CAPITOLO QUARANTESIMO: L’ULTIMA ALLEANZA.

L’arena del Grande Tempio era gremita di gente, come non lo era da molto tempo, quasi due anni ormai. Dall’unica volta, durante la sua corrente incarnazione, in cui Atena aveva convocato un’assemblea generale di tutti i Cavalieri, soldati e fedeli, poco dopo la caduta di Gemini e la fine della guerra civile che aveva dilaniato il Santuario.

Pegasus, entrando nell’arena e prendendo posto sulla tribuna d’onore, assieme ai suoi quattro compagni, ricordò quel giorno, il sole che risplendeva sul volto di Lady Isabel, ripresasi dalla ferita della freccia di Betelgeuse e pronta per portare la pace al Grande Tempio. A pensarci adesso, a ripensare alla contentezza di quel momento, quando per la prima e unica volta avevano davvero creduto che la guerra fosse finita, che non vi fosse più da combattere, il ragazzo sorrise, scuotendo la testa. Una vita fa. Si disse, spostando lo sguardo sugli spalti e passando in rassegna tutti i presenti.

La gradinata laterale era occupata dai Cavalieri di Atena, sebbene ben pochi fossero rimasti, decimati dalle guerre interne e dagli scontri provocati dal figlio di Ares. Pegasus notò subito le chiome colorate di Castalia e Tisifone, in prima fila, ripresesi dalle ferite, affiancate da Nicole, Yulij del Sestante, Asher e Nemes, accorsa prontamente alla convocazione di Atena. Dietro di loro, in rigoroso silenzio, quasi temessero di poter essere sgridati in qualsiasi momento, aspettavano Reda e Salzius. Completavano la tribuna, per quanto non fossero Cavalieri, alcune aspiranti sacerdotesse, i più anziani soldati semplici e membri della Fondazione fedeli a Lady Isabel: il professor Rigel, accompagnato dai fratelli d’acciaio, e Cliff O’Kents.

Alla loro destra Cristal aveva fatto accomodare la delegazione giunta da Asgard, guidata dalla Celebrante di Odino, Flare di Polaris, scortata da alcune Guardie della Cittadella capitanate da Bard. Sotto di loro sedeva la Dea della Luna, splendida nel suo vestito color panna, con l’amato Endimione che le reggeva la mano e le sue figlie assise tutte attorno, guardate a vista da Shen Gado dell’Ippogrifo e dai Seleniti sopravvissuti: Igaluk, Hubal, Avatea, Sin degli Accadi e Mani.

A rappresentare l’Olimpo vi erano il Luogotenente dei Cavalieri di Zeus, Nikolaos dell’Eridano Celeste, assieme ad Euro, il nobile Vento dell’Est, amico ed estimatore dei Cavalieri di Atena, e all’Imperatore dei Mari, la cui apparizione al Grande Tempio aveva subito provocato una certa tensione, soprattutto da parte dei Cavalieri d’Oro e d’Argento. Ma poi Pegasus era intervenuto, ricordando l’aiuto che Nettuno aveva dato loro durante la Guerra Sacra inviando le armature d’oro nell’Elisio.

"Questo non significa che abbiamo dimenticato i morti che il diluvio da te scatenato ha causato in tutto il mondo!" –Aveva comunque messo in chiaro il Cavaliere di Atena, prima che il Dio prendesse posizione, accompagnato dalla graziosa sirenetta.

Completavano l’ampia tribuna centrale Tirtha e alcuni santoni indiani e una delegazione giunta all’ultimo istante, sorprendendo tutti i Cavalieri di Atena, tranne Ioria, che aveva riconosciuto colui che la guidava. Horus, il Dio falco, scortato da un gruppo di Guerrieri del Sole, arrivato in rappresentanza dell’Egitto.

La terza sezione degli spalti, quella vicino all’ingresso nell’arena, era invece riservata ai Cavalieri delle Stelle, presenti finalmente in formazione completa: Jonathan, Reis, Marins, Febo, Matthew, Elanor e il Comandante Ascanio Pendragon, l’unico il cui sguardo trasudava fermezza e determinazione, anche in quella delicata situazione. Alle loro spalle sedevano alcuni druidi e sacerdotesse di Avalon, quelli più giovani e più propensi a viaggiare, affiancati da una delegazione di soldati Inca che Jonathan aveva portato con sé dal Sudamerica.

