CAPITOLO QUATTORDICESIMO: LA LUCE E IL GIORNO.
Quando Pegasus riprese i sensi si accorse che faceva caldo, molto caldo. Tirandosi su, a fatica, vide braci ardere poco lontano, mentre un uomo alto e robusto, curvo su se stesso, levigava un pezzo di metallo celeste. Chiuse e riaprì gli occhi per capire dove si trovasse, per mettere insieme i ricordi, prima che una mano si posasse sulla sua spalla e una voce amica lo rincuorasse.
"Non temere, Cavaliere! Sei al sicuro!"
"Phantom?!" –Mormorò il ragazzo, identificando il Luogotenente Olimpico. Mettendosi a sedere e guardandosi attorno, riconobbe la fucina di Efesto, sebbene parte della caverna fosse crollata e regnasse un estremo disordine.
"Bentornato nel mondo dei vivi, Cavaliere di Pegasus!" –Lo chiamò allora una solida voce, mentre un uomo alto e bello, con mossi capelli biondi, gli si avvicinava. Indossava la regale Veste Divina, che gli aveva visto addosso una volta sola, durante lo scontro finale alla Torre del Fulmine e, sebbene fosse un fido alleato di Atena, Pegasus non poteva fare a meno di trovarsi in soggezione di fronte a lui. Di fronte al Padre degli Dei. –"Ti sei risvegliato giusto in tempo! La tua armatura è pronta!" –Disse, facendogli cenno di alzarsi e di raggiungerlo presso la fornace, ove Efesto stava terminando le ultime rifiniture, affiancato da Euro, Vento dell’Est, e da un uomo dai capelli fulvi che il Cavaliere di Atena non conosceva.
Il figlio di Eos subito gli sorrise, spiegandogli che il Sommo Zeus aveva offerto il proprio sangue per riparare e solidificare la corazza del cavallo alato, che appariva adesso più nuova che mai.
"Provala!" –Esclamò subito Efesto, mentre il ragazzo espandeva il proprio cosmo, entrando in risonanza con l’armatura, che sfrecciò nello spazio ristretto della caverna, scalpitando come un vero e proprio destriero di luce, prima di scomporsi in tanti pezzi che andarono a rivestire il fisico di Pegasus.
"È… straordinaria!" –Mormorò questi, osservandola. –"Percepisco una vitalità mai provata prima, neppure quando rinacque con il sangue di Atena o con il mithril!"
"È naturale! Il Signore dell’Olimpo discende direttamente da Crono ed è il supremo Dio della Terza Generazione Cosmica! Il suo cosmo combina forza, imperio e una sempiterna freschezza! Di tutte le armature che hai indossato, questa certamente è la più resistente, ma al tempo stesso leggera e diafana come una Divinità!"
"Grazie, Sommo Zeus! Grazie per questa corazza con cui lotterò per Atena e per le genti del mondo!"
"Non ringraziarmi, Cavaliere! Un dono tardivo è questo, per quanto efficace!"
"Grazie anche per… avermi curato il braccio?!" –Aggiunse il ragazzo, che sentiva una nuova vitalità anche nell’arto ustionato dalle tenebre di Erebo.
"Per quello… non ho potuto fare troppo, perdonami! Sono riuscito ad alleviare il tuo dolore, a rimetterlo in moto, ma l’oscurità che lo ha infettato è troppo grande adesso, persino per me!" –Confessò il Nume, scansando lo sguardo preoccupato di Pegasus e dei Cavalieri Celesti. –"Forse, quando tutto questo finirà e brinderemo vittoriosi alla fine dell’ombra, allora il tuo bracciò tornerà libero dal maleficio che lo ha colpito. Ma fino ad allora…"
"Fino ad allora combatterò lo stesso!" –Avvampò Pegasus, sollevando l’arto con il pugno chiuso, desideroso di confrontarsi quanto prima con Erebo e Nyx.
