CAPITOLO DICIOTTESIMO: LA COLONIA NASCOSTA.
Sul plateau tibetano l’aria era buona. Respirandola, Mur sorrise, riconoscendo tracce di casa.
Spaziò con lo sguardo tra le eminenti cime innevate, dalla catena himalaiana, che si estendeva alla sua destra, spostandosi verso occidente, fino alle vette del Karakoram e dell’Hindu Kush. Quelle terre antiche, che così pochi uomini avevano violato, erano il luogo in cui la sua storia era iniziata, la culla ove era cresciuto, ricevendo i primi insegnamenti, prima di trasferirsi ad Atene e divenire allievo di Shin. Ma il Cavaliere di Ariete non aveva mai dimenticato le proprie origini, rendendo onore al suo popolo con la sua sapienza, la sua arte e la sua capacità di mantenere segreti. Capacità in cui, doveva ammetterlo, si era rivelato particolarmente adatto.
Sospirò, inebriandosi a pieni polmoni di quell’aroma di eternità, prima di rimettersi in marcia. Era stato facile arrivare dalla Grecia in Asia Centrale, grazie ai suoi poteri di teletrasporto, ma l’ultimo pezzo di strada aveva deciso di percorrerlo a piedi. Una scelta dettata da un’esigenza interiore, dalla ricerca di una pace che solo sul tetto del mondo poteva trovare. Una calma che nelle ultime notti aveva perduto, da quando visioni angosciose avevano iniziato a turbare i suoi sogni, visioni di guerra, schiavitù e morte. Visioni di volti confusi, ove solo quello di sua madre appariva nitido davanti ai suoi occhi, nitido come il sangue che le colava dal mento. Un mulinar di lame e niente più, solo la consapevolezza della sua tragica fine.
Scosse la testa per allontanare quei nefasti pensieri e aumentò l’andatura, giungendo alla meta del suo viaggio. Magnifico e temibile, di fronte a sé si apriva il massiccio del Dhaulagiri, le cui dieci cime, sempre coperte di neve, superavano i settemila metri di altezza, facendo meritare al complesso montuoso il nome sanscrito di Montagna Bianca.
Quella era la sua destinazione, il luogo in cui dimoravano gli ultimi discendenti di Mu.
A passo svelto, raggiunse l’ingresso al valico che conduceva alla terra di pace ove millenni addietro si rifugiarono i pochi che riuscirono a scampare all’inabissamento dell’isola antica. Ancora una volta Mur si sorprese della genialità della sua stirpe, in grado di proteggere la colonia con la sola forza della mente. Trattenendo un sorriso, il Cavaliere di Ariete sfiorò l’innevata parete rocciosa che si apriva alla sua destra, accorgendosi di non riuscire ad afferrare alcunché. Per quanto agitasse la mano, quel bianco suolo risultava intangibile e distante, quasi non fosse mai sufficientemente vicino. Un trucco mentale generato dai difensori di quell’ermo santuario.
Un attimo dopo fu oltre. All’interno del regno, nel cuore della montagna che lo ospitava e proteggeva.
"Non un passo di più o non ti garantisco la vita!" –Esclamò una voce maschile, fermando l’avanzata del Cavaliere d’Oro, che volse lo sguardo verso i rilievi attorno al sentiero, da cui la voce era giunta. –"Identificati!" –Aggiunse un secondo uomo.
Mur sorrise, socchiudendo gli occhi e lasciando che fossero i sensi a fargli strada, quegli stessi affilati sensi che gli permisero di individuare un gruppetto di figure sulla cima dei rilievi, i corpi avvolti da una bruma biancastra che li rendeva invisibili ad occhio umano. Trucchi mentali con cui potevano controllare senza essere visti.
"Non dovete temere, popolo di Mu, poiché io sono uno di voi! Il mio nome è Mur, allievo di Shin e Cavaliere d’Oro di Ariete!" –Annunciò il difensore del Primo Tempio di Atene, sollevando le mani e lasciando che il proprio cosmo fluisse attorno a sé, fino a lambire i rifugi delle guardie e andare oltre.
"Grande Mur! Siete tornato?! Che bello rivedervi!" –Esclamarono i difensori dell’ultima colonia, uscendo dai loro nascondigli e palesandosi di fronte agli occhi dell’uomo. Alcuni erano volti noti, che Mur aveva conosciuto le poche volte in cui si era recato in visita a sua madre, negli anni di esilio dal Grande Tempio, altri erano giovani dallo sguardo fresco, di certo novizi nello studio dei poteri mentali.
Eppure… rifletté, dubbioso, realizzando di non averne percepito la presenza fin quando non l’avevano chiamato. Se fossero stati nemici…
Non ebbe il tempo di chiedersi altro che i custodi della colonia di Mu gli fecero cenno di seguirlo verso il cuore della montagna, ove dimorava il resto della popolazione, in caverne naturali adattate al punto da divenire funzionali abitazioni. Un luogo sicuro in cui la più antica civiltà terrestre aveva continuato a respirare.
Sebbene non fosse la prima volta che percorreva i dedali che portavano alla culla della propria cultura, Mur non riuscì a non trattenere il respiro, ammirando la vitalità che pulsava sotto strati di roccia e ghiaccio eterno. Cucine, biblioteche, alloggi, orti e frutteti, persino un giardino ove crescevano erbe divenute rare nel mondo esterno. E, su tutte, un alitare continuo di aria buona, corroborante per lo spirito, diffusa fino in profondità dai labirintici corridoi che perforavano l’interno del Dhaulagiri.
"Mur!!!" –Lo chiamò infine una voce femminile, costringendolo a spostare lo sguardo verso una delicata figura, in vesti violacee, che, appena uscita da una caverna, aveva iniziato a corrergli incontro.
"Madre!!!" –Esclamò il giovane, lasciandosi abbracciare. –"Come state? State bene?"
La donna annuì più volte, baciandolo in fronte, senza riuscire a trattenere le lacrime per la gioia di rivederlo. Quindi gli fece cenno di entrare nella propria abitazione, ove avrebbero potuto parlare in privato.
"Come vi sentite, madre? Sono stato molto in pena per voi! È accaduto qualcosa?" –Incalzò il Cavaliere, di fronte allo sguardo attento della donna.
"Sto bene, Mur, davvero. Sei gentile a preoccuparti, ma mi sento bene! Perché?"
"Io… ho percepito dei segnali. Visioni terribili che mi hanno riempito la mente ogni volta in cui tentavo di riposarmi. Visioni che ho interpretato come un presagio. Per questo sono giunto fin qua, per sincerarmi sulle vostre condizioni!"
"Per quanto sia lieta di rivederti, figlio mio, temo di non essere io a necessitare di cure. Che succede, Mur? Cosa angoscia la tua mente, inquinando persino il tuo cosmo? L’ho percepita subito, non appena hai varcato la Bocca della Montagna, un’evidente sfumatura di ambascia che mai ha macchiato il tuo cosmo placido."
"Io… non lo so… madre… Credevo davvero che foste in pericolo!!!" –Il Cavaliere scosse la testa, cercando di far luce in quei nebulosi pensieri. Quel che aveva intuito, entrando nella colonia nascosta, era dunque vero. I suoi sensi erano ottenebrati, al punto da generare errate percezioni. Un difetto di valutazione che un uomo come lui, dalle elevati facoltà mentali, non poteva permettersi e che poteva essere stato causato solo da una forza ancora più potente. E oscura. Una forza che doveva essersi insinuata nella sua mente, facendo leva su inconsce paure represse.
Ma quando? E come?!
Non seppe rispondersi, così riportò lo sguardo sulla madre, che lo fissava impaurita ma anche con un sorriso sincero.
"Al di là di tutto, sono contenta di rivederti!" –Gli disse, sfiorandogli il viso con una mano. –"Ho seguito le tue gesta da lontano, ascoltando lo stormire del vento, e ho penato e sofferto ogni volta in cui ho sentito il tuo cosmo giungere al parossismo. Il tuo, e anche quello del piccolo Kiki."
"Mi ha detto che sei giunta in suo aiuto alle Andamane."
"Gli ho solo ricordato quanto sia bello vivere. È troppo giovane per averlo già dimenticato. A volte vorrei che Shin non ti avesse mai scelto, che tu fossi rimasto qua, celato ai mali del mondo, anziché andare ad Atene, e che Kiki non fosse mai nato, così non avrebbe provato tutta quella devozione verso l’eroico fratello che condurrà entrambi al martirio."
"Se morire è il tributo da versare per difendere la Terra, sono ben lieto di pagarlo!"
