CAPITOLO VENTOTTESIMO: FUORI DALLA GABBIA.
Matthew ed Elanor erano più che mai decisi a vendicare Thot, uccidere Homados e impedire a chiunque di superare il varco tra Quinto e Quarto Cerchio. Adesso che la crepa aperta da Alala era stata richiusa, soltanto loro due erano a conoscenza della reale ubicazione del passaggio che, prima di morire, il Selenite di Giove aveva celato. E, piuttosto che rivelarlo a quella furia, sarebbero morti con quel segreto.
"Falce di luna calante!!!" –Gridò la ragazza, sollevando un braccio al cielo e poi abbassandolo di scatto, in modo da generare un fendente energetico che trivellò il suolo, sfrecciando ad alta velocità verso Homados, obbligando la Makhai a balzare di lato per non essere investita.
"Bel colpo!" –Le fece eco il suo biondo compagno, saltando in alto e piombando poi sulla Dea a gamba tesa, avvolto nel suo cosmo multicolore.
Homados fu svelta ad evitare anche quell’affondo, dovendo ammettere a se stessa che quelli che credeva ragazzini agonizzanti sembravano aver recuperato le forze, o quantomeno aver infine trovato una ragione per combattere. O per morire. Si disse, concedendosi un sorriso nefasto. Poco importa, questione di minuti! Alle altre, in fondo, è andata peggio! Ah ah ah!
Matthew, che aveva capito che la Makhai doveva essere continuamente messa sotto pressione, in modo da impedirle di ricreare la Torre di Babele, contro cui non avevano difese, aveva espanso il suo cosmo al massimo, aprendo le braccia di lato ed evocando una tecnica appresa sull’Isola Sacra.
"Moltiplicazione." –Mormorò, mentre dalla sua immagine ne nascevano altre due, e dalle stesse altre due, fino ad avere sette copie del Cavaliere di Avalon, tutte attorno ad Homados. Sette vertici di una stella dai colori dell’arcobaleno, ciascuno brillante nel proprio cosmo.
"Interessante!" –Commentò Elanor, osservando i cloni di Matthew radunare le energie e attaccare la Makhai congiuntamente, da ogni direzione, scagliando assalti di potenza e precisione.
"Così! Forza! Insieme!" –Vociarono i sette uomini, balzando su Homados, uno dietro l’altro, uno dopo l’altro, a volte anche insieme, in un turbinio di colori che contribuì a disorientare non poco la guerriera.
"Ora basta!!!" –Tuonò infuriata, evitando alcuni assalti, ma venendo però raggiunta da altre sfere energetiche, che le graffiarono la Veste Divina. Inoltre, notò, tutte le copie parevano aver chiaro dove colpire. Nel basso ventre, dove Thot l’aveva ferita prima di morire, aprendo uno squarcio che anche un apprendista Cavaliere avrebbe saputo raggiungere.
Morire qui? Morire ora? Mai! Ringhiò, certa di essere ad un passo dalla vittoria. I cosmi di Kydoimos e di Alala erano scomparsi, cancellati dal suolo lunare e confinati a chissà quale oscuro Tartaro potesse attenderle, adesso che lui era tornato. Questo significava che era l’ultima Makhai rimasta, l’ultima Signora della Guerra, e non soltanto doveva combattere per sé, ma anche per quella scomoda eredità che le fallite delle sue sorelle le avevano lasciato. Che non si dica che le Makhai non urlano più!!!
"Migdal…"
"Eh no, carina!" –Intervenne allora Elanor, sfrecciando avanti e scagliando quattro raggi di energia, mirando alla testa, ai piedi e alle mani di Homados, obbligata a spalancare le braccia contro la sua volontà, come fosse stata crocifissa.
"Sei ridicola! Pensi di causarmi dolore con queste lievi stimmate? O di tenermi bloccata per sempre?!" –Avvampò Homados, nel suo cosmo violetto, iniziando a recuperare padronanza di un braccio. Poi di un altro.