"Ed io vorrei essere al tuo fianco, Cavaliere!" –Intervenne Nikolaos. –"Anche se la mia corazza è stata distrutta da Cariddi, combatterò ugualmente fino all’ultima stilla di vita! I miei genitori, e mia sorella ingannata, chiedono giustizia!"
"E la avranno, mio fidato Luogotenente! Stai certo!" –Chiosò Zeus, prima di cercare lo sguardo di Euro. –"A tal riguardo, non credo tu debba guerreggiare disarmato!"
"Nessuno dovrebbe farlo, tantomeno tu che hai dimostrato coraggio, abnegazione, spirito di sacrificio e un acume che ti ha portato a scegliere per cosa lottare, chiedendoti sempre il perché di ogni azione, anche quando gli Dei a cui eri fedele sembravano aver tradito i loro stessi ideali! Per la tua gentilezza d’animo, io Euro, Vento dell’Est, donerò il mio ichor, affinché l’Eridano Celeste possa continuare a scorrere, ruscello di speranza per tutti i popoli, umani e divini!" –Commentò il figlio di Eos, tagliandosi i polsi e bagnando i resti dell’armatura di Nikolaos, che Zeus aveva portato con loro.
"Euro Argestes, amico mio! Non so come ringraziarti per questo gesto…" –Ammise commosso il Luogotenente.
"Lo farai in battaglia! Lo faremo insieme!"
Zeus sorrise compiaciuto, prima di voltarsi verso il taciturno fabbro, che portava sul volto e sul corpo ancora i segni dello scontro con Erebo. –"Perdonami figlio mio, devo abusare ancora una volta della tua maestria! Ma non temere, tutti i tuoi sforzi saranno presto ricompensati, tutti i tuoi desideri troveranno realizzazione, e tra non molto, invero tra un attimo del tempo cosmico, ritroverai la tua dolce Afrodite e allora potrete stare insieme per l’eternità!"
Efesto non disse niente, limitandosi a grugnire e a rimettersi a lavoro. Ben poche forze gli erano rimaste, di certo in battaglia non sarebbe stato utile, storpio e ferito com’era, ma l’abilità delle sue mani era un dono che nessun’ombra avrebbe potuto oscurare.
"E per me, mio Signore, c’è niente?" –Intervenne allora una sesta voce, appartenente all’uomo dai capelli fulvi che Pegasus non aveva mai visto fino ad allora. –"Perdonate il mio ardire, ma… potrò avere anch’io un’armatura con cui lottare?"
"Non un’armatura, Toma, bensì la tua armatura!" –Precisò Zeus, notando il volto dell’uomo tingersi di un’espressione di sorpresa, e poi di serenità. –"Non crederai che l’abbia ceduta a qualcun altro! Tu solo sei degno di indossare le vesti che furono di Icaro! Tu sei il nostro novello Icaro, sempre pronto a volare in alto, verso il sole, senza paura di scottarti!" –E, nel dir questo, il proprio cosmo avvampò nell’intera caverna, raggiungendo recessi noti soltanto al Nume e al di lui figlio, scuotendo il suolo e lasciando apparire una corazza di color azzurro e avorio.
Toma la riconobbe all’istante, nonostante fossero passati quindici anni dall’ultima volta in cui l’aveva indossata. Aveva la stessa forma di allora, che a Pegasus sembrò un angelo con le ali, o un putto, un cupido, non seppe distinguerla. Vide solo che anch’ella riconobbe il suo possessore, lampeggiando e scomponendosi, per rivestirlo poco dopo.
"Grazie, mio re!" –Esclamò commosso il Cavaliere di Icaro. –"Nient’altro ho desiderato, in questa lunga prigionia, se non tornare a servirvi."