L’ingresso di Atena nell’anfiteatro mise a tacere il chiacchiericcio diffuso, catalizzando tutti gli sguardi sulla fanciulla dai capelli viola, che si presentava ai suoi Cavalieri e agli ospiti ammessi a quell’improvvisato consiglio con un delizioso, quanto semplice, abito bianco. Un peplo di lana, tessuto dalle ergastine del Santuario, fissato sulla spalla da una fibula dorata rappresentante una civetta. La affiancava Kiki, splendido nell’abito da cerimonia, che reggeva un cuscinetto su cui erano posati diversi rami d’olivo.

Alle sue spalle procedevano attenti i pretoriani dorati, Ioria del Leone, Mur dell’Ariete e Virgo, quest’ultimo stanco e provato per la possessione subita, ma deciso a farsi forza e a non cedere proprio adesso. A un passo dalla fine.

Mentre Atena saliva i gradini di marmo, per prendere posizione sulla tribuna dell’arena, nel posto solitamente riservato all’officiante, il Cavaliere della Vergine non poteva fare a meno di sudare freddo, ben sapendo quel che sarebbe accaduto. Del resto, lui prima di tutti aveva scoperto il nome del loro avversario, sebbene il termine non fosse adatto ad indicare la terribile entità con cui avrebbero dovuto confrontarsi. Il motivo per cui così tanto sangue era stato versato. Sospirando, Virgo affiancò Ioria e Mur, fermandosi ai piedi della tribuna, in tempo per osservare gli ospiti più attesi accedere all’anfiteatro sacro.

Quattro figure, rivestite da fulgide corazze, dai colori azzurro, rosso, argento e verde acqua, entrarono a passo deciso, fermandosi al centro dello spiazzo, proprio dove Pegasus e Cassios, e molti altri pretendenti alle sacre armature, avevano combattuto. In silenzio, si inginocchiarono di fronte ad Atena, chinando il capo finché la Dea non li richiamò, permettendo loro di rialzarsi.

"Signore dell’Isola Sacra, e voi, suoi fratelli e praticanti! Celebrante di Odino, e voi, abitanti di Asgard! Seleniti e discendenti della splendente Luna! Figlio di Eos, e tu, Poseidon Ennosigaeum! Primogenito di Osiride, detto il lontano, e voi, devoti ammiratori del sole! Pellegrini giunti dalle rive del Gange, dalle foreste dell’Asia o dalle rupi andine! E voi infine, miei Cavalieri, miei fedeli, miei eroi! A voi tutti porgo il benvenuto in quest’arena di pace, a voi tutti offro un ramo dell’albero sacro! Che sia per noi segno di speranza e unione, di amore e rispetto fraterno!" –Esordì Atena, sollevando un ramo di olivo e mostrandolo al sole, mentre anche Kiki e i cinque Cavalieri dello Zodiaco, alla sua destra, facevano altrettanto, lasciando che gli effluvi della pianta riempissero l’aria, giungendo alle narici di tutti i presenti.

"Con gioia vi accolgo, e vi ringrazio per essere accorsi prontamente, da diversi luoghi del mondo, da regni divini che per troppo tempo sono stati lontani, divisi o addirittura nemici! Figli di contese durate secoli, di ostilità mal celate o di incomprensioni che non siamo riusciti a superare, ci ritroviamo quest’oggi, in questo scorcio del tempo cosmico che affanna su un filo sottile! Un filo che separa la luce dall’ombra! È una guerra, questa, che da troppo tempo si procrastina! Riusciremo a metterle fine?!" –Sospirò Atena Polias, prima di porre lo sguardo sul Signore dell’Isola Sacra, invitandolo infine a parlare.

Sua era stata la richiesta di convocazione di una così numerosa e variegata assemblea, sua la necessità di condividere le conoscenze di Avalon con gli altri regni divini. E sua, forse, la speranza di una soluzione.

"Dea Atena! Vi ringrazio per l’ospitalità con cui ci avete accolto! Una simile magnificenza abbaglia i mondi!"

