CAPITOLO DECIMO: L’ORA PIU’ BUIA.
Sul pendio crivellato dell’Etna uno scontro violento stava consumandosi, tra Erebo, Signore dell’Oscurità Infernale, e uno sparuto gruppo di massacrate Divinità, che ancora tentava di resistere all’avvento delle tenebre. Con un’esplosione devastante, il Dio ancestrale scaraventò Ermes, Efesto, Eracle e Pegasus a molti metri di distanza, danneggiando le loro corazze e piombando poi sul Cavaliere di Atena, che così tanto interesse aveva in lui suscitato, con quel cosmo di notevole potenza che non avrebbe invece dovuto possedere.
"Sentiti onorato, cavalluccio dei cieli, sarai il primo a cadere, per la gloria di Erebo!" –Sibilò il Nume, ergendosi dominante su di lui, con le dita della mano destra tese a guisa di spada e il braccio carico di energia oscura. Lo calò lesto sul ragazzo, ma questi fu ancora più rapido a rotolare di lato, sfruttando la declività del versante, e a portarsi ad una certa distanza, sebbene Pegasus fosse certo che nessuna distanza lo avrebbe messo al sicuro da lui. –"Esiti, Cavaliere?! Non vuoi abbracciare la mia tenebra? Forse credi non sia adatta a te, che così disperatamente aneli alla luce? Orbene ti sbagli, perché la luce che tanto ami ti è stata donata dagli Dei ancestrali, al pari delle tenebre stesse, è un dono nostro ed è giunto il momento di riprendercelo!"
"Di che vai cianciando?!" –Borbottò Pegasus, tenendosi il braccio destro dolorante. Non lo avrebbe di certo ammesso, ma gli doleva oltre ogni dire, ustionato fino alle ossa da quell’aura venefica che soltanto standogli vicino Erebo poteva emanare.
"Non conosci la storia della luce e dell’ombra? Dunque non sai neppure contro chi stai combattendo, Cavaliere di Atena! Una lacuna non da poco in una strategia bellica, non credi?!" –Rise Erebo con quella voce cavernosa, resa ancora più metallica dalla maschera che gli copriva il volto. –"E sia, te la racconterò in breve, come regalo per il cosmo che sei stato in grado di tirar fuori da quel corpo mortale! Agli albori del Mondo Antico, dopo che il nostro signore Caos ebbe generato la vita, nacquero i primi Dei, e Nyx, mia madre e sposa, che avete di recente incontrato, fu la prima ad essere generata. Ella è la Notte del mondo e dal suo grembo fui partorito io, Erebo, la Tenebra Infernale, due diversi gradi di oscurità, uno per il regno dei vivi e uno per quello dei morti. Ma Caos, munifico e misericordioso, comprese che gli uomini non potevano vivere nell’ombra, poiché nessuno avrebbe potuto ammirare il grandioso lavoro di creazione che aveva compiuto. Così Nyx ed io ci unimmo, generando gli Dei gemelli, Etere ed Emera, la luce del cielo ed il giorno, in modo da costituire un quartetto perfetto di Divinità ancestrali, concorrenti e complementari nei nostri poteri. Ma adesso, a giudicare dallo scempio che voi uomini avete fatto dei doni del cielo, è arrivato il momento di portarvi via tutto e ritornare a quel buio primordiale in cui la vita ha avuto origine, e dove finirà! Addio, Cavaliere di Pegasus!" –Declamò il Nume, puntandogli contro l’indice destro su cui il suo cosmo lampeggiò vivido.
"A terraaa!!!" –Gridò una ruvida voce maschile, afferrando il paladino di Atena e gettandolo contro il suolo, schiacciato da un robusto corpo che venne in parte raggiunto e ferito dal fulmineo attacco di Erebo.
"So… Sommo Eracle!!!" –Lo riconobbe Pegasus, mentre il figlio di Zeus affannava nel rimettersi in piedi.
"Stai bene, ragazzo?!" –Ma Pegasus non ebbe il tempo di rispondergli che già Erebo era balzato in alto, dirigendo migliaia di strali di energia oscura contro di loro, che dovettero separarsi e correre in ogni direzione per evitarli, sebbene quella pioggia continua non accennasse a perderli di vista, seguendoli in ogni passo.