Zeus annuì, mentre Euro rimase qualche istante ad osservare il giovane, accennando un sorriso di compiacenza. Era vero, e lui lo sapeva bene, Toma voleva continuare a lottare; ne avevano parlato spesso, in quelle saltuarie occasioni in cui il figlio di Eos era andato a trovarlo, spingendosi in volo fino all’alta cima di Strobilus, sebbene non ne avesse mai fatto parola con nessuno, per non infrangere un divieto divino che impediva a chiunque, tranne che a Zeus, di fargli visita. Ma Euro provava pena per lui, vittima di un destino ingrato, il destino di un uomo che voleva andare oltre, che voleva sempre di più. Non poteva biasimarlo, in fondo non era poi così diverso dai suoi simili. Era la natura umana a spingere affinché tali limiti venissero superati.
Di una cosa però non era certo, che fosse tutto qui ciò che Toma desiderasse: impugnare di nuovo la sua lancia per Zeus. Il tintinnio di un pendaglio lo distrasse, ricordandogli una conversazione avuta con il prigioniero anni addietro, quando gli aveva detto il vero motivo per cui voleva diventare più forte. Proteggere i suoi cari, in particolare sua sorella.
"Quel pendaglio…" –Mormorò Pegasus, attirando l’attenzione del Cavaliere di Icaro. –"Mi è familiare… Ma non ricordo dove l’ho visto."
"Ne dubito, Cavaliere. Ve ne sono solo due esemplari, costruiti a mano da mio padre, uno per me e uno per mia sorella." –Chiosò l’altro. –"La sorella che ho abbandonato anni fa, che forse non si ricorderà più di me e che di certo ho perduto!"
***
Castalia venne atterrata di nuovo, piombando sul ruvido selciato accanto ad Asher e agli altri Cavalieri di Bronzo. Avevano tentato un nuovo attacco, unendo i loro colpi segreti contro Atlante, ma ancora una volta avevano fallito.
Il titano sembrava non avvertire alcunché, neppure una puntura, limitandosi a scacciarli, mulinando le sue robuste braccia. Tutta la sua attenzione, del resto, era dedicata a quella strana cupola di energia che aveva ricoperto la Collina della Divinità, impedendogli di andare avanti. Furioso, da parecchi minuti la stava tempestando di pugni, incurante dei dardi infuocati e dei colpi energetici che da basso i soldati e i Cavalieri di Atena gli stavano scagliando contro.
La Sacerdotessa dell’Aquila affannò nel rimettersi in piedi, sentendosi, al pari del giovane Unicorno al suo fianco, frustrata e impotente, e anche timorosa che la protezione eretta da Virgo e Mur non sarebbe durata a lungo contro un tale ancestrale potere. Timore che andò crescendo in lei quando vide due punti di luce apparire accanto alla testa di Atlante, due figure farsi sempre più vivide.
Non seppe dirsi da quanto erano lì, in piedi sulle spalliere corazzate del titano, ma la loro presenza le suscitò un’immediata e sconfinata paura. Silenziose, rivestite solo di candide vesti, di color panna e avorio, le due entità osservavano l’operato del figlio di Giapeto e la strenua difesa dei Cavalieri di Atena con attenzione e distacco. Fu solo dopo l’ennesimo pugno di Atlante, che obbligò i Cavalieri d’Oro a infondere maggiore energia alla barriera congiunta, che uno dei due abbandonò la sua posizione di osservatore e si fece avanti, muovendosi tranquillo nel cielo, quasi fosse una falena di luce.
Castalia lo osservò sgomenta avvicinarsi alla cupola di energia dorata, sfiorarla con il palmo aperto della mano e… passarvi attraverso, come se non esistesse. La seconda figura lo seguì all’istante, gettando un ultimo sguardo alla folla di soldati sotto di sé, prima di entrare anch’ella all’interno della protezione, dirigendosi decisi verso la sommità del colle, incuranti di tutto il resto.
Atena, che per tutta la durata dell’assalto era rimasta sul piazzale antistante la Tredicesima Casa, notò le due figure avvicinarsi, piccole ed esili se paragonate alla stazza del rabbioso gigante, ma pregne di una sconfinata potenza. Non ebbe bisogno di interrogarsi sulla loro identità, che già l’ebbe chiara e capì che quel giorno la sua vita sarebbe giunta a termine. Del resto, non aveva modo di opporsi a due Progenitori.