"Non per sempre. Per quanto basta a Matt!" –Le rispose la ragazza a tono, balzando indietro, mentre tutte le copie del Cavaliere di Avalon scattavano sulla Makhai, scagliando, da sette lati diversi, veloci e precise sfere di energia.
L’assalto congiunto, condotto alla velocità della luce, travolse Homados, nonostante i suoi furibondi tentativi di difendersi e coprire la parte esposta del suo corpo. Un paio di sfere, Matthew ne fu certo, la raggiunsero proprio all’addome, facendola infuriare e digrignare i denti, sputando bavosa rabbia e parole infamanti. Concentrato il cosmo sul pugno, lo piantò nel suolo, generando un’esplosione proprio sotto i piedi di Elanor e scagliandola in aria, tra spruzzi di sabbia lunare e schegge della sua ormai quasi del tutto distrutta corazza.
Fu Matthew ad afferrarla al volo, mentre tutte le altre sei copie convergevano su di lui, sovrapponendosi all’originale e scomparendo. E fu sempre il ragazzo a generare un arcobaleno lucente sotto di lui, con cui rimanere sollevato in aria, quasi fosse un tappeto volante.
"Dovrò chiamarti Alì Babà!" –Sorrise Elanor, stretta tra le braccia del ragazzo, salvo poi ricordarsi, dopo quel delicato momento tra loro, di essere in piena guerra.
"Avalon si arrabbierà come una furia per questo… gioco infantile! Anzi, come una Makhai!!!" –Ironizzò Matthew, prima di depositare Elanor sull’arcobaleno di luce e dirigersi verso Homados. –"Ma sarò contento anche di prendermi quella lavata di capo, perché vorrà dire che ce la saremo cavata!"
"Ce la caveremo!" –Lo rincuorò lei, stringendogli la mano.
"Siete finiti!!!" –Gridò allora Homados, espandendo al massimo il proprio cosmo violetto e dirigendo strali lucenti contro di loro, che tentarono di evitarli, zigzagando sull’arcobaleno in discesa libera, per poi contrastarli con i loro colpi segreti.
"Arcobaleno incandescente!!! Falce di luna calante!!!" –Tuonarono i ragazzi, mentre due piani di energia, uno orizzontale, l’altro verticale, confluivano sulla Makhai, costretta a far esplodere tutto il proprio cosmo.
"Migdal bavel!!!"
L’esplosione fu assordante e scaraventò Matthew ed Elanor in alto, lacerando le loro carni, per quanto il primo cercasse di proteggere la compagna facendole scudo con il corpo. Quando ricaddero a terra, si accorsero di non essere sul suolo lunare ma su una superficie fatua e a tratti arroventata. Guardandosi intorno, inorriditi, capirono di essere stati rinchiusi in uno dei cubi che costituivano il basamento della Torre di Babele. Un gigantesco esaedro di energia cosmica, dentro il quale erano costretti a rotolare, cadere e rialzarsi continuamente, per poi ruzzolare di nuovo al suolo, mentre Homados, divertita, muoveva le dita, quasi stesse solleticando le corde di un’arpa.
"I bambini sono stati cattivi e la matrigna cattiva li ha puniti! Ambientatevi, mettetevi a vostro agio, non siate timidi! Quanto vi rimarrete dipende solo da voi, ma ben pochi sopravvivono alla cacofonia della Torre di Babele! Ah ah ah!"