"Io no. Ma so di non poterlo impedire." –Sospirò la madre, prima di aggiungere, sorniona. –"La tua venuta non è comunque vana. Sei arrivato in tempo per dirgli addio!"
"Co… come?! Sta… così male?"
La donna annuì, accennando un sorriso sentito, prima di invitare il figlio a fargli visita, onorandolo dell’ultimo saluto. Mur rimase a ponderare per qualche istante, prima di alzarsi e uscire dall’abitazione, incamminandosi a passo deciso verso la dimora del padre di tutto il suo popolo, il più longevo abitante di Mu che sia mai sopravvissuto.
Lo trovò dove l’aveva lasciato anni addietro, disteso sul letto della sua caverna, quella più in alto di tutte, dalla cui sommità il vecchio poteva ammirare il suo regno, la sua colonia, quel che restava di una vita di reliquie e ricordi. Lo ritrovò così e per un momento sembrò a Mur che il tempo non fosse passato.
"Padre…"
"Ora posso morire!" –Commentò l’anziano uomo, senza accennare a sollevarsi. Teneva gli occhi chiusi, muovendo a malapena le labbra, ma fu in grado di sfiorare la mano di Mur mentre questi si avvicinava al suo giaciglio. –"La tua presenza qui, quest’oggi, è il dono migliore che potessi ricevere, l’obolo che mi traghetterà sereno verso un’altra vita. Ascolta, figlio di Mu. Ascolta, discendente di Antalya."
"Sono qui, nobile Rasha!" –Si inginocchiò il Cavaliere di Ariete, senza lasciare la mano dell’uomo, percependo il fluire del suo cosmo ancestrale solleticargli la pelle.
"Avrei parlato con tua madre, le avrei detto di tramandare a te, o a tuo fratello, la sapienza del nostro popolo, memorie di un tempo che non devono andare perdute. Cough cough!" –La voce di Rasha era distante e interrotta da continui colpi di tosse, che rendevano difficile decifrarne correttamente le parole, ma Mur fece il possibile per tranquillizzarlo. –"Ho vissuto più a lungo di quanto un uomo normale abbia mai avuto diritto, ben cinque secoli ho visto scorrere. Sembrano tempi lontani, ricordi dei giorni in cui, come te, ho vestito l’Armatura dell’Ariete d’Oro. Il montone dalle corna lucenti, possente e fiero nello sbarrare il passo agli avversari."
"Siete stato Cavaliere di Atena? Non lo sapevo!"
"La Dea deve sapere, Mur… Caugh caugh! Quando mettemmo al suo servizio la nostra abilità, le nostre capacità di lavorare i metalli e generare corazze per i suoi Cavalieri, facemmo quel che Antalya avrebbe voluto. Iniziammo a combattere una guerra contro l’oscurità, la stessa a cui lei era sopravvissuta, unica donna di sette compagni. Lei fu la capostipite del nostro popolo, lei ideò il metodo di creazione delle armature, combinando gli elementi della natura. Metodo che tu hai imparato e cercato di trasmettere a tuo fratello. Lascia che ti dica un’ultima cosa, lascia che completi il tuo… addestramento!"
In quel momento una violenta esplosione scosse il complesso del Dhaulagiri, smuovendo mucchi di neve e schiantando rocce e ghiaccio che nessun piede umano aveva mai calpestato. Mur lasciò cadere la mano dell’anziano Rasha, interrompendo lo scambio di informazioni mentali, correndo fuori dall’ingresso e guardando in basso, in direzione della Bocca della Montagna. Seppur distante decine di metri, fu in grado di vedere una voluta di fumo sollevarsi dall’entrata, e in quello stesso fumo poco dopo apparve un gruppo di sconosciuti in armatura. Quanti non seppe dirlo, ma sufficienti per far fuori in un breve istante la guarnigione difensiva, livellando i rilievi che lambivano il sentiero e spianando la via verso il cuore della montagna.
"Chi sono questi invasori?" –Mormorò il Cavaliere di Ariete, mentre infine tutto gli appariva chiaro nella mente. Le visioni, l’angoscia, il desiderio di rivedere sua madre. Tutto faceva parte di un piano montato ad arte per spingerlo a tornare a casa, mostrando così a ignoti nemici l’ubicazione di un luogo noto solo a chi vi dimorava. Quello che non riusciva a capire era perché. –"Cosa vogliono? Non ci sono ricchezze qua!"