"Salute a te, Atena Parthenos!" –Esclamò uno di loro, fermandosi nel cielo proprio sopra l’ultimo tempio del Santuario. –"Etere e Emera ti porgono i loro omaggi!"
"Etere e Emera…" –Mormorò la fanciulla dai capelli viola, trovando conferma alle sue paure. –"I figli della Notte!"
"Etere son io, l’imperturbabile!" –Annuì l’uomo dai capelli avorio, prima di afferrare la mano della compagna e mostrarla ad Atena. –"E questa è mia sorella, Emera, la beata! Siamo i signori del giorno e della luce, quella più pura, che solo le creature più beate posson rimirare! E siamo qui, Atena, per esprimerti tutto il nostro disappunto!"
"Co… come?!"
"Non ti è chiaro, dolce fanciulla? Ti abbiamo osservato a lungo, dallo spazio tra i mondi in cui fummo confinati al pari del nostro creatore, il creatore di tutte le cose, e abbiamo compreso l’ipocrisia insita nel tuo agire!" –Spiegò Etere, con voce perfetta, priva di qualsivoglia accento o cadenza. –"Ti proclami Dea di pace, Atena, eppure sei sempre intenta a combattere guerre. Ti proclami Dea della giustizia, rivendicando un titolo non tuo, di fatto smentito dalle tue azioni. Infine ti proclami Dea della guerra giusta e saggia, ma spiegami, Atena Promachos, come può una guerra essere giusta e saggia? Come puoi dichiarare di amare i tuoi Cavalieri se tutto ciò che fai, tutto ciò che hai sempre fatto fin da quando nascesti, è stato mandarli a morire? Giovani, virtuosi, pieni di belle speranze, tu li hai uccisi tutti, uno dopo l’altro, in una lunga serie di guerre che voi Olimpi avete avuto la pretesa di definire sacre, come se qualcosa di sacro vi possa essere in uno scontro armato."
"Cosa aspettarsi in fondo da una Dea che nacque già bardata di tutto punto e pronta per quella guerra? Non così nascesti dal cranio di Zeus parricida? Una barbara guerriera partorita dal sangue di una barbaria!" –Precisò l’inflessibile voce di Emera.
"Le vostre parole possono anche essere vere, divino Etere, ma come giustificate allora il vostro agire? Non avete voi invaso questo luogo sacro, portando Atlante e con sé la distruzione?! Non stanno forse i miei fedeli rischiando le loro vite solo a causa di un capriccio divino?! È forse a voi concesso di abiurare al vostro status divino per immischiarvi in puerili faccende umane?!"
"Entità ancestrali del nostro pari, Atena, non sono tenute a giustificare alcunché. Noi semplicemente agiamo. E di certo non dobbiamo motivare le nostre azioni con una ingenua Divinità minore!" –Sibilò la personificazione del cielo più puro, con una sfumatura di fastidio nella voce. –"O forse non ricordi qual è il tuo posto nell’ordine delle cose?" –Aggiunse, accennando un sorriso, mentre un’indicibile pressione schiacciava Atena a terra, facendole perdere la presa sullo Scettro di Nike, che cadde qualche gradino più in basso, lungo la scalinata che conduceva alla Dodicesima Casa. –"Così va meglio! Non trovi, divina sorella?"
Emera, al suo fianco, annuì, osservando la figlia di Zeus rimettersi in piedi a fatica, il bianco vestito strappato, le ginocchia sbucciate, il viso in evidente affanno.