"Ahu ahu ahu! Correte, sì, correte a nascondervi come topi! Ma non vi sono nascondigli in questo mondo ove le tenebre non possano arrivare!" –Rise l’ancestrale Nume.
Eracle, dopo una breve corsa, capì che le parole avversarie erano vere così si fermò e tentò di rispondere ai colpi di Erebo, espandendo il proprio cosmo e generando un’onda di energia su cui la pioggia nera si infranse.
"La tua fede negli uomini non basterà a salvarti, figlio bastardo di Zeus! Come puoi aver fede in una razza così debole e immatura? Ti perderai, per questo!" –Chiosò la Tenebra Ancestrale, aumentando l’intensità dell’assalto, ormai diretto per intero contro di lui, fino a piegarlo a terra, ancora con un braccio alzato, ancora con quell’onda di energia a sua difesa, sebbene molti fossero comunque gli strali oscuri che la stavano trapassando in più punti. –"Muori, Protettore degli Uomini! Che la tua morte sia da monito per l’umana stirpe!"
"No!!!" –Gridò Eracle, bruciando al massimo il proprio cosmo divino e trovando persino la forza per rimettersi in piedi, spingendo entrambe le braccia avanti, cariche di una così elevata quantità di energia che Pegasus poche volte aveva percepito.
Fu quel gesto, quella postura di sfida, di mancata rassegnazione, a spingerlo a reagire. Aveva corso lungo il versante devastato, osservando i corpi moribondi degli Heroes sparsi sul terreno, finché l’intensità della pioggia di daghe non era scemata, dirigendosi per intero contro il figlio di Zeus, un Dio che non aveva mai incontrato, non di persona almeno, per quanto qualcosa, nei suoi ricordi o forse nelle memorie di vite passate, gli fosse familiare. Infastidito da quei pensieri fuorvianti, Pegasus scosse la testa, avvampando nel proprio cosmo celeste e scattando verso il cielo, incurante del dolore al braccio destro, che portò avanti, liberando il suo massimo assalto.
"Cometa di Pegasus!!!" –Gridò, mirando alla schiena del Nume, ancora intento a dirigere i suoi attacchi contro Eracle, e strappandogli un gemito di genuina sorpresa. Gemito che comunque non gli impedì di spostarsi di lato, mentre la luminosa sfera gli sfrecciava davanti andando proprio a cozzare contro l’enorme massa energetica radunata dall’eroe di Tirinto, lasciando che esplodessero al sol contatto.
"Bum!" –Sibilò divertito Erebo, balzando indietro con un’agile piroetta a mezz’aria e atterrando poco sopra i due avversari, separati adesso da un enorme cratere che aveva ulteriormente sfigurato la morfologia del rilievo. Ghignando divertito, il Tenebroso li osservò, stanchi e fiaccati, crollare uno dopo l’altro ai margini di quel buco enorme, proprio mentre un ronzare metallico richiamò la sua attenzione.
Voltandosi verso il cielo, Erebo vide due strani apparecchi volare sopra l’Etna, congegni a lui ignoti ma che di certo dovevano essere prodotti dall’ingegno umano. Due scatole di metallo sopra le quali delle lastre grigie dello stesso materiale roteavano all’impazzata, producendo quel rumore fastidioso.
"Abbiamo dei visitatori!" –Commentò, sollevandosi grazie al proprio cosmo e avvicinandosi per vedere meglio, osservando così lo stupore dipingersi sui volti degli uomini che effettivamente alloggiavano dentro quegli strani apparecchi volanti. Uno di loro impugnò quella che a Erebo parve un’arma e la puntò contro di lui, sparandogli contro una serie di pezzetti di metallo che andarono vaporizzandosi al solo contatto con l’aura mefitica che lo avvolgeva, stupendo ulteriormente quegli uomini. –"Patetici esseri umani!" –Sibilò, aprendo le braccia di lato e generando, da ciascun dito artigliato, un dardo di energia oscura che coprì in un lampo la breve distanza dagli elicotteri, raggiungendoli e facendoli esplodere.
In un tripudio di risa e lacrime di contentezza, Erebo atterrò di nuovo sul pendio dell’Etna, mentre le carcasse degli aeromobili e dei loro occupanti piovevano ovunque attorno a lui.
