CAPITOLO VENTESIMO: QUARTO INTERLUDIO.

SOLE.

Estratto dalle Cronache di Avalon.

Tempo: ignoto. Mondo Antico.

"Ne siete davvero sicuro, padre?"

La delicata voce di Febo raggiunse il possente Dio mentre apriva i portoni del suo privato santuario, costringendolo a fermarsi. Il ragazzo non aggiunse altro e per qualche minuto restarono entrambi in silenzio, finché, con un sospiro, Amon Ra non si voltò, fissando il ragazzo al centro della sala ipostila. Dallo sguardo fiero e dal nobile portamento, quel giovane dai capelli biondi era suo figlio, anche se a volte faceva fatica ad accettarlo. Perché pensarlo come tale, come risultato di una sua scelta, lo rendeva colpevole, riaprendo ferite che non si erano mai rimarginate. Ferite che, a distanza di anni, bruciavano ancora nell’animo del Dio.

"Conosci i motivi che mi hanno portato a questa scelta! Sofferta, di certo, ma maturata nel corso di anni che hanno visto appassire questa bella Terra e inaridire l’appassionata devozione degli uomini verso gli Dei." –Rispose il Signore di Karnak.

"La fedeltà del popolo può essere ottenuta di nuovo, padre! Se deste loro un segno, se ricordaste agli uomini quanto avete fatto per loro…"

"Non cambierebbe niente!" –Esclamò serio Amon. –"Ci hanno tradito, abbandonato, dimenticato! Molti seguono persino culti oscuri, nascosti tra le ombre di antiche piramidi dentro cui l’Occhio di Ra non può penetrare!"

"Dove non vuole entrare!" –Precisò Febo. –"Quando ero un bambino, e Iside mi cullava raccontandomi la storia della sua famiglia e dell’Enneade, più volte amava rimarcare che non esistesse niente a questo mondo che Ra non potesse vedere, niente che potesse essere celato al Pastore dell’Universo! Questo perché non esiste luogo sulla Terra ove i raggi del sole non possono giungere, non può esistere nube, nebbia o tenebra che non possano trafiggere e vincere!"

"Un tempo, forse. Adesso è tutto cambiato…" –Sospirò il Dio.

"No, voi siete cambiato, padre! Voi avete smesso di credere! Negli uomini, negli altri Dei vostri fratelli e compagni, e anche in voi stesso, nelle vostre capacità! Come potete essere il sole che illumina il mondo se non riuscite a dare luce neppure al vostro stesso tempio? Guardate questo salone immenso, che anni addietro ospitava ricevimenti e giochi! Adesso sprofonda nella polvere dell’oblio, celato da infissi che nessuno apre più! Uscite fuori, con me! Torniamo a correre nel deserto, a respirare l’aria del mondo, visitando gli antichi templi e le Mer erette in vostro onore!"

"Tu non capisci!" –Commentò Amon Ra, scuotendo la testa. –"Tu non sai!"

"Invece sì. Iside me ne ha parlato, e comprendo di essere parte in causa nella vostra sofferta decisione! Voi state rinunciando a vivere per colpa mia!"

"Questo non devi dirlo!" –Tuonò il Dio, avvampando nel suo cosmo e scagliando il ragazzo indietro, fino a schiantarlo contro una colonna del salone. –"E Iside doveva stare zitta! Farti da nutrice doveva, non da confidente!"

"E lo ha fatto! Come tu mi hai fatto da padre, sebbene…"

"Non lo volessi?! È questo che pensi, Febo? Che io ti accusi per la mia caduta, che ti incolpi per la decadenza di Karnak e la derisione di cui sono stato fatto oggetto? Se lo credi, sei libero di andartene! Esci dal Viale delle Sfingi e non tornare più!"

"Non è quello che voglio!"

"E allora cosa vuoi, Febo? Perché non mi lasci andare?!" –Gridò il Dio.

"Voglio la verità! Cos’è accaduto… quella notte?!"

***

L’attacco di energia infuocata investì in pieno l’enorme sfinge, distruggendo la sua faccia e facendo piovere frammenti di pietra sui soldati sotto di essa, obbligandoli a correre in ogni direzione per non essere travolti.