"Vuoi sapere perché siamo qua, Atena? Perché domani nascerà un nuovo mondo, dalle rovine del vecchio, che uomini meschini e deboli Divinità corrotte hanno inquinato. E inizieremo la riedificazione del mondo proprio da questo Santuario, empio di colpa e vergogna a causa di una Divinità che si è sempre reputata protettrice degli uomini, eppure quanti ne ha uccisi nel corso di millenni? Quanti sono caduti in nome suo? In nome tuo?!" –Parlò la sorella di Etere. –"Non sei stata degna del tuo ruolo, non hai saputo comprendere che nessuna guerra poteva essere giusta, né che giusto poteva essere sfruttare degli adolescenti per risolvere futili contese di potere? Il dominio dell’Attica? Il dominio sulle terre emerse? Una baruffa per una zolla di terra oltre le colonne d’Ercole? Per questo hai condannato tutti quegli innocenti, Dea dell’ingiustizia?! Provo solo pena e disprezzo per il tradimento perpetuato ai danni del tuo ruolo!"
"Io… Anche io!" –Mormorò infine Atena, inginocchiandosi sul freddo marmo e stupendo gli stessi Dei di luce.
"Cosa vuoi dire? Ammetti dunque le tue colpe, fallace Atena? Ammetti dunque di meritare il castigo divino, al pari degli Olimpi tuoi congiunti?" –Incalzò Etere, mentre la fanciulla amata da Pegasus sollevava infine la testa, rivelando uno sguardo risoluto ma intriso di lacrime.
"Sì, lo ammetto! So per prima di aver fallito, di non essere stata degna del mio ruolo di Dea di pace, di garante dell’armonia! Ho fatto quel che potevo, quel che ritenevo giusto per salvaguardare l’equilibrio del mondo, per impedire che qualche oscuro potere prevalesse, che Nettuno, Ade o Ares estendessero il loro dominio sul regno degli uomini, rendendoli schiavi e privandoli del diritto alla libertà! Pur tuttavia… sono consapevole di aver fallito. Di non aver salvato questo mondo dalla rovina!"
"Giunge tardiva la tua confessione, ma apprezzata!" –Commentò Etere.
"Non di approvazione ho bisogno, solo di una promessa! E la chiedo a voi, che nel creato siete gli Dei più immacolati! Risparmiate i miei cavalieri, risparmiate gli uomini che già molto hanno sofferto, che hanno lottato in mio nome e nel nome di ideali cui hanno prestato fede! Permettete che vivano la loro vita, che concludano le loro esistenze, sia pur caduche di fronte all’eterno, in serenità e pace! Io… offro la mia vita in pegno, per la loro salvezza!"
"Che… cosa?!" –Esclamarono sorpresi gli Dei gemelli. –"Sei pronta a dare la tua vita? A rinunciare alla tua immortalità pur di salvare quella di questi mortali? Perché? A che giova una simile vana follia?"
"Non capisci, Etere, ed è naturale! Come potresti? Hai mai vissuto tra gli uomini? Ti sei mai sentito uno di loro? Sei mai stato in grado di pensare, amare, soffrire come loro, parte di un misterioso quanto meraviglioso mondo?" –Declamò fiera la Dea, avvolta nel suo cosmo luminoso, mentre lo scettro di Thule tornava nelle sue mani ed ella se ne serviva per rimettersi in piedi. –"Io sì! In questi lunghi secoli, fin da quando mio Padre Zeus e i suoi fratelli si divisero il mondo conosciuto, al termine della Titanomachia, ho vissuto sulla Terra durante ogni mia reincarnazione, nascendo ogni volta in un corpo mortale! I miei nemici l’hanno sempre giudicata una scelta di debolezza, un’immotivata rinuncia ad un maggior potere che di certo avrei ottenuto sfoderando il mio corpo divino! Ma non hanno mai capito che invece, vivere tra gli uomini, come uno di loro, è sempre stata la mia forza, il braccio in grado di sostenermi quando credevo di non riuscir più ad avanzare! Grazie a loro, e per mezzo di loro, ho vinto tutte le mie battaglie, quelle guerre che forse per voi non sono sacre ma per me lo sono state, perché in quelle guerre ho potuto difendere l’umanità e la sua libertà! E niente vi è di più sacro per me! Per cui, Etere e Emera, se siete venuti fin qua per giudicarmi in un sommario processo, come molti altri Dei hanno tentato di fare prima di voi, dovreste conoscere tutti i fatti, prima di emettere la sentenza finale, prima di condannarmi per azioni che non avete compreso!"
