PROLOGO
Sedeva nelle sue stanze, nelle Stanze del Grande Sacerdote di Atene, sul velluto rosso che gli era stato offerto in dono cinquecento anni prima, da un mercante di stoffe di Venezia che aveva sfidato le perigliose acque del Mediterraneo, incurante del pericolo turco, solo per presentarsi al suo cospetto, e ringraziarla di aver dato a suo figlio uno scopo per cui vivere. E per cui morire.
La Dea sospirò, carezzando la stoffa vermiglia, delicata come il volto del Cavaliere che l’aveva onorevolmente servita, combattendo al suo fianco per la giustizia. E morendo prima ancora di compiere sedici anni. Uno dei tanti che aveva strappato alla fanciullezza, alla felicità, alla vita.
Non doveva sentirsi in colpa. Lei non aveva obbligato nessuno, non aveva minacciato nessuno dei Cavalieri, dei servitori, dei soldati semplici che erano caduti invocando il suo nome. Nessuna delle migliaia di anime che nei secoli avevano varcato la Bocca di Ade, per lei. Né il Cavaliere di Pegasus, né Adamant il valoroso, né gli alchimisti di Mu, né il primo Capricorno depositario della Sacra Excalibur, né Shin dell’Ariete, né Micene di Sagitter.
E allora perché continuava a sentirsi così? Perché continuava a dolersi, sentendosi responsabile del sangue versato, del manto scarlatto che aveva annaffiato i bei campi di Britannia, le gelide terre del Nord, le aride distese del Sahara o i gradini di marmo della scalinata del Grande Tempio?
"È il peso dei sopravvissuti l’onere più difficile da sopportare!" –Aveva detto un giorno a Shin dell’Ariete, quando lo aveva sentito piangere per la perdita di tutti i suoi compagni, durante la Guerra Sacra che aveva dilaniato l’Europa a metà del Diciottesimo Secolo. –"Devi vivere anche per loro! Devi essere uomo abbastanza per onorare le loro morti con la tua vita!"
Com’era strano, adesso, ricordare quelle parole. Le apparivano lontane, portate via dal vento, affidate a un ricordo che nessuna soddisfazione più le dava. Shin era morto e con lui tutti i Cavalieri della sua generazione, e di quella precedente e di quella ancora precedente. Tutti erano caduti mentre lei era rimasta, lei ancora esisteva.
Perché? Si chiese di nuovo, spostandosi i lunghi capelli viola dietro la schiena, con un gesto così freddo da apparirle innaturale.
Forse una risposta l’aveva, l’unica che non avrebbe voluto darsi, perché accettarla avrebbe significato vanificare gli sforzi di coloro che avevano creduto in lei, al punto da dare la vita per quel sogno. E quella risposta gliel’avevano data i suoi antichi nemici. Nettuno, Ares, Ade, Crono, in parte anche suo padre, sia pur senza ostilità.
La sua vita era una maledizione e tale infausto destino si estendeva a coloro che la accompagnavano, a coloro che standole accanto soffrivano e perivano. Del resto di nient’altro era stata capace, in tutte le sue reincarnazioni, se non generare dolore e morte tra le fila di coloro che le erano devoti e la amavano come una madre.
E quale madre vivrebbe così a lungo da vedere tutti i suoi figli cadere nell’ombra?
Eppure, per quanto dura e difficoltosa le apparisse l’esistenza a volte, costretta a sopportare il ricordo del passato, un peso che le schiacciava il cuore, mozzandole il respiro, aveva deciso di non cedere, di non lasciarsi dominare dai tumulti dell’animo e del cuore e di continuare a fare quello per cui era nata. Quello per cui così tante volte si era reincarnata sulla Terra, ad ogni occasione in cui la malvagità era aumentata e la sua presenza si era rivelata necessaria per contrastarla.
La mia presenza, o quella dei Cavalieri che in mio nome combattono? Si chiese, spostando lo sguardo alla sua destra, dove tre ragazzi che amava stavano parlando tra loro, a bassa voce, per non disturbare la sua meditazione, convinti che la Dea fosse stanca per le battaglie sostenute di recente.
"Milady!" –Esclamò Pegasus, notando che la fanciulla aveva volto lo sguardo nella loro direzione.
"Sto bene, grazie, Pegasus!" –Rispose Atena con un sorriso.
"È successo ancora?" –Chiese Andromeda.
"Sì!" –Annuì la Dea. –"Sembra che non riesca a controllare il flusso dei miei ricordi, che continuamente, non appena chiudo gli occhi, mi aggrediscono e mi portano indietro nel tempo, sempre più indietro! E ogni volta, lo ammetto, c’è sempre qualcosa in più che riesco a ricordare, un frammento di memorie sepolte nella Divina Volontà di Atena che ancora non ho completamente recuperato!"
"Il Grande Mur ha definito come "resistenza" questo atteggiamento della vostra mente, un meccanismo psichico, di difesa se vogliamo definirlo così, che impedisce a contenuti rimossi un tempo di tornare nuovamente coscienti!"
"È probabile che sia così! Soltanto quando tutte le barriere della mia mente saranno state abbattute potrò finalmente essere Atena! Finalmente essere la Dea!"
"E quel momento… quando arriverà?" –Chiese Pegasus, con voce titubante.
Non voleva dirlo, davanti alla Dea che aveva giurato di proteggere, né di fronte ai suoi compagni, ma c’era qualcosa, nell’idea che la Divina Volontà prendesse pieno possesso del corpo di Isabel, che lo spaventava. Qualcosa che gli faceva temere che, qualora fosse accaduto, l’avrebbe persa per sempre, separati da una distanza che non sarebbe più stato in grado di colmare.
La distanza tra un uomo e un Dio.
Atena non rispose, limitandosi ad un sorriso scarso, ma fu un’altra voce, ben più profonda e magnifica, a parlare per lei.
"Il tempo è prossimo, Dea della Guerra, affinché la tua crescita sia completa! E certo non è casuale che quel momento sia adesso!"
Pegasus e i suoi amici si voltarono verso il portone d’ingresso, dove l’elegante sagoma del Signore dell’Isola Sacra era apparsa. Rivestito delle sue bianche vesti, dai ricami color argento, che parevano fluttuare a ogni movimento aggraziato dell’uomo, Avalon camminò sul tappeto rosso, seguito da tre Cavalieri delle Stelle.
"Sono lieto di rivedervi, Cavalieri dello Zodiaco!" –Esclamò, fermandosi ai piedi della rampa che conduceva al trono, sui cui gradini Pegasus, Phoenix e Andromeda si erano appena messi in piedi. Un po’ sorpresi da quella visita per loro improvvisa.
Non così era Atena.
"Siete pronta, instancabile figlia di Zeus, Atritonia?" –Domandò Avalon, offrendole il braccio. La fanciulla annuì, alzandosi in piedi e afferrando lo Scettro di Nike, poggiato a fianco del trono, prima di accettare il braccio del Signore dell’Isola Sacra e incamminarsi assieme a lui verso la grande terrazza sul retro.
Alle loro spalle Pegasus, Andromeda e Phoenix si accodarono ai tre Cavalieri delle Stelle, sebbene conoscessero soltanto due di loro.
"Reis, Jonathan e Matthew! Su di loro è ricaduta la mia scelta!" –Declamò Avalon, uscendo all’aria aperta, in quella fresca notte d’autunno, prima di voltarsi verso i Cavalieri dello Zodiaco. –"Sono invece loro che ti accompagneranno?"
"Sì!" –Rispose Atena, di fronte agli occhi straniti di Pegasus e degli altri, che ancora non avevano chiaro il motivo dell’improvvisa convocazione.
Erano ancora ad Atene, alloggiati assieme ai soldati semplici, con cui condividevano il rancio e le fatiche della ricostruzione del Grande Tempio, quando Mur dell’Ariete li aveva raggiunti, informandoli che la Dea voleva conferire con loro quanto prima. E pregandoli anche di portare con sé gli scrigni delle Armature Divine.
Incuriositi, Pegasus, Phoenix e Andromeda avevano comunque obbedito alle direttive del Cavaliere di Ariete, ma non avrebbero certo immaginato che il Signore dell’Isola Sacra sarebbe stato presente a quell’incontro. Del resto, quell’uomo era ancora un mistero, per loro come per altri.
"Molto bene! Possiamo procedere! Jonathan?!" –Esclamò Avalon, rivolgendosi al Custode dello Scettro d’Oro.
Il ragazzo dai capelli biondo cenere annuì, sollevando il Talismano ed espandendo il proprio cosmo, luminoso ed etereo, di fronte agli occhi trasognati di Pegasus e dei suoi compagni, che osservarono sciami di comete avvolgersi attorno al suo corpo, in uno sfavillio di luci.
"Finora avete ammirato soltanto la potenza offensiva di quest’asta dorata, Cavalieri!" –Parlò Jonathan, con gli occhi chiusi. –"I devastanti raggi di energia che è in grado di emettere, al pari della spada custodita da Reis! Ma vi è un altro potere che contraddistingue il manufatto da me protetto, il vero potere del Cavaliere dei Sogni!" –E nel dir questo il fiore sulla cima dello scettro si aprì, emettendo un ventaglio di luce dorata che rischiarò la sera di Atene.
"Meraviglioso…" –Mormorò Andromeda, affascinato. E Reis, in piedi accanto a lui, gli pose una mano su una spalla, sorridendogli amabilmente.
"Voi sapete dove vanno a finire i sogni? Le fantasie smarrite dagli uomini? Le cose che gli uomini dimenticano, troppo indolenti per sforzarsi di ricordare? Molti credono che vadano perduti, ma in realtà niente lo è mai! Neppure i sogni, pur che si abbia la forza di lottare affinché si avverino!" –Continuò Jonathan. –"Proprio di tali voli pindarici, perduti o correnti, io sono il custode! L’uomo preposto alla difesa del varco che conduce ad altri mondi! Io sono il Cavaliere dei Sogni e questa è la mia luce!"
Lo sfavillante ventaglio si rivolse verso il basso, chiudendosi attorno al piccolo gruppo e generando una colonna di luce aurea che li circondò, squarciando il cielo e sollevandosi verso le profondità dell’universo. In quella colonna di luce Avalon sorrise, tenendo Atena al suo fianco, prima che entrambi ne venissero inghiottiti, seguiti all’istante da Pegasus, Andromeda, Phoenix, Reis, Matthew e Jonathan.
Alla Settima Casa Libra vide la spirale luminosa sprofondare nel cielo notturno. Atena lo aveva preventivamente informato di quel che sarebbe successo, affidandogli il comando del Grande Tempio in sua assenza. Il Cavaliere d’Oro sospirò, augurandosi che Nike proteggesse la Dea e i suoi compagni anche quella volta.