Matthew ed Elanor, oltre che storditi dal rotolare continuo del cubo, erano piegati dal risuonare di migliaia di voci diverse, dissonanti, deleterie per il loro udito, che parlavano tutte assieme all’interno di quella prigione. Voci di donne, di uomini e bambini, che gridavano, piangevano, maledivano gli Dei per averli abbandonati e i Cavalieri per non averli aiutati, e la pioggia per non aver irrorato i campi, e il sole per averli condannati a una siccità eterna, e altri mille anatemi, giudizi e lamenti. Voci continue, che non smettevano mai, che li seguivano ovunque muovessero un passo, per quanto nel cubo fossero presenti solo loro due. Di alcune, non riuscirono a comprendere neppure le parole, pronunciate in qualche antica lingua sconosciuta. Di altre, invece, poterono riconoscere persino chi e quando le aveva dette. Erano le voci delle loro anime, che mettevano in risalto tutte le contraddizioni insite dentro di loro, i tumulti del cuore che avevano mosso i loro incauti passi in quella guerra che non erano stati degni abbastanza di combattere. In quella guerra in cui non avrebbero dovuto neppure ardire di prendere parte.
Matthew era solo un apprendista. Un eterno apprendista, rincarò una voce. Uno di quegli studenti che continuano a ripetere all’infinito la stessa prova, senza mai superarla. Indolente, stanco, e anche vigliacco, aveva lasciato che il suo maestro fosse divorato dall’ombra senza neppure provare ad aiutarlo, senza neppure provare a salvarlo. E, colpa ben più grande, aveva lasciato che il Grande Tempio fosse da tale oscuro maestro dominato per tredici anni, che divenisse luogo di barbarie e pena capitale, ricettacolo di una volontà assassina che da Atene voleva mondare la Terra.
E anche dopo aver risvegliato il Talismano da lui custodito, forse per un caso fortuito, ben poca strada aveva fatto, riuscendo solo a evocare un arcobaleno di cosmo con cui divertirsi a fare la giostra, un comportamento ben poco consono per un Cavaliere del suo livello. Cosa ne penserebbero Febo e Marins, imprigionati, seviziati e torturati a morte nei tenebrosi androni ove giacevano rinchiusi dei suoi infantili divertimenti? E Jonathan e Reis, della cui impronta cosmica aveva perso traccia da un paio d’ore, forse feriti, spossati o addirittura caduti in una battaglia che lui aveva rifiutato, preferendo rimanere indietro, in dolce compagnia? Eppure ricordi, Matthew, quel che accadde all’ultima donna che amasti… la donna che, come Elanor, non fosti in grado di salvare!
Miha… Mormorò il ragazzo, riconoscendo la sua voce tra le tante che rimbombavano nella sua mente. Un suono limpido, ben più degli altri, che gli ricordava di essere una delusione.
Un fallimento totale.
Elanor, dal canto suo, non stava affatto meglio. Annaspava, piegata a terra, la testa stretta tra le braccia, quasi tapparsi gli orecchi potesse impedire al suo cuore di udire ancora, di piangere ancora. E invece falliva, come Matthew, e veniva posta a processo. Da sua madre, che la malediva per averla trascurata, per non essere rimasta con lei, in quell’ora oscura, a farsi forza insieme, anziché lasciarla a disperarsi da sola. Dalle sue sorelle, che si chiedevano perché le avesse abbandonate. Da se stessa, che si chiedeva cosa ci facesse lì, a combattere con un’armatura di latta, dove avesse davvero creduto di andare, a morire in una guerra in cui persino gli Dei perivano.
Gli Dei, Elanor. Da quando ti reputi loro superiore?
Le ritornò in mente, o forse fu una voce a sbatterglielo in faccia, quel che aveva detto a Matt qualche ora prima, quando l’aveva sorpresa ad inseguirli.
"Non prendermi per una sprovveduta! Sono pur sempre la figlia di una Divinità!"
E che figlia! Neanche un colpo aveva messo a segno! Forse sarebbe andata meglio se avesse continuato ad allenarsi con i bersagli di legno che Shen Gado a volte le creava per farle passare il tempo. Almeno quelli li abbatteva. Non tutti.
"Che… cosa mi dicesti?"
Quella voce la raggiunse inaspettata, scavandosi un solco in mezzo a quella Babele di suoni dissonanti. Quella voce così fresca, sia pur sofferente, e piena d’affetto.