"Non ho fatto niente di trascendentale, Avalon! Sono soltanto me stessa, come vorrei che anche tu, e i tuoi compagni, lo foste!" –Rispose la Dea.

Avalon scosse il lungo mantello rifinito d’argento che gli cadeva lungo la schiena, con una grazia che faceva parte della sua natura. Eterea. Per qualche minuto non disse altro, limitandosi a fissare Atena con uno sguardo magnetico che trascinò entrambi indietro, all’alba dei tempi.

Pegasus fece per dire qualcosa, ma Sirio lo frenò, afferrandogli il braccio e pregandolo di non spezzare quell’unione tra due tra le più potenti entità del pianeta.

"Leggo nei vostri occhi la stessa fierezza di allora! Quando, dall’alto di Mount Badon, guidaste i vostri Cavalieri nella battaglia di Britannia, assieme a vostro Padre e ai bianchi Cavalieri di Glastonbury!" –Parlò infine il Signore dell’Isola Sacra. –"Sempre pronta a mettervi in gioco pur di raggiungere il proprio obiettivo! Anche a costo di rischiare la vita! E vi fa onore, Atena! Certo! Ma non sempre il martirio è la via per la vittoria, ormai dovreste averlo imparato!"

"Qualunque strada ci sia da seguire, per garantire il sole agli uomini, non avrò timore! Io la percorrerò!"

"Avete centrato il punto, Atena!" –Sospirò Avalon. –"Ma temo che di sole, ormai, agli uomini ne resti ben poco! Presto, troppo presto, prima di quanto avessimo creduto, la Terra sprofonderà in un’immensa tenebra, seconda soltanto a quella in cui era avvolta all’epoca della creazione!"

"Parole enigmatiche le tue, Signore dell’Isola Sacra! Se un’alleanza vogliamo creare, dobbiamo essere onesti gli uni con gli altri! E, per quanto tu e i tuoi Cavalieri delle Stelle valido aiuto ci abbiate offerto in questi ultimi anni, qualcosa dentro di me mi fa pensare che non ci abbiate detto tutto! Non ancora!"

"Cos’altro vuoi sapere, Dea della Guerra Giusta? Il nome di colui che, risvegliato dal lungo sonno, distruggerà la Terra con un solo fetido respiro? Posso dirtelo se vuoi, in fondo è soltanto un nome! Ma ti farà rabbrividire, togliendoti il sonno!"

"Il sonno l’ho perso millenni fa, accettando il compito che mi era stato assegnato e spendendo le notti a sospirare, in pena per le sorti dei miei Cavalieri!"

"E fai bene ad esserlo! Poiché soltanto la morte attenderà tutti noi!" –Chiosò Avalon, fissando Atena con vividi occhi. –"Del resto, essa è la naturale conclusione della vita, di un processo esistenziale che inizia con la creazione e termina con la distruzione, in un ciclo continuo, che perdura da sempre! Niente viene creato se non per morire un giorno! Che sia oggi o tra mille anni tutto scomparirà! Atene, Avalon, tutti i regni divini, sono solo espressione di un qui e ora che presto non avrà più valore!"

"Il tuo fatalismo mi spaventa, Avalon! Che ne è dell’ardore che dimostrasti un tempo, riversandolo dall’alto di Mount Badon sui tuoi nemici?"

"L’ardore regna ancora in me, Atena! Ma se Ares o Crono erano nemici che, sia pur con sforzo e sacrificio, era possibile vincere, altrettanto non può dirsi dell’abisso di tenebra che si sta spalancando sotto di noi! Un’oscurità così vasta, così primitiva, che non so, lo ammetto, se la luce dei nostri cosmi potrà contrastarla!"

Pegasus fece per intervenire, chiedendo delucidazioni, ma Avalon riprese a parlare, iniziando a camminare per l’arena di fronte agli occhi interessati di tutti i presenti.