"Riformate le linee! Non arretrate! Per il Sole e per Karnak!!!" –Gridò una voce, incitando i compagni a rimanere uniti, per fronteggiare l’aggressione. Era notte fonda e non fosse stato per il cielo terso, su cui lampeggiava il disco lunare, non li avrebbero neanche sentiti arrivare, tanto silenziosi e veloci erano discesi su di loro.

Arrivarono dall’alto, su un carro trainato da cavalli bianchi, i cui zoccoli fendevano l’aria, camminando su un sentiero del cielo, un sentiero che dal Monte Elicona aveva raggiunto in fretta l’Egitto.

"Fuoco della corona!!!" –Tuonò un guerriero avvolto in un cosmo amaranto, prima di dirigere una violenta bomba di energia incandescente contro il gruppo di Soldati del Sole disposti in prima linea, a chiudere l’accesso al Viale delle Sfingi che conduceva al Tempio di Karnak.

"Artiglio luminoso!!!" –Gli fece eco un secondo combattente, dilaniando con fauci di fuoco i pochi sventurati che erano riusciti a resistere al primo assalto. Quindi, osservando compiaciuti la carneficina generata, entrambi i guerrieri si misero di lato, lasciando che un uomo alto e snello, dai capelli azzurri, passasse tra loro, incamminandosi a passo deciso lungo il viale.

Un’ulteriore pattuglia di soldati si fece loro incontro, le vesti verdi e oro che brillavano al riflesso delle loro spade, rivestite da una vivida fiamma. –"Fermi dove siete!!! Non un passo di più nel Santuario del Dio del Sole o ne assaggerete l’ira!!!"

"Ah! Quale eresia! Minacciare me, Febo Apollo, facendosi vanto di un ruolo che mi appartiene?!" –Avvampò l’uomo alto e snello, sgranando gli occhi, prima di sollevare la mano destra e liberare un’onda di energia che travolse tutti i difensori del tempio.

"Mio Signore! Attento!" –Gridò allora uno dei suoi seguaci, mentre un’ombra veloce guizzava su di loro, rimbalzando tra le tenebre fino a piombare sul Dio a gamba tesa.

"Adesso non esagerare!" –Esclamò un’acuta voce di donna. –"Se anche tu sei una Divinità, dovresti sapere che non è educazione violare un sacro suolo di culto, soprattutto se quel luogo è la culla del più grande potere sulla Terra! La culla dove nasce il sole d’Egitto!"

"Umpf! Ardita e temeraria, donna!" –Commentò Febo Apollo, evitando l’affondo nemico semplicemente spostandosi di lato. Fece per sollevare il braccio destro ma già la figura femminile si era mossa, espandendo il proprio cosmo e generando una collisione tra energie che spinse entrambi indietro di qualche passo. –"Ma te lo concedo in virtù del tuo rango divino!"

"Mi hai riconosciuto, dunque?! Sono sorpresa!" –Ironizzò lei, effettuando un agile salto e una piroetta con cui atterrò a qualche metro di distanza.

"Bastet, la Dea gatta! È mia abitudine documentarmi sui nemici!"

"È ironico che sia tu a definirmi tale, Febo Apollo! Tu che hai invaso il sacro suolo d’Egitto con i tuoi sgherri, recando danno e offesa al Signore del Sole!"

"Bada a come parli, donna! Noi siamo i Cavalieri della Corona, i sacri guerrieri fedeli ad Apollo, l’unico e vero Dio del Sole!" –Tuonò allora un uomo della scorta, facendosi avanti nel suo cosmo amaranto. –"Io sono Atlas, della Carena! E se non vuoi che il tuo grazioso corpo si ritrovi ad ardere su una pira funeraria ti consiglio di obbedire al mio Signore e dargli ciò per cui siamo venuti!"

"Una bella lezione di umiltà inizierò a darla a te, Atlas della Carena!" –Rispose allora la Dea gatta, scattando avanti velocemente e generando un reticolato di energia con il veloce movimento delle dita. La gabbia energetica si chiuse sul Cavaliere della Corona, stridendo su una barriera fiammeggiante che aveva prontamente eretto a sua difesa, ma un rinnovato assalto della Dea la mandò in frantumi, permettendo agli artigli della gatta d’Egitto di affondare nel ventre del guerriero di Apollo. –"La tua nave è giunta all’ultimo porto." –Sibilò, trapassandogli lo stomaco con l’intero braccio e lasciandolo poi a terra sanguinante.

