EPILOGO

Fu abbastanza semplice, per lui, entrare di soppiatto nel Grande Tempio, celandosi dietro nuvole di passaggio, muovendosi a velocità così elevata che l’occhio umano avrebbe faticato ad individuare anche se i soldati di guardia avessero saputo dove guardare. Del resto, oltre ad essere il Dio dei Commerci, della Diplomazia, delle Strade e dei Viaggi, e di altri attributi che gli uomini gli avevano assegnato nel corso dei secoli, era anche il Dio dei Ladri e di tutte quelle ingegnose attività che lo avevano sempre affascinato, incuriosito da quanto fossero capaci gli uomini di dare vita alle idee più creative e bizzarre quando lo scopo fosse ottenere un furbo vantaggio, quasi sempre a danno di altri. Una mentalità schietta e scaltra di cui, sebbene non ne difendesse l’operato, comprendeva il fine.

Le tende della terrazza sul retro della Tredicesima Casa sventolavano stanche, in quel tardo pomeriggio di fine autunno, aspettando il rientro della Dea che vi dimorava, Dea che sarebbe stata impegnata ancora per qualche ora nell’arena per discutere con gli ospiti che aveva improvvisamente convocato. Anch’egli sarebbe dovuto sedere su quegli spalti, per ascoltare la figlia di Zeus profondersi in un’accorata orazione per la salvezza dell’umanità, e lo avrebbe fatto se Era non lo avesse fermato poco prima di lasciare l’Olimpo.

"Ho un favore da chiederti, mio vecchio amico!" –Aveva esordito, con voce vellutata, lo stesso tono che le aveva sentito usare ogni volta in cui voleva conquistare le attenzioni del Signore del Fulmine. –"Vorrei affidarti una missione di recupero, una missione riservata che solo tu puoi portare a termine!"

A quel punto Ermes si era incuriosito, invitando la Dea a terminare la sua richiesta, sgranando gli occhi stupito quando gli aveva riferito quel che avrebbe dovuto recuperare. O, per dirla in altri termini, rubare.

Non capisco cosa se ne faccia, ma dubito che lo userà per fare del male. Rifletté il Nume, scivolando tra i tendaggi della Stanza del Grande Sacerdote, avendo cura di non essere individuato dalle poche guardie rimaste, che stazionavano abuliche presso i portoni di ingresso. No, l’espressione sul suo volto non tradiva alcuna malvagità. Solo un’infinita tristezza! Aggiunse, raggiungendo il trono dell’oracolo di Atena, nel cui basamento un prezioso manufatto era custodito.

Lo afferrò con cura, riponendo lo scrigno che lo preservava sotto lo scranno, e rientrando poi di fretta sull’Olimpo. Zeus avrebbe certamente essere voluto informato di ciò che l’assemblea dei regni divini aveva deliberato, sebbene al momento le sue preoccupazioni fossero altre. Ermes lo aveva capito, dagli sguardi incerti che rivolgeva alla vetrata della Sala del Trono, la finestra che guardava a oriente, oltre il Mar Egeo. La finestra che guardava lontano, fino ai Monti del Caucaso.

Per quanto amasse dissimulare i propri sentimenti, ormai il Messaggero Olimpico sapeva comprenderli comunque, anche quelli nascosti, e poteva percepire la tensione che pesava sulla scelta che Zeus avrebbe dovuto prendere a meno.

Perdonarlo e permettergli di combattere al suo fianco nell’ultima guerra? O lasciarlo languire ancora, altri quindici anni o forse più, condannato alla stessa prigionia di Prometeo?

Il Dio dei Mercanti sospirò, conscio che la scelta non sarebbe stata facile, soprattutto per Zeus, che non amava le sfumature della vita, preferendo confini netti ed inequivocabili, fossero bianchi o neri. Il grigio avrebbe soltanto opacizzato la sua risolutezza, mostrando che anche gli Dei possono sbagliare. Con quel pensiero in mente, entrò nella Reggia della Signora dell’Olimpo sorridendo, prima di bussare al portone delle sue stanze. Un tempo Ebe o Iris lo avrebbero accolto, pregandolo di accomodarsi su morbidi cuscini di seta ricamati dalle sacerdotesse dell’isola di Samo, ma entrambe le Dee erano scomparse, massacrate dai figli di Ares durante la scalata olimpica, e dei loro spiriti erano state perse le tracce. Persino il possente Zeus non conosceva il loro destino, sebbene non lo ritenesse dissimile da quello che attendeva gli Dei sopravvissuti.

Morte.

Era aprì il portone in quel momento, tirando Ermes all’interno delle sue stanze, prima che qualche ancella curiosa, o magari Ganimede, riferisse l’accaduto al suo consorte. Ringraziò il Messaggero per quella cortesia, osservando affascinata l’intarsio della daga dorata per qualche istante, sfiorando il freddo metallo con le dita, di fronte agli sguardi incuriositi del Dio amico.

"Perché questa richiesta, mia Signora? Cosa intendete fare?!"

"Solo rimediare a un vecchio errore! Fintantoché ne ho la possibilità!" –Rispose laconica la Signora del Cielo, prima di congedarlo con un sorriso tirato.

"Se posso aiutarvi…"

"Ti ringrazio ma non puoi. Nessuno di voi può." –Aggiunse, socchiudendo per un momento gli occhi lucidi e lasciando che una lacrima le scivolasse lungo il volto. –"Sei stato un buon amico, Ermes! Sempre a fianco di Zeus, anche nei momenti più difficili! So che lo sarai anche stavolta, so che la tua bacchetta brillerà in battaglia contro la grande ombra! E il solo pensiero mi rassicura!"

Il Dio dei Mercanti non comprese le parole di Era, limitandosi a ricambiare il sorriso fiacco, mentre questa richiudeva il portone di fronte a sé, lasciandolo fuori da tutto, dal suo dolore e dalla sua decisione. Rimase per qualche secondo a pensare, prima di abbandonarsi ad un sospiro e incamminarsi verso la Sala del Trono. Efesto era a lavoro da giorni ormai, su quelle che, a sentir lui, sarebbero state le sue migliori creazioni, e Ermes avrebbe contribuito a renderle tali.

***

Rimasta sola, Era fece la sua scelta. Ci aveva riflettuto a lungo, in quelle ultime fredde notti prima della fine, soprattutto dopo che Nettuno aveva scoperto la verità, riportando a galla antiche memorie sommerse dalla marea del tempo. Una marea che aveva avuto origine neppure tre secoli addietro, quando il suo temperamento era ben diverso, molto più simile al sanguigno e focoso figlio che aveva quasi conquistato l’Olimpo, scatenandovi contro la furia di Tifone e dei suoi berseker.

Ma il tempo era passato anche per lei, per tutti loro, Dei che non avevano mai capito cosa volesse dire esserlo, o che forse lo avevano dimenticato. Del resto, da secoli ormai non ricevevano più spontanee offerte nei luoghi di culto a loro dedicati, in quei pochi, miseri e abbandonati santuari che ancora resistevano sotto strati di edera e dimenticanza. Degli Heraion di Samo e di Argo non rimanevano che qualche colonna mozzata e ricoperta di erbacce. Adesso era tempo di andare oltre vetuste contese divine, gelosie mai risolte che avevano soltanto inquinato il loro cuore, facilitando l’avvento della grande ombra. Adesso era tempo di rinascere, per lei, come per gli uomini. Adesso era tempo di restituire agli uomini il loro Protettore.

Non indugiò oltre, uscendo sul retro della reggia, passando tra i quieti giardini curati da Demetra, stando ben attenta a non incontrarla, e scendendo lungo il versante orientale, fino a raggiungere la cripta dove gli eroi dei tempi antichi riposavano. Poggiò la mano sul portone, consapevole che, una volta entrata, avrebbe avuto poco tempo a disposizione prima di essere individuata, sospirò e lo spinse, andando incontro al suo destino.

***

Nessuna torcia rischiarava il salone del Santuario delle Origini, il tempio ancestrale ove la Notte aveva radunato oscure creature e Divinità arcaiche, molte delle quali da lei partorite agli albori del tempo. Ma nessuno dei presenti aveva bisogno della luce per muoversi nell’intricato labirinto che costituiva l’ossatura del santuario, abituati a giacere nell’ombra, aspettando il giorno della sua venuta.

Il giorno del secondo avvento.

"Quel momento è adesso!" –Sibilò Nyx, in piedi di fronte all’altare di pietra grezza su cui un corpo sanguinante, di ferite ancora fresche, giaceva.

Aveva appena fatto in tempo a toglierlo dalle grinfie delle Empuse, che già ne avevano dilaniato le membra, assaporando sadiche il suo ichor.

"Presto avrete altre vittime con cui divertirvi!" –Aveva sogghignato. –"Mondi interi di cui cibarvi! Ma lui voglio offrirlo come dono al nostro Signore!" –E aveva gettato il cadavere di Osiride sull’ara, immergendo le mani in uno squarcio sul fianco e schizzando poi di sangue il muro retrostante, ricreando, con macabre gocce, una ben nota configurazione astrale. Quella che, ricreandosi dopo millenni, aveva permesso la riapertura del varco.

Alle sue spalle, in ginocchio e silente, l’Esercito delle Tenebre attendeva.

Un tuono squarciò il cielo in quel momento, anticipando un grido di guerra che racchiudeva la sofferenza di un mondo condannato all’estinzione. Il muro dietro l’altare si accese di una luminescenza violacea, che presto lo inglobò, spalancando un passaggio verso mondi lontani, laddove fioche stelle brillavano inquiete.

"Vi aspettavamo, Potenze del Mondo! Oh Dei gloriosi che generaste il creato! Bentornati prōtógonoi!" –Declamò Nyx, mentre tre figure di puro cosmo iniziavano ad apparire all’interno del portale, varcandolo pochi attimi dopo ed acquisendo solida consistenza. –"Dio elementare, signore dei cieli più elevati, la cui aria superiore soltanto gli Antichi han respirato! Lode a te, Etere, custode della luce più pura!"

E da una delle tre figure scaturì un riverbero così chiaro e abbagliante, intriso di essenza divina, che obbligò tutti i presenti a coprirsi gli occhi, per riaprirli soltanto quando il vero volto di Etere fu rivelato.

Al suo fianco, quasi all’istante, apparve una bellissima figura femminile, rivestita da un’armatura bianca come quella del fratello.

"Dea primordiale del Giorno, sorella e sposa della Luce più pura, lode a te, Emera, figlia mia!"

Quindi, mentre Etere ed Emera si posizionavano ai lati, per permettere alla terza figura di farsi avanti, Nyx sogghignò, alla vista del Progenitore cui si era unita un tempo. Suo fratello, sposo e generatore delle tenebre.

"Lode a te, Essenza dell’Oscurità, le cui nebbie nere avvolgono i confini del mondo e riempiono le cavità della Terra! Sei il benvenuto, possente Erebo! Sei il benvenuto, Tenebra Ancestrale!"

A differenza di Etere ed Emera, quest’ultimo non sprigionava luce alcuna, anzi il suo corpo, rivestito da una tetra armatura, pareva essere più scuro della notte stessa. Soltanto due macchie rosse risplendevano sul suo volto, occhi carichi di un perfido divertimento per la guerra che avrebbe scatenato. In nome suo e del suo creatore.

In quella le tenebre presero a muoversi e il varco alle spalle degli Dei Primordiali si allargò, mentre un’immensa sagoma di vuoto cosmico penetrava all’interno del tempio da lui eretto millenni addietro, il tempio che adesso, percependo a pieno la sua presenza, tremò, scuotendosi fin dalle fondamenta e completando infine la sua edificazione.

"Primo tra i Progenitori, creatore dell’universo e di tutti gli Dei che da te discendono, ci prostriamo al tuo servizio, Lord Caos!"

 

IL VARCO TRA I MONDI – FINE

 

© Aledileo per tutti i personaggi inediti.

 

 

 

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I CAVALIERI DELLO ZODIACO

7

SAGA DI AVALON

Parte 3 di 4

L’alba dell’ultima guerra