"Sei… un folle omicida!" –La voce di Pegasus lo raggiunse poco dopo, mentre il ragazzo affannava nel rimettersi in piedi. Erebo lo osservò incuriosito, quasi affascinato da quella determinazione che non aveva mai trovato in alcun essere umano: aveva l’armatura danneggiata in più punti, addirittura distrutta attorno al braccio destro, numerose ferite aperte sul corpo e sul viso, eppure si alzava ancora, mentre Eracle e gli Dei dell’Olimpo giacevano riversi a terra.
"Perché?!" –Non poté fare a meno di chiedersi, avanzando a passo deciso verso di lui, deciso a studiarlo in profondità, a capire il mistero che la sua figura suscitava.
Vedendolo arrivare, Pegasus sollevò le difese, bruciando il proprio cosmo al massimo, come aveva fatto ogni volta in cui aveva dovuto lottare per la sua stessa vita, ultimo baluardo per la difesa delle genti del pianeta e di Atena.
"Fulmine… di…" –Rantolò, portando avanti il braccio destro. Ma prima ancora di riuscire a liberare la pioggia di stelle, capì che Erebo si era già portato dietro di lui e gli aveva afferrato il braccio, torcendoglielo in una posizione innaturale, strappandogli un grido disperato che saturò la caliginosa aria di quel giorno d’autunno. Un’ultima pressione e il rumore sordo di un osso che si spezzava. –"Aaahhh!!!" –Gridò il Cavaliere, crollando a terra e là rimanendo, il volto impastato di sangue, polvere e sconfitta. Non che fosse la prima ferita in una battaglia, ne aveva subite molteplici nel corso degli anni e vi era stato persino un tempo in cui, giovane ragazzino arrogante, aveva ritenuto che ogni ferita fosse una medaglia di cui un maschio avrebbe potuto gloriarsi, un segno di virilità e coraggio. Col tempo aveva abbandonato quei pensieri un po’ barbari, pur rimanendo convinto della necessità di rischiare sempre, di osare sempre, contro qualsiasi nemico, indipendentemente dal costo. Il calcolo del rischio era un gioco che non aveva mai praticato.
Eppure, in quel momento, con l’alito nero del Tenebroso che incombeva su di lui, schiacciandolo in una fossa che presto sarebbe divenuta la sua tomba, capì di essere inutile, di non poter fare niente contro una così potente e antica Divinità. Anche Eracle e gli altri Dei dovevano averlo capito, abbandonatisi tutti a quell’ultimo torpore che presto li avrebbe abbracciati in maniera definitiva.
"Che stai facendo? Rialzati, Pegasus!" –Esclamò una voce all’improvviso, catturando l’attenzione del Cavaliere. –"Da quando ti lasci andare? Da quando hai rinunciato a credere in te stesso?"
Pegasus mosse appena un occhio, mettendo a fuoco una luccicante immagine appena apparsa sul campo di battaglia. Gli bastò guardare l’armatura che aveva addosso per capire chi fosse, ricordando bene quel che Lady Isabel gli aveva raccontato sulla Luna. Giovane e bello, con mossi capelli neri e occhi scuri, Bellerofonte di Pegasus lo fissava con sguardo deluso.
"Sei il Cavaliere della Speranza! Per Atena e per gli uomini tutti! Non vuoi tenere fede al tuo nome?"
"Contro Erebo… non c’è speranza…" –Mormorò il ragazzo, strappando un sorriso al suo antico predecessore.
"Forse è così! Ma anche contro Gemini lo credesti, eppure quattro amici ti diedero la forza per arrampicarti, privo di sensi, su un’erta scalinata e recuperare l’Egida che salvò la nostra Dea? E contro Nettuno? Pur di fronte alla vanità dei tuoi tentativi, a quella maledetta freccia d’oro che continuava a tornare indietro e a ferire a morte i tuoi compagni, rischiasti tutto quello che avevi di caro? La tua vita e quella dei fratelli con cui hai condiviso il cammino. Di certo lo ricordi, non hai bisogno che uno sconosciuto te lo rammenti! Ma ciò che non puoi sapere è che questo sconosciuto che ti osserva da tempo, da quando indossasti per la prima volta l’armatura del destriero alato, crede in te, ultimo eroe di una lunga stirpe! L’ultimo anello di un’epopea iniziata molti secoli addietro! Su te ricade l’onore e l’onere di difendere Atena, la Dea di tutti noi Cavalieri! Se non lo farai tu, anch’ella scivolerà nell’ombra! E io non posso accettarlo, Pegasus! Non posso ammettere di aver atteso così tanto solo per vederla morire nell’infelicità e nel dolore della sconfitta! Per cui rialzati, Cavaliere, per tutti i motivi che sai giusti, per donare amore ad una Dea che scelse di privarsene secoli addietro e per combattere con lei, tutti assieme, contro l’ombra!"
