CAPITOLO DICIASSETTESIMO: TOGETHERNESS.

"Da quanti secoli combattiamo, Ares?" –La voce calma ma decisa di Atena sorprese il Dio della Guerra, tanta era la determinazione che traspariva dal portamento sicuro della figlia di Zeus, appena comparsa nel Cerchio di Urano per proteggere Pegasus. –"Da quando, secoli addietro, sconfitto in guerra assieme alle tue armate di berseker, cercasti rifugio nelle profondità di Ade, spingendo il Signore dell’Oltretomba contro di me! Vigliacco fosti, incapace di vincermi da solo, e vigliacco sei rimasto!"

"Vigliacco?! È ironico che sia tu a definirmi tale, tu che da millenni armi eserciti di giovani, rubando loro i sogni e il futuro, per mandarli a morire in guerra, anziché combattere personalmente! Io almeno sono sempre in prima linea, laddove la vampa imperversa e scorre il sangue!" –Berciò Ares, la mano stretta alla lancia infuocata e desiderosa di penetrare le nivee carni della fanciulla dai capelli viola che aveva osato uscire allo scoperto, forse per la prima volta dai tempi del mito.

"Di errori ne ho fatti molti, e forse avrei dovuto essere più forte, più concreta anziché dispensare soltanto amore e perdono!" –Si rattristò per un momento Atena e il ghigno sul volto di Ares si allargò, certo di aver colpito nel segno. –"Ma errore più grande sarebbe stato permettere a te, o a Ade o a Crono o a qualunque altra crudele Divinità, di soggiogare gli uomini, privandoli del libero arbitrio e confinandoli nell’odio e nelle tenebre. No, Atena ha dedicato la vita a proteggere gli uomini, anche quando hanno sbagliato e sprecato tempo e risorse a farsi la guerra tra di loro, perché ho sempre confidato che la loro grandezza stesse nella possibilità di rinascere!"

"Facoltà che a te, presto, sarà tolta." –Sentenziò Ares, sibillino, iniziando a mulinare la lancia sopra la testa, mentre attorno a loro sorgevano vampe di fuoco, e obbligando Atena a sollevare l’Egida. –"Preparati a raggiungere… il resto della famiglia!"

La Dea avrebbe voluto chiedergli altro, indagare sui dubbi che Avalon le aveva palesato ore prima, ma la rabbia di Ares la investì all’istante, sotto forma di strali infuocati che cozzarono uno dopo l’altro sul robusto scudo dorato.

"Ti ripari dietro quel clipeo di ferraglia come per secoli ti sei fatta scudo di ragazzi nel fiore degli anni, strappandoli alle loro madri, esiliandoli dalla loro felicità terrena e sprofondandoli nei brulli campi di un anonimo sepolcreto, ove nessuna gloria li ha attesi, nessun canto eroico. Solo una triste e smussata lapide che l’edera col tempo ha sommerso!" –Ringhiò il Dio, la cui lama tempestava la superficie dell’Egida, forzando Atena alla difensiva.

"I Cavalieri non combattono per gloria o per onori, Ares, ma tu certo non puoi capire i valori che ne muovono i passi, valori che sempre hanno riempito i loro cuori."

"È questo che dicevi alle madri, quando riportavi loro i figli morti? Ē tān ē epi tās?! Con lo scudo o sullo scudo? È con questa menzogna che convincevi te stessa, bugiarda d’una sorella bastarda, quando i rapsodi e gli aedi cantavano le gesta di Atena la terribile Sovrana?! Atena la sterminatrice di fanciulli? Atena, la regina delle anime perse? Quanti threnoi hai ispirato? Di quanti lamenti funebri ti sei resa responsabile?!"

Atena inghiottì a fatica, sentendosi improvvisamente debole. Consapevole della nuda e crudele verità. Del resto, quel che Ares le stava rinfacciando era solo una parte dell’ambascia che l’aveva invasa negli ultimi tempi, da quando aveva iniziato a ricordare, da quando era riuscita a enumerare tutti coloro che in suo nome erano morti. Pur tuttavia, assieme a quel dolore, era emersa anche un’altra consapevolezza, che il tocco di Avalon aveva acuito, permettendole di accettarla.