"Ora basta!!!" –Tuonò Febo Apollo, sollevando Bastet con una presa psicocinetica e scaraventandola indietro, fino a schiantarla contro la facciata del tempio di Karnak.

"Dovremmo essere noi a dirlo!!!" –Esclamarono allora cinque voci all’unisono, mentre nuove figure scattavano sugli aggressori, provenendo da ogni direzione. Cinque attacchi che obbligarono il Dio del Sole e i suoi accoliti a rifugiarsi dietro una barriera che Apollo sollevò, una cupola di energia simile alla corona solare, su cui gli assalti si schiantarono, sebbene il più potente, quello proveniente dall’alto, la mandò poi in frantumi. –"Se guerra portate, guerra riceverete!" –Chiosò un uomo, atterrando di fronte agli invasori, mentre le ali della sua corazza grigia si ripiegavano lungo la schiena. –"Parola di Horus e dei suoi figli!" –Aggiunse, venendo attorniato da quattro guerrieri in armatura.

"Ciò che vorrei ricevere, Dio Falco, è quel che mi spetta di diritto! Quel che mi è stato rubato, circuito, portato via! E, per tale offesa, sono disposto a scatenare ogni guerra che quest’arida terra sarà in grado di sopportare, finché giustizia non sarà fatta e la mia sete di vendetta saziata!!!" –Tuonò Febo Apollo, espandendo il proprio cosmo, così vasto e potente che spaventò i quattro che accompagnavano Horus.

"Cosa ti è stato portato via?"

"L’Oracolo!!!" –Sibilò il Dio, prima di scatenare una tempesta di energia ardente, che investì il giovane Falco e i suoi figli, gettandoli a terra molti metri addietro. –"La mia celebrante, la donna che più di ogni altra mi dava forza con la sua fede, con la sua poesia! La mia decima musa! La musa della devozione e dell’amore incondizionato!"

"Lo sono ancora!" –Parlò infine una debole voce di donna, obbligando il Dio greco e i suoi seguaci a sollevare lo sguardo verso l’ingresso del complesso templare, dove un’esile figura era appena apparsa. –"Sono ancora fedele a voi, mio Signore, mio luminoso Signore del Sole!"

"Hannah…" –Mormorò Febo Apollo, osservando la Sacerdotessa di Delfi camminare a fatica, tenendosi una mano sulla pancia, rigonfia e ormai prossima al parto. –"Da quel che vedo… non è così!" –Commentò schivo, spostando lo sguardo.

"Mio Signore, voi mi uccidete… io… non lo merito…"

"No?!" –Avvampò il Dio, il volto arrossato dalla collera.

"No!!!" –Rispose una terza voce, risuonando nella notte d’Egitto e ridestando tutti i presenti. Bastet, Horus e i suoi figli si rimisero prontamente in piedi, avvolti da una luce calda e armoniosa che proveniva dal cuore del regno, l’unico vero sole a cui amassero ristorarsi.

"Finalmente ti mostri, ladro di Oracoli!" –Sibilò Febo Apollo, mentre un’alta figura, rivestita da una luminosa Veste Divina si affacciava sul portone di Karnak, impugnando un lungo scettro con il manico piegato. –"Amon Ra, usurpatore di un titolo che con questo atto hai oscurato!"

"Quale atto, Apollo? Amare? Non è a questo che servono gli Dei? A insegnare agli uomini ad amare, con la loro benevolenza?!" –Rispose pacato ma fermo il Dio egizio.

"Non osare insegnarmi! Non tu, che hai violato il mio santuario, impossessandoti del mio bene più prezioso, senza rispetto alcuno per la mia persona!"

"Vedo… che in realtà è una persona che merita davvero poco rispetto…" –Mormorò Amon Ra, suscitando la collera del figlio di Zeus, che aprì il palmo della mano sollevando un’onda di energia che fagocitò in fretta l’intero viale, distruggendo sfingi e monumenti sacri, fino ad abbattersi sul complesso templare, in una nube di polvere e sabbia.