"Un tempo lontano, agli albori del Mondo Antico, venne combattuta la prima grande guerra! Che fosse sacra o meno, questo non so dirvelo, perché gli Dei all’epoca erano ancora un unico Dio, e quel Dio voleva schiavizzare la Terra che lui stesso aveva generato, detestando il libero arbitrio che gli uomini, figli suoi, avevano sviluppato! Di sicuro però fu una guerra degna di essere combattuta, come lo sono tutte le guerre miranti a difendere la vita e la libertà contro la bieca tirannide! Ma il potere oscuro contro cui gli uomini liberi tentarono di lottare era troppo grande, troppo potente, al punto da sopraffarli tutti. Armati delle migliori speranze, rivestiti dalle più potenti armature, forgiate dal primo ordine di alchimisti che in seguito si sarebbe sparso per il pianeta dando vita a Mu, Atlantide e a molti altri regni, tutti caddero. Uno ad uno. Nessuno poteva essere forte abbastanza da difendersi dal proprio creatore!

Fu allora che una gilda di saggi, che aveva trascorso la vita a studiare le sorgenti del cosmo, costruì sette Talismani sull’isola che sarebbe divenuta Avalon, rinchiudendo in essi la forza primigenia della natura, assorbendo il potere puro degli elementi che componevano il mondo e ad esso davano forza! La luce prima di ogni altra, necessaria per contrastare l’oscurità! Il sole, che della luce era il simbolo e per gli uomini fonte di vita! La luna, che del sole era immagine concorrente e al tempo stesso complementare! L’arcobaleno, che tingeva il mondo con i suoi sette colori, vivacizzando quei toni spenti in cui invece sarebbe precipitato! Il mare, che rendeva vivi gli uomini, con il suo scrosciare imperterrito! E infine i sogni, cuore di ogni uomo, desiderio pulsante nascosto nell’animo di ogni essere vivente! Costruirono sette Talismani e li impugnarono per affrontare la terribile minaccia, combattendo con tutto l’ardore che avevano dentro, fino all’esaurimento della più piccola stilla di vita. E vinsero, contando sugli amici che avevano a fianco, aiutandosi l’un l’altro e tenendosi per mano quando erano convinti di non poter più stare in piedi con le proprie forze! Solo così, in nessun’altro modo, avrebbero potuto ottenere il successo, sia pur effimero, che hanno raggiunto! E allo stesso modo dovremo cercare di fare noi, combattenti di Avalon, di Atene, di Asgard o di qualunque altro regno, unendo le nostre forze per l’ultima guerra!"

"Perché hai definito effimero il loro successo, Signore dell’Isola Sacra? E che ne fu di questi sette valorosi?"

"Perirono, non tutti e non subito. Ma il tempo fece strage anche delle loro vite, sebbene l’oblio mai li abbia vinti. Le loro anime e il loro cosmo permasero nei Talismani, rendendoli vivi, facendone dei cristalli di pura energia che un tempo, quando una seconda oscurità fosse tornata per sommergere il mondo, avrebbero ricominciato a pulsare, scegliendo sette nuovi combattenti, degni di tale ruolo! E quel momento è adesso! Il varco tra i mondi, ove i sette scagliarono il male, nell’infinito vuoto cosmico, si è riaperto, vittima del tempo che, alla lunga, polverizza anche la più potente delle magie, e colui che un tempo questa Terra generò sta tornando per riprenderla, e per distruggerla, completando così il ciclo vitale della stessa!"

"Per questo siamo nati, Dea Atena!" –Intervenne allora Andrei, affiancando Avalon. –"Per difendere i sette Talismani e coloro che li avrebbero indossati di nuovo! E, in vista dell’ultima guerra, per unire le genti libere rinsaldando l’antica alleanza che esisteva un tempo!"

"Noi siamo gli Angeli!" –Esclamò Avalon, lasciando svolazzare il mantello di seta argentea e ergendosi in tutto il suo beato splendore. –"Gli esseri immortali per eccellenza, generati per difendere il mondo e custodirlo fino all’avvento dell’ultima ombra!"

"Io sono Alexer, Angelo di Aria!" –Esclamò l’uomo dagli occhi di ghiaccio che aveva addestrato il Cavaliere di Acquarius, il cui cosmo risplendeva azzurro in un turbinar di venti e nembi.

"Io sono Asterios, Angelo di Acqua!" –Lo seguì il ragazzo che Selene aveva ospitato per anni, pizzicando la cetra che stringeva in mano.