La necessità di combattere. E di non arrendersi mai. Indipendentemente dal costo.

I suoi Cavalieri lo avevano pagato in termini di vite, di sacrifici, di futuri negati; lei lo aveva pagato saturando il suo cuore del ricordo di loro, di tutte le loro esistenze rubate. Ma mai, neppure una volta, sprecate.

"Mai!!!" –Avvampò Atena, sollevando lo Scettro di Nike e intercettando con esso la lama del Dio, in uno sfrigolare di metalli e cosmi divini. –"Mai, Ares!!!"

Il bastone di Thule e la Dòru àimatos si incontrarono più volte, con forza crescente, con Ares che mirava al collo della Dea e quest’ultima che tentava di strappargli via l’asta. Poco avvezza allo scontro fisico, fu però Atena ad essere disarmata per prima, con un affondo secco del Nume che le portò via Nike e graffiò il bracciale della Veste Divina.

"Sei mia!" –Sibilò Ares, caricando la lancia di tutto il suo cosmo infuocato.

Atena fece appena in tempo a rifugiarsi all’ombra dell’Egida, accusando il violento impatto, che addirittura sentì la punta della lama premere sul suo braccio sinistro, tanto intensa era l’azione offensiva del cosmo di Ares. Cercò di liberarsi, ma il Dio la teneva stretta, determinato a causarle quanto più dolore potesse. Divertito, Ares poggiò un piede sull’Egida, estraendo la lancia e al tempo stesso spingendo la fanciulla indietro, osservandola capitombolare di schiena, alla sua completa mercé.

"La fine del viaggio, Atena! Porta i miei saluti alla madre dei miei figli! In fondo, anch’ella ha avuto una sua utilità!" –Ghignò il Nume, sollevando la Lancia di Sangue e godendosi quel momento a lungo atteso. Un attimo dopo calò l’arma sulla Dea, pur senza raggiungerla mai.

Pegasus, percepito il pericolo, si era sollevato di peso, posizionandosi tra la lancia e Atena appena in tempo per essere trafitto sul fianco destro. Senza dire una parola, troppo debole persino per aprir bocca, il Cavaliere resse lo sguardo del Dio, sorpreso e infastidito, prima di investirlo con una mitragliata di pugni di luce e spingerlo indietro. Solo allora, mentre Atena affannava nel rimettersi in piedi, singhiozzando per l’atroce spettacolo, Pegasus sentì il dolore della lancia rimasta conficcata nel suo fianco, il sangue che colava imbrattando la celeste armatura, il veleno che gli rendeva difficile respirare. Se resisteva ancora, se ancora non si era abbandonato al silenzio, fine ultima dei suoi tormenti, era per difendere lei.

Come un automa, il Cavaliere afferrò l’asta sporgente, sollevando poi il braccio destro a dita tese, caricandolo del suo cosmo e calandolo infine sull’arma. Ma ammutolì nel vederla ancora intatta.

"Ahr ahr! Non avrai pensato di spezzarla così facilmente? È un’arma divina che ti ha infettato, non un manufatto terreno! E tu, penoso innamorato suicida, non hai mezzi per tagliarla! Non possiedi mica Excalibur!" –Sghignazzò Ares, espandendo il proprio cosmo e richiamando a sé la Lancia di Sangue, che schizzò bruscamente via dal corpo del Cavaliere, strappandogli un gemito di dolore al punto da piegarlo sulle ginocchia.

"Pegasus!!!" –Esclamò Atena, in pena, avvicinandosi al giovane che tossiva e perdeva sangue, sfiorandogli il mento con le dita. –"Perché?!" –Aggiunse, prima che la voce violenta del loro nemico li richiamasse entrambi.

"Fermi così, non muovetevi! Abbracciate la fine insieme! Ira di Ares!!!" –Tuonò, scatenando la devastante tempesta di vampe infuocate.

"Egida, difendimi!!!" –Reagì Atena, posizionando lo scudo di fronte a sé e a Pegasus, sforzandosi di tenerlo vicino, affinché non venisse travolto. Ma tale posticcia difesa fu sbaragliata dall’assalto del Dio, che osservò compiaciuto la Dea e il suo Primo Cavaliere venire sballottati in aria, sferzati da vampe roventi, per poi schiantarsi al suolo, uno accanto all’altro. Proprio come le tombe che li avrebbero accolti.