Quando l’ammasso fumoso si diradò, e i Cavalieri della Corona già marciavano avanti, convinti di dare il colpo di grazia ai nemici malridotti, dovettero frenare i loro passi, accorgendosi non soltanto che Karnak era ancora in piedi, ma anche che i suoi occupanti non avevano riportato danno alcuno. Riparati da un velo luminoso che Amon aveva prontamente eretto a difesa della sua dimora, Bastet, Horus e i suoi figli, si ergevano a protezione del loro Dio e della Sacerdotessa di Apollo, stretta al corpo dell’uomo di cui perdutamente si era innamorata, dell’uomo che le aveva dato calore.

"Puoi riprovare." –Commentò Amon Ra, espandendo il proprio cosmo e concentrandolo sul djam, prima di scagliare un violento raggio di energia contro il carro del sole, distruggendolo. –"Ma dubito che il risultato sarebbe differente!"

"Questo non appaga la mia ira, né rende grazie all’affronto che ho subito! Ma se non posso piegarti con la forza, maledetto Dio egizio, io ti vincerò con la pazienza!" –Sibilò Febo Apollo, recuperando un tono di voce calmo e distaccato. –"La mia maledizione cade su di voi, che vi porti sofferenza e solitudine! Proverai, Amon Ra, cosa significa rimanere soli e perdere coloro che amiamo! Sentirai, sulla tua stessa pelle, il peso di una vita eterna, silenziosa condanna per i tuoi peccati! Così ho parlato e queste sabbie mi siano testimoni!" –Non aggiunse altro, il furente Dio greco, prima di dare le spalle a Karnak e ai suoi abitanti. Fece qualche passo, seguito dai Cavalieri della Corona ancora vivi, e poi sparì, in un lampo di luce, tornando sul Monte Elicona, a trastullarsi con la cetra e le Muse.

Amon Ra rimase per qualche istante a fissare il vuoto, il devastato paesaggio ove un carro e tanti uomini ardevano in un rogo notturno, prima che uno strillo di Hannah lo riportasse in sé. –"Il bambino… amore mio… lui… sta per nascere…" –Gli disse, mentre il Dio ordinava a Bastet di chiamare Iside e le sue ancelle, per assisterla durante il parto.

Fu un’operazione veloce, ma non fu affatto indolore. Le urla, gli strepiti, i vagiti di dolore di Hannah, Amon non li avrebbe dimenticati mai, anche perché furono le ultime parole che di lei udì. Straziata dal parto, distrutta da una maledizione a cui non aveva forze per opporsi, la donna si spense dopo aver visto suo figlio per la prima e unica volta, dopo che Iside glielo mostrò, strappandole un sorriso e una sola parola.

"Febo."

E poi morì.

La rabbia di Amon esplose quella notte, e a niente valsero i tentativi di Iside, Horus e degli altri Dei a lui vicini di offrirgli conforto. Quel che il Signore del Sole realmente voleva lo aveva perso, e con Hannah aveva perso anche la sua determinazione, la sua fede nel futuro e la sua autorevolezza. Offeso dal villipendio e deciso a farla pagare ad Apollo, il Dio diede ordine a Bastet e a Sekhmet di radunare l’esercito l’indomani, per manciare sulla Grecia, ma ricevette in risposta sguardi assenti e sfuggenti.

La voce di quel che era accaduto si era sparsa in fretta e molti ritenevano che la strage notturna fosse stata responsabilità di Amon, e che per un bambino bastardo nato da madre greca non valesse la pena rischiare un conflitto con Apollo e l’Olimpo che l’avrebbe protetto. Lo pensarono in molti, e altrettanti lasciarono Karnak poco dopo, dirigendosi a Tebe o a Dendera, e quelli che rimasero non mostrarono più la stessa devozione al Dio avuta prima. Persino la Leonessa d’Egitto quietò il suo ruggito, pur senza mai schierarsi apertamente contro Amon. Persino Osiride rimase silenzioso in Amenti, rifuggendo la chiamata alle armi e venendo presto raggiunto dai figli di Horus, che alla guerra non erano proprio avvezzi.

Soltanto Iside rimase a Karnak, insistendo con Ra affinché tenesse il bambino, che era pur sempre suo figlio, nonché tutto quel che gli rimaneva della donna amata.

"Dal suo ricordo traine forza!" –Gli disse, mettendoglielo in braccio quel giorno, quel delicato infante dagli occhi verdi. Amon Ra annuì, ma non fu mai in grado di tenere fede al patto con se stesso, e anziché forza ne trasse solo rimpianti.

***

"È stata colpa mia…" –Mormorò Febo, dopo che il padre ebbe raccontato l’intera storia della sua nascita.

"Non pensarlo mai! Sei la cosa più bella di cui abbia goduto in questi anni, dopo la morte di tua madre! L’unico affetto in grado di mantenermi vivo, quando tutto il resto diveniva cenere! Se c’è qualcuno da biasimare, quello sono io."

"E… non posso continuare ad esserlo?"

Amon Ra non rispose, dando le spalle a Febo, a Karnak e a tutta la sua vita. Spinse il portone ed entrò nel santuario, sigillando l’intero complesso fuori dal tempo. Senza più guerre né affanni, ricordi o speranze. Senza più prima né dopo, passato o futuro. Karnak vivrà in un eterno presente, senza principio e senza fine. Un eterno ora. E sarebbero passati secoli prima che le sue porte fossero di nuovo aperte.

***

Estratto dalle Cronache di Avalon

Tempo: secondo avvento.

Come gli fossero tornati in mente, quei ricordi lontani, neppure lui seppe spiegarselo. Poté solo sorridere, riflettendo su come era cambiato. Lui, e anche il mondo di cui tanto aveva avuto paura, da cui lontano aveva cercato di tenere Febo, per impedire che avesse a soffrire dei suoi mali come era accaduto a lui.

Meditava su questo, Amon Ra, seduto sul trono nel suo santuario privato, lo stesso da cui si era infine rialzato quindici anni addietro, dopo avervi trascorso secoli, la coscienza chiusa in uno stato embrionale, eternamente in riposo. Da allora, dal giorno in cui il sole era tornato a sorgere su Karnak, il Dio aveva riacquistato il suo antico splendore, accrescendo non solo il suo potere ma anche recuperando sapienze perdute, spolverandole dalla sabbia dell’oblio. Ed in quel processo di svecchiamento non era stato solo, bensì aiutato da numerosi amici, sia residenti all’interno di Karnak, che non.

"Febo e Marins sono stati salvati! Adesso riposano nelle stanze di Iside, sottoposti a cure continue. Non essere in ansia, la sapienza della Madre lenirà i loro affanni!"

"Mai mi permetterei di dubitare delle conoscenze della Dea della Maternità e della Fertilità! Non potrei immaginare i Cavalieri delle Stelle in mani migliori, Signore del Sole, e ti sono grato!" –Esclamò allora l’altra voce, risuonando direttamente nella mente del Sommo. –"Ti ringrazio, Amon Ra, per aver messo i tuoi servitori a mia disposizione, impiegandoli in una perigliosa missione dai così alti costi! Con la guerra sulla Luna in corso e il risveglio degli Antichi in vari luoghi del mondo, eri l’unico, purtroppo, a poter intervenire in tempi celeri!"

"Apprezzo i tuoi ringraziamenti, Signore dell’Isola Sacra, ma non è per questo che mi risvegliasti, quindici anni addietro? Per tramite del tuo allievo, Micene di Sagitter?" –Ironizzò il Dio. –"Per avermi al tuo fianco nell’ultima guerra?!"

"Il lungo letargo non ha intorpidito la tua mente, Signore del Sole. Acuta e brillante come l’astro che rappresenti." –Commentò compiaciuto Avalon. –"Di certo il tuo potere era necessario, per garantire l’equilibrio del mondo. Inoltre la tua presenza mi rasserena, mi dà forza, anche in questi giorni bui! E credo che in fondo pure tu volessi dare a tuo figlio un ultimo saluto prima dell’avvento dell’ombra!"

Amon Ra sorrise alla veridicità delle parole dell’alleato, prima di alzarsi dal trono e uscire dal suo santuario privato, salvo poi fermarsi dopo qualche passo, tra le colonne dell’immenso salone. Incerto. –"C’è un’altra cosa…"

"Che cosa turba il tuo cuore, facendoti tentennare dal parlarmene? Sii sincero con me, non vi è niente che tu debba temere di rivelarmi!"