"Non dobbiamo emettere alcuna sentenza, Atena! Sei già stata giudicata!" –Replicò sprezzante il Dio della Luce superiore. –"In un processo durato millenni, in cui abbiamo potuto osservare la fallacia delle tue azioni! Non ultima la decisione di unirti ad un mortale, profanando la tua sacra illibatezza!"
"Ancora non capite, eppure è così semplice, la giusta conclusione di un processo di umanizzazione iniziato all’epoca della mia prima reincarnazione! Quello che definite follia, quello spirito di sacrificio con cui offro la mia vita in cambio della salvezza del genere umano, nasce da un sentimento profondo e nobile che risponde al nome di amore, il più potente sentimento umano, in grado di scuotere e ribaltare mondi! E quanti Dei, se volessero ammetterlo, potrebbero confermarlo! Basterebbero le lacrime che Eos versò per Titone, per perorare la causa della sua immortalità, o i delicati baci che Afrodite e Efesto si scambiavano nelle loro notti assieme, sulla cima dell’Etna, a dimostrarlo! Neppure mio padre fu indenne all’amore o l’orgogliosa Era, che divenne paladina della sacralità delle unioni! Persino Ares lo sperimentò, anche se forse egli amava se stesso più di ogni altra cosa! E quando ami qualcuno, sia esso uomo o Dio, sei in grado di compiere atti miracolosi!" –Ribatté fiera la figlia di Zeus, ricordando le parole di un’amica, parole che giorni addietro le avevano toccato il cuore.
"Non c’è niente di triste nell’adempiere al proprio destino! Dovresti saperlo meglio di chiunque altro! La nostra schiavitù è soltanto una facciata! In fondo dovremmo essere lieti di dare la vita per proteggere coloro che amiamo! Nient’altro potrebbe renderci più felici che non donare loro un futuro!" –Questo era quel che le aveva detto Ilda, e adesso, solo adesso, di fronte al giudizio finale, lo comprendeva davvero. Solo adesso ne era pienamente convinta.
Per Pegasus, per i Cavalieri a lei fedeli, che da tempi immemori combattevano in suo nome, Atena Promachos si sarebbe immolata!
"Belle parole, carenti di contenuto!" –Replicò Etere. –"La tua luce è destinata a spegnersi, Atena, come questo Santuario è destinato ad essere distrutto! Ben più intenso è il bagliore del nostro cosmo, quello degli Dei primordiali, gli Dei perfetti e puri, scevri da ogni macchia e da ogni errore! Quel tuo bel sentimento, di nome amore, noi non lo capiamo, è vero, e non capendolo ne siamo fuori, in grado di guardare ogni cosa con il dovuto distacco, anziché vittime di chissà quale torbida passione! E per quell’amore, che tanto declami, tu oggi cadrai!"
"Chissà che le cose non vadano diversamente, Divino Etere!" –Commentò Atena, espandendo il proprio cosmo. –"La tua sicurezza è indubbia, ma non sei il primo a rivolgermi parole simili! Lo credevano in molti, di essere perfetti, in quanto Divinità! Mio fratello Apollo e Ade, Nettuno e persino Zeus, tutti si sono arrogati di volta in volta il diritto di ritenersi superiori agli uomini, alle loro passioni, ai loro turbamenti. Eppure, così dicendo, così solo pensando, dimostravano di non esserne fuori, di essere coinvolti a loro volta, deboli e insicuri, bisognosi di sempre nuove certezze o del reiterarsi delle vecchie. Chi non capisce questa misera verità non è un vero Dio!"
"Orbene, figlia di Zeus, mostrami cosa significa essere un vero Dio!" –Rise Etere con voce sprezzante. In tutta risposta, Atena gli puntò contro lo Scettro di Nike, scagliando un raggio di energia verso lo stupefatto Nume del Cielo, a cui comunque bastò sbarrare gli occhi per fermare quel ridicolo fascio di luce, disperdendolo, senza che ciò disperdesse la sorpresa e l’ira dal suo volto.