L’urlo disperato di Discordia raggiunse Ares in quel momento, portandolo a muovere lo sguardo verso l’altra parte del Cerchio di Urano, laddove la Signora della Contesa stava affrontando Phoenix. Quale vergogna! Commentò il Nume, scuotendo la testa con disappunto, percependo l’indebolirsi del suo cosmo divino. Non aver ancora ucciso neppure un nemico! Mi auguro che la tua stirpe stia facendo lavoro migliore!

Distratto da quel pensiero, Ares non si accorse che Atena aveva allungato la mano verso il suo Cavaliere, disteso sul suolo lunare accanto a lei, così vicino da poterne udire il rantolo soffocato con cui tentava di respirare.

"Perché?!" –Ripeté, sospirando.

"Lotterò sempre per te!" –Rispose una voce, parlando direttamente al suo cosmo. –"L’ho sempre fatto, dai tempi delle Dodici Case! Sei la mia forza, la mia speranza! Sei il mio amore! Non posso vivere senza di te!"

"Pegasus…" –Mormorò Atena, non sapendo come rispondergli, perché in fondo c’erano troppe cose da dire. Troppe cose da dirgli.

"Non ce n’è bisogno. Lo so!" –Si limitò a commentare il ragazzo, consapevole del ruolo della Dea, del suo essere faro solitario per tutti coloro che lottano per amore di giustizia. Del suo essere Atena Parthenos. –"Ma sappilo anche tu, prima che io muoia. Ti amo Isabel, se può un uomo amare davvero una Dea. Ti amo, e solo per te tenterò ancora!" –Aggiunse, bruciando il cosmo, ogni stilla di energia, espandendolo fino all’estremo angolo dell’universo, sorretto da quel sentimento che non voleva più negare. –"Cassios diede la vita per colei che amava, anche se questo avrebbe comportato far vivere il suo nemico. Chi sono io per non fare altrettanto? Quale uomo potrebbe non essere ugualmente coraggioso?! Aaahhh, brucia cosmo delle tredici stelle!!! Brucia, fiamma di Pegasus!!!"

Ares grugnì stupefatto di fronte a quell’impressionante cascata di luce che da Pegasus pareva riversarsi sull’intero satellite, raggiungendo i suoi compagni e i Cavalieri di Avalon e dando loro speranza. Irritato, afferrò la Dòru àimatos, ma prima ancora di riuscire a muoverla dovette fronteggiare la carica del destriero celeste, piombato ad ali spiegate contro di lui.

"Tu sia dannato, Pegasus!!! Stai morendo! Perché non lo accetti?!"

"Forse sarà così, Dio della Guerra, ma tu non vivrai abbastanza per vedermi spirare!" –Esclamò il Cavaliere, portando avanti il pugno lucente e schiantandolo sul palmo della mano sinistra di Ares, che venne spinto indietro per l’impatto.

"Alla Dòru àimatos non puoi opporti!" –Sibilò quest’ultimo, preparandosi ad affondarla ancora. –"E stavolta berrà dal tuo cuore!"

"No!" –Gridò Pegasus, il cui cosmo riluceva al parossismo, avvolgendolo in una spirale di luce che si perdeva nella volta stellata. E in quella stessa spirale lampeggiò un cristallo di ghiaccio, fino a scivolare di fronte al volto del ragazzo, assumendo le forme di un manufatto divino che ben conosceva.

"Che… cosa?!" –Ringhiò Ares, alla vista della fredda lama azzurra.

"Grazie, Odino!" –Commentò il ragazzo, allungando la mano per afferrare la spada Balmung e nutrirsi della sua energia, il tepore del sole di Asgard che mondò il suo corpo dal turpe veleno. –"Gli Dei del Valhalla sono con me!"

In quello stesso momento, al Sesto Cerchio, Mani trovò la forza di sorridere, di fronte allo sguardo sbigottito del suo avversario. E incitò Pegasus a vendicare anche gli Asi.

"Quest’oggi pagherai per i tuoi crimini! Balmung ti giudicherà!" –Esclamò il Cavaliere di Atena, calando la lama e incocciandola con la Dòru àimatos.