"Matt?!" –Lo riconobbe la ragazza, sforzandosi ad alzare la testa e a cercare il suo sguardo.
"Cosa mi dicesti, quando ci incontrammo? Cosa volevi davvero?"
Matthew era a pochi passi da lei, crollato sulle ginocchia, il volto marcato dalle vene che stavano per scoppiargli. Ma trovò comunque la forza di allungare un braccio nella sua direzione.
Elanor cercò di fare altrettanto, all’inizio senza riuscirci, incapace di togliere una mano dall’orecchio, per non morire sommersa da quel frastuono maledetto. Poi, vedendo che il ragazzo non accennava a ritirare la sua, pur condannandosi a morire così, si fece forza e allungò il braccio quanto più poté, fino a permettere alle loro dita di trovarsi, e di intrecciarsi.
"Lottare. Vivere e morire per qualcosa. Non conservarmi in eterno sotto un guscio di vetro!"
Quelle parole le aveva dette col cuore, credendoci davvero, anche se forse non ancora pienamente consapevole di quel che significavano, di quanto realmente valessero, nonostante Matt avesse cercato di farglielo capire, di farla desistere. Per salvarla, da se stessa prima che dalla guerra.
"Non… avevo capito perché tu volessi combattere! Cosa può spingere la figlia di una Divinità a rinunciare alla propria condizione di immortalità, che qualunque uomo sarebbe disposto ad uccidere pur di avere, e a scendere a sporcarsi in una guerra che altri avrebbero potuto combattere? Avresti potuto rimanere nell’Occhio, aspettare che la fiumana passasse. I Cavalieri di Atena e di Avalon, i tuoi Seleniti, i tuoi stessi genitori se necessario, avrebbero respinto la bellicosa ondata o avrebbero trovato un modo per metterti in salvo, lontano da qui. Lontano dalla morte. Perché, Elanor, hai deciso di non voler sopravvivere?"
"Perché ero in gabbia." –Rispose la ragazza, il volto rigato dalle lacrime. –"E non mi sentivo completa."
Il cubo roteò di nuovo, facendo ruzzolare Matthew ed Elanor, sbattendoli uno sull’altra, finalmente vicini, mentre tutto attorno imperavano migliaia e migliaia di voci, decise a piegarli alla forza dei loro tumulti, dei loro errori, dei loro fallimenti. Ma per quanto aumentassero, in numero e in intensità, il Cavaliere delle Stelle e la sua improvvisata compagna sembravano aver trovato un modo per escluderle tutte dalla loro mente, ascoltando solo la voce del cuore.
"Ho passato un’esistenza intera in gabbia e ti assicuro che per una Divinità un’esistenza è un periodo di tempo piuttosto lungo! Mia madre, regina della quiete domestica, mi ha dato tutto, ha donato a me e alle mie sorelle un mondo intero in cui poter vivere in pace, in serenità, senza farci mancare niente, in cibi, vestiti, salute, alcun oggetto materiale di cui potessimo necessitare. Ma tutte quelle attenzioni, quel continuo e disperato attaccamento a una vita facile, avevano un prezzo e io l’ho pagato, non le mie sorelle, che a una banale e patetica esistenza han presto fatto l’abitudine, chinando il capo alla noia che ha seppellito lesta le loro personalità. Non mia madre, che nient’altro voleva se non l’amore eterno di Endimione, che ha avuto. Ma io! Un uccello in una gabbia d’oro, così mi sento da anni, desiderosa di aprire le ali e volare via, senza poterlo fare. Bisognosa di vedere il mondo, conoscerne i turbamenti, comprenderne gli umori delle genti. E invece, limitata proprio da coloro che amo, soffocata nel mio poter essere me stessa!"
"Pur tuttavia…" –Disse allora Matt, avvicinando il viso a quello della ragazza, perdendosi in quegli occhi verdi smeraldo. –"La tua scelta di combattere, di scendere in guerra… non è stata dettata soltanto da questo. Non stai lottando solo per te stessa, o per dimostrare a tua madre di essere in grado di farlo! No, tu stai lottando per difendere la tua terra, la tua casa, la tua famiglia! Lo sento, dentro te, il cuore che combatte per amore è il cuore più puro!"
Elanor accennò un sorriso tra le lacrime, dando infine ragione al giovane Cavaliere. Per quanto sua madre le avesse tarpato le ali, impedendo alla sua personalità di crescere, affermarsi e distaccarsi da lei, non le aveva mai fatto mancare amore. E adesso avrebbe dovuto dimostrarsi degna di quella fiducia. Adesso avrebbe combattuto anche per lei.
"Madre!!! Guardami!!! Guarda tua figlia, Elanor, della Luna Splendente!!!" –Gridò, e la sua voce cristallina sovrastò tutte le altre, respingendole indietro, confinandole ad un silenzio improvviso. Persino Homados, fuori dal cubo, rimase ad osservare, non capendo quel che stesse accadendo al suo interno, i cui confini evanescenti impedivano di vedere con chiarezza.
"Brucia, mio cosmo!!! Ardi per difendere coloro che amo!!!" –Avvampò Elanor, mentre un vortice di luce rosa la avvolgeva, sostenendola mentre si rimetteva in piedi.
Matthew, al suo fianco, fece altrettanto, espandendo il suo cosmo dalle iridescenti sfumature e lasciando che le sette gemme della sua cintura rilucessero come mai prima di allora, pregne di una passione che aveva infine trovato ragione d’essere.
L’esplosione dei loro cosmi annientò la Torre di Babele, scaraventando Homados indietro di parecchi metri, obbligandola a coprirsi gli occhi per non restare accecata da tale improvviso lucore. Quando riuscì a vedere di nuovo, rimase sorpresa alla vista di uno strano oggetto improvvisamente apparso nel cielo di fronte ad Elanor. Un oggetto che sembrava uno scudo celtico.
Matthew lo guardò affascinato, sorridendo al biancore di quel materiale, finemente lavorato, e si accorse che era identico a quello che rivestiva il suo corpo, e quello di Reis, Jonathan e gli altri Cavalieri delle Stelle.
"Perciò questo è…" –Comprese infine, mentre Elanor sfiorava il manufatto luminoso, stabilendovi una profonda connessione cosmica. –"L’ultimo talismano!!!"
Improvvisamente lo scudo si disfece in una ventina di pezzi che andarono a ricoprire il corpo della ragazza, interamente, ristorando le sue energie e dandole una degna armatura. Affissa al bracciale sinistro c’era una croce, di chiara provenienza celtica, composta da un cerchio vuoto sovrapposto ad una croce greca, in modo che il fulcro del primo corrispondesse al punto di intersezione dei raggi della seconda.
"Bastardi! Non vi permetterò di usarlo!!!" –Ringhiò Homados, sfrecciando verso di loro, ma venendo subito fronteggiata da Matthew, che liberò il potere del proprio Arcobaleno Incandescente, costringendo la Makhai indietro.
"Elanor!!! Con me!!!" –La incitò allora il ragazzo, espandendo il proprio cosmo, e gridando insieme a lei. –"Talismani!!!"
E luce fu.
***
Nel percepire la vibrazione provocata dallo Scudo di Luna, Avalon, che osservava gli eventi dall’alto dell’Occhio, sorrise compiaciuto. –"L’ora è giunta! L’ultimo talismano è infine stato risvegliato. I Sette saranno presto riuniti! L’energia degli antichi fluisce in loro per mezzo dei talismani, la percepisco, così intensa, un flusso di memoria storica dagli albori del tempo e di profonda saggezza."
Selene, avvicinatasi all’uomo, si abbandonò a un sospiro affranto, prima di chiedere cosa sarebbe accaduto adesso. –"Che ne sarà di Elanor? Che ne sarà di mia figlia?!"
"La attende lo stesso destino di Jonathan e degli altri! Onorare i Talismani che li hanno scelti, dopo millenni di attesa. Sopportarne il peso o esserne sopraffatti! E non ho motivo di credere che non riescano in tale impresa, tantomeno tua figlia!"
"Per questo sei venuto, vero? Non per portarmi aiuto? Non per difendere questo regno di cui poco ti cale, ma per prenderti l’ultimo talismano?"
"Una cosa non esclude altra!" –Precisò Avalon, con voce flemmatica. –"Se la Terra cadesse nell’ombra e il sole e le stelle si spegnessero, pensi che la luna potrebbe splendere ancora?"
Selene non rispose, il cuore straziato da tormenti che ormai non riusciva a controllare, la sua natura divina sopraffatta da un’angoscia di caducità umana. Pur tuttavia trovò la forza per recuperare compostezza, sollevare il mento e annuire timida, ben conscia che il Signore dell’Isola Sacra avesse ragione.
"Una domanda ancora. Perché hai portato i Cavalieri di Atena? Temevi di non essere in grado di sbaragliare Ares e i suoi accoliti?"
A quelle parole Avalon rise, come Selene non lo aveva mai sentito fare prima di allora, per poi voltarsi di lei e fissarla con magnetici occhi argentei.
"Non esiste entità su questo suolo lunare che possa arrecare danno alla mia persona, né ad alcuno dei Quattro! Ma era necessario che Pegasus fosse qua, per prendere coscienza del Nono Senso ed elevarsi al rango divino, lo stesso rango che Atena ha finalmente ritrovato, dopo che le memorie delle sue vite passati, delle sue incarnazioni, sono confluite di nuovo nella sua mente. Adesso sono pronti! Siamo pronti!"
"Per… cosa?" –Quasi ebbe paura a chiedere la Dea della Luna.
"Per l’ultima guerra! Una volta che i talismani saranno riuniti, la Coppa di Luce tornerà a splendere ed essa sarà l’arma definitiva per porre per sempre fine alla minaccia…" –Ma il Signore dell’Isola Sacra dovette interrompersi, distratti entrambi dal rumore di passi sul pavimento dell’Occhio, passi corazzati di un uomo che aveva deciso di prendere in mano il suo destino.
"Endimione!!!" –Esclamò Selene, portando una mano alla bocca, sorpresa dal vedere l’amato ricoperto da una cotta di battaglia, l’elmo sottobraccio e una spada al fianco.
"Non la indossavo da tempo. Da quando ero Re dell’Elide, nel Mondo Antico, assai prima di ricevere in dono da Zeus la giovinezza eterna, ma noto che ancora ben mi calza." –Commentò l’uomo, fermandosi di fronte a Selene e ad Avalon.
"Perché ti sei vestito così? Dove vuoi andare?!" –Affannò subito la Dea, gettandosi tra le sue braccia.
"A fare quello che devo! Combattere per difendere la nostra terra, il nostro regno, la nostra famiglia."." –Si limitò a rispondere il suo sposo, fermandole le mani con le proprie e costringendola a guardarlo in faccia, pur tra le lacrime che le rigavano il volto. –"Ares e Discordia sono caduti, è vero, ma ancora si combatte nei Cerchi di Marte e Giove!"
"Mi ritiro!" –Si inchinò educatamente Avalon, facendo cenno di andarsene, per lasciarli da soli.
"Non puoi farlo! Se ti accadesse qualcosa… ne morirei…" –Singhiozzò Selene, cui Endimione carezzò i capelli e asciugò le lacrime.
"Non posso lasciare la difesa del reame a nostra figlia, una ragazza che sta scoprendo adesso i suoi poteri, e ai Cavalieri di Atena, nobili e generosi di certo, ma estranei! Che uomo sarei? Che re sarei? Indegno dell’immortalità e impaurito di perderla!"
"Non solo l’eternità ti sarebbe negata, mio sposo, ma il nostro amore. Vuoi davvero morire?"
"Non qui e non ora. Ma un giorno accadrà. E pure tu scomparirai e del nostro amore non resterà niente. Ma che importa se potremo dire di averlo intensamente vissuto?!" –Chiarì lui, sollevandole il viso e baciandola sulle labbra. Quindi si mosse per andarsene, ma non riuscì a fare più di cinque passi che cadde a terra, privo di sensi, con l’espressione placida di un uomo dormiente.
"Non potevo lasciarlo morire!" –Confessò Selene, incrociando lo sguardo severo di Avalon, a pochi passi da lei, che aveva ben capito cos’era accaduto.
"Comprendo la tua sofferenza, Dea della Luna, pur tuttavia è un’eventualità a cui devi prepararti. A cui tutti noi dobbiamo prepararci!" –Spiegò, mentre anche Asterios lo raggiungeva, rivestito finalmente della sua lucente armatura.
***
L’attacco congiunto scaraventò Homados indietro di molti metri, con gravi crepe aperte sull’armatura e chiazze di sangue che costellavano il suolo attorno a lei, a ricordarle in ogni momento che non era poi così superiore alle sorelle. Anzi, le sembrò persino di udire il ghigno di Kydoimos che lo rimarcava, non lo era mai stata.
"Zitta!!! E zitti anche voi, vi farò tacere per l’eternità!" –Sbraitò collerica, bruciando il proprio cosmo.
Matthew ed Elanor fecero altrettanto, inebriandosi dell’ancestrale e puro potere racchiuso nei Talismani. Anche Reis e Jonathan ne avevano percepito il risveglio e stavano correndo verso di loro, attratti da tale poderosa forza d’attrazione e al tempo stesso anche curiosi di vedere l’ultimo Talismano, su cui Avalon aveva mantenuto riserbo assoluto. Sebbene fossero entrambi certi che quantomeno Ascanio ne fosse stato messo a conoscenza.
"Cintura dell’arcobaleno!!!" –Avvampò Matthew, liberando sette potenti raggi di energia, che sfrecciarono verso Homados, presto uniti ad un’onda di luce che Elanor generò semplicemente spostando il braccio ove riluceva il manufatto da lei custodito. –"Scudo di luna!!!"
Il doppio assalto si scontrò con la Torre di Babele che la Makhai aveva appena innalzato, impedendole di morire sul colpo, ma la pressione generata dai Talismani e da quei cosmi ardenti portati adesso al parossismo la spinsero indietro, mentre l’intera struttura che la proteggeva iniziò a scricchiolare. Falle si aprirono, alcune pareti andarono in frantumi, mentre i colorati raggi di energia nemica la raggiungevano, trafiggendole gli arti, il ventre, persino il volto.
"Aaargh!!!" –Gridò l’ultima Makhai, mentre la Torre di Babele esplodeva e lei veniva travolta in pieno dalla marea lucente e scagliata in alto, schiantandosi poi al suolo priva di vita. Se avesse avuto le forze per girare la testa, anche solo di pochi centimetri, avrebbe visto il varco per il Cerchio di Marte apparire proprio davanti a lei, a pochi passi dalla posizione che per buona parte dello scontro aveva tenuto.
"La nostra luce ci ha permesso di vincerla!" –Commentò Matthew. –"La luce della nostra passione, quella che spiega perché combattiamo. E per chi."
Elanor annuì, sorridendo al ragazzo, quindi si sporse per baciarlo su una guancia, ringraziandolo per tutto quello che aveva fatto per lei quel giorno. Ossia proteggerla, in tutti i modi e in ogni occasione. E non lo avrebbe dimenticato.
In quel momento arrivarono Reis e Jonathan, spada e scettro in mano, osservando felici ma interessati l’ultimo Cavaliere delle Stelle. Elanor, della Luna Splendente.