"Bellerofonte… io… lo farò!" –Rantolò Pegasus, chiudendo le dita a pugno, mentre Erebo, sopra di lui, calava di nuovo il tacco sulla sua schiena, spaccandogli un’altra placca dell’armatura. –"Brucia cosmo delle tredici stelle! Brucia come hai sempre bruciato fin dal Mondo Antico! Per Atena!!!" –Gridò, mentre tutto il cosmo accumulato, tutta la fede che aveva sempre provato nel lottare per l’umanità e la giustizia, esplodeva repentino, in un bagliore abbacinante che stupì lo stesso Erebo, scagliandolo molti metri addietro.
"Co… cos’era quello?!" –Annaspò sorpreso, sollevando le braccia di fronte a sé. Per qualche istante rimase immobile, temendo un nuovo attacco del giovane, ma quando vide che era riverso al suolo, il braccio destro giù lungo disteso, inutile ormai, rilassò la propria postura, osservando i bracciali della corazza delle tenebre, che maggiormente erano stati esposti all’improvvisa vampata del cosmo avversario. Li tastò, stupefatto, trovandoli caldi, persino fusi in alcuni punti, e inorridì, conscio di quel che il Cavaliere avrebbe potuto fare se fosse stato al pieno delle sue forze.
Il Nono Senso. Mormorò, mentre un velo di preoccupazione calava sui suoi occhi rossi. No, che sciocco. Non può essere quello, i corpi riversi di Efesto, Ermes ed Eracle lo testimoniano. Pegasus è già oltre!
I suoi pensieri furono interrotti dalla lucida consapevolezza che lo spinse ad avanzare verso di lui, il cosmo oscuro che cresceva attorno al suo corpo. Aveva sottovalutato fin troppo quel ragazzino, credendo fosse solo un semplice essere umano, ma adesso avrebbe rimediato al suo errore, estirpando in toto la remota possibilità che qualcuno potesse tenergli testa.
"Addio, campione tra gli uomini!" –Gridò, sollevando il braccio e aizzando un’onda di energia oscura, che sfrecciò verso il corpo inerme di Pegasus. Fu solo all’ultimo che vide una figura schizzare davanti a lui, aprire le braccia di lato e gridare.
"Specchio delle Stelle!!!" –E una muraglia trasparente, di puro cosmo, si interpose tra il suo assalto e la preda, una muraglia che il suo ideatore faticava a tenere in piedi e che un attimo dopo Erebo mandò in frantumi, semplicemente sbattendo le palpebre, scaraventando indietro l’impavido eroe che si era eretto a difesa del Cavaliere di Atena.
Prima ancora che potesse fare altro, il Nume si accorse di essere attorniato da una selva di piume rosacee, mentre una nenia riempiva l’aria, una nenia che uno dei guerrieri di Eracle aveva appena intonato.
"Eterna danza di piume!" –Cantò Adone dell’Uccello del Paradiso, suscitando l’ilarità della Tenebra Ancestrale.
"Vorresti intrappolarmi in una gabbia di piume? Giovane eroe, sei quantomeno stupido da credere che una simile tecnica possa avere effetto su di me?!" –Avvampò, espandendo il proprio cosmo mortifero che fece appassire le piume e scivolò sinuoso verso il guerriero cipriota.
"Quel tanto che basta!" –Si limitò a commentare quest’ultimo, mentre veniva stritolato dalla spirale tenebrosa, che quasi gli mozzò il respiro. Fu allora che una voce ruggì alle spalle del Nume Primordiale, anticipando una devastante zampata di energia.
"Ruggito dell’Orso Bruno!!!"
"Di nuovo?! Siete monotoni e privi di strategia!" –Rise Erebo, voltandosi e aprendo il palmo della mano di fronte a sé, su cui l’affondo energetico impattò, spingendolo indietro di qualche passo, scavando solchi nel terreno, prima di esaurirsi, di fronte allo sguardo attonito di Nestore dell’Orso. –"Sei morto, gigante!" –E glielo rimandò indietro, nella sua totalità, aggiungendovi anche una miriade di dardi di energia che crivellarono la corazza del guerriero, scaraventandolo molti metri a valle, in un lago di sangue. –"Pare che la festa sia finita!"
"Non ancora!" –Tuonarono alcune voci tutte assieme, portando Erebo a voltarsi e ad osservare tre Divinità rimettersi in piedi, pur con le armature danneggiate e i volti pesti e logori. –"Tre Divinità del defunto passato che l’ombroso vento del presente adesso spazzerà via!" –Ironizzò, lanciandosi alla carica.
"Kerykeion!!!"
Ermes fu il primo ad attaccare, dal punto più alto in cui si trovava, liberando un rapido fascio di energia, simile ad una lunga asta attorno alla quale erano avviluppati due serpenti, che piombò su Erebo, costringendolo a scartare di lato, per evitarlo. Così facendo, il Nume venne investito dalla marea di lava ardente scatenata da Efesto che, con un ginocchio e una mano a terra, stava fondendo l’intero versante del vulcano, mutandolo in magma. Una grossa bolla esplose proprio di fronte al Tenebroso, distraendolo quel tanto di cui Eracle ebbe bisogno per balzare in alto e scatenare il più furente dei suoi attacchi, quello che comprendeva le vittorie e le stragi del suo passato.
"Fiere del mito!!!" –Tuonò il Campione di Tirinto, mentre una tempesta energetica piombava su Erebo, una tempesta che aveva la forma delle bestie da lui affrontate nel Mondo Antico. Osservandola stranito, quasi affascinato, il Nume Ancestrale vide l’Idra di Lerna, il Leone di Nemea, gli Uccelli di Stinfalo, persino Ladone, spalancare le fauci e puntare verso di lui, dome e ormai schiave della forza del Protettore degli Uomini. Rise, per quella situazione stramba in cui, secondo i tre Olimpi, avrebbe dovuto essere vinto proprio da simili fiere infernali, progenie degli Dei Ancestrali, e fece per muoversi, accorgendosi solo allora che il magma ardente era solidificato attorno alle sue gambe, pietrificandolo sul posto. Poté solo lanciare a Efesto uno sguardo indemoniato prima che la tempesta di energia lo investisse in pieno.
"Incredibile!" –Mormorò Pegasus, una ventina di metri più in basso, osservando il devastante assalto raggiungere Erebo. Un potere così vasto e al tempo stesso fresco e vigoroso, nobile ed eroico, che sembrava tracimare dai confini del mito. Sorrise, per quanto gli facesse male persino tendere i muscoli facciali, rimettendosi in piedi a fatica e iniziando ad avanzare verso lo scontro in atto.
Erebo era imbestialito. L’attacco di Eracle lo aveva travolto in pieno petto, piegandolo all’indietro, ma essendo le sue gambe murate dentro il suolo aveva sentito anche dolore agli arti inferiori. Dolore. Qualcosa che mai aveva provato fino ad allora, neppure quando la Prima Guerra era terminata e la sua esistenza, e quella degli altri Progenitori, era giunta al termine. Almeno per quell’epoca.
Era stato un trapasso indolore, in fondo, un atto di misericordia per permettere al loro creatore di combattere quegli insulsi esseri umani che avevano ardito ribellarsi a lui, al genitore che aveva dato loro la vita. Con quel disprezzo nell’animo, aveva accettato di buon grado la richiesta di Caos ed era scomparso dall’esistenza. E adesso, a eoni di distanza, continuava a provare lo stesso disgusto per la razza umana e per quegli insulsi Dei minori, nati da una costola delle antiche entità, che claudicavano nel difenderli.
"Una folliaaa!!!" –Tuonò, avvampando nel proprio cosmo oscuro, che esplose attorno a sé, liberandolo da quella temporanea prigionia di roccia e magma e permettendogli di ergersi in tutto il suo terrificante splendore. –"E la follia va estirpata nell’unico modo possibile! Tagliandole la testa e cicatrizzandola con il fuoco dell’oblio, sì da non permetterle di rinascere! Lo sai bene, Eracle, poiché così tu vincesti l’Idra, nevvero?!" –Sghignazzò il Nume, lasciando scivolare la tenebrosa aura mefitica lungo l’intero pendio, assorbendo ogni forma di vita, svuotandola di ogni energia.
Appassirono erba e piante, si sgretolarono rocce e pietre, crollarono a terra tutti i guerrieri e gli Dei che attorniavano il Signore delle Tenebre, prostrati da conati di vomito, da fitte così profonde che avrebbero fatto rimettere loro persino l’anima. Soddisfatto dall’udire quei gemiti di sofferenza, Erebo volse lo sguardo attorno a sé, ad osservare coloro che avevano tentato di resistergli e che, dovette ammettere, l’avevano impegnato più di quanto avesse creduto inizialmente, specialmente uno, quel ragazzo dalla danneggiata armatura azzurra.
Solo perché ho voluto giocare con loro! Si disse il Nume, torcendo le labbra sotto la maschera terrificante e lasciando che gli occhi rossi lampeggiassero divertiti al pensiero della sua prossima mossa.
"Mi… sento prosciugare…" –Mormorò Adone, che non riusciva a stare in piedi con le poche forze che gli restavano.
"È come… se ci stesse svuotando di ogni energia!" –Concordò Marcantonio dello Specchio, trascinandosi inerte lungo il pendio, desideroso di unirsi al Sommo Eracle e lottare con lui ma incapace anche solo di chiudere le dita a pugno. –"Presto del nostro corpo rimarrà solo un simulacro di paura e morte… niente più…"
"No! No! Io non ci sto!!!" –Ringhiò Nestore dell’Orso, affannando nel disperato tentativo di rialzarsi, ma crollando ripetutamente al suolo. –"Abbiamo aspettato secoli per cosa? Per morire qua, alla prima occasione di lotta? Che ne è stato di tutti i nostri ideali, dei ricordi dei giorni lieti trascorsi assieme a Tirinto, dei compagni che abbiamo lasciato indietro? Dobbiamo… contrastare quest’ombra infinita!"
"Nestore ha ragione!" –Parlò allora il figlio di Zeus e Alcmena. –"Troppo dipende da noi, le sorti di un mondo intero che abbiamo giurato di proteggere! Vogliamo abiurare alla nostra stessa promessa?!"
Gli Heroes non risposero alcunché, limitandosi a bruciare quel che restava dei loro cosmi, contrastando con essi i venefici effetti dell’aura nociva di Erebo, e a rimettersi a fatica in piedi. Eracle aveva già fatto lo stesso, imitato da Ermes, Efesto e dal Cavaliere di Atena. Adesso erano tutti attorno al Nume Ancestrale, avvolti nei loro cosmi portati al parossismo, sette punte di un eptagono i cui colori traballavano pallidi, schiacciati dalla montante marea d’ombra.
"Grazie, Cavaliere di Pegasus!" –Gli disse Eracle. –"Vederti combattere, pur tra mille difficoltà e patimenti, ha ricordato a me e agli altri figli di Zeus per cosa lottiamo! Se un uomo è disposto a tanto, possono gli Dei essere da meno?!"
Ermes ed Efesto annuirono, preparandosi a liberare i propri colpi segreti, certi ormai di avere a disposizione solo un’ultima possibilità. E forse neppure quella.
Erebo sogghignò, sollevando ambo le braccia sopra la testa, mentre l’aura tenebrosa che lo attorniava si innalzava di conseguenza, divenendo un’altissima barriera che confluì in una spirale d’ombra proprio sopra di lui. Prima che potesse fare qualsiasi cosa, gli Heroes attaccarono dal basso.
"Ruggito dell’Orso Bruno!!!" –Tuonò Nestore, subito affiancato da Adone e da una tempesta di fiori di energia, prima che la voce di Marcantonio sovrastasse entrambi, rilasciando un tripudio di colori. –"Cadi Erebo! Sotto il Glorioso Inno degli Eroi!"