Ares cercò comunque di infilzare l’avversario, ma grazie alla spada di Odino Pegasus poté deviarla ogni volta in cui la lancia puntava minacciosa su di lui, fino a spingere indietro il Nume con un fendente energetico, che gli scheggiò un coprispalla. Imbestialito, Ares si lanciò in una carica frontale contro il Cavaliere, che riuscì ad evitarla balzando in alto, aiutato dalle ali dell’armatura, fino a portarsi proprio sopra di lui, quando questi si voltava per contrattaccare.

"Odinooo!!! Il tuo cosmo è in me!" –Gridò Pegasus, calando Balmung e spezzando la lunga asta sanguinaria. E la mano che la reggeva.

"Aaargh!!! Maledetto ragazzino!!!" –Avvampò il Nume della Guerra, tenendosi il moncherino sanguinante, roso dal dolore e dall’umiliazione subita. Mai nessuno, in millenni di storia e di battaglie, aveva osato tanto, e pareva che Pegasus fosse completamente incurante del fatto di aver ferito un Dio.

Come può mostrare tanta sfrontatezza? Un Cavaliere dovrebbe provare rispetto o timore della collera divina, eppure egli è già oltre. Che abbia acquisito la consapevolezza di essere diventato mio pari? Si chiese il figlio di Zeus, riconoscendo l’aura che circondava il ragazzo, lo stadio ultimo della conoscenza. Il quid rivelatore del Nono Senso.

"No! No! No!!!" –Ringhiò, imbestialito da tale possibilità, scatenando un caotico ammasso di vampe di energia che Pegasus parò torcendo Balmung di fronte a sé. –"Puoi avere tutti gli aiuti che vuoi, tutti gli Dei del mondo dalla tua parte, ma il tuo cuore sarà mio! Lo strapperò e finirà ad ornare la mia collezione!!!"

"Parli troppo." –Commentò Pegasus, sollevando poi la spada al cielo, in un fluido gesto che gli venne naturale, per quanto lo avesse visto eseguire una volta sola. –"Tempesta di spade!!!" –Allo stesso modo le parole gli uscirono di bocca e una miriade di lame di energia piovve dal cielo, tartassando il corpo di Ares, che tutto si aspettava fuorché un attacco del genere.

Il colpo segreto di Odino.

"Che diavoleria è mai questa?!" –Trasalì, sollevando un vortice di fuoco con cui disperse buona parte delle spade. Ma non poté impedire alle altre di raggiungerlo, trafiggerlo, distruggere la sua Veste Divina e far ruscellare infine il sangue. –"Il mio… ichor!!!" –Tuonò il Nume, alla vista della sua corazza imbrattata. Spostò lo sguardo sulla lancia spezzata, il braccio mozzato e adesso la suprema armatura in frantumi. –"Che cosa mi resta di un sogno di dominio durato millenni?!" –Mormorò per un istante, invaso da una goccia di sconforto, l’unica mai piovuta su quel deserto di orgoglio e superbia. Quindi vide Pegasus barcollare, ormai allo stremo, e crollare sulle ginocchia, mentre Balmung cadeva accanto a lui. E capì, cosa solo gli rimaneva. –"La vendetta!!!"

A denti stretti, invocò il potere del suo padrone, l’oscura essenza cui aveva giurato fedeltà dopo che questi lo aveva risvegliato, in una grotta in Asia, liberandolo dalla prigione di tenebra cui il cono d’ombra lo aveva confinato, su volontà della creatura che si faceva passare per suo figlio.

Com’era stato ingenuo, a credere di poter sedere sull’olimpico trono. A pensare che la Grande Guerra potesse concludersi con la sua vittoria. Anche se non lo avessero sconfitto, e Tifone avesse incenerito il Monte Sacro, alla fin fine sarebbero stati soltanto pedine, manovrati nello stesso subdolo modo in cui lui aveva usato i suoi figli, i suoi guerrieri e ogni singolo essere vivente che poteva essergli utile.

Atena parve percepire il suo smarrimento, osservandolo mentre si rimetteva in piedi. –"Che cosa ti è successo? Dove sei rimasto nascosto per tutti questi mesi?"

"Ero intento a prepararmi."