"Il mio nome è Andrei, Angelo di Fuoco!" –Continuò il robusto maestro di Jonathan, prima che l’alta voce del fratello lo sovrastasse.

"E su tutti io sono Avalon, Angelo di Luce e Principe Supremo degli Angeli, investito dal Primo dei Sette Saggi del titolo di Signore dell’Isola Sacra!"

In quel momento le quattro armature che avevano indosso brillarono di una luce accecante, obbligando molti tra i presenti a tapparsi gli occhi per non essere abbagliati. Quando riuscirono a riaprirli, notarono le grandi ali spiegate sulle spalle degli Angeli, l’eleganza con cui sapevano muoversi, la grazia che li rendeva leggeri come se nient’altro fossero se non luce stessa.

"Noi siamo i garanti dell’equilibrio, la tetrarchia degli Angeli!" –Affermò Avalon, avvolgendo l’intero anfiteatro nel suo immenso e corroborante cosmo.

"È incredibile!" –Mormorò Tisifone, che mai aveva percepito un’energia così intensa, neppure di fronte agli Dei fronteggiati fino ad allora. –"Questo cosmo… è così caldo, confortevole, capace di lenire qualunque affanno."

"È un lento oblio, un Elisio ove niente può turbarci più." –Le fece eco Castalia, dando voce ai sentimenti di tutti i presenti, che si lasciarono cullare da quella manna improvvisa. Un’ambrosia così raffinata che nessuna Divinità aveva mai offerto loro.

"Straordinario!" –Commentò Horus, che pure già era stato informato da Amon Ra sul vero ruolo degli Angeli, ma che ancora non era stato raggiunto dalla loro luce. –"Questo è Maat, l’ordine cosmico, la forza positiva dell’universo!" –Naveed e i soldati che lo accompagnavano caddero in ginocchio, coprendosi gli occhi con le mani, il volto segnato da un ruscellare di lacrime che non riuscivano a fermare, tanta celestiale era la beatitudine che aveva invaso i loro animi.

"I sumeri ci chiamavano Me, le forze che concorrono a garantire l’ordine dell’universo, gli agenti dell’equilibrio! Noi siamo le potenze del mondo!" –Concluse Avalon, prima di ritirare la propria luce che fluì verso di lui, illuminando per l’ultima volta la sua argentea corazza, prima di quietarsi.


"Sommo Avalon!" –Esclamò allora Atena, inginocchiandosi. –"Dovreste essere voi a parlare da quest’alto scranno, non io che sono una semplice Dea!"

"Vi prego, Atena! Questa è casa vostra e noi siamo qua in veste di ospiti, di amici e di compagni! Siamo venuti ad offrire consigli, non a dare ordini!" –Chiosò il Signore dell’Isola Sacra, prima di aggiungere, con un sospiro, parole che incuriosirono l’assemblea. –"E siamo qua per chiedere perdono! Il perdono di tutti voi, uomini e Dei!"

"Perdono?! Spiegatevi, vi prego! Di cosa dovreste scusarvi?"

"Di aver portato l’ombra! O comunque una parte di essa!" –Rispose Avalon, per poi continuare, incitato dai fratelli. –"Come avrete capito, dalle nostre impronte cosmiche, noi rappresentiamo gli elementi della natura, nella loro forma più pura, così come furono creati! Quei cinque elementi che sacerdoti, filosofi e alchimisti di tutto il mondo hanno sempre studiato, venerato e forse mai compreso, pur essendo un motivo comune in tutte le culture."

"I cinque elementi?!" –Mormorò Mur, ricordando antiche lezioni di Shin. –"Terra, acqua, fuoco, aria e luce o etere."

"Khsiti o bhumi, ap o jala, agni o tejas, marut o pavan, e su tutti byom o akasha, da cui nell’induismo si fanno discendere i primi quattro." –Commentò Virgo. –"I pancha mahabhuta, i cinque elementi!"

"Alexer è di certo l’aria, Andrei il fuoco. Avalon la luce più pura, o etere, e Asterios sarà l’acqua." –Aggiunse allora Cristal, prima che Pegasus rompesse i suoi ragionamenti.

"Cinque elementi, ma quattro Angeli. Dov’è il quinto?"