"Quel che Horus e Febo hanno visto nel deserto del Gobi, i sotterranei di quel luogo mortifero…"

"Il Santuario delle Origini, issato sul campo della prima battaglia contro l’ombra!" –Annuì il Signore dell’Isola Sacra, percependo i brividi del cosmo di Amon. –"Quel che tuo figlio ha veduto è solo una parte di ciò che cela! Un frammento dell’oscurità che sta per riversarsi su tutti noi! Mi auguro che le mura di Karnak siano solide e pronte all’urto, perché la tempesta è prossima! Già le prime piogge d’ombra hanno iniziato a cadere!"

"Così ci siamo. L’alba dell’ultima guerra è sorta!" –Concluse Amon Ra, impugnando saldamente il djam, simbolo del suo potere regale, e congedando l’amico.

"Arrivederci, Pastore dell’Universo! Ci incontreremo di nuovo dove tutto ebbe inizio, e dove tutto avrà fine!" –Il cosmo di Avalon scomparve, rapido com’era giunto, lasciando il Dio del Sole ai suoi pensieri. Non era per sé che temeva, avendo vissuto una vita immensamente lunga, e a tratti anche noiosa, ma per coloro che amava, coloro che aveva nascosto al mondo per così tanto tempo da impedir loro di vivere appieno. Per garantire un futuro al suo regno, che nelle nebbie del tempo aveva poltrito a causa sua, avrebbe dovuto combattere.

"E lo farò!" –Esclamò a gran voce, avvampando nel suo cosmo dorato.

Tutti, a Karnak, udirono il suo richiamo, tutti sentirono l’occhio di Ra su di sé, e si inchinarono, ovunque fossero, pronti ad obbedire alle richieste del Sommo. Ma fu solo una donna dai capelli neri ad essere raggiunta dal suo volere, un’agile figura che si stava allenando nel cortile del tempio, al riparo da sguardi indiscreti.

"Cosa comandi, mio Signore?" –Esordì, entrando dopo pochi minuti nella Grande Sala Ipostila e inginocchiandosi di fronte a Ra.

"Avvisa Sekhmet di tenersi pronti!"

"La Dea Leonessa aspetta soltanto i vostri ordini!"

"E i figli di Horus? Sono in posizione?" –Incalzò, non avendo percepito traccia dei loro cosmi nel luogo che erano preposti a difendere.

"Credo che, dopo quanto accaduto al Sommo Osiride, si siano recati al Tempio di Horus a rendere omaggio al loro padre. Ma tutte le difese sono già state allertate!"

"Mi occuperò io del Falco. Sono certo che capirà. È un guerriero, non un ragazzino! È tempo che tutti ricordino chi siamo, gli Dei d’Egitto, Signori del Deserto, e non lasceremo estendere ad alcuna Divinità oscura la sua ala nera su di noi!"

***

"Padre…" –Mormorò Febo, percependo l’infiammarsi del cosmo di Amon Ra.

Riposava su un morbido giaciglio nelle stanze di Iside, Signora della Maternità, che aveva scelto di prendersi personalmente cura di lui, anziché affidarlo ai sacerdoti e ai loro ut. Era ancora convalescente, ma la febbre era passata e il suo carnato aveva ripreso un po’ di colore, cacciando via quel biancore che così tanto aveva spaventato la Dea Madre quando lo aveva rivisto.

"Non ti agitare!" –Gli disse, rinfrescandogli la fronte e il viso con un panno fresco imbevuto di un unguento vegetale che favoriva la respirazione.

Febo trovò sollievo nelle sue cure, in quei piccoli gesti d’affetto che Iside non gli aveva mai fatto mancare, prendendosi cura di lui come sua madre avrebbe fatto. Mettendo da parte il dolore, le afferrò una mano con la propria, fissandola negli occhi stanchi e invocando il suo perdono. –"Mi dispiace."

La Dea accennò un sorriso, capendo, prima di carezzare la mano del giovane e dargli un bacio sulla fronte. Non disse altro, alzandosi e incamminandosi verso l’uscita, seguita dall’attento sguardo di Febo. Solo allora il ragazzo notò Marins appoggiato al muro accanto all’ingresso.

"Ehi! Come stai?"