"Provare passione e fede in qualcosa, e per questo combattere! Non per generare un nuovo mondo ma per dimostrare quanto può essere bello e pieno d’amore quello che già esiste!" –Avvampò la Dea della Guerra, prima che Etere le rivolgesse contro il palmo della mano, schiacciandola di nuovo a terra, facendola ruzzolare per parecchi metri, fino a schiantarla contro le colonne esterne della Tredicesima Casa.
Tutti, in quel momento, in ogni angolo del Grande Tempio, percepirono indebolirsi il cosmo di Atena, schiacciata da un’incredibile potenza, superiore a quella degli Dei incontrati fino ad allora.
"Questo cosmo… è immenso!" –Balbettò Castalia, osservando dal basso le due figure di luce sovrastare la Collina della Divinità. Così piccole, ma in grado di sprigionare una sfolgorante energia.
"Atena!!! Vengo da te!!!" –Gridò Asher, infilando a gran velocità nel pronao della Casa dell’Ariete, seguito dalla Sacerdotessa dell’Aquila, e gettandosi in una celere corsa lungo la scalinata di marmo. Ma bastò che Etere li notasse che un lampo scintillò dal suo dito indice, generando un’esplosione che devastò la gradinata, scagliando entrambi molti metri addietro, contro le colonne della facciata posteriore del Primo Tempio.
Mur e Virgo, che stavano riversando tutta la loro energia nella barriera protettiva, videro i compagni cadere, fremendo per non poter intervenire in loro soccorso, poiché Atlante, per quanto temporaneamente frenato, non aveva intenzione di desistere dai suoi propositi, continuando a tempestare la cupola di violenti pugni e calci.
"Maledizione!" –Strinse i denti l’allievo di Shin dell’Ariete, cercando un modo per uscire da quella situazione di stallo.
Proprio in quel momento Atena si rialzò, ferita e dolorante per l’attacco ricevuto, ma determinata a non arrendersi. –"Ti ho offerto la mia vita, per risparmiare quella dei miei cari, ma credo che tu non voglia preservare né l’una né l’altra! Ti definisci Dio immacolato e puro, Signore della Luce, ma nel tuo agire vedo solo l’ombra di tua madre!" –Esclamò, suscitando la sdegnata reazione di Etere, che si volse verso la sorella, pregandola di andare a sedersi da qualche parte e di lasciar fare a lui.
"Concluderò in fretta questa faccenda, mentre Atlante raderà al suolo quest’empio santuario! Nell’attesa, aspettami sorella! Non ci vorrà molto! Solo il tempo di mettere in riga un’indisciplinata fallace Divinità! Ti prego, non sporcarti le mani!" –Aggiunse, prima di riportare lo sguardo su Atena e inchiodarla a terra, sottoposta a un’irrefrenabile pressione. La figlia di Zeus cercò di resistere, pensando a quanto avevano sofferto i Cavalieri in suo nome, per tutti quei secoli di lotte armate, avvampando nel suo cosmo e reggendosi alla Nike, ma l’asta del bastone si schiantò di colpo, gettandola a terra, china e vinta, mentre Etere discendeva placido verso di lei. –"Osserva un’ultima volta il regno di cui a lungo sei stata immeritata regina, perché da domani non ci sarà più!" –Chiosò, puntandole contro un dito, sulla cui cima balenava un’eburnea scintilla.
Fu un attimo e il lampo esplose, ma non raggiunse Atena, riparata da un ampio e rotondo scudo dorato.
"E tu chi sei?!" –Esclamò subito Etere, osservando il giovane appena apparso a difendere la Dea. Indossava un’armatura argentea, dalle strane forme, con uno specchio rotondo sul pettorale, sebbene il fisico gracile non ne facesse all’apparenza un guerriero, né l’altezza, che non superava quella di Atena. Eppure, nei suoi occhi verdi, c’era la stessa determinazione, la stessa speranza, e forse anche una consapevolezza in più.
"Permettetemi di presentarmi!" –Parlò infine, abbassando l’Egida. –"Sono Nicole dell’Altare, Cavaliere d’Argento al servizio di Atena, nonché suo personale attendente!"
***
Anche Matthew ed Elanor percepirono lo scontro in atto in cima alle Dodici Case.
Dopo che Atlante aveva attaccato il Santuario, abbattendo parte del muro perimetrale, i due Cavalieri delle Stelle avevano dato ordine a tutti i soldati a loro affidati di convergere al Cancello Principale e alla via che conduceva alle Dodici Case, ben intuendo ove il titano si sarebbe diretto. Rimasero pochi minuti in più, al varco orientale, per verificare che effettivamente nessun nemico tentasse una seconda sortita, quindi lasciarono solo una piccola guarnigione prima di iniziare a correre verso la Casa dell’Ariete, per dare manforte ai Cavalieri di Atena.
Fu mentre passavano l’arena dei combattimenti che Elanor lo sentì, accasciandosi a terra, travolta da un’ambascia improvvisa.
"Ehi, cosa ti succede? Sei stata colpita?!" –Si sincerò subito Matthew, guardandosi attorno con circospezione alla ricerca di nascosti avversari.
"No… io… non riesco a respirare…" –Balbettò la ragazza, prostrata da una fitta di dolore. Il Cavaliere dell’Arcobaleno si chinò subito su di lei, prendendola per le spalle e forzandola a guardarlo in faccia, in quegli occhi verdi in cui aveva iniziato a specchiarsi giorni addietro, sulla Luna.
"Con calma! Respira con calma, fai come me!" –Le disse, avvolgendola nel proprio cosmo e lenendo i suoi affanni. –"Ecco, così! Brava! Ora dimmi, cosa succede?"
"Mia madre… è in pericolo! Lo sento! Io… percepisco la sua luce spegnersi…" –Mormorò la fanciulla, alzando lo sguardo e cercando l’immagine lontana della luna, sebbene non riuscisse a vederla completamente, oscurata da una cappa di nubi che andava annerendosi sempre più. Fu un attimo, ma ad Elanor parve di vederla tingersi di sangue e divenire una mezzaluna rossa. –"Aaah!!!" –Gridò, scuotendo la testa, mentre Matthew faticava per calmarla. –"Io… devo andare subito sulla Luna! Sento che mia madre ha bisogno di me!"
"D’accordo, ma come pensi di fare? Jonathan è lontano, è in Egitto ed egli è l’unico che possa aprire il varco tra i mondi!"
"Sul mio regno… c’è un portale… ricordi quando giungesti con Avalon? È scolpito sul pavimento della terrazza ed è là che mia madre mi portò, quando scendemmo sulla Terra, quando Shen Gado ci trovò…" –Mormorò confusa la ragazza, senza riuscire a ricordare dove fossero sbucate. –"Devo trovare un portale! Devo…" –Ma una nuova fitta la colpì al costato, piegandola in due e strappandole un grido di dolore.
"D’accordo! Vieni con me! Forse conosco un modo per raggiungere la Luna!" –Le disse il compagno, aiutandola ad alzarsi. –"Portali come quello di cui parli esistono in molti regni divini, so per certo ve ne erano ad Isla del Sol, ad Avalon e persino ad Asgard! Quindi perché non dovrebbe esservene uno qua?"
"Tu sai dove si trova?" –Elanor lo guardò speranzosa, tenendosi con forza al braccio del Cavaliere dell’Arcobaleno, che annuì silente, prima di farle cenno di seguirlo.
"C’è un solo posto, in tutto il Grande Tempio, dove potrebbe essere nascosto un artefatto simile! Un luogo sacro e inaccessibile ai più!" –Aggiunse, facendole cenno di seguirlo e iniziando a correre lungo l’antica via orientale.