E la sua domanda pesò sull’arena per qualche istante, rimbalzando nella mente di tutti i presenti, fino a strappare un sospiro dispiaciuto al Signore dell’Isola Sacra.

"Il quinto lo conoscete bene, perché spesse volte vi siete confrontati con lui, in questi ultimi anni!"

"Che… cosa?!" –Esclamò Pegasus, comprendendo quel che Avalon aveva lasciato intendere. –"Vuoi forse dire che… lui?! Flegias, il figlio di Ares, è uno degli Angeli?!"

A quelle parole, un mormorio diffuso pervase l’intera assemblea, mentre volti sbigottiti si fissavano l’un l’altro senza sapersi dare una spiegazione. Ma bastò che Atena battesse tre volte lo Scettro di Nike per riportare tutti al silenzio, consentendo ad Avalon di ricominciare a parlare.

"Flegias è stata soltanto una delle identità che ha assunto nel corso di millenni trascorsi ad avvelenare l’animo umano, ben più di quanto il suo lo fosse stato! Il suo nome originario è Anhar e… sì, egli era uno degli Angeli, uno di noi! O dovrei dire è, in quanto di certo è ancora vivo, seppure non in forma corporea! Del resto non esiste niente a questo mondo che possa annientare definitivamente uno di noi, niente se non la fine di tutte le cose!"

"Ma com’è possibile? Cosa gli è accaduto? Lui… è il male allo stato puro!"

"Hai ragione, Pegasus! Oggi Anhar è il male, il nostro più grande nemico nonché il servitore più fedele di colui che siamo chiamati ad affrontare! L’araldo della grande ombra! Ma un tempo non era così… Quando fummo generati, egli era l’Angelo della Terra, l’elemento che maggiormente avrebbe dovuto rimanere a contatto con gli uomini. Purtroppo, proprio come la razza umana, fu il primo, e per fortuna l’unico, ad essere corrotto! Non lo avevamo notato al principio, e ammetto che non lo ritenessimo neppure possibile, tuttavia il seme dell’ombra era germinato in lui, trovando terreno fertile in un animo inquieto. E quando l’Antico, avendone il sentore, lo cacciò dall’Isola Sacra, nominandomi suo successore, egli abbandonò ogni parvenza di bontà, rivelandosi infine per quello che era! La terra, che avrebbe dovuto costituire il suolo su cui edificare un nuovo mondo, venne arsa da una fiamma d’ombra e resa sterile per l’eternità, divenendo melancholia, un serbatoio di velenosissima bile nera. Così il pentacolo che avremmo dovuto rappresentare cessò di esistere e gli elementi diventarono quattro, perdendo potere e accelerando il secondo avvento!"

"Incredibile!" –Commentò Pegasus. –"Questo spiega la sua potenza, superiore a quella di Ares e di altre Divinità che abbiamo affrontato!"

"Anhar si è servito di voi, di tutti voi, per favorire il ritorno dell’ombra sulla Terra, lavorando per distruggere i regni divini dall’interno o per farli scontrare tra di loro! Per farlo, per irretire uomini e Dei, piegandoli ai suoi scopi, utilizzò sette pietre nere, intrise dell’essenza dell’ombra, che gli furono donate dal suo creatore. Sette, proprio come i Talismani che furono creati per contrastarne il potere. Anhar le sparse per il mondo, donandole a potenti mai paghi del loro potere, a burattinai che non si accorsero di essere manovrati, o inserendole in gioielli o monili con cui incantare re e Divinità, per portare ovunque una notte di guerra. Una la diede a Seth, per istigarlo alla rivolta contro Ra, un’altra la offrì a Loki, una terza a Crono. Una era incastonata nell’Anello del Nibelungo, e due supponiamo furono date ai gemelli custodi della Terza Casa di Atene. Solo una tenne per sé, la più potente di tutte, quella che gli permetteva di canalizzare tutte le energie e perdurare! è così che Anhar opera, sfruttando tutto ciò su cui può allungare le mani, dominato da un materialismo che nient’altro è se non continua ricerca di potere. Si finse consigliere di Ra, per accedere ai segreti delle piramidi e aizzare gli Dei d’Egitto contro Atene, niente di diverso da quello che aveva fatto anni addietro in America Meridionale, provocando un conflitto armato tra templi di Divinità diverse. In Africa spinse i Savanas ad una lotta intestina, portando alla fame il continente. In Grecia fece altrettanto, mettendo Crono sul trono di Zeus e approfittando di quell’energia per nutrire suo padre e i suoi fratelli bastardi!"