Il triplice assalto sfrecciò verso il Nume alla velocità della luce, senza che ne fosse affatto turbato. Ghignò, socchiudendo gli occhi di brace, mentre l’energia nemica confluiva nella spirale d’ombra, venendone risucchiata, un attimo prima che il Nume abbassasse le braccia, rilasciando una devastante onda di tenebra che travolse gli Heroes, risucchiandoli in un vortice che maciullò le loro corazze e i loro corpi.
"Scappate!!!" –Gridò loro Eracle, gettandosi poi all’assalto, il cosmo che riluceva lungo l’arto destro. –"Fiere del mito!!!" –Ermes ed Efesto colpirono all’unisono e dopo di loro fu Pegasus a caricare, servendosi del braccio sinistro, con cui scagliò la Cometa Lucente verso il comune nemico.
Ridendo sguaiatamente, Erebo mosse le braccia verso il basso, servendosi della corrente venefica per darsi lo slancio e balzare in alto, con una grazia che stupì gli Olimpi, prima di riportare gli arti sopra il capo, l’intero corpo avvolto da una spirale d’ombra e radunare il cosmo in un’unica gigantesca sfera nera.
"La fine che tanto paventavate è giunta! Addio, Dei moderni! Addio, uomini mortali! Questo è il giorno che dissolverà il mondo terreno in cenere, il risveglio del giudice severo, re di tremendo potere! Questo è il giorno dell’ira!!! Dies irae!!!"
La devastante sfera di energia fagocitò gli attacchi avversari, disperdendoli come fossero brezza, prima di abbattersi tra Pegasus e i figli di Zeus, sventrando il fianco del vulcano, ed esplodere in una tempesta energetica, mista ai lapilli e ai fiotti di lava che schizzavano ovunque. Per prima l’inarrestabile onda mirò a Eracle, la cui corazza già distrutta lo rendeva bersaglio facile, ma non riuscì a raggiungerlo completamente, frenata dall’agile balzo di una figura che colpì il Dio al petto col tacco dell’armatura, spingendolo fuori dal nucleo centrale dell’assalto.
"Adoneee!!!" –Gridò il Campione di Tirinto, osservando il giovane Hero dell’Uccello del Paradiso venire completamente disintegrato dall’oscura bufera.
Anche Efesto e Ermes vennero investiti dalla tormenta di ombra e lava, ma il primo riuscì ad afferrare il Messaggero, offrendo la schiena all’assalto, sperando che la maggiore resistenza della sua corazza potesse offrir loro adeguata protezione. Infine fu Pegasus ad essere sbattuto a terra, le ali dell’armatura divina richiuse attorno a sé, sprofondando in una crepa nel terreno e precipitando in un lago di magma.
Quando Erebo atterrò di nuovo, sul devastato fianco dell’Etna si pulì le mani dalla polvere, guardandosi attorno ammirato: il pendio era ricoperto da uno strato di lava che aveva inglobato l’intero paesaggio, conferendogli un aspetto infernale e cancellando ogni traccia dei suoi avversari. Non c’era voluto molto, si disse, a sgominare le loro difese ed era stato persino divertente. Una guerra, in fondo, lo divertiva sempre, soprattutto quella, che sarebbe stata l’ultima, poiché dopo di essa gli Dei non sarebbero esistiti più. Sghignazzando, enumerò sulle dita coloro che ancora potevano opporsi a lui, cercandone traccia nelle battaglie che stavano infuriando sul pianeta in quel momento. Atlante ruggiva ad Atene, e gli Dei di Luce erano con lui, motivo più che sufficiente per ritenere che l’intera Grecia sarebbe stata cancellata, a breve, dalla carta geografica del nuovo mondo. Polemos e i suoi scagnozzi si stavano occupando del Sole d’Egitto, la cui luce era destinata a tramontare quanto prima. Sospirando, volse lo sguardo verso nord, realizzando che a lui era rimasta un’opzione sola, che per la verità ben poco lo aggradava. Sapeva infatti che, grazie agli inganni di Loki e Anhar, nessun Dio era rimasto ad Asgard.
Pazienza! Vorrà dire che mi sbrigherò molto velocemente! Ironizzò, prima di avvolgersi nel suo cosmo oscuro e sfrecciare nel cielo nero, diretto verso settentrione.