"Ho vissuto momenti migliori!" –Ironizzò il compagno, che, come Febo, indossava una lunga veste bianca, semplice e traspirante. –"La protesi mi sta dando fastidio, una sensazione di prurito che gli oli di Iside non hanno ancora eliminato! Credo si tratti della sindrome dell’arto fantasma, ci cui mi aveva parlato Avalon tempo fa. Comunque sto bene, il cosmo di tuo padre mi ha ristorato in fretta!"

"Mio padre… spero di vederlo presto. Ho così tante cose da dirgli, da chiedergli…"

"Beh, non dovrai aspettare molto, allora!" –Commentò il ragazzo, voltandosi verso l’ingresso, dove l’alta sagoma di Ra era appena apparsa, con un sorriso sul volto.

"Padre!!!" –Esclamò Febo, affannando nel mettersi in piedi. Ma il Dio lo pregò di rimanere composto, per non affaticarsi. –"Padre, vi sono nuovamente debitore! È già la seconda volta che accorrete in nostro aiuto!"

"Non è forse questo compito di un genitore?! Anche se per molto tempo ho dimenticato cosa volesse dire avere un figlio, sto cercando di rimediare. E non solo perché sei speciale, perché sei un Cavaliere delle Stelle, ma perché sei il figlio che così tanto avevo voluto, il figlio che credevo di aver perduto." –Commentò il Sommo Ra, abbracciando Febo, per poi alzarsi e camminare attorno al letto. –"Adesso riposa. Quando ti sarai ristabilito, parleremo… del resto."

"Padre, vi prego! Non andate via! Non posso aspettare!" –Lo fermò Febo, e anche Marins si avvicinò, per udire meglio. –"La morte di Osiride pesa sul mio cuore… Perché ha attaccato il Santuario delle Origini così frontalmente? Non ha pensato ai rischi che avrebbe corso? Creature troppo oscure sta partorendo quel tempio, bestialità che vanno al di là di ogni forma di immaginazione, e ogni ora che passa, forse anche ogni minuto, nuovi orrori vanno a sommarsi a quelli già esistenti!"

"Osiride sapeva perfettamente quello che stava facendo, Febo! Per quanto indicata come incursione, sia lui che Horus erano ben consapevoli che in realtà sarebbe stato uno scontro frontale. Non avrebbe potuto essere altrimenti, con le terribili Divinità poste a guardia di quel luogo. Ma era l’unico modo per permettervi di uscire vivi da lì, l’unico modo per liberare il sole prigioniero!"

"Lui… lo ha fatto per noi…" –Mormorò allora Marins, chinando lo sguardo.

"Precisamente!" –Annuì Amon Ra, dando un buffetto al figlio su una guancia e uno all’americano sul naso e allontanandosi.

Sulla porta incrociò il Dio Falco, venuto a sincerarsi delle condizioni dell’uomo che considerava un fratello, dell’uomo per cui suo padre aveva scelto di morire.

"Horus!!!" –Esclamò Febo, scendendo dal letto e mettendosi in piedi. –"Io… non so cosa dire, come ringraziarti… quello che tu e tuo padre avete fatto per noi è stato…"

"Un suicidio." –Commentò atono il figlio di Osiride, attirando lo sguardo di Febo. –"Mio padre aveva un debito nei tuoi confronti, da quando scendesti in Amenti per salvarci dalla prigionia di Anhar e Apopi! Se lo portava dietro da quindici anni, nel tentativo di riuscire un giorno a pagarlo. Adesso lo ha fatto, adesso è in pace!"

"Vorrei che lo fossimo anche noi!" –Sospirò il Cavaliere del Sole, strappando un sorriso al fratello adottivo.

"Lo vorrei anch’io." –Esclamò, prima di andarsene. –"E lo saremo, Febo. Torneremo ad esserlo, presto. Hai la mia parola. Ho solo bisogno… di un po’ di tempo."

Rimasti soli Febo e Marins sospirarono sconsolati, convinti di un’unica verità. Una sola certezza. Rimettersi in forma quanto prima per tornare sul campo di battaglia.

Era tempo che il cerchio si chiudesse e che i Sette combattessero tutti assieme.

 

Estratto dalle Cronache di Avalon.

Tempo: Secondo avvento.

Fine.