"E che dire di Loki e Surtr, ingannatori ingannati del pantheon nordico, la cui discesa in campo, con il conseguente crollo di Yggdrasill, ha accelerato il riprodursi della configurazione astrale necessaria affinché l’ombra ritorni dal vuoto cosmico ove fu confinata!" –Intervenne allora Alexer, supportando le parole del fratello. –"E proprio la caduta dell’Albero dell’Universo ha segnato la fine del tempo a nostra disposizione, la fine del tempo cosmico, poiché il grande frassino fu piantato dai Sette Saggi nel Mondo Antico, terminata la Prima Guerra, e la madre di uno di essi, la Volva che possedeva la Vista, predisse che sarebbe rimasto in fiore fino al secondo avvento!"

"Una concezione ciclica dell’esistenza che è perdurata in molte culture!" –Rifletté Atena, mentre anche Nettuno, Euro, Horus e altri annuivano a loro volta. –"In quella greca, dove ogni generazione cosmica è stata soppiantata dalla successiva, Urano da Crono, Crono da Zeus, e chi mai verrà dopo il Signore della Folgore?"

"Tracce ve ne sono anche in Egitto, nell’eterna lotta tra il Dio del Sole e il Serpente Cosmico!" –Intervenne allora Horus, presto seguito da Alexer, che cercò lo sguardo attento della Celebrante di Odino.

"E in quella nordica, con i warg che danno la caccia al sole e alla luna in uno scontro ciclico tra due forze antagoniste, luce e ombra, destinato a durare per sempre. Perché proprio il procrastinarsi di questa lotta garantisce l’equilibrio del mondo. Entrambe le componenti sono necessarie, completandosi a vicenda, mantenendo l’universo in equilibrio costante, senza che nessuna delle due prevarichi sull’altra. Questo è l’ordine cosmico!"

"E se una simile prospettiva dovesse avverarsi? Se una delle due forze prevalesse sull’altra?!" –Mormorò Atena, ponendo la domanda che tutti si stavano chiedendo.

"In tal caso l’ordine cosmico verrebbe a mancare e l’universo scivolerebbe verso la sua distruzione. Ed è il preciso momento del tempo cosmico che stiamo vivendo noi!" –Confermò Avalon. –"Lo hanno chiamato in molti modi! Armageddon, Ragnarok, fine del mondo, giorno del giudizio, giorno dell’ira. Per me non ha alcun nome, per noi è semplicemente l’avvento, la manifestazione del potere primordiale della creazione, l’oscurità più pura di fronte alla quale persino la Notte impallidisce!" –E, senz’altro aggiungere, disegnò con il piede un simbolo sul terreno, allontanandosi in modo che tutti, da qualunque angolo dell’arena, potessero vederlo.

"La catarsi del mondo è arrivata!"

Ω

Riluceva lì, al sole d’inverno, pallido e bieco, scatenando ansie e timori tra gli spettatori. Fu Andromeda il primo a riconoscerlo, ricordando l’ultimo gesto di un nemico affrontato mesi addietro. Sakis del Quadrante Oscuro.

L’Omega. La fine di tutte le cose.

"Ma chi è questo nemico che così tanto temete? Chi può esistere, più spaventoso della Notte, da intimorire a tal punto gli Dei e le entità più potenti della Terra?" –Incalzò Pegasus, stufo di tutti quei discorsi.

"Colui che ha generato la Terra e tutti i mondi, Pegasus, essendo anche nostro padre! Egli è l’Alfa e l’Omega, principio e fine di ogni essere vivente!" –Mormorò Avalon, prima di spostare lo sguardo su Atena, che sussultò di colpo, come trafitta da una lama di ghiaccio.

"Avalon… Vuoi dire…?!"

"Ê toi mèn prṓtista Cháos génet!"Chiarì il Signore dell’Isola Sacra. –"In principio Egli era il Caos, motore di tutte le cose!"