CAPITOLO TREDICESIMO: LA GUERRA INFURIA.
Una bruma scura sormontava il complesso templare ove Febo e Marins erano prigionieri, generando malumore e preoccupazione nell’animo di Horus e di suo padre. Amon Ra li aveva avvisati che qualcosa di terribile e oscuro era all’opera nel cuore del deserto del Gobi, in uno dei luoghi più antichi del pianeta. Qualcosa di fronte al quale persino Seth e Apopi potevano essere definite pallide minacce.
"La descrizione di deserto della morte o punto di non ritorno è calzante." –Ironizzò Horus, osservando l’immenso territorio che si apriva di fronte a loro.
"Sei pronto?" –Gli chiese Osiride, fissandolo nell’unico occhio che gli rimaneva.
Il figlio annuì, prima di rivolgere l’ultimo sguardo al drappello di Soldati del Sole che stava per marciare verso la rovina o la morte. Molti di loro, per certo, non avrebbero visto il sorgere di una nuova alba, eppure nessuno aveva esitato, nessuno aveva osato opporsi al volere di Osiride, recepito non come un ordine ma come l’ardente desiderio di un padre di liberare colui che considerava alla stregua di un figlio.
Il giovane falco salutò i presenti, prima di mutare il proprio corpo e spalancare le ali dal grigio piumaggio. Afferrò Naveed per le spalle e lo sollevò di peso, lanciandosi nel cielo caliginoso dell’Asia Centrale.
Osiride, nel frattempo, aveva raccolto il proprio potere attorno allo scettro, roteandolo sopra la testa e generando cerchi di energia che calarono su tutti i guerrieri egizi, nascondendo al qual tempo le loro fattezze. Dal momento che avevano scelto la via dell’assalto diretto, procedere a piedi, esposti alle avvisaglie delle vedette, sarebbe stata solo un’inutile marcia stancante. Così il Signore di Amenti aveva optato per una strategia più rozza ma di certo più efficace.
"Arrivare quanto più possibile vicino alla piazzaforte nemica!" –Mormorò, scomparendo a sua volta.
Era certo che non sarebbero potuti entrare all’interno, a causa dell’oscura energia che permeava quel luogo, ma quanto meno poterono coprire le miglia di distanza dal tenebroso santuario in un lampo di luce, riapparendo proprio fuori dalle mura esterne. A vederlo da vicino, con quei torrioni merlati e il portone su cui erano scolpite forme demoniache, Osiride torse la bocca in un gesto di raccapriccio, riconoscendo che più che un tempio ove venerare una qualche antica divinità era più simile ad una fortezza da guerra. Uguale pensiero attraversò la mente dei Soldati del Sole, che adesso, così vicini al pericolo, così esposti al gelido soffio dell’ombra, ne percepirono tutta la potenza. Pur tuttavia sfoderarono le spade, disponendosi attorno al Dio degli Inferi, che li incitava a non cedere alla paura, a dominarla e a riversarla contro i nemici.
"Qualunque cosa ci aspetti! Qualunque mostro si pari a noi di fronte, la sua sorte è già segnata! La piuma di Maat lo ha già condannato a precipitare in Amenti!"
Fu in quel momento che grida raccapriccianti squarciarono l’aria, mentre il suolo veniva squassato da scosse improvvise. Di scatto il portone del santuario nemico si spalancò e tre orribili figure ne uscirono: alte, ben più del doppio di un normale essere umano, il corpo slanciato e avvolto da serpi fiammeggianti, le bocche spalancate nell’atto di cacciar versi osceni, tre donne furono su di loro, scagliando lance di legno incendiarie e facendo guizzare fruste di fuoco.
"Per Amon, quale mostruosità!" –Commentò Osiride, mentre le tre figure, quasi spinte dal vento, si libravano leggere in aria, pur nella loro enormità fisica. –"Non arretrate!!! Reagite!!! Soldati del Sole, attaccate le figlie di Apep!!!"
Le urla del Dio riscossero i guerrieri dallo stordimento dovuto alla sorpresa, spingendoli a correre in avanti, mentre guizzi di luce laceravano l’aria, partendo dalle lame che impugnavano.
"Spade del Sole!!! Irradiate e incenerite il nemico!!!"
Le tre creature però furono svelte a evitare gli affondi, dividendosi il campo di battaglia e piombando proprio in mezzo ai soldati, dove maggior strage potevano generare. Guardandole meglio, i guerrieri egizi notarono che le serpi arroventate che avvolgevano i loro corpi nascevano direttamente dal cranio, come fossero capelli, vipere affamate che subito si avvinghiarono ai soldati, stritolandoli, strattonandoli, mordendoli, affondando i denti nelle loro carni, senza mai essere sazie.
"Sono delle furie scatenate!" –Avvampò Osiride, muovendo lo scettro regale in modo da creare una cupola di luce con cui protesse se stesso e alcuni guerrieri che gli stavano attorno, respingendo le fiamme nemiche. Quindi, dando l’esempio, puntò l’asta dorata emettendo un raggio di energia che raggiunse in pieno una delle tre figure, spingendola indietro e mozzandole un braccio. Digrignando i denti, la donna cercò di rialzarsi, affondando l’altra mano nel suolo e facendovi fluire il suo cosmo oscuro. Immediatamente centinaia di serpi infuocate sorsero dal terreno, intrappolando i Soldati del Sole e facendo strage dei loro corpi. Inorridendo, Osiride notò che persino dalla spalla mozzata stavano fuoriuscendo tali abominevoli vipere.
"Figlie di Apopi, la vostra oscurità non avrà ragione dell’Esercito del Sole di Amon!" –Esclamò, generando un’onda di energia con cui travolse la creatura, fino a farla schiantare contro il muro esterno del santuario. Quando fece per voltarsi verso le altre due, si sentì afferrare per una gamba e sbattere a terra, una frusta fiammeggiante avviluppata attorno allo stinco, la sadica risata di una creatura intenta a trascinare il Dio verso le sue grinfie. –"Come osi, bestia immonda?! Non hai dunque pudicizia?" –Ringhiò Osiride, espandendo il cosmo e incenerendo la frusta. Poi, rimessosi in piedi, si lanciò contro l’orrido mostro, lo scettro rivolto avanti, mirando al cuore.
Rinfocolati dall’azione del Dio, i guerrieri egizi sopravvissuti ripresero a lottare con maggior fuga, mulinando le spade in ogni direzione e mozzando le orribili serpi di cosmo che volevano cibarsi della loro linfa vitale. Ma proprio allora un nuovo grido li stordì, risuonando nei loro timpani fin quasi a sfondarli. Fu un attimo e una mandria di vacche furiose li caricò, uscendo a centinaia, forse a migliaia dal portone aperto del tempio. Vacche nere, grigie, alcune marroni, con lunghe corna che si allungavano a dismisura, infilzando i corpi esterrefatti dei soldati egizi, che mai avrebbero creduto di dover affrontare simili creature, considerando soprattutto quanto sacro fosse quell’animale nelle terre di Amon Ra.
"Se la compagnia delle Erinni non vi ha soddisfatto, siamo venute anche noi a darvi il benvenuto!" –Esclamò una vacca, piantando le corna nel petto di un Soldato del Sole, per poi sbatterlo a terra e iniziare a nutrirsene, divorando in fretta vesti, pelle e organi vitali. –"Siamo le Empuse, le divoratrici! E teniamo fede al nostro nome, come potete vedere! Igh igh igh!"
In quel momento Osiride si liberò della donna con cui stava lottando, piantandole lo scettro nel ventre e poi muovendolo di lato, come fosse una spada, per squarciarle la pelle. Pur ferita, pur imbrattata di sangue e budella, la furia della Erinni non sembrava placarsi, addirittura cresceva, infoiata da un appetito insaziabile. Inorridito, il Dio pensò che sarebbe giunta a cibarsi del suo stesso corpo smembrato.
"Hai scelto la migliore, come compagna di giochi!" –Disse allora una delle Empuse, intenta a smembrare un soldato poco distante. –"Aletto, l’incessante. L’Erinni che non è mai stanca e non dà requie ai suoi nemici! Buon divertimento! Igh igh!" –E rituffò la faccia nel ventre squarciato dell’uomo.
In quel momento Aletto si riscosse, tra grugniti bestiali, dirigendo le serpi maligne verso il corpo del Dio, alle cui gambe si avvolsero all’istante, stritolandole, mirando a spezzare la resistenza della Veste Divina, per raggiungere la carne al di sotto.
"Ora basta!!!" –Tuonò il Nume, ormai una maschera di rabbia. –"Sono Osiride Petementes, Giudice supremo dell’Oltretomba, membro della Grande Enneade! Non indietreggio impaurito di fronte a tali abomini! Sappiatelo, voi tutte, streghe furiose, e temete la mia ira!"
Per nulla convinte, centinaia di Empuse si lanciarono verso di lui, le fauci pronte ad azzannare, mentre sempre più in alto si snodavano le serpi di fuoco sul suo snello corpo, fin quasi ad azzannargli la barba. Quasi. Sibilò il Dio, bruciando il cosmo. Tutte le vipere infernali furono annientate, disintegrate da quell’estremo bagliore che costrinse persino Aletto a indietreggiare, coprendosi il volto con un braccio.
"Flagello di Amenti!!!" –Recitò Osiride, alzando le braccia in diagonale e generando una valle di puro cosmo ove le Empuse vennero risucchiate una dopo l’altra, i luridi corpi percorsi da spasimi incontrollabili. –"Al tuo posto!" –Ringhiò infine, dirigendo l’assalto contro la vicina Erinni, che, intuito il pericolo, tentò di fuggire.
Fu tutto inutile, perché il richiamo di Amenti la raggiunse, aspirandola al suo interno, per quanto si dibattesse, afferrando i bordi del varco energetico, nonostante l’ardore del cosmo le incenerisse le mani. Le serpi si contorsero furiose, tuffandosi nel terreno e tentando di ancorare il corpo del demone a quella realtà. Con fatica, utilizzando sempre nuove energie, Osiride riuscì infine a spezzare la resistenza di quella furia, allungando i bordi della valle di cosmo fino a mozzarle le braccia e inghiottendo poi il corpo mutilato all’interno, potendo così richiudere il varco.
"E una!" –Commentò, senza molta soddisfazione, considerando quante forze aveva dovuto profondere in un’operazione che avrebbe creduto semplicissima. Ricordò le parole del soldato egizio, che aveva immaginato l’oscuro tempio come una creatura viva, pulsante di energia, e dovette riconoscerne la veridicità. L’aveva percepita fin dall’inizio, quell’ansia senza nome che l’aveva invaso mettendo piede di fronte a quel santuario, e adesso poteva esserne certo. Quell’energia oscura, quella materia primordiale che pareva fermentare dentro le sudice mura, si stava nutrendo del suo cosmo, e dell’essenza vitale dei suoi soldati, per poter tornare in vita.
Rialzandosi a fatica, si guardò attorno, per dare coraggio ai pochi Soldati del Sole rimasti in vita, che ancora combattevano con le Empuse, e cercare le sue prossime prede. Una delle Erinni, quella a cui aveva mozzato il braccio, gli aveva appena rivolto una fetida fiatata incendiaria, ma della terza aveva perso le tracce.
***
All’interno del santuario, in una cella ampia e spoglia, alcune voci stavano parlottando tra loro, al buio.
"Odo rumori provenire dall’esterno!" –Disse piano un’anziana voce maschile.
"Cosa succede? Eh, cosa succede?" –Si ringalluzzì un altro, balzando in terra e portando un corno d’ottone all’orecchio.
"Cosa vuoi che succeda, vecchio sordo?! Ci stanno attaccando! Non senti il furore dei cosmi che si infiammano? Sarai pur stato giovane anche tu, Geras! Sono rumori di guerra!"
"Guerra?! Guerra?! Santi numi, moriremo tutti!" –Parlò allora una terza isterica voce, pervasa da una tremenda paura, quasi disperazione. –"Oh Dei del Cielo aiutateci!"
"Stolto!" –Gli diede una botta in testa la prima voce. –"Siamo noi gli Dei del Cielo!"
"Oh, è vero! Allora confermo! Moriremo tutti!!!" –Piagnucolò il compagno.
"Devo dire che la valutazione di Oizys è corretta! Non abbiamo ancora recuperato le nostre forze, cosa potremmo fare contro ignoti e potenti guerrieri? Fargli lo sgambetto col mio bastone?!" –Confermò l’uomo con il corno all’orecchio.
"Niente!" –Li zittì tutti una quarta voce. –"Non faremo assolutamente niente!"
I tre litiganti si voltarono verso la direzione di provenienza della nuova voce, riconoscendone la cadenza e soprattutto l’impersonalità, quasi fosse espressione di un distacco dal mondo che solo una Divinità poteva possedere.
"Moros, cosa vuoi dire?"
"Ciò che ho appena detto! Non è chiaro, forse, Momo?" –Continuò il Dio, placido nel suo dialogare. –"Noi non faremo niente poiché non c’è niente che noi possiamo fare! Il destino seguirà il suo corso, sempre e comunque, e non saranno le balorde azioni di un vecchio, di un miserabile e di uno zitello inacidito cacciato dall’Olimpo per aver ridicolizzato i suoi occupanti con sciocchi apprezzamenti a cambiarlo! Ogni essere vivente, umano o divino, andrà verso la fine scritta per lui, per quanto possa sforzarsi di cambiare direzione! Così ho parlato!"
"Beh, potevi startene zitto allora! Pfui!" –Sputacchiò Momo.
"Che ha detto? Che ha detto?!" –Intervenne allora Geras, agitando il cornetto all’orecchio e finendo per sbattere in una colonna del tempio, cadendo a terra.
"Moriremo tutti!" –Ripeté Moros. E le sue parole non suonarono come un timore o una speranza, ma solo come una semplice constatazione.
***
Il falco d’argento apparve nel cielo sopra il Taklamakan, nascosto tra le nuvole di quel tardo pomeriggio. Nonostante l’imbrunire, la via era tracciata chiaramente davanti ai suoi occhi, inoltre, quand’anche si fosse perso, l’accendersi impetuoso del cosmo di suo padre di fronte al nero portone lo avrebbe comunque guidato alla meta. Naveed, stretto dai suoi artigli, scrutava tra i nembi in cerca di vedette o nemici nel grande spiazzo aperto che si estendeva di fronte al tempio, cinto da alte mura nere di fronte alle quali i suoi compagni stavano combattendo. Non vide nessuno, confermando la valutazione fatta in precedenza, sebbene non potesse essere certo che altre oscure potenze non fossero risorte durante la sua assenza.
Horus planò nel cortile, depositando il soldato, che subito impugnò la Spada del Sole, guardandosi attorno circospetto, pronto a liberarne i raggi, mentre il Dio recuperava la sua forma umana, indossava la Veste Divina e correva verso la scalinata d’ingresso a quella che sembrava la struttura principale del tempio. Abbatté il portone con un calcio, facendo entrare, forse per la prima volta, un filo di luce in quell’androne oscuro, permettendo a Naveed di riconoscere la sala dove aveva visto riunirsi i loro nemici poche ore prima. Scattando avanti, il giovane condusse Horus verso un corridoio sulla sinistra, dirigendosi verso i sotterranei, ma accorgendosi di dover cambiare strada più volte, essendo mutato lo schema interno della costruzione.
"Avverto la stessa sensazione di ore addietro! La rovina del tempo!" –Commentò Naveed. –"È come se tutto fosse abbozzato, provvisorio, caduco. Tutto è rimasto sepolto sotto una polvere di eternità, fuori dal mondo, fuori dal tempo. Come…" –Quindi si interruppe, temendo per le sue parole.
"Come era Karnak quando Amon Ra era prigioniero del suo isolamento!" –Annuì Horus, che provava lo stesso senso di decadenza. –"Ma c’è un altro potere all’opera, un’oscura forza che pervade l’aria, saturandola e forse sostenendo questo luogo di afflizione, per quanto non riesca a percepirne l’origine!"
Un infimo bagliore lo distrasse, portandolo a correre verso quell’unica fonte di luce, ritrovandosi infine in una sala buia, scoprendo che quel chiarore proveniva da una torcia incassata nel muro sull’altro versante, a segnare quello che sembrava l’accesso ad una scalinata, e Naveed fu certo che conducesse ai sotterranei. Ai lati del salone però giacevano decine di bare nere, dentro cui Horus sentì fermentare potenti e cupe energie. Rabbrividì, esitando per un momento, ma poi ricordò le parole del padre sull’essere fermi durante una missione e pensare prima all’obiettivo principale, poi al resto, per non vanificare un’azione congiunta. Così riprese a correre dentro il salone, seguito da Naveed, mentre alcune minute figure nascoste dietro ai feretri si lasciavano prendere dal panico e iniziarono a scappare.
"Aspettatemi! Puff, pant! Aspettatemi!" –Gridò un uomo, trotterellando a fatica reggendosi a un bastone.
Naveed fu subito su di lui, trapassandogli il costato con la Spada del Sole e liberando un getto infuocato di energia che incendiò vesti e carni dell’anziano, che rantolò ancora per qualche passo, prima di accasciarsi su una bara d’ebano, mentre un corno d’ottone cadeva dalle sue tasche. Improvvisamente anche il contenuto del sarcofago iniziò a bruciare, una sostanza vischiosa, quasi oleosa, dentro cui un corpo scheletrico stava immerso. Grida terrificanti risuonarono nella sala, mentre un altro uomo piagnucolava più avanti, venendo subito raggiunto da Horus, che lo afferrò, sollevandolo di peso, chiedendogli chi fosse e dove fossero i prigionieri.
"Lo sapevo! Lo sapevo io! Siamo tutti condannati! Miseria, sofferenza e morte ci aspettano!" –Ripeté angosciato, senza che il Dio egizio potesse cavargli altro.
"Non avrete risposte da Oizys, solo parole grame! Del resto non si diventa Dei della Miseria e della Sventura per caso!" –Parlò allora una voce calma, mentre un uomo calvo, assiso a gambe incrociate, appariva in aria di fronte a Horus, fissandolo con sguardo inespressivo.
"Chi sei tu?" –Lo interpellò subito il figlio di Osiride, mentre Naveed prendeva posizione di fronte a lui, spada in pugno.
"Moros, il destino ineluttabile! Così mi chiamano! Non che mi interessi, in fondo, come gli altri si rivolgono a me, un nome non cambierà di certo il fato, ne convieni, Horus, il lontano?"
"Come conosci il mio nome?!"
"Io conosco il nome di tutti gli esseri viventi, e soprattutto ne conosco la sorte! Il fato a cui nessuno può opporsi! Neppure gli Dei!"
"Se conosci la sorte di tutti, sai anche che potrei ucciderti adesso con le mie mani, creatura delle tenebre!"
"Ne sono consapevole! Come sono consapevole che potresti sterminare Oizys e tutte le Astrazioni che riposano in queste bare d’ebano attendendo il momento della loro rinascita! O, se lo desideri, potresti imboccare quelle scale erte, che vedi là dietro, alle mie spalle, e scendere nei sotterranei e liberare gli amici a te cari! Oppure potresti tornare indietro ad aiutare tuo padre, che, permettimi di fartelo notare, è in evidente difficoltà! Infine c’è sempre un’ultima scelta, quella che io prediligo!"
"Ossia?!" –Domandò Horus, incuriosito da quel bizzarro personaggio.
"Non fare niente, proprio come me! Poiché niente comunque cambierà! Quindi a che giova faticare tanto? Fai la tua scelta Horus, figlio di Osiride, e pagane il fio!"
Il giovane falco rimase assorto nei suoi pensieri per qualche secondo, prima di fare cenno a Naveed di seguirlo e correre lungo la scala di pietra fino all’ultimo livello, da cui sentivano provenire, sia pur debole, l’impronta cosmica di Febo e di Marins.
"Per Osiride, quale supplizio!" –Gridò Horus, osservando con disgusto la scena rivelatasi ai suoi occhi.
Febo e Marins erano appesi al muro, abbandonati nudi e inermi su rozze croci di pietra, mentre i loro corpi venivano prosciugati dell’essenza vitale da serpi di cosmo nero, di fronte all’attento sguardo di una vecchia gobba. Ai piedi dei due Cavalieri delle Stelle, da una bara d’ebano identica a quelle che avevano visto nella sala al piano superiore, una figura rachitica si stava muovendo, iniziando a liberarsi dalla sostanza vischiosa in cui il suo scheletro era immerso.
Horus comprese subito quel che stava accadendo e prese la sua decisione, incitando Naveed ad agire. –"Artigli del falco!!!" –Gridò, liberando il possente rapace il cui cosmo incendiò le serpi venefiche che stavano massacrando i due compagni, spingendo indietro la vecchia torturatrice.
Naveed, al qual tempo, si era portato ai bordi del feretro, accendendo la Spada del Sole di un lucido fulgore e piantandola nel petto della scheletrica figura. Subito una violenta fiamma si propagò, rischiarando la tenebra puzzolente di quel sotterraneo e permettendo a Horus e al suo soldato di osservare la nefandezza di quel processo di rinascita. Le mani ossute della figura nel sarcofago, presto divorata dalle fiamme del sole d’Egitto, si allungarono spasimando verso il giovane Dio, ma Naveed fu svelto a reciderle con un altro colpo di lama, pregando il suo Signore di rimanere a distanza.
"Fobetore!!! Nooo!!!" –Gridò allora la vecchia spinta a terra, rialzandosi urlando e rivelando il suo viso butterato. –"Maledetti impiccioni! Ce l’avevo quasi fatta! Che la maledizione di Algea, Dea della Sofferenza e del Martirio, vi pervada!"
"Non temere, brutta strega! Riabbraccerai presto il tuo disgustoso amico, poiché sarai la prossima a cadere, pagando per il male che hai causato!" –Avvampò Horus, espandendo il proprio cosmo argenteo, che lo avvolse, terrorizzando la donna dalle nauseabonde vesti, che fu costretta a fare altrettanto.
"Timoria!!!" –Strillò, dirigendo un unico potente raggio di energia oscura verso il Dio egizio, che non ebbe problema alcuno a pararlo con il palmo della mano aperta, su cui fulgido risplendeva il suo cosmo.
"Hai provato e hai fallito! Ora non provare più! Riposa, donnaccia! Artigli del falco!!!" –Tuonò il figlio di Osiride, mentre rapidi fendenti di energia piombavano su Algea da ogni direzione, dilaniando le sue vesti putride e le sue carni stanche, prima di lasciarla crollare a terra, in una pozza di sangue scuro.
Horus ne osservò la carcassa per qualche secondo, senza soddisfazione alcuna. Un attacco di quel genere, portato da un Dio del suo calibro, membro della Piccola Enneade, avrebbe dovuto distruggerla completamente e non limitarsi a sbrindellare vecchi abiti e pelle marcia. Cos’è questo peso che grava sul mio cuore, che rende pesanti i miei passi, affatica le mie membra e diminuisce la forza dei miei assalti? Che sia l’oscuro potere celato tra queste mura, la cui forza d’attrazione adesso percepisco più nuda e cruda che mai? Rifletté, prima che Naveed lo richiamasse.
"Mio Signore, qua! Aiutatemi!" –Il soldato stava mulinando la Spada del Sole in ogni direzione, per distruggere le serpi nere rimaste, riuscendo infine a liberare Febo e Marins da quella macabra tortura.
Con delicatezza, Horus estrasse i chiodi che erano stati piantati nei palmi delle loro mani e nella carne, proprio sotto le ascelle, tremando inorridito di fronte alle chiazze nere che costellavano la loro pelle, orrende tumefazioni frutto dell’abominio. Naveed lo aiutò a rimuovere i corpi e a posizionarli poi a terra, lontano dal sarcofago e dal cadavere putrescente della vecchia, per sincerarsi delle loro condizioni.
Debole, lontano, fioco, quasi un sospiro nel vento, il cuore di Febo e di Marins pareva battere ancora, e questo aveva una sua logica, dovette ammettere il Dio Falco. Per quel che aveva visto, i loro nemici avevano deciso di servirsi del cosmo dei Cavalieri delle Stelle come nutrimento per risvegliare antichi Dei rimasti nell’ombra per millenni; pertanto avevano bisogno di tenerli in vita, anche se incoscienti, quanto più potessero, allungando le loro sofferenze.
"Bastardi!" –Ringhiò Horus, prendendo un oggetto che Iside gli aveva dato e mettendolo al collo di Febo. Naveed lo riconobbe e chinò il capo, per onorare la Dea Madre misericordiosa. –"Il tiet li aiuterà a riprendere le forze!"
Fu allora che la voce ruvida di Algea li raggiunse, facendoli trasalire, convinti che la vecchia fosse morta. –"Non sofferenza fisica ti aspetta, giovane falco. Cough cough! Non pena adeguata sarebbe per il tuo atto sacrilego. Ben più intenso supplizio ti attende, per mano delle Dee della Vendetta! Così siamo pari." –Tossì la Dea delle Sofferenze, prima di spirare.
Naveed bofonchiò qualcosa, per cacciar via la maledizione di quella vecchia, prima di venir spinto di lato dallo smottamento del terreno. Qualcosa di grosso, di molto grosso, stava camminando sopra di loro. Ed era anche parecchio veloce, a giudicare dalla rapidità con cui stava discendendo i gradini verso il sotterraneo, proiettando agghiaccianti ombre sulle mura, rischiarate da improvvise fiamme rossastre.
Hisss!!! Sibilò un’orrida bestia, sbucando infine nell’angusta sala e palesandosi per quel che era. Un alto corpo di donna, di nero vestita, con lunghe serpi infuocate per capelli e occhi iniettati di sangue. In mano reggeva una torcia, la cui fiamma ne rendeva i lineamenti ancor più orripilanti. Naveed fece un balzo indietro, impugnando la spada, sia pur con mano tremante, ma tenendosi comunque sempre davanti a Febo e Marins. Horus lo affiancò all’istante, ben sapendo chi aveva davanti, uno dei demoni antichi della vendetta. Una delle tre Erinni.
***
Libra si fece aiutare da Yulij del Sestante per trasportare il corpo inerme di Tirtha alla prigione di Capo Sounion, scortati da alcuni soldati del Santuario. Per quanto potesse sembrare una precauzione eccessiva, verso un avversario che neppure indossava un’armatura, Dohko preferì evitare ogni rischio, avendo visto di persona che cosa una persona dominata dall’ombra potesse fare. Ed inoltre il fatto di aver persino respinto i poteri mentali di Virgo lo faceva temere più di ogni altra cosa, conoscendo davvero pochi esseri umani, in tutto il mondo, che potessero permettersi un lusso simile.
"Qualcosa vi turba, Cavaliere di Libra?" –La voce di Yulij del Sestante lo raggiunse, atona e metallica a causa della maschera che le copriva il volto.
"Sono solo dispiaciuto. Era una ragazza molto promettente." –Si limitò a commentare Dohko, continuando a marciare lungo la via che conduceva alla scogliera. –"Proprio come te!" –Aggiunse, per sembrare meno distante con la giovane Sacerdotessa.
Dopo la fine della guerra contro Ares, quando Atena aveva deciso di restaurare il Grande Tempio, ricostruendo case, alloggi e quant’altro fosse stato distrutto dai berseker, aveva chiesto ai Cavalieri d’Oro e d’Argento di completare l’addestramento dei loro ultimi allievi, in modo da poterli investire non appena ritenuti meritevoli.
"Ho già dato disposizione a Castalia e Tisifone di riprendere il programma di formazione delle giovani sacerdotesse!" –Aveva iterato Atena.
"Capisco le vostre necessità, mia Dea!" –Aveva detto Libra, in ginocchio di fronte al trono assieme a Mur e Ioria. –"Mai come adesso le fila del nostro esercito sono state così ridotte. Escludendo i Cavalieri dello Zodiaco, ormai assurti a ben superiore rango rispetto a quello che qualsiasi classificazione possa dare loro, vi sono solo tre Cavalieri d’Oro, due Cavalieri d’Argento e due Cavalieri di Bronzo, Unicorno e Camaleonte. Sette su ottantotto."
"Non è propriamente così!" –Aveva esclamato Atena, sorprendendo i tre Cavalieri d’Oro che avevano ardito sollevare il volto e fissare la Dea dallo sguardo sorridente.
Proprio in quel momento, da dietro la tenda color porpora, un uomo era uscito, portando tomi antichi con sé e inchinandosi prontamente a lato del trono, in rispettoso silenzio. Sebbene non lo conoscessero, i Custodi Dorati riconobbero le vestigia che aveva indosso, vestigia che da anni nessuno più aveva indossato.
"Ma quella è la sacra armatura di…" –Aveva mormorato Ioria, prima che Atena riprendesse a parlare.
"Nicole è il mio nuovo assistente. Come sapete era l’archivista della Biblioteca del Santuario, una figura di fondamentale importanza per la ricerca storica e la cura delle fonti. Per adesso il suo compito sarà puramente diplomatico. Domani partirà per il Giappone per consegnare alcuni schizzi ad un mio fedele collaboratore, che intende realizzare, con il mio benestare, due Armature d’Acciaio, in sostituzione di quelle andate distrutte durante l’assalto di Ares. Nicole ha avuto un’allieva, di nome Yulij, di cui Tisifone si sta occupando per irrobustirne il fisico e, a detta dell’Ofiuco, possiede talento e capacità ricettive. Doti che, in tempi oscuri come questi, sono ben accetti."
"Certamente, mia Signora!" –Avevano commentato i Cavalieri d’Oro, prima di venire al corrente di una nuova rivelazione. Qualcosa che la stessa Atena aveva ignorato fino al giorno prima, quando Nicole l’aveva informata.
"Ve ne sono altri…" –Mormorò Libra tra sé, prima che lo scrosciare di un’onda lo rubasse ai suoi pensieri. Erano infine arrivati a Capo Sounion, la prigione scavata ai piedi della scogliera dai primi Grandi Sacerdoti, costretti, da fatti incresciosi, a istituire un luogo ove recludere i traditori. Una stirpe che, ahimè, con il tempo non è affatto scomparsa. Sospirò Libra, ripensando a Kanon, a Gemini e alla Guerra Sacra del Diciottesimo Secolo.
"Procedete!" –Disse infine, mentre i soldati conducevano il corpo privo di sensi di Tirtha lungo il sentiero a strapiombo sul mare, raggiungendo infine la prigione e depositandola al suo interno. –"Non fate avvicinare nessuno!"
"Temete per la sua sicurezza, mio Signore?" –Domandò Yulij.
"Per la verità, temo per la sicurezza degli altri!" –Chiarì Libra, prima di dare alla Sacerdotessa e ai soldati le ultime istruzioni e rientrare al Grande Tempio. C’era qualcosa di cui doveva parlare a Virgo al più presto.