Si voltò, per chiedere a Rasha ulteriori informazioni, e notò il braccio penzolare stanco fuori dal giaciglio, gli occhi chiusi e le labbra rimaste aperte, a metà di una parola che così tanto aveva spaventato Mur.
"Spero tu sia in pace!" –Sospirò il custode della Prima Casa di Atene, prima di coprire il corpo con un lenzuolo e poi scattare fuori.
Per quel che ne sapeva, la colonia non aveva guerrieri. Nessuno, dei discendenti di Mu, aveva mai dimostrato inclinazione per la battaglia, preferendo dedicare le loro vite e le loro energie allo studio. Solo i più giovani, per costituzione i più adatti, padroneggiavano i rudimenti della scherma e del combattimento con la spada, pur con la consapevolezza di non doverli mai mettere in pratica.
Fino ad ora. Si disse, sfrecciando lungo i sentieri tortuosi della Montagna Bianca diretto verso l’ingresso.
"Mur! Mur!!!" –Lo chiamò sua madre, intenta a parlare con altri abitanti della colonia fuori dalla sua abitazione. –"Che succede? A chi appartengono questi cosmi ostili? Spiriti bellicosi intrisi di fiamme e odio. Mai ho percepito una così intensa sete di guerra!"
"Non lo so, madre, ma lo appurerò presto! Adesso ascoltatemi, ve ne prego! Radunate il popolo e portatelo al sicuro, nelle caverne più interne, sigillando l’ingresso con i vostri poteri! Di certo conoscerete un rito adeguato! Gli psicocineti più esperti invece con me, possono essere utili per rallentare il nemico!"
"Li radunerò!" –Disse prontamente un uomo, allontanandosi di qualche passo e sfiorando la propria testa con le dita, in modo da inviare un messaggio ai compagni.
"Fa’attenzione! Ti supplico!" –Esclamò la donna, afferrando Mur per un braccio, prima che si allontanasse. –"Non ho mai sopportato l’idea che tu combattessi, l’idea di non poterti dire addio, caduto in campi di battaglia lontani! Ma pensare che tu possa morire qui, a casa nostra, mi strazia il cuore, Mur!"
"Non accadrà! Abbi fede!" –Le disse, sfrecciando verso la Bocca della Montagna, dove la giovane guarnigione di discendenti di Mu aveva tentato di opporre una breve resistenza, venendo spazzata via in fretta.
"Ahr ahr! Freschino qua dentro!" –Commentò una ruvida voce maschile. –"Sarà il caso di accendere un bel fuoco per riscaldare l’ambiente! Che ne pensi, Lethe?"
L’esile figura al suo fianco non disse alcunché, limitandosi a spostare lo spento sguardo dall’ingresso verso le cavità della montagna, dando ordine ai soldati che erano con loro di penetrare all’interno.
"Conoscete gli ordini." –Chiarì, schiva. –"Eseguiteli!"
Un centinaio di guerrieri, rivestiti di corazze dalle forme aguzze, dotate di spuntoni sulle spalle e sui gomiti, passò oltre, incamminandosi lungo il sentiero percorso da Mur neppure due ore addietro. Non riuscirono a compiere che pochi passi che dovettero fermarsi, schiantandosi uno contro l’altro, bloccati da una barriera invisibile che sbarrava loro il passo.
"Che diavoleria è mai questa?" –Esclamò allora l’uomo alto e robusto che guidava la spedizione. Facendosi largo tra i soldati, agitando furioso una mannaia, si avvicinò al punto oltre il quale il battaglione non poteva andare oltre, scoprendo, toccandolo, l’esistenza di un velo così sottile da risultare impercettibile ad occhio nudo. Un muro, un po’ ondulato, su cui timidamente si infrangevano i raggi di sole che giungevano dall’esterno. Non fosse stato per quel debole chiarire neppure lui lo avrebbe notato.
"È il Muro di Cristallo!" –Esclamò allora la calma voce di Mur, parlando sopra il confuso mormorio dei presenti. –"Limite ultimo della vostra incresciosa avanzata!" –Quindi, senz’altro aggiungere, la barriera esplose in un riverbero di luce, scagliando indietro l’uomo con la mannaia e una decina di soldati troppo vicini ad essa.
"Grrr!!! Trucchetti da prestigiatore!" –Ringhiò il guerriero, rimettendosi subito in piedi. –"Fatti vedere, Ariete d’Oro! So che ci sei tu dietro questa trappola!"
"Mi conosci? Dovrei sentirmi onorato, sebbene tenda ad essere più infastidito dalla vostra intrusione, o incursione, che dir si voglia, in questo luogo di pace!" –Continuò Mur, parlando da dietro il muro, senza che le sue forme fossero rivelate. –"Io invece non ti conosco, ma ardo dal desiderio di udire i vostri nomi! Soddisfami, ti prego!"
"Umpf, fai poco l’arrogante in mia presenza! È a un Dio che ti rivolgi! Horkos, figlio di Discordia, Dio punitore di tutti coloro che violano un giuramento!"
"E dalla stessa madre siamo state concepite noi, le Amphilogie! Divinità della Disputa e del Contenzioso!" –Parlarono allora i guerrieri che accompagnavano Horkos, guerrieri che, Mur non lo aveva fino ad allora notato, erano tutte donne, sebbene presentassero un fisico scolpito, quasi muscoloso, e un corto taglio di capelli da farle apparire come uomini.
"Horkos? Amphilogie? Cosa sta succedendo?!" –Si chiese il Cavaliere di Ariete, senza avere tempo per riflettere ulteriormente, dovendo fronteggiare la rinnovata carica del figlio di Discordia, che si lanciò contro la barriera da lui eretta, tempestandola di colpi con la propria mannaia.
"Cadi!!!" –Ringhiò Horkos, caricando l’arma del suo cosmo divino.
Preparandosi alla collisione, Mur espanse il proprio cosmo, concentrandolo sul quadrante del Muro di Cristallo ove era certo che il nemico avrebbe colpito. E quando la mannaia calò, liberando l’energia accumulata, al Cavaliere di Ariete sembrò che gli avesse squartato il cuore, tanto violento fu l’urto, al punto da spingerlo indietro, a gambe all’aria, per quanto anche Horkos venisse scaraventato molti metri distante.
"Bella sfida!" –Esclamò divertito il figlio di Eris, pulendosi un labbro sanguinante con il dorso della mano e rimettendosi in piedi. Ma la donna dalla corporatura minuta che lo accompagnava, rimasta silente per tutto quel tempo, gli passò accanto, senza permettersi di andare oltre. Fissò la barriera eretta da Mur, che ancora resisteva, prima di chiudere gli occhi e mandarla in frantumi, come fosse fragile vetro.
"In… credibile…" –Mormorò il Cavaliere di Ariete, riconoscendo, nel cosmo emanato dalla donna, una palese sfumatura divina.
"Non abbiamo tempo per giocare, Horkos! Non vorrai generare disappunto in coloro che ci hanno affidato questa missione?"
"Pfui!" –Il figlio di Eris sputò in terra, grugnendo parole incomprensibili, prima di berciare ordini alle Amphilogie, che subito riformarono le fila, ricominciando ad avanzare lungo il sentiero. E quando Mur, rimessosi in piedi, fece avvampare il proprio cosmo, deciso a fermarli, Horkos sfrecciò avanti, il braccio destro avvolto in un’incandescente energia violacea.
"Sturmjan!!!" –Tuonò il Dio, investendo il Cavaliere con una pioggia di pericolosi affondi che parevano cadere su di lui da ogni direzione. Rapidi, precisi e decisamente violenti, gli impedirono di sollevare qualsiasi difesa, mozzando persino i movimenti delle braccia. Un ultimo, più poderoso, si schiantò sull’elmo della corazza d’oro, distruggendone il cimiero, prima di spaccarlo in due e prostrare a terra il suo possessore.
A tal vista, le Amphilogie aumentarono l’andatura, passando ai lati di Mur e proseguendo verso il cuore della colonia a ritmo serrato. Il Cavaliere di Ariete affannò nel rimettersi in piedi, tastandosi la fronte sanguinolenta e ringraziando la maestria dei suoi antenati, che gli aveva permesso di forgiare corazze così resistenti. Si voltò, deciso a fermarne l’avanzata, ma venne afferrato per un braccio da Horkos, che glielo torse forzandolo a guardarlo in faccia.
Solo allora, osservandolo per la prima volta con attenzione, Mur vide quanto fosse brutto il figlio di Discordia. Nonostante il fisico robusto e le braccia forti, il volto era una maschera di terrore, butterato e marcato da così tante cicatrici che ad un solo sguardo era impossibile contarle tutte. Un occhio, poi, sembrava fuori posto, posizionato più in basso rispetto all’altro, contribuendo a dare al Dio un’esteriorità rozza e acerba, ben diversa dall’aggraziata madre che l’aveva generato. I capelli grigi, folti e vispi, sembravano alberi isteriliti da una fiamma di morte che il Signore dei giuramenti mancati covava nell’animo.
"Ammiri il mio splendore, Cavaliere di Ariete? Ahr ahr!" –Rise sguaiato il figlio di Eris. –"Preoccupati del tuo! Rimarrà ben poco del tuo candido volto quando avrò finito con te! Ahr ahr!"
"Al tuo posto, bestia! Dei ben più potenti ho affrontato! E neppure con l’aiuto di cento braccia mi hanno piegato!" –Avvampò Mur, espandendo il cosmo e cercando di spingere indietro il nemico con i suoi poteri mentali, ma non ottenendo altro che un’ulteriore beffarda risata.
"Forse ti è sfuggito. Ma sono un Dio!" –E, nel dire ciò, gli piegò il braccio all’indietro, inebriandosi del suono acuto delle ossa che andavano in frantumi. –"I tuoi poteri telecinetici mi fanno il solletico!"
"Non… sottovalutarmi…" –Trovò la forza per mormorare Mur, prima di radunare tutte le energie e generare una devastante onda di energia con cui travolse Horkos, scaraventandolo indietro, fin sulla soglia della Bocca della Montagna. Quindi, stanco e ferito, crollò sulle ginocchia, annaspando per quell’improvviso sforzo. Fu solo il vociare delle Amphilogie che gli impedì di lasciarsi andare, il timore dei danni che potevano infliggere alla colonia e ai suoi abitanti. –"Madre… vi salverò…"
Un leggero frusciare di vesti attirò la sua attenzione, portandolo a voltarsi verso la donna dai lunghi capelli indaco che si era appena avvicinata a lui, la stessa che aveva neutralizzato il suo potere. Per quanto non indossasse corazza alcuna, Mur fu certo che in battaglia non ne avrebbe avuto bisogno, percependo in lei una fervente energia cosmica.
"Chi sei?!" –Mormorò, non ottenendo risposta. Solo un impercettibile movimento di dita, con cui la donna sollevò il Cavaliere da terra, schiantandolo contro un versante interno della montagna, sprofondandolo nelle rocce che da culla erano infine divenute bara. –"Psyche… kinesis… così poderosa non l’ho mai provata… Mi devasta le ossa…" –Fece per rimettersi in piedi, salvo accorgersi che la donna silenziosa era già di fronte a lui, il palmo della mano pronto a sfiorargli la corazza d’oro, un’ondata di vibrazioni che la sua sola vicinanza generava nel corpo di Mur, che ormai non rispondeva più al suo controllo. Persino la sacra armatura di Ariete, sottoposta a così intensa pressione, cigolava lamentosamente, quasi fosse sul punto di schiantarsi da un momento all’altro.
"Fermati!!! Lui è il mio avversario!!!" –Urlò allora Horkos, interrompendo il massacro e permettendo a Mur di rifiatare. –"Lo hai forse dimenticato?" –Ironizzò il Dio, passando accanto alla donna e rivolgendole uno sguardo sprezzante. –"Io ho il comando dell’operazione, sorella!"
"Con il tuo permesso allora, seguirò le Amphilogie, per assicurarmi che tutto proceda come pianificato!" –Gli rispose senza battere ciglio, prima di dargli le spalle e incamminarsi verso le profondità di Dhaulagiri.
"Una volta ottenuto quel che ci serve, mettete il villaggio a ferro e fuoco! Noi non facciamo prigionieri, ricordalo, Lethe! Ahr ahr!" –Sghignazzò il corpulento guerriero, prima di riportare lo sguardo sul devastato corpo di Mur, che ancora non riusciva a rimettersi in piedi. –"Serve una mano?" –Lo schernì, afferrandolo per il braccio dolorante e tirandolo su, incurante dell’urlo di dolore del Cavaliere. –"O forse, una gamba?" –Aggiunse, sollevando il corpo del giovane, roteandolo in aria e infine schiantandolo a terra, divertito. –"Dato che questo arto non ti serve più, tanto vale tagliarlo, non credi?"
Così dicendo, sfoderò la mannaia che portava affissa alla cinta, caricandola del suo cosmo violaceo, prima di calarla su Mur, che fu svelto a rotolare di lato, evitandone la lama. Horkos però mosse in fretta il braccio, per inseguire la sua preda, che, troppo debole per rotolare ancora, non poté far altro che frenarne la discesa con la psicocinesi, bloccando arma e arto a mezz’aria, con un notevole sforzo mentale. Quindi, bruciando al massimo il proprio cosmo, generò una sfera di luce nel palmo della mano destra, scagliandola poi contro il figlio di Eris e travolgendolo.
L’attacco improvvisato non fu affatto risolutivo, limitandosi a spingere il Dio indietro di qualche metro, ustionando e scheggiando la sua spigolosa armatura.
"Ma niente più!" –Sogghignò Horkos, osservando invece il Cavaliere di Ariete, con un ginocchio a terra, ansimare a fatica. Quando fece per alzare la mannaia, si accorse però di non riuscire a roteare il braccio, anzi di non poter muovere neppure le gambe; persino ruotare la testa gli risultò difficile. –"Ancora psicocinesi?!" –Ringhiò, salvo poi accorgersi di sottili filamenti di cosmo che, dal suo massiccio corpo, si dipanavano attorno a sé, creando una tela così fitta e vasta da riempire l’intero passaggio verso le profondità della caverna. –"Un nuovo trucco?!"
"Ragnatela di cristallo!" –Commentò Mur, rimettendosi infine in piedi.
"E hai la presunzione di volermi bloccare a lungo?" –Ghignò Horkos, espandendo il proprio cosmo, che infiammò l’aria attorno, incendiando e schiantando numerosi filamenti di energia. –"Misera motivazione che non ti aiuterà a vincere la battaglia!"
"Non a lungo. Ma quanto basta." –Mormorò il Cavaliere di Atena, che già aveva sollevato un braccio al cielo, evocando la tecnica insegnatagli da Shin. –"Per il Sacro Ariete!!! Rivoluzione stellare!!!"
La devastante pioggia di stelle cadde sul figlio di Eris, crepando in parte la sua corazza e strappandogli grida di rabbia e sorpresa, prima che la sua furia esplodesse, sradicando in un sol colpo l’indebolita ragnatela di cosmo e sollevando l’arma mortifera.
"Sturmjan!!!" –Tuonò, rispondendo a ogni stella cadente con vigorosi affondi energetici, il cui numero crebbe in maniera esponenziale, sovrastando in poco tempo l’assalto di Mur e costringendolo alla difensiva. –"Sei mio!!!" –Ringhiò soddisfatto, mentre il mulinare frenetico della sua lama squassava il suolo attorno al Cavaliere di Ariete, graffiando la sua corazza, trinciando i suoi capelli e spingendolo indietro. –"Quanto, ancora?!"
Horkos torse le labbra in un ghigno appagato, ritenendo che il giovane fosse finito in trappola. Del resto alle sue spalle si ergeva il fianco della montagna, il sentiero era ostacolato dal Dio stesso e alla sua destra si apriva un pericoloso baratro da cui spiravano violente correnti ascensionali.
"Che la morte ti colga, Cavaliere di Atena!" –Affermò il figlio di Discordia, portando avanti la mannaia avvolta nel suo cosmo, diretta al collo di Mur.
Fu allora che il suolo tremò, mentre colonne di cosmo dal colore verde acqua sorgevano dal precipizio, catturando l’attenzione dei contendenti. Colonne che, guardandole meglio, Horkos riconobbe essere dei lucenti dragoni di energia.
"Che trucco è mai questo?!" –Ringhiò, mentre centinaia di quelle figure luminose, ascese al cielo, si riunivano in un’unica mastodontica sagoma, le cui fauci energetiche si fiondarono verso Horkos all’istante.
"Che le zanne dei Draghi di Cina mondino quest’immacolata terra!" –Risuonò allora una voce, mentre il devastante assalto travolgeva il figlio di Eris, schiantandolo a terra molti metri addietro, con l’arma in frantumi e la corazza grondante sangue in più punti.
Quando Horkos si rialzò, notò un giovane dai lunghi capelli neri avanzare a passo deciso di fronte a lui. Un giovane rivestito da una raffinata corazza eburnea, dai riflessi verdastri, raffigurante un drago. Non ebbe bisogno di chiedergli alcunché poiché ben sapeva chi fosse quel ragazzo.