli ultimi brandelli di stoffa appiccicati, quasi fusi alla sua pelle.

"Tutt’altro! Io sono appena agli inizi!" –Chiosò questi, sollevando un braccio al cielo, avvolto nella sua aura amaranto, e urlando un nome. –"Arma!!!"

Andrei levò d’istinto le sue difese, lasciando che fiamme ardenti crepitassero sui palmi delle sue mani, ma nessun attacco lo investì, anzi Polemos pareva non degnarsi più di lui, concentrato a rimirare quel che era apparso sopra la sua testa. Un enorme globo di luce amaranto dentro cui andava delineandosi una forma ben precisa.

Una biga?! Rifletté l’Angelo di Fuoco, non comprendendo. Anzi no, è un carro. Ma certo! Un carro da guerra! Intuì, mentre il cosmo del Nume entrava in risonanza con quello emanato dall’oggetto, che brillò di un ancor più intensa luce prima di esplodere e dividersi in una ventina di pezzi, che andarono a disporsi sopra il corpo ben curato di Polemos, rivestendolo interamente.

"Sorpreso?! Dovresti esserlo, in verità! È la prima volta, da quando sono stato concepito, che utilizzo la mia armatura! L’arma suprema di cui possa disporre! L’Arma! E cosa poteva rappresentare la corazza del Signore della Guerra se non quella di un carro atto allo scopo?!" –Sogghignò, avanzando verso Andrei. –"L’ho creata io stesso, sai? Molto tempo fa, agli albori di quello che la gente di questo pianeta chiama Mondo Antico, amavo passeggiare per le piane di una penisola oggi nota come Italia. Paesaggi bellissimi, lo ammetto, vaste distese d’erba e fiori solcate da fiumi e una gran varietà di coste, ambienti nettamente superiori a quest’isterilito giardino in cui ci troviamo a combattere. Fu proprio là, in un’area paludosa, presso le rive di un fiume, che combattei una delle mie prime battaglie, una di quelle imprese per cui, se fossi stato un eroe, se fossi stato Eracle, sarei stato cantato a lungo dagli aedi! Ma l’indole dell’eroe non l’ho mai avuta, sebbene in comune con Eracle abbia una discreta forza!"

"Perché mi stai raccontando tutto questo? Non mi interessano le tue gesta passate!"

"Ah no?! Credevo tu volessi conoscere la mia vera natura! Poc’anzi mi hai detto che credi che a me la guerra non piaccia poiché non uso colpi segreti, ma è una bugia e te lo proverò, anzi te l’ho già provato indossando quest’armatura, fortificata dal sangue degli Dei massacrati in quella battaglia!"

"Quali Dei?!" –Avvampò Andrei.

"Quelli che popolavano quelle coste. I loro adoratori, quel popolo sempliciotto che andò a chiudersi nelle loro casette di roccia e pietra, li chiamavano… Uhm, com’è che li chiamavano? Ah sì, Tina o Tinia, Uni e Menrva! Nomi caduti nell’oblio, come gran parte della cultura di quel popolo! Perché vedi, Andrei, io quei villaggi… li rasi al suolo…" –Sogghignò Polemos, sbattendo l’Angelo di Fuoco a terra con la sola emanazione del cosmo, schiacciandolo nella sabbia a gambe e braccia aperte. –"I loro Dei li divorai come spuntino e poiché erano troppo deboli per saziarmi del tutto mi cibai anche dei loro sacerdoti, stillandone il sangue per generare quest’armatura, forgiata sulle mie vittorie!"

"Sei… un folle! Un folle assassino!!!" –Ringhiò il fratello di Avalon.

"Ouh, su questo hai ragione, mio buon amico! Hai proprio ragione!" –Ridacchiò Polemos, aumentando la stretta e godendo del vibrare della corazza di Andrei, sottoposta ad una pressione violentissima. –"Ti sei lamentato poc’anzi perché non uso colpi segreti? Hai ragione, la verità è che non ne possiedo alcuno! Non potrei possederne poiché non esiste tecnica senza che esista anche la possibilità di neutralizzarla! Non esiste attacco che non possa essere parato, schivato o vanificato, né difesa che non possa essere superata! Lo so bene, io, che conosco tutte le tecniche di guerra e che, di conseguenza, so come annullarle! Quello che non sai è che conoscendole sono in grado di farle mie, come sono in grado di catturare le essenze dei miei avversari! Eccotene la dimostrazione!" –Sogghignò, espandendo il proprio cosmo amaranto e avvolgendo Andrei in una torbida foschia dentro la quale alcune sagome iniziarono a stagliarsi poco dopo. Sagome mostruose, di creature demoniache che Polemos aveva evocato. –"Ti presento Culsu! La conosci? Non credo! Nessuno conosce i demoni degli etruschi, un popolo che io stesso ho contribuito a cancellare dalla storia, come molte altre piccole civiltà sviluppatesi nella penisola italica in quel lontano passato! Era un demone, una furia bifronte, per l’esattezza! E come tutti i demoni vigila all’ingresso dell’oltretomba! Guardalo bene, osservane le fattezze, sarà l’ultimo ricordo che ti porterai con te! Addio, valoroso guerriero! Addio Arconte di Fuoco!" –Aggiunse il Lord Comandante, voltando le spalle ad Andrei.

Nella nube di cosmo che lo attorniava, il maestro di Jonathan vide la mostruosa figura di Culsu avvicinarsi. Il volto era indecifrabile, coperto da quella strana foschia che contribuiva a fargli perdere i sensi, a indebolire i suoi riflessi, come il vento che soffia dalle porte infere, come i lamenti funebri che ti cullano e ti attraggono a sé. Ma quel che riuscì a vedere bene, mentre la sagoma si chinava su di lui, furono le braccia rachitiche, che sorreggevano una torcia accesa, ove riluceva una sinistra fiamma blu, forse un fuoco fatuo, e un paio di enormi forbici.

Andrei si mosse, rotolando su un lato, per quanto quel semplice movimento gli costasse fatica, i muscoli che parevano strapparsi da un momento all’altro, la nebbia amaranto divenuta simile a un muro di pietra. Fu comunque svelto ad evitare il chiudersi di quelle cesoie che molte vite dovevano aver reciso in passato, vite di cui ancora credeva di udire il grido di morte, l’ultimo strillo prima di precipitare nel nulla. Non capì perché, ma mentre Culsu calava di nuovo su di lui, per mietere anche quella vita, ad Andrei parve di udire la voce di Juana, la donna cui si era unito anni addietro, sulle sponde del lago Titicaca.

Bastò quella voce a distrarlo, quel tanto di cui il demone etrusco abbisognò per chiudere le sue tenaglie sulla sua mano destra, scheggiando l’armatura rossastra ma non raggiungendo la carne al di sotto. Poco importò, in realtà, poiché il potere di quell’arma pareva trapassare ogni difesa materiale, strappando un sussulto all’impetuoso combattente, a cui sembrò che una stilla di vita fosse appena stata portata via. Fu allora, mentre Culsu si rialzava, pronto a colpire di nuovo, che Andrei guardò la torcia con più attenzione, comprendendo perché credeva di udire quelle voci, quei lamenti. La fiamma azzurra che baluginava in cima al bastone di legno era davvero un fuoco fatuo, un insieme di fuochi simili a spiriti, dai volti tremendamente umani. E tra quei volti, tra quegli spiriti destinati ad eterno tormento, l’Angelo vide il volto di Juana. O quantomeno le sembrò di vederlo, prima che Culsu si avventasse su di lui, mirando quella volta a lacerargli il collo.

"Spiacente!" –Sibilò Andrei, espandendo il cosmo e sollevando le gambe, fino a chiuderle contro il ventre e poi allungandole di scatto, colpendo il demone e facendogli perdere la presa su torcia e forbici. –"Ho altri progetti per il futuro! Se pensavi che la vista di Juana, condannata a chissà quale penitenza eterna, dovesse prostrarmi, ti sei sbagliato! Anzi, mi ha ricordato come è morta e la promessa che le feci quella notte. Parole che mi hanno accompagnato ogni giorno di questi ultimi vent’anni."

"Promettimelo, Andrei. Proteggi nostro figlio. Egli nasconde la luce che illuminerà il mondo." –Gli aveva detto la donna morendo tra le sue braccia. E l’Angelo lo aveva fatto, addestrandolo ad essere il Portatore di uno dei Talismani.

"Promessa mantenuta, Juana!" –Mormorò, prima di lasciar esplodere il suo cosmo, incenerendo Culsu e la nebbia che Polemos aveva calato su di lui, disperdendoli in un turbine di sabbia. Quando la nube polverosa si diradò, Andrei vide che il Comandante dell’Armata delle Tenebre era ancora davanti a lui, intento ad osservarlo con sguardo interessato. Ai suoi piedi giacevano i cadaveri di due soldati di Amon Ra, i corpi sgozzati e il sangue che ancora zampillava fuori dalle ferite.

"Non sei stato svelto abbastanza, a quanto pare!" –Commentò Polemos, divertito, puntandogli contro l’indice destro. –"Presta ascolto alle mie parole, Andrei, e non a quelle della donna cui ti unisti un tempo! Per ogni minuto di troppo che impiegherai nel vincere i demoni al mio servizio, io ucciderò qualcuno su questo campo di battaglia! Stavolta è toccata a due Faraoni delle Sabbie… Chissà, la prossima volta potrebbe essere il turno di… tuo figlio!"

"Lurido vigliacco!!!" –Ringhiò Andrei, scattando avanti. Ma già le labbra di Polemos si erano schiuse, pronunciando due nuove parole. L’Angelo non le aveva udite ma notò le sagome di pura energia avvampare attorno a lui, altri due demoni etruschi che aveva sottratto al loro ruolo, facendone armi al suo servizio.

"Ti presento Vanth, alla tua destra, colui che tiene in mano il rotolo del destino, ove è scritto tutto quel che accadrà ad un uomo, e Tuchulcha, alla tua sinistra, il più possente e furibondo demone infero!" –Suggerì Polemos, osservando divertito le due figure di energia lanciarsi all’attacco, in perfetta sincronia, obbligando Andrei ad uno sforzo estremo per difendersi da entrambi.

"Co… come puoi controllarli?! È un potere che ti ha donato Caos, questo di attingere alle antiche culture?!" –Rantolò l’Angelo di Fuoco, cercando di tenere a distanza gli artigli di Tuchulca.

"Tut tut! Nient’affatto! È una prerogativa che mi sono guadagnato nel corso del tempo, mio buon amico, grazie ad un arguto spirito di osservazione che mi ha reso quello che sono! Polemos! La guerra! Non certo un nome scelto a caso, ma che te lo dico a fare, avrai già capito che le parole sono importanti!" –Rise il Comandante, godendo di fronte alle ferite che Vanth e Tuchulcha stavano infliggendo ad Andrei. –"Dici che non uso colpi segreti, che non invoco a gran voce il nome delle mie tecniche, come è divenuta consuetudine in molti eserciti divini! Bah, una bizzarria tesa a nascondere la debolezza delle stesse! Puoi urlarlo con tutto il fiato che hai in corpo, puoi scegliere il nome più altisonante, ma se la tua tecnica è fallace e la tua forza misera, il tuo attacco non avrà efficacia alcuna sul tuo nemico! Io ritengo invece che ogni parola sia importantissima, che non debba essere scelta a caso, proprio come lo ritenevano i popoli antichi! Anche a Isla del Sol, immagino, la parola aveva un grande valore; la parola è creatrice, di miti e di tutto ciò che è sacro! La parola è il mezzo con cui si crea e perpetua il mito, con cui si dà vita a pensieri, consuetudini e leggende, suscitando in chi la ode sentimenti di devozione, ammirazione e timore! La parola non deve essere casuale, ma scelta e, a volte, ne basta una sola! Una soltanto!"

Andrei non prestò molta attenzione alle farneticazioni del Signore della Guerra, troppo occupato a difendersi dagli affondi dei due demoni che aveva evocato. Vanth non sembrava molto forte, aveva il fisico di una donna dai lunghi capelli serpentiformi, ma era rapida e precisa nel colpire, con quelle sudice unghie grondanti veleno. Tuchulcha, al contrario, era la forza bruta fatta persona e l’Angelo temeva che un suo pugno avrebbe potuto persino crepargli la corazza. Deciso a non permettere a quel pensiero di trovare conferma, bruciò il proprio cosmo, sperando che le fiamme li tenessero lontani, ma inorridì nel vederli oltrepassare il muro di fuoco senza esserne per niente toccati.


"Stolto! Fermare due demoni infernali con delle fiamme?! Neppure le sentono! Dove credi che abbiano dimorato per tutti questi secoli?" –Rise Polemos, scuotendo la testa, prima di voltarsi e guardare quel che succedeva attorno a sé. –"Il minuto a tua disposizione è passato, Andrei! Andrò a far visita a tuo figlio… Oh, perdonami, lui non sa che sei suo padre! Posso dirglielo?! Ih ih ih?!"

"Stai… lontano… da lui!!!" –Tuonò l’Angelo di Fuoco, sollevando un cerchio di fiamme attorno a sé, sempre più alte e guizzanti, un cerchio che caricò di tutto il suo cosmo, tutte le sue passioni, tutta la vita che aveva vissuto fino ad allora, lasciandolo divampare poco dopo. Di quelle fiamme, così cariche di antica energia, persino Vanth e Tuchulcha ebbero paura, della loro luce così intensa, in grado di rischiarare la tenebra di qualunque inferno. –"Ecco il cuore del mio potere, la vampa di vittoria che non può essere spenta! Aurora… infuocata!!!" –Imperò, concentrando il cosmo in un unico grande globo rossastro che lo avvolse assieme ai demoni, esplodendo poco dopo verso il cielo.

"Incredibile!" –Mormorò Polemos, impressionato dal potere liberato. –"Un potere in grado di vincere persino i guardiani degli inferi! Sei proprio l’Arconte di Fuoco!"

"E ora a noi, Lord della Guerra! Ti restituisco le parole che mi hai rivolto poco fa! Hai detto che non esiste tecnica che tu non conosca e che quindi tu non possa vanificare, ma al tempo stesso, io che sono Signore del Fuoco ti dico che non esiste corpo che non possa essere bruciato dalla mia fiamma!!! Flame of victory!!!"

L’immane ondata di calore si abbatté su Polemos, incendiando l’aria e la sabbia attorno, i corpi straziati dei servitori di Ra e giungendo infine a lambire la suprema Arma del Demone della Guerra, ustionandola in più punti, obbligandolo a portare entrambe le braccia avanti per contenere quel devastante potere. Di certo, se non avesse indossato l’armatura, il suo corpo avrebbe riportato seri danni; questo fu costretto ad ammetterlo. Solo questo, soggiunse, trattenendo un ghigno di trionfo, conscio che ormai Andrei non avrebbe potuto vincerlo.

"No! Nessuno può vincermi!" –Gridò, respingendo la marea infuocata contro il suo stesso creatore. –"Nessuno mai potrà sconfiggere la guerra! Soprattutto con un simile potere!" –Aggiunse, sibillino, prima di espandere il proprio cosmo, che strisciò lungo la costa orientale del Nilo fino a raggiungerne le acque, penetrando in profondità e sollevandole poco dopo. –"Mira, Andrei, la fine delle tue fatiche! Il fuoco che mi hai rivolto contro sarà spento all’istante! È nella natura stessa del fuoco essere destinato all’estinzione!" –Chiosò, mentre un gigantesco maroso d’acqua melmosa sorgeva dietro di lui, abbattendosi poco dopo sull’Angelo di Fuoco, spegnendo tutte le sue fiamme e risucchiandolo in un vortice che sconquassò la riva sinistra del Nilo, travolgendo anche numerosi soldati di Inti e dell’Armata delle Tenebre.

Quando la furia del gorgo si esaurì, Polemos si concesse un sorriso soddisfatto per come stava procedendo la campagna bellica da lui scatenata. I difensori di Karnak sarebbero stati piegati entro breve e anche quell’alleanza che i regni divini superstiti avevano messo in piedi alla bell’e meglio non avrebbe intaccato i suoi propositi, come la sconfitta di Andrei dimostrava. Un unico pensiero lo turbava, un quesito a cui non sapeva dare risposta.

Dov’è finito Forco? Avrebbe già dovuto essere qua, a chiudere all’alleanza ogni via di fuga! Che non trovi la strada? Eppure le indicazioni che aveva ricevuto erano chiare. Dalla loro base subacquea i Forcidi avrebbero dovuto raggiungere il Mar Rosso, spuntando dall’altro versante di Karnak e cingendola in un definitivo assedio. Ma delle loro corazze azzurrognole ancora nessuna traccia! Socchiudendo gli occhi, espanse il proprio cosmo, lasciandolo correre in cielo, sfruttando la nube nera che si stava espandendo sul pianeta come uno specchio per guardare in basso, alla ricerca di Forco e dei suoi accoliti, percependone infine traccia, una debole traccia, molto lontano da lì.

Cosa diavolo ci fanno al largo delle coste australiane? Si chiese, riaprendo gli occhi e riflettendo che in quel luogo, nel bel mezzo dell’oceano, non avrebbe dovuto esserci nulla. Di certo non una battaglia da vincere!

L’apparire di un cosmo oscuro alle sue spalle lo fece sussultare, spingendolo a voltarsi giusto in tempo per specchiarsi nell’elmo nero di un uomo che apprezzava e disprezzava al tempo stesso. Sebbene uomo ormai non possa definirsi più!

"Gran Maestro del Caos, voi qua?!" –Mormorò, stupefatto, mentre la figura rivestita di nero si avvicinava, poggiandogli una mano sulla spalla destra e spaziando con lo sguardo sull’intero campo di battaglia.

"Volevo vedere come te la cavavi sul campo! Sai bene quanto io ammiri i Signori della Guerra, suprema madre del mondo! Non male, Caos ne sarà impressionato! Hai un modo tutto tuo per farti strada, molto diretto e penetrante! Io, a mio tempo, avevo preferito sottili giochi politici, intrighi che mi hanno permesso di rimanere nell’ombra, in posizione defilata, ad osservare uomini e Dei scontrarsi contro vecchi amici o rinverdire contrasti con antichi nemici! Ah ah ah!" –Commentò, prima di girarsi verso Karnak, fissarla e rimanere in silenzio. Quindi, prima ancora che Polemos potesse aggiungere qualcos’altro, il Gran Maestro scomparve, guizzando come un’ombra verso il complesso templare.

Il Lord Comandante avrebbe voluto fermarlo, dirgli di aspettare, di concedere a lui, che aveva permesso alle gloriose Armate delle Tenebre di arrivare fin là, l’onore di abbattere i portoni del tempio e sfidare Amon Ra. Ma scontrarsi con lui a cosa sarebbe servito? Sotto che luce lo avrebbe messo agli di occhi di Caos?

Stringendo i pugni, Polemos berciò ordini a Chimera, ma proprio allora un cerchio di fuoco piovve dal cielo, circondandolo e costringendolo a sollevare un braccio davanti al volto, per evitare che quelle lunghe lingue rossastre gli ustionassero il volto.

"Non così in fretta! Abbiamo uno scontro da terminare!" –Esclamò una ben nota voce, prima che la robusta sagoma di Andrei comparisse davanti a lui. Il corpo bagnato, l’armatura segnata da qualche scheggiatura e chiazzata di melma e sabbia, una vivida luce di determinazione negli occhi. Persino maggiore che in precedenza.

"E sia!" –Sbuffò allora Polemos, per quanto, per la prima volta in vita sua, di quello scontro, in quel momento, avrebbe davvero fatto a meno. Solo allora, prima che Andrei si lanciasse contro di lui in un turbinar di fiamme, notò che anche Keres e Lissa erano sparite dal campo di battaglia.

Tirando uno sguardo al Viale delle Sfingi, alla distesa di corpi che costellava l’ingresso a Karnak, capì dove erano andate e sospirò, dovendo ammettere infine che la più ambita preda di quel giorno gli era stata portata via. In nessun modo, rifletté, Amon Ra uscirà vivo da lì. E riprese a combattere contro Andrei.

***

Da tempo non tornava a Karnak, da quando Micene di Sagitter era riuscito a convincere Amon Ra ad abbandonare il suo volontario isolamento, rientrando nel mondo, ma ricordava ancora bene la pianta semplice dell’edificio. Per cui, una volta superato il Viale delle Sfingi criocefale, svoltò verso sinistra, aggirando i piloni esterni, di certo sorvegliati dai Soldati del Sole Nero e da qualche probabile Faraone delle Sabbie, convergendo verso l’ingresso monumentale che si apriva a nord, da cui avrebbe ben più facilmente raggiunto il cuore del tempio di Amon.

Con un’esplosione di immane potenza fece saltare in aria mura e piloni, penetrando nel grande cortile porticato, presidiato da una guarnigione di Soldati del Sole, che il Maestro del Caos non degnò neppure di uno sguardo. Fece un cenno alle due figure alte e snelle che lo accompagnavano, che furono ben liete di sfogare la loro rabbia sui guerrieri, sfrecciando leste nella miriade di fasci incandescenti diretti verso di loro, abbattendoli uno ad uno. Anzi no, notò l’araldo del Caos, prima di strisciare oltre, in un divertito silenzio: massacrandoli uno ad uno, puntualizzò, tra le grida dei fedeli di Amon, il cui sangue e i cui organi interni andarono a imbrattare le decorate mura esterne della grande sala, aggiungendo nuove scene di battaglia a quelle già illustrate nei bassorilievi. Sapeva, il Gran Maestro, quel che avrebbe trovato varcando la soglia del cortile interno, l’immenso ipostilo che conduceva al vero e proprio tempio di Amon.

"Lei la troverete vicino ai propilei o presso il lago sacro ad Amon, dove di solito si adagia per pregare!" –Aggiunse, prima di entrare nella grandiosa sala ipostila e iniziare a camminare tra le centinaia di colonne che ne reggevano l’ampia volta, diretto verso l’altro versante della stessa.

"Fermo dove sei!" –Esclamò una voce all’improvviso, mentre un plotone di guardie armate si faceva avanti, le scintillanti Spade del Sole già rivolte verso di lui. –"Qua si entra nel tempio del Sommo Amon e tu non sei stato invitato! Per cui torna sui tuoi passi o morirai!"

"L’ombra non ha bisogno di inviti! L’ombra arriva ovunque desideri!" –Sogghignò il Gran Maestro del Caos, spalancando le braccia e lasciando che nere evanescenze sorgessero dalle sue mani, scivolando tetre nell’aria e fiondandosi sui Soldati del Sole. I raggi di energia ardente schizzarono in ogni direzione, senza riuscire a frenare l’avanzata di quelle fatue tenebre, generando un infinito timore nei difensori del tempio di Ra.

Fu una luce improvvisa a salvarli dall’annientamento, una luce che sorse impetuosa alle loro spalle, espandendosi a macchia d’olio tra le colonne e disintegrando la selva di ombre che il Gran Maestro del Caos aveva evocato. Una luce che, quando scemò d’intensità, permise all’invasore di ammirare colui che l’aveva generata.

Alto e nobile, dal portamento fiero e lo sguardo deciso, il Sommo Amon, Pastore dell’Universo, era uscito dalle proprie stanze, stringendo in mano una lunga asta dorata ornata dall’ankh, simbolo di vita e del sorgere del sole. Fece un breve cenno ai soldati di ritirarsi alle sue spalle e avanzò verso l’avversario, ben sapendo chi si nascondeva dietro quell’armatura tenebrosa.

"Puoi occultare le tue fattezze, mutarle e modificarle a tuo piacimento, se sei stanco del tuo vecchio aspetto, ma l’aura nefanda del tuo cosmo mai cambierà! Perciò togliti quella maschera, Ingannatore di Dei, e mostrati a me! Rivela il tuo volto, Anhar!!!" –Tuonò il Nume Supremo del Sole, bloccando i movimenti del Maestro del Caos, inchiodandolo sul posto con la sola forza del pensiero, mentre onde di energia dorata stridevano contro la tetra corazza da battaglia che indossava.

"Cos’è un volto, in fondo? Solo la temporanea manifestazione dell’ombra! E io, adesso, sono andato oltre! Io sono divenuto l’ombra!" –Chiosò l’araldo del Caos, togliendosi l’elmo e rivelando una nube di cosmo nero su cui lampeggiavano due braci ardenti, quel che di vagamente umano rimaneva di lui, un’entità ormai priva di un corpo. –"Io sono Anhar, l’Angelo Oscuro, e sono giunto fin qua per spegnere la tua luce!"