"A cosa? A quest’invasione senza motivo? Non credevo ti interessasse regnare su un reame sconosciuto ai più, senza sudditi, senza ricchezze, senza poter ostentare il tuo trionfo!"

"Non è per questo che sono qua, Atena. E lo sai bene. O forse ancora no. Forse, il gran burattinaio che tesse i destini del mondo non ti ha ancora reso partecipe di quel che sta accadendo, e ciò mi fa infine sorridere. Ahr ahr ahr! Anzi no, mi fa proprio godere! Sapere che esiste qualcosa che non conosci, e che ti ucciderà! Ahr ahr ahr!" –Sghignazzò il Nume, prima di concentrare tutto quel che restava del suo cosmo infuocato in un unico assalto finale. –"Ira di Ares!!!"

Atena sollevò prontamente l’Egida, caricandolo del suo cosmo divino, e lasciò che la tempesta di fiamme scivolasse sulla sua superficie, disperdendosi ai lati, consapevole comunque di non poter resistere a lungo. Così cercò di muovere lo Scettro di Nike, per puntarlo contro Ares, per quanto il turbinare continuo di vampe da guerra ne rendesse precaria la stabilità.

Fu in quel momento che Pegasus si rialzò, mettendo una mano su quella con cui Atena reggeva il bastone della vittoria, stringendogliela e trasmettendole parte del suo cosmo. La Dea fece altrettanto, lasciando che la sua energia fluisse in Pegasus, mescolandosi, attorcigliandosi, fondendosi assieme in un’unica potenza. Una fiamma devastante che diressero contro Ares.

"Per l’amore e la giustizia sulla Terra!!! Rifulgi, Nike!!!" –Gridò Atena, puntando lo scettro contro il cuore del Nume, che lo guardò terrorizzato, comprendendo quel che sarebbe successo. –"Cometa di Pegasus!!!" –Aggiunse il ragazzo, liberando il proprio colpo lucente, con cui avvolse il bastone, scagliandolo avanti ad una velocità pazzesca fino a sfondare la cassa toracica di Ares e spuntare dalla sua schiena.

"Come Ade, così tu." –Mormorò Atena, fissando l’antico rivale negli occhi e percependone l’infinita assurda paura di morire. Che cosa lo spaventasse così tanto, la Dea non lo comprese, non avendo mai Ares avuto timore di alcunché, né essendo la prima volta in cui cadeva in battaglia. Anzi, avendo sempre usato il suo corpo mitologico, l’unico degno, a detta sua, di ospitarne la divina essenza, era già stato abituato a rimanere nel limbo per qualche secolo, fintantoché la sua coscienza non fosse stata in grado di riformarsi. E allora che cosa rendeva diversa questa sconfitta dalle altre che l’avevano preceduta? Che cosa generava in lui così sconfinato terrore?

Ma forse…, intuì la Dea, proprio mentre il corpo del Nume si sgretolava di fronte ai suoi occhi, rivelandosi per quel che era realmente. Un cadavere vecchio di migliaia di anni, che solo la divina volontà di Ares aveva mantenuto giovane e vigoroso e che adesso tornava cenere, come se la coscienza ultima del Dio fosse stata annullata.

Al tempo stesso, anche i cosmi di Chandra, Tsukuyomi e Tecciztecatl svanirono, dissolvendosi in polvere di stelle, liberi finalmente dalla crudele prigionia.

Un gemito sommesso la spinse a interrompere le sue riflessioni e a chinarsi su Pegasus, crollato in ginocchio per l’eccessivo sforzo. Nonostante la luce del Sole di Asgard avesse incenerito il curaro nel suo sangue, le ferite riportate lo avevano stancato e stava per perdere i sensi, non fosse stato per il tocco della mano di Atena che gli sfiorò il viso, spostandogli i capelli dagli occhi e forzandolo a guardarla. Bella, come le era sempre apparsa. Donna, come l’aveva sempre considerata. Dea, come infine era diventata.

"Grazie!" –Sorrise la fanciulla, infondendogli il tepore del suo cosmo ristoratore. –"Anche stavolta mi hai salvato! Cosa sarei senza di te?"

"Saresti Atena, Dea della Guerra giusta! Io… sono solo un uomo!" –Tolse lo sguardo, Pegasus, perdendolo nella volta stellata.

"Forse. O forse sarei incompleta… debole… e infelice." –Si limitò a rispondergli Atena, mettendogli le braccia attorno al collo, pur con le corazze che rendevano goffo quell’abbraccio.

"Come ti dissi l’altra notte, quando tornammo da Asgard, non permetterò mai che ti accada niente di male. Finché avrò vita, io combatterò per te." –Le disse Pegasus, stringendola a sé e carezzandole i capelli, inebriandosi del suo aroma.

Atena avrebbe voluto rispondere qualcosa, magari condividere con lui i ricordi di cui era tornata in possesso, e soprattutto i motivi per cui li aveva messi da parte, in un cassetto della memoria che non credeva avrebbe aperto mai più. Ma sentì Pegasus irrigidirsi, percependone il disagio. Spostando lo sguardo, vide che il ragazzo fissava avanti a sé, apparentemente nel vuoto spazio lunare, poi, guardando meglio, con gli occhi del cuore, capì.

In piedi, a pochi passi da loro, rivestito dalla bronzea corazza che il Cavaliere aveva indossato ai tempi della Guerra Galattica, c’era un giovane di vent’anni, dal volto sbarazzino, che Pegasus non poteva fare a meno di trovare familiare. E le parole di Isabel gli tolsero ogni dubbio.

"Quell’uomo è stato il primo Cavaliere a vestire la tua armatura! Egli è Bellerofonte di Pegasus! La tua forza, e la tua maledizione!"

***

"Mi manca tantissimo!" –Esclamò Flare, gettandosi tra le braccia di Cristal. Adesso che la cerimonia era finita, che i fedeli si erano ritirati per pregare o per tornare alle loro mansioni, poteva togliersi il velo di ufficialità, la maschera di forza che aveva dovuto indossare per sopportare il peso di una corona che non avrebbe voluto ricevere. Non così presto.

"Lo so." –Commentò Cristal, carezzandole i capelli. –"Manca a tutti noi. Ma sei stata bravissima, hai parlato con il cuore, mostrando di condividere lo stesso destino di sofferenza del popolo, e questo ti avvicina a coloro che sei chiamata a governare. Hai parlato come avrebbe fatto Ilda e questo è il modo migliore per onorarla!"

Flare annuì, baciando il ragazzo e lasciandosi cullare da quell’abbraccio confortante. Seppur in pubblico doveva mostrare fermezza, per mantenere l’ordine e evitare il caos, era pur sempre una donna, e come tale bisognosa dell’amore di un uomo che adesso era tutto quel che poteva definire famiglia. Incupendosi per un istante, si chiese se anche quel sogno non sarebbe svanito, intimorita all’idea che il ragazzo potesse essere coinvolto in una nuova missione. Ma poi scosse la testa, ritenendo che a breve non sarebbe accaduto. Del resto Loki e Surtr erano scomparsi, chi altri avrebbe dovuto minacciare la pace di Midgard?

Intuendo i suoi pensieri, Cristal la prese per mano, conducendola fuori dalle sue stanze, dove troppo a lungo aveva indugiato nei giorni successivi alla scomparsa della sorella. Per piangerla, per ricordarla o anche solo per prepararsi al suo nuovo ruolo. E grazie a Cristal, grazie al suo affetto, aveva saputo superare quel lutto, interiorizzandolo e trasformandolo in una spinta per andare avanti.

"Guarda la tua terra, Regina di Asgard! Osservane il bagliore sotto i raggi di questo timido sole! L’inverno è arrivato ma la roccaforte degli uomini ancora resiste! Né il mare né la fiamma di Surtr le hanno arrecato danno!" –Disse il Cavaliere, fermandosi con Flare in cima alle mura esterne della fortezza, su un camminamento di ronda, in modo da poter abbracciare con lo sguardo l’intera vallata aprirsi di fronte a loro, dall’agglomerato di case dai tetti coperti di neve alle foreste lontane.

Flare sorrise, poggiando la testa sul petto del ragazzo ed inspirando a fondo quella nuova aria, che sapeva di futuro. Un futuro che avrebbe voluto vivere con lui. Esitò per un momento, non sapendo come affrontare il discorso, non sapendo neppure se Cristal avesse pensato almeno una volta alla possibilità di stabilizzarsi, di mettere radici in un posto che potesse chiamare casa. Che potessero entrambi definire tale.

Esitò, e perse l’occasione di chiederglielo, venendo entrambi distratti da un riflesso lontano, poco sotto l’orizzonte, che attirò la loro attenzione.


"Che strano!" –Mormorò Cristal. –"C’è qualcosa nell’aria… qualcosa che riflette la luce. Un velo di rugiada leggera? Non lo avrei mai notato se non avessi guardato dall’alto in quella precisa direzione."

"I tuoi sensi sono ben affilati, Cavaliere del Cigno, se riesci a percepire quel che i miei poteri all’occhio umano han celato! Non me ne meraviglio, del resto, travalicando i tuoi stessi limiti, hai rimesso in discussione ciò che è umano da ciò che è divino!" –Esclamò allora una terza voce, interrompendo il momento privato della coppia e costringendoli a voltarsi verso le scale del camminamento, dove un uomo, avvolto in un mantello di pelliccia, stava salendo a parlare con loro.

"Principe Alexer!" –Lo riconobbe Cristal, prima ancora di vederne il volto, nascosto nel cappuccio del mantello, chiedendogli il motivo di tanta segretezza. –"Mi ero stupito infatti di non vedervi alla cerimonia!"

"Non me la sarei persa per niente al mondo!" –Commentò l’uomo dagli occhi di ghiaccio. –"Ma ho preferito rimanere defilato, in mezzo alla folla, per osservare senza essere visto. In fondo, questo non è il mio regno, sono solo un fedele giunto a rendere omaggio alla nuova Celebrante di Odino, il cui regno inizia sotto una configurazione astrale portatrice di non buoni auspici!"


"Cosa intendete dire, Principe? Ragnarök è terminato! Surtr non può più mietere vittime e Loki e i Sigtívar sono stati sconfitti!"

"Mia dolce Flare, dovreste ben sapere che i pericoli del mondo sono infiniti e che è dovere di una regina occuparsi della sicurezza del regno." –Esclamò Alexer, prima di indicare la vallata sotto di loro. –"Il velo che vedete è lo stesso che calai giorni addietro per difendere Midgard dai Giganti di Fuoco, e che ho mantenuto in forma più lieve per impedire, a chi ne fosse al di fuori, di percepire cosa stesse accadendo all’interno. Nascondere la ricostruzione della cittadella, l’installarsi di una nuova regina, il celere riorganizzarsi delle difese, questo era il mio intento e credo di esservi riuscito. Ho portato con me dalla Valle di Cristallo un cospicuo gruppo di fabbri, manovali, genieri, per metterli a vostra disposizione nei lavori di restauro della fortezza, per forgiare nuove armi e corazze e fortificare le vecchie torri di guardia!"


"A sentir voi, sembra che Asgard debba prepararsi ad un assedio!" –Considerò Flare, inorridendo al sol pensiero.


"Se così vi piace immaginarlo, a me sta bene, purché agiate, come vostra sorella avrebbe fatto. Destini ben più grandi delle nostre vite possono dipendere dalla solidità di queste mura!"


"Che cosa succede Alexer? Temi l’avvento di un nuovo nemico?" –Intervenne allora Cristal, strappando un sorriso colpevole al Principe.

"Purtroppo per noi, il nemico è già arrivato e non è neppure tanto inatteso! Ma andiamo con ordine.. il velo che ho creato… che vi ha nascosto agli occhi del mondo… ha anche nascosto il mondo ai vostri occhi. Perdonatemi per questo inganno ma era necessario. Flare doveva crescere, superare il trauma e fortificarsi, e per farlo doveva averti al suo fianco, Cristal. Solo così sarebbe riuscita a non abbandonarsi alle lacrime e ai rimpianti. Adesso più che mai è necessario che i regni divini siano solidi e legati da rapporti di amicizia e aiuto reciproco. In fondo, come tutti gli Dei non sono altro che un unico Dio, anche gli uomini appartengono tutti allo stesso popolo ed è tempo che combattano uniti! Sì!" –Aggiunse infine, trapassando il Cavaliere del Cigno con i suoi occhi di ghiaccio. –"Un’alleanza di tutti i regni divini è necessaria per affrontare e vincere la grande ombra!"