CAPITOLO DECIMO: SECONDO INTERLUDIO

SOGNI.

 

Estratto dalle Cronache di Avalon.

Ventunesimo anno prima del secondo avvento.

 

Le fiamme stavano soffocando il santuario di Inti, ad Isla del Sol, cingendo d’assedio l’ultimo grande complesso templare andino. Andrei, ancora frastornato dalla botta ricevuta, stava cercando di rimettersi in piedi, riordinando i confusi frammenti di ricordi che gli affastellavano la mente. Frammenti di caos.

Ricordava i fedeli riuniti, i tre giorni di digiuno, l’attesa per la festa per il solstizio d’inverno. E una coppa. Sì, una coppa che gli era sfuggita di mano dopo averne bevuto il contenuto. Per essere chicha era stata decisamente preparata con un eccessivo contenuto alcolico. O forse non era l’alcol ad aver obnubilato i suoi sensi così tanto?

Pianti di donna e grida lontane lo scossero, mentre poggiava un ginocchio al suolo, facendo leva per rialzarsi e osservare sconvolto la devastazione del suo mondo, la fine di quell’isola di pace in cui aveva a lungo vissuto. Da quando aveva deciso di abbandonare l’isolazionismo cui i suoi fratelli parevano invece essersi votati, soprattutto uno.

Dall’alto ingresso del tempio di Inti, posizionato sulla sommità di una gradinata che risaliva il versante orientale della costruzione, vide una coltre di fiamme nere e fumo sovrastare Isla del Sol. Laddove, fino a poche ore prima, aveva visto uomini e donne pregare assieme, invocando la benedizione del Signore del Giorno, adesso ardeva un’immensa carneficina, una strage che non era stato in grado di evitare. Ma di tempo per torturarsi inutilmente, macellandosi l’animo con un infecondo senso di colpa, ne avrebbe avuto. Prima però avrebbe affrontato colui che quella carneficina aveva scatenato, colui che aveva osato violare la sacralità dell’Inti Raimi.

Non ebbe neanche bisogno di impegnarsi troppo a scandagliare l’isola con il cosmo, non sembrando il suo avversario affatto interessato a celarlo. Anzi pareva proprio che stesse urlando al mondo di essere lì, ritto ai piedi del tempio, avvolto in un turbinar di vampe nere che sinuose si avvoltolavano attorno al suo corpo. Pareva che niente lo intimorisse, né l’anatema che i sacerdoti gli avevano lanciato non appena aveva dato ordine di profanare il tempio di Apu Punchau, né l’eventualità di uno scontro con un uomo che conosceva bene, figli entrambi dello stesso creatore.

"Anhaaar!!!" –Gridò Andrei, e la sua voce rombò dall’alto colle fino a invadere tutta l’isola, risuonando furiosa sulle violate acque del Lago Titicaca.

Il suo nemico accennò un sorriso, perfido e divertito, muovendo un piede e issandosi sul primo scalino della gradinata, molti metri sotto di lui, prima di sollevare il viso e trafiggerlo con sguardo insolente. Quasi rispondessero a una melodia silenziosa, suonata dall’oscuro direttore d’orchestra, le tetre vampe presero ad ardere con intensità maggiore, strisciando lungo la scalinata del tempio e piombando su Andrei, per soffocarlo e ghermire la sua vita.

"Dovrai fare molto di più, se vorrai vincermi." –Si limitò a commentare quest’ultimo, socchiudendo gli occhi e mormorando alcune parole in quechua, per evocare il fuoco. –"Nina lawray." –Radunato il cosmo, lo fece esplodere poco dopo, risucchiando le oscure vampe in un più esteso vortice di fuoco, che iniziò a turbinare attorno a lui, prima che Andrei lo dirigesse verso il basso.

"Aurora infuocata!!!"

Anhar fu svelto a balzare di lato, evitando di essere travolto e rimediando solo una lieve ustione al braccio sinistro, comunque riparato dalla sua scarlatta armatura. Quando cercò di nuovo Andrei con lo sguardo vide che l’uomo era in ginocchio, prostrato da un affanno improvviso di cui egli ben conosceva la causa. Sogghignò, complimentandosi con se stesso per come aveva distrutto l’esile parvenza di felicità in cui l’antico compagno si era cullato per qualche anno, prima di scattare lungo la scalinata, superando gli ultimi gradini con un balzo, avvolto nel suo cosmo incendiario.

"Che sia la notte più nera ad accoglierti! Apocalisse Divina!!!"

La tempesta di fuoco e ombra sollevò lo stanco corpo di Andrei scaraventandolo di peso contro la parete esterna del tempio di Inti, facendola crollare su di lui dopo poco e scagliando di sotto frammenti di pietra e mattoni, tra le grida terrorizzate dei fedeli che erano rimasti a guardare. Una silenziosa preghiera al Dio della Luce, affinché desse loro un segno.

Passando accanto alle macerie crollate, Anhar entrò nella piccola sala sulla sommità del tempio, l’ultima che ancora doveva controllare, dopo aver lasciato le celle inferiori ai suoi sottoposti. Uno spazio ristretto, in verità, riservato ai sommi officianti di Inti, su cui spaziava lo sguardo protettore di un volto umano incorniciato all’interno di un sole d’oro. Un’antica rappresentazione del Dio generatore della vita, fulcro del Tahuantinsuyo, l’Impero Inca.

"Temo che stanotte il numero dei tuoi già miserrimi accoliti si ridurrà drasticamente, mio caro Inti! Non che mi dispiaccia, anzi in verità non posso che goderne! A nient’altro infatti auspico se non al crollo di tutti i nuovi falsi Dei, e tu, in fondo, sei un giovincello rispetto ad altri! E farai la stessa fine di Quetzalcoatl!" –Ironizzò Anhar, specchiando il suo ruvido volto nel disco d’oro agganciato alla parete e immaginando, compiaciuto, di farne realizzare uno con le sue fattezze. –"Ma anziché raggi di sole, tutto intorno ci vorrei delle fiamme scarlatte e nere! Oh sì, lo appenderò nella mia camera da letto, sulla cima dell’Olimpo, quando sarà mio!"

"Dovrebbero metterci dei teschi, al posto delle fiamme, cane spregevole! Uno per ogni amico che hai tradito, uno per ogni giuramento disatteso!" –Ringhiò una voce, distraendo il Rosso Fuoco dai suoi viaggi mentali.

"Ancora vivo?! Sono deluso! Il veleno di cui la coppa era ripiena avrebbe dovuto prostrarti inerme e invece ancora t’affanni nel tuo intestardito agire? Farò uccidere la mia schiava per non aver eseguito alla lettera i miei comandi!" –Ghignò Anhar.

"Tu non farai uccidere più nessuno!" –Avvampò Andrei, espandendo il proprio cosmo, ma il suo avversario gli scagliò contro il disco d’oro, facendolo roteare vorticosamente, al fine di mozzargli la testa.

Andrei fu svelto a rotolare di lato, evitandolo, ma già Anhar si era lanciato su di lui. Come il guerriero si aspettava.

Concedendosi un sorriso, Andrei sfiorò il pavimento del tempio, infondendogli il calore del suo cosmo, mentre un muro di fuoco sorgeva di fronte a lui, a sbarrare il passo al violento carnefice.

"Fermarmi con delle fiamme?! Idea poco produttiva!" –Ridacchiò Anhar, ma non appena mosse il braccio per scacciarle, queste presero vita, avvolgendosi attorno al suo arto e strisciando poi lungo il suo corpo, penetrando persino la cotta divina che indossava. –"Aaargh!!! Razza di maledetto! Che fiamme hai volto contro di me?!"

"Le fiamme della speranza!" –Commentò pacato Andrei. –"Quelle che mai potrai sopire!" –E si scagliò contro di lui, il palmo della mano carico di rovente energia cosmica, che poggiò contro il pettorale della corazza di Anhar prima di liberarla. –"Aurora infuocata! Esplodi!!!"

La detonazione ravvicinata scaraventò il guerriero indietro, avvolgendolo in una fiammeggiante cometa che distrusse il muro retrostante, proseguendo la sua corsa fino a schiantarsi nelle acque del lago, estinguendosi con un gran boato.

Nonostante la teatralità della scena, Andrei non poté fare a meno di pensare che quel problema non era certo stato risolto, solo momentaneamente accantonato. Di altri doveva invece occuparsi adesso, per quanto la testa gli martellasse e il solo respirare provocasse in lui affanno. Il veleno che aveva bevuto con l’inganno aveva ottenebrato i suoi sensi, rendendolo debole e vulnerabile.

E altri avrebbero pagato per la sua debolezza.

***

Jonathan correva per i corridoi del tempio di Inti, tenendo una mano sulla ferita al fianco destro. Aveva aiutato le guardie a liberare l’ingresso del santuario, occupato da quei misteriosi nemici comparsi dal cielo poche ore prima, ma era stato colpito di striscio da un colpo di lama. Strinse i denti, sperando che non fosse avvelenata, e continuò ad avanzare, passando in mezzo a cadaveri che non voleva guardare in faccia, per paura di ritrovarci un volto amico.

Stava scendendo nel cuore del tempio, dove i supremi officianti avevano dato maggiore resistenza, anche a giudicare dal numero di nemici morti sparsi nelle gallerie. Pur tuttavia era certo che l’attacco non fosse ancora finito. No, non poteva considerarsi tale finché quegli aggressori non avessero avuto ciò per cui erano venuti. Come gli antichi conquistadores, avrebbero preteso il loro tributo. Il loro tesoro.

"Come osate mettermi le mani addosso?!" –Gridò d’improvviso una voce di donna, riscuotendo il bambino dai suoi pensieri. Una donna che ben conosceva.

Col cuore in affanno, scivolò tra le ombre dei corridoi interni fino ad arrivare alla sala più profonda del tempio, dove gli officianti si riunivano per celebrare i loro riti. Il sancta sanctorum del Tