CAPITOLO SESTO: HYBRIS.

"Fatti sotto, canaglia!" –Esclamò Pegasus, cercando di mascherare con ironia la paura che lo strapotere del suo avversario inculcava in lui. Sebbene, alla vista del Dio armato e sanguinario che gli si stagliava di fronte, nel cuore del Cerchio di Urano, vi fossero davvero pochi motivi per sorridere.

"Non aspettavo altro, cane d’un Cavaliere!" –Ringhiò Ares con voce possente, torcendo le labbra in un ghigno bastardo. La lancia nella sua mano avvampò in una spirale fiammeggiante mentre il Dio la puntava avanti, in rapidi e virulenti affondi, che Pegasus fu svelto ad evitare, balzando di lato in lato, senza uno schema preciso, sperando di trovare un’apertura sufficiente per contrattaccare.

Ma Ares non gli dava tempo per riflettere, muovendo l’arma con precisione e velocità, stupendo lo stesso Cavaliere per l’agilità che pareva dimostrare, pur con quell’armatura da battaglia che lo rivestiva, utile certamente ma anche pesante.

Eppure non mostra segni di stanchezza. Anzi, sembra persino più in forze rispetto al nostro ultimo scontro. Rifletté Pegasus, schivando un affondo nemico, che aveva mirato dritto al suo viso. E non difetta di precisione. Aggiunse, con un brivido, ritenendo di non poter rimanere passivo ancora a lungo. Approfittando di un nuovo tentativo di piantargli la lancia nel volto, Pegasus si buttò indietro, le ali dell’armatura ripiegate su se stesse, fece una capriola e atterrò in verticale, molleggiando sulle mani e usandole poi per darsi una spinta verso l’alto.

"Hop!" –Esclamò, spalancando le ali del destriero celeste ed espandendo il proprio cosmo. –"C’è aria pulita, quassù." –Ironizzò, gettandosi poi sul Dio nemico con il pugno sfrigolante energia cosmica. –"Fulmine di Pegasus!!!"

L’attacco dall’alto obbligò Ares a cambiare posizione, puntando continuamente la lancia per distruggere ogni singola sfera energetica che il Cavaliere dirigeva verso di lui, in un impegno continuo e costante che, se pur lo stancò, non lo rabbuiò. Anzi, nell’ultimo affondo spinse la lancia in profondità, avvolta in spirali di fiamma che turbinarono attorno al corpo di Pegasus, distraendolo al punto da farlo sbandare ed esporlo al rinnovato assalto del Dio.

"Sei mio!" –Digrignò i denti Ares, sollevando un turbine di vampe energetiche con cui travolse il Cavaliere di Atena, scaraventandolo molti metri addietro, fino a farlo sbattere contro il muro che separava il Cerchio di Urano da quello di Nettuno.

Nel loro continuo scontrarsi, i due contendenti si erano allontanati dal centro del cerchio, lasciando spazio a sufficienza affinché Phoenix e Discordia potessero confrontarsi. Anche il resto dell’esercito dei Signori della Guerra era andato oltre e Ares poteva sentire le loro grida, e quello delle Makhai, infiammare l’aria, accrescendo in lui la fame di guerra. Del resto, di quella era sempre stato bramoso, al punto da meritarsi l’epiteto di insaziabile.

Aatos polemoio lo chiamavano gli antichi greci. E sebbene i secoli fossero passati, gli uomini e i loro regni nati e sepolti, egli ancora restava il sanguinario, furioso, distruttore di uomini. E di Dei. Aggiunse con un ghigno, ricordando imprese recenti.

Divertito, accostò due dita alla bocca e fischiò, voltandosi verso lo spiazzo ove aveva ferito il Selenite e lasciato il suo carro da guerra, lo stesso carro che adesso gli stava venendo incontro trainato da due particolari creature. Anche Pegasus, appena rimessosi in piedi, le notò, tenendosi la testa stordito dallo schianto, e non riuscì a reprimere un moto di disgusto di fronte alla nuova diavoleria del crudele Dio.

"Che razza di bestie da soma usi?!" –Bofonchiò, osservando le due violacee evanescenze farsi più vicine, per quanto non riuscisse a distinguerne i tratti.

"Il motivo per cui sono stato costretto a ritardare il nostro incontro, del resto due spiriti sono ancora troppo pochi per correre veloce. Ma quando ne avrò nove, vedrai come sfreccerò. Ben più rapido di quanto non possa muovermi adesso!" –Sogghignò Ares, ottenendo uno sguardo confuso da parte del ragazzo che subito chiese chi fossero costoro. –"Spiriti di certo non combattivi come te, e forse neanche come il vecchio che ho infilzato poc’anzi. Pare che i loro nomi fossero Chandra e Tsukuyomi, i custodi dei cerchi più esterni. Misera vita la loro, dimenticati e poco venerati dai seguaci dell’induismo e dello scintoismo, si sono esiliati dal mondo solo per incontrare una triste morte su quest’ermo satellite. Triste ma di certo non veloce. Ooh, no! Sai bene che a me piace… giocare! Ahr ahr ahr!!!"

"Bastardo!!! Li hai torturati?!" –Avvampò Pegasus, schizzando avanti, proprio come Ares si aspettava. Gli bastò muovere un braccio a spazzare per generare un’onda di energia fiammeggiante con cui investì il Cavaliere di Atena, frenando la sua corsa e spingendolo in alto, senza difese, esposto al taglio della sua arma.

"Dòru àimatos!!!" –Tuonò, portando un unico preciso affondo che raggiunse Pegasus sull’interno del braccio, poco sopra l’ascella, laddove l’armatura divina non lo proteggeva. Fu un taglio veloce, prima che il Cavaliere spazzasse via le fiamme con un’esplosione di cosmo e balzasse indietro, a distanza di sicurezza.

Sebbene mai nessuno spazio sia ampio abbastanza per contenere la furia bellica di Ares. Bofonchiò, toccandosi la ferita sanguinante e stringendo i denti, per quanto gli dolesse, come se le fiamme dell’inferno gli avessero invaso l’animo.

Ares lo notò e ne fu soddisfatto. –"Sei prevedibile! Pur tuttavia mi diverto a lottare con te, Cavaliere di Pegasus! Mai nessuno mi ha impegnato a fondo come tu mi obblighi a fare! Tiri fuori il lato migliore di me, sentiti onorato di ciò!"

"Figuriamoci il lato peggiore!" –Ironizzò Pegasus.

"Oh, presto conoscerai anche quello! Meriti di conoscerlo, in virtù dei peccati di cui tu e i tuoi compagni vi siete macchiati! La colpa più grave ricade su di voi e porta un nome preciso: hybris!"

"Hybris?!"

"La tracotanza con cui avete osato sfidare il divino! La superbia con cui avete violato leggi immutabili che asseriscono la superiorità degli Dei sugli esseri umani! Solo per questo meritate la morte! Il fatto poi che siate succubi di quell’insulsa verginella, che da secoli seduce ragazzini in pubertà mandandoli a morire al posto suo, non fa che aumentare il piacere di uccidervi!" –Ghignò il sanguigno figlio di Zeus, senza perdersi l’espressione indignata comparsa sul volto del ragazzo nell’udir parlare in quel modo della sua Dea.

"Non osare offendere Atena, farabutto che non sei degno neppure…"

"Vedi?! Ha sedotto anche te! Ahr ahr ahr! Che cosa ti ha offerto, Cavaliere? Con quale malizia ha ottenebrato il tuo senso di giudizio, spento la tua obiettività e convintoti al suicidio? Perché solo morte incontrerai quest’oggi, sfidando Ares Brotoloigos!"

"Che cosa mi ha dato?! Che cosa mi ha dato?!" –Strillò Pegasus, faticando a reprimere la rabbia, salvo poi rendersi conto, mentre il suo inconscio rispondeva candido alla domanda di Ares, che tutto quell’ardore che covava dentro, e che da mesi reprimeva, non era affatto rabbia ma un sentimento più puro e più bello, capace di scuotere universi interi. –"Mi ha dato amore!!!" –Ammise, infiammando il suo cosmo oltre ogni limite, stupendo lo stesso Ares e obbligandolo persino a un passo indietro. –"Qualcosa che tu non hai mai avuto, né mai avrai! Cometa di Pegasus, splendi!!!"

"Maledetto moccioso impertinente!" –Ringhiò il Dio, portando avanti la Lancia di Sangue, avvolta in un turbine di fiamme, e lasciando che l’attacco del Cavaliere vi collidesse. Per qualche secondo i due poteri rimasero in equilibrio, con Pegasus che brillava nel suo cosmo azzurrino e Ares che avvampava in mille striature rossastre. Ma poi, temendo che il ragazzo potesse spingersi oltre, e consapevole di quel che aveva risvegliato, il figlio di Zeus espanse ulteriormente il suo cosmo, muovendo il braccio sinistro e liberando un secondo assalto che prese Pegasus alla sprovvista.

"Ira di Ares!!!" –Ruggì, investendo il ragazzo in pieno. Per quanto non lanciato a piena potenza, il colpo fu sufficiente per sbalzare Pegasus indietro, di nuovo contro il devastato muro di confine, permettendo ad Ares di trafiggerlo una seconda volta con la lancia, stavolta nell’interno coscia, strappandogli un grido di sofferenza.

"Godo! Sì, godo come un cane in calore nell’udire i tuoi gemiti selvaggi! Gemiti che io ti ho procurato!" –Lo irrise il Nume, mentre Pegasus si accasciava a terra, tenendosi la gamba dolorante. –"Suvvia sono solo due tagli! Sii uomo per sopportarli! In fondo, quanti me ne hai provocati tu? Due figli almeno me li hai portati via! Non che mi curassi del loro destino, ma Phobos e Deimos avrebbero potuto essermi ancora utili!"

"Ti ascolti quando parli?" –Ansimò Pegasus, faticando nel rimettersi in piedi. –"O sono solo i deliri di un Dio prossimo al tramonto? Perché se ti udissi, rabbrividiresti, tanto meschini e vacui sono i tuoi pensieri. I pensieri di un uomo solo, senza amici, famiglia o amore. I pensieri di un vecchio inacidito vinto dalla vita."

"Belle parole, Pegasus, ti applaudirei quasi, non avessi una mano impegnata a reggere la lancia che ti perforerà il cuore!" –Rise Ares, manovrando l’arma divina in nuovi pericolosi affondi. –"Dòru àimatos!!!" –Tuonò, investendo Pegasus con il suo attacco per la terza volta.

Stanco e ferito, il ragazzo fece appena in tempo a voltarsi, venendo raggiunto sulla schiena dalla lancia nemica, che gli sfondò l’ala sinistra, conficcandosi poi nell’armatura, che ne frenò la perforazione.

"Le vestigia che indossi ti hanno salvato. Merito del mithril di cui Efesto ti ha fatto dono, l’ultimo rimasuglio dello splendore olimpico. Quasi mi commuove il pensiero che l’abbia ceduto a voi, zingari destinati a cadere per mia mano!" –Ringhiò Ares, balzando su Pegasus e immobilizzando il ragazzo a terra sotto il peso suo e del suo cosmo infuocato. –"Ma alla lunga anche la miglior difesa ha una falla. Basta una crepa per far crollare una diga! Ahr ahr!" –Ghignò, imprimendo maggior forza alla sua lancia, nel tentativo di sfondare la corazza e piantarla nel corpo agonizzante di Pegasus. –"Che c’è, ragazzo? Sei fiacco? Non dormi bene la notte? Io invece sono fresco di forze e pronto a mille giorni di guerra!"

Il Cavaliere non rispose, continuando a radunare le proprie energie, pur dovendo ammettere che le parole di Ares erano vere. Era davvero stanco. Stanco della guerra, stanco delle morti e delle barbarie, stanco di dover lottare continuamente senza mai potersi riposare. A volte lo invadeva la consapevolezza di non aver fatto altro nella vita, di non essere degno di ulteriore ricordo che non la lapide che avrebbero posto sulla sua tomba, a imperitura memoria del combattente che non riposava mai.

Eppure… Mormorò, stringendo i pugni, incurante degli affondi nemici. Tutte queste battaglie, tutto questo correre e andare avanti, contro sempre nuovi nemici, deve essere servito qualcosa, non soltanto a riempire lo spazio vuoto di questa parentesi di vita terrena. Queste battaglie, queste esperienze devono essere servite… a migliorarmi. A farmi crescere. A essere uomo. Sì!!! Avvampò, espandendo il proprio cosmo azzurro. Sono un uomo, prima ancora di essere un Cavaliere. E amo, disperatamente amo!

"Isabeeel!!!" –Gridò il paladino della speranza, lasciando divampare il suo cosmo, che scaraventò Ares molti metri addietro, facendolo ruzzolare per la prima volta a terra e perdere la presa della lancia, tanto intensa era stata la deflagrazione. –"Per noi combatto. Per il nostro futuro. Non solo per te. Stavolta, anche per me!!!" –Si disse, rimettendosi in piedi, nello stesso momento in cui anche il Dio della Guerra si rialzava, e lanciandosi contro di lui, liberando una luminosa cometa energetica.

Ares non si fece prendere alla sprovvista, scatenando al qual tempo una furiosa danza di vampe incendiarie, contrastando l’attacco e generando una bolla di energia cosmica che le due forze in campo alternativamente riuscivano a spingere verso l’avversario pur senza venirne travolti.


Fu il Nume a spezzare l’equilibrio, concedendosi un ghigno beffardo quando vide Pegasus respirare a fatica, fino a costringersi a poggiare un ginocchio a terra, il volto madido di sudore. –"Avevo dimenticato di dirtelo, ma la Lancia di Sangue è intrisa di curaro. Lo conosci? Un delizioso veleno di fabbricazione casalinga. Un apprendista della Regina Nera ne strappò la ricetta agli indigeni di un tempio in Amazzonia, dopo averli torturati! Perdoni la mia smemoratezza? Sto invecchiando, in fondo! Ahr ahr!" –Rise il Dio, incrementando la potenza del suo attacco fino a travolgere il Cavaliere di Atena e schiantarlo a terra, facendogli perdere persino l’elmo dell’armatura. –"Potrei lasciarti al suolo agonizzante e attendere che il veleno faccia il suo effetto! Potenziato dal mio cosmo divino, impiegherà ben poco a prenderti la vita, ma sarebbe come concederti un lungo lasso di tempo che non meriti vivere!"

"Ma.. ledetto…" –Tossì Pegasus, che adesso comprese come mai i suoi riflessi si fossero appannati negli ultimi scambi di colpi. Fece per rialzarsi, ma un turbine di fiamme lo piegò a terra, forzandolo a rimanere immobile intanto che Ares sollevava la lancia e gli diceva addio.

"Oplà!!!" –Gridò allora una voce, mentre un’esile figura balzava contro la schiena del Dio, spingendolo in avanti e facendogli perdere la presa sulla lancia, spezzando anche la concentrazione necessaria per evocare le vampe di fuoco. –"Appena in tempo, a quanto pare! Sveglia, ragazzo! Hop hop!"

"Abbattuto da un patetico coniglio lunare?!" –Ringhiò Ares, che aveva riconosciuto il vecchio custode del Cerchio di Urano. –"La senilità ti ha estorto il senno?!" –Avvampò, rialzandosi prontamente e dirigendo un violento assalto infuocato contro Tecciztecatl, che fu lesto a saltare all’indietro, sempre a piedi uniti, atterrando dietro al carro da guerra, che gli offrì temporaneo riparo dalla furia del Nume.

"La senilità mi ha cambiato in molti modi, Ares, ma non mi ha reso indolente o codardo, solo un po’ smemorato. Ma la vista di quel ragazzo che con disprezzo hai massacrato mi ha ricordato chi sono! Un Dio di pace, che assieme a otto compagni accettò l’offerta della greca Selene di fondare un nuovo mondo, liberi di vivere e invecchiare assieme." –Commentò Tecciztecatl, mentre il cosmo infuocato di Ares distruggeva parte del suo stesso carro. –"Quando abbandonammo la Terra, e i suoi mali, vi lasciammo anche una parte della nostra essenza divina, quella che dipendeva dalla venerazione e dall’amore sincero dei nostri fedeli, convinti di poterne fare a meno, di non averne bisogno nel paradiso che avremmo edificato. Ingenui, non pensammo che ci avrebbe reso deboli!"

"E ciò è evidente!" –Tuonò Ares, investendo il Selenite di Urano con una tempesta di fuoco e schiantandolo a terra, con larghe crepe sulla corazza e la pelle ustionata. Tecciztecatl tentò di proteggersi con la sua conchiglia, ma il Nume la distrusse con il suo cosmo rovente, privandolo di ogni difesa.

"Lascialo stare!!! È me che vuoi!" –Urlò Pegasus, cercando di rimettersi in piedi ma crollando di nuovo, piegato dal potente veleno che gli mozzava il respiro.

"Ti sbagli, Cavaliere! Voglio entrambi! Voglio tutto questo mondo! Dòru àimatos!" –Latrò Ares, richiamando la Lancia di Sangue e piantandola nel palmo della mano di Tecciztecatl. –"Inchiodato al suolo, da dove potrai guardarmi in lacrime, implorando pietà! Morirai così, vecchio giullare, nello stesso modo in cui sono morti i vetusti Dei che ti han preceduto!" –E iniziò a radunare il cosmo sulla punta dell’indice, per liberare il terribile colpo segreto in grado di far strage del suo animo. E ridurlo al fantasma di una bestia da soma.

Nell’udire quelle parole il Selenite di Urano torse lo sguardo a fatica verso i resti del carro da guerra, laddove gli spiriti urlanti di Chandra e Tsukuyomi, i volti ormai irriconoscibili, si contorcevano smaniosi. Ricordò i loro volti felici quando misero per la prima volta piede sulla Luna, ricordò le speranze per un futuro di pace e la promessa che scambiarono, assieme agli altri sei custodi, di invecchiare assieme, senza permettere a nessuno di morire da solo.

"Mi… dispiace…" –Pianse Tecciztecatl, trovando in quelle lacrime la forza per reagire. Estrasse di forza la mano da sotto la lancia, incurante del dolore di ossa e tessuti distrutti, quindi, con una rapida torsione del busto, puntò le gambe verso Ares, portando le ginocchia al petto e poi distendendo gli arti all’improvviso, colpendo il Dio in faccia e spingendolo indietro bruscamente. –"Perduti i ricordi, infrante le promesse, resta solo la vendetta e un nuovo proposito." –Disse a se stesso, radunando tutte le sue forze per l’ultimo attacco. –"Balzo del coniglio lunare!" –Esclamò, saltando appena in tempo per evitare la Lancia di Sangue e poi piombando su Ares e colpendolo di nuovo in faccia, facendogli persino volar via l’elmo.

Irato come non mai, il Nume della Guerra riuscì comunque a mantenersi in piedi, afferrando per un piede il bizzarro combattente e sbattendolo al suolo più volte, crepando del tutto la già provata corazza.

"Ti farò allo spiedo, vecchio coniglio rinsecchito!" –Sibilò, non ottenendo altra risposta che un placido silenzio. Del resto, quel che il Selenite voleva dire a Pegasus già glielo aveva comunicato. Adesso poteva solo morire. –"Ira di Ares!!!" –Furono le ultime parole che udì, prima di essere annientato.

"Non esiste niente di impossibile in questo mondo, ragazzo. Nessuna vetta che l’uomo non possa raggiungere, checché ne dicano gli Dei. Neppure loro infatti riuscirebbero ad impedire a un vecchio di morire felice." –Gli aveva sorriso Tecciztecatl, e adesso forte di quell’aiuto Pegasus bruciò il proprio cosmo, riuscendo a rimettersi in piedi.

"Curaro o meno, io ti ucciderò, Ares!" –Affermò, portando avanti il braccio destro e chiudendo le dita della mano una dopo l’altra, a pugno.

***

Sebbene non fosse sul campo di battaglia, quel che stava accadendo al Cerchio di Urano Isabel lo aveva impresso davanti agli occhi, marchiato a fuoco nelle memorie della sua esistenza. Sangue, ambascia e morte. Di offrire altro era mai stata capace? Si chiese, non riuscendo a darsi alcuna risposta, tranne quella più evidente. Un pallido no.

Sospirando, tentò di rimettersi in piedi, ma la fatica per la preghiera continua e l’affastellarsi di visioni nella sua mente l’aveva stancata più di quanto avesse creduto, e se non fosse stato per le braccia che l’afferrarono prontamente sarebbe di certo caduta.

"Mio Signore…" –Mormorò, riconoscendo le decorate vesti argentee del Custode dell’Isola Sacra, che le sorrise e la aiutò a sedersi al tavolo poco distante.

Selene si era ritirata nelle sue stanze, a piangere o a cercare consolazione nel marito, e l’Occhio era completamente vuoto, ad eccezione di una figura che attendeva in rispettoso silenzio sulla soglia. Ma Atena non la notò, la mente persa sul campo di battaglia, nel tentativo di seguire i destini di Cavalieri a cui aveva fatto da matrigna più che da madre. Eppure, ogni volta in cui pensava a Pegasus, ogni volta in cui lo immaginava rialzarsi pesto e logoro per affrontare comunque il nemico, le visioni aumentavano, il respiro si faceva affannoso, il delirio cosmico la pervadeva e non sapeva spiegarsi perché.

"Adesso tutto vi sarà chiaro!" –Le disse il Signore dell’Isola Sacra, sfiorandole la fronte con un dito e dipingendovi un segno con tinte azzurre. Una luna sorgente.

Bastò quel tocco, quel lieve pizzicore, a precipitarla di nuovo tra i ricordi delle sue vite passate, per abbracciarle tutte, fin dal suo concepimento. Boccheggiando, Atena fu travolta da un flusso estenuante di visioni, che camminavano di pari passo con le sue reincarnazioni, avvenute in momenti fondanti della storia umana. Una, più di ogni altra, pareva riservarle ricordi maggiori, memorie insepolte mai del tutto obliate.

Quel volto…, mormorò Atena, ricordando l’eroe che uccise la famelica bestia divenendo di diritto il suo Primo Cavaliere, l’archetipo di una stirpe di eroi. E dando vita alla maledizione!

"Ricordate, Dea Atena! Non abbiate paura!" –Commentò Avalon con voce pacata, sostenendola nel suo viaggio ma accorgendosi ben presto del cambiamento in atto, non abbisognando lei più della sua guida. –"Abbandonate la Vergine Dea, la fanciulla che non voleva amare, e diventate ciò che siete preposta ad essere!"

Fu allora che Atena la udì, nitida nella sua mente, la melodia pizzicata quel giorno a Mount Badon, sull’alto colle di Britannia, quando a fianco di Zeus Tonante aveva fronteggiato il nemico. E assieme a loro c’erano i Cavalieri di Glastonbury, i bianchi destrieri cresciuti ad Avalon, guidati dal Signore dell’Isola Sacra in persona. Era stato il loro ultimo incontro, quindici secoli addietro, ma lo avevano suggellato con la promessa di combattere di nuovo insieme.

"Quando?" –Aveva chiesto la Dea dal volto stanco al termine della campagna bellica.

Avalon non aveva risposto, limitandosi a sorridere e a lasciare che le note di un’arpa riempissero il cielo, le stesse note che, le aveva detto, avrebbe udito alla fine dei tempi, a scandire gli ultimi atti di un’infinita guerra tra luce e ombra.

"E quel momento è ora!" –Esclamò la figura rimasta in disparte, l’uomo che Selene aveva presentato come Principino della Luna, il bardo che secoli addietro suonò quel motivo a Mount Badon. Un motivo di vittoria, per celebrare la sconfitta del nemico comune, con valore anche di memorandum. –"Ora che siamo alla fine di tutte le cose!"

"Ricordi, Atena? Ricordi chi sei?" –Le chiese Avalon, cui la donna annuì, fissandolo negli occhi argentei.

"Sono Atena! La Dea della Guerra!"

***

La deflagrazione energetica scagliò entrambi indietro di parecchi metri, aprendo per la prima volta uno squarcio sulla Veste Divina di Ares. Che ne fosse consapevole o meno, Pegasus aveva risvegliato il Nono Senso e questo intimoriva il Dio della Guerra, deciso a scrivere la parola fine su quella battaglia, forte anche del curaro che aveva intossicato il ragazzo e gli rendeva pesante ogni singolo respiro. Dalla sua parte, oltre alla maggior freschezza di forze, aveva anche un’arma capace di perforare una corazza divina, la Dòru àimatos, un’arma che di Ichor si era cibata più volte.

Ma mai abbastanza! Sogghignò il Nume, impugnando l’asta infuocata e puntandola avanti, liberando migliaia e migliaia di strali venefici contro il Cavaliere, che ormai si muoveva più per istinto di sopravvivenza che non per reale coscienza.

Bruciando il cosmo, Pegasus riuscì a respingere numerosi affondi della Lancia di Sangue, evitando quelli laterali, che non lo impensierivano, e concentrandosi su quelli che puntavano al volto e ai pochi punti scoperti della sua corazza. Ma proprio quelli, come temeva, erano la maggior parte.

In strategia, Ares non è certo carente! Si disse, proprio mentre il Dio, calando con violenza un piede al suolo, generava una faglia fin sotto i piedi del ragazzo, da cui vampe infuocate iniziarono a scaturire, travolgendo il Cavaliere e scaraventandolo indietro. Pegasus tossì, affannando nel disperato tentativo di rimettersi in piedi, ma venne afferrato per il collo dalle massicce mani di Ares, il quale, abbandonata la lancia, voleva godersi il tanto atteso momento di trionfo, assaporandolo fino in fondo, ubriacandosi del sangue che a breve sarebbe sgorgato dalla gola del ragazzo.

"Guarda, Vergine Dea, la fine dei ragazzi a cui hai promesso il cielo! L’abisso oscuro di Tartaro invece li attende! Compiangili e pentiti per la tua dannata esistenza!"

Pegasus non rispose, lasciando il Nume alle sue chiacchiere di gloria, convinto che volesse soltanto distrarlo. Distrarlo dalla sua missione e dal suo futuro. E non è a questo che devi pensare, Pegasus. Disse una voce dentro sé, rifocillando il suo animo inquieto. Ma ai motivi per cui devi vincere. Sono tanti, e li conosci bene. Troppi anche solo per avvalorare la lontana ipotesi di una sconfitta. Per cosa combatti, Pegasus? Te lo chiedi da anni, da quando salisti sul ring al Palazzo dei Tornei e non credo la risposta sia cambiata. Anzi, gli anni le hanno dato ancora più valore.

Per rendere giustizia a coloro che ho perso, e che Ares ha ucciso! Sospirò, ricordando i volti dei Cavalieri di Bronzo e d’Acciaio sterminati durante la Grande Guerra, assieme al Custode dell’Ottava Casa dello Zodiaco. E l’idea che su quelle picche, ad essiccare al sole, avrebbero potuto esserci anche Patricia e Fiore di Luna lo fece rabbrividire. Ma pensando alla sorella gli sovvenne il secondo motivo che lo spingeva a lottare, la seconda parte della risposta.

Per coloro che mi aspettano a Luxor! Sorrise, ricordando l’infanzia al collegio Saint Charles, le corse con la sorella che lo cullava quando era stanco, i giochi con Lamia e le partite a pallone con Smarty e Sancho. Partite a cui spesso anche Andromeda, Sirio e Cristal si erano uniti. Ed era certo che, se ne avesse avuto occasione, anche Phoenix non si sarebbe tirato indietro.

Per i fratelli di sangue con cui ho diviso la vita! Fratelli che da anni lottavano al suo fianco, in nome di Atena.

E per coloro che amo!

Non ebbe bisogno di aggiungere altro, che l’immagine di Isabel con i capelli mossi dal vento, seduta tra le sue gambe in un fresco tramonto, era stampata di fronte ai suoi occhi, memento mori di ciò che non sarebbe mai potuto essere.

Con un ultimo ruggito, radunò le energie rimaste, forte dei sentimenti accumulati in anni di battaglie, e sollevò le mani fino ad afferrare i bracciali dell’armatura di Ares, intento a stritolargli il collo. Nonostante la vista annebbiata e il respiro rantolante, ne vide lo stupore e ne udì il grido scioccato e scocciato quando, facendosi forza, allontanò le braccia del Nume dal suo collo, lasciando le callose dita ad afferrare il vuoto. Gli avrebbe volentieri sputato in faccia, avesse avuto abbastanza saliva da offrirgli. Invece poté solo colpirlo con una sventagliata di calci, da distanza ravvicinata, sufficienti per spingerlo indietro e schiantarlo su quel che restava del suo carro da guerra.

Quando si rialzò, gridando come un forsennato, Ares osservò con orrore una crepa sul pettorale della Veste Divina, proprio dove la scarica di calci di Pegasus lo aveva raggiunto.

"Quel che mi hai detto poc’anzi lo rigiro a te, bamboccio! Sei morto! Dòru àimatos!!!" –Sbraitò, scattando avanti, lancia in pugno, e liberando migliaia di strali incandescenti.

Pegasus avrebbe voluto rispondergli a tono, ma, troppo debole per parlare, poté soltanto muovere il braccio per inerzia, per parare gli affondi nemici. Ma quando sentì di averne mancati un paio, quando sentì la lama cozzare contro l’Armatura Divina, capì di non essere in grado di combattere ancora. E cadde, ginocchia a terra, proprio mentre l’assetata lancia mirava al suo collo.

Sdeng!

Un suono cristallino, sia pur metallico, lo scosse dal torpore, costringendolo a risollevare lo sguardo spento verso la figura che improvvisamente si era posta di fronte a lui, riparandolo dietro un massiccio scudo rotondo. Non capì chi fosse, a chi appartenesse quell’armatura dorata, finché la donna non si voltò a guardarlo, e a sorridergli.

"Per una volta lascia che sia io a proteggere te!" –Commentò, prima di essere richiamata dalla rude voce del figlio di Zeus.


"Finalmente scendi in campo, Atena Parthenos!"

"Quell’epiteto più non mi appartiene!" –Esclamò la fanciulla dai capelli viola, bardata dalla sua Veste Divina, con lo Scettro di Nike nella mano destra e l’Egida a protezione del braccio sinistro. –"Adesso che ho ritrovato me stessa, la Dea che era in me! Io sono Atena Promachos, la conduttrice degli eserciti in battaglia! Io sono la Dea Guerriera!"

Avalon, con la mano appoggiata al vetro dell’Occhio, ne udì le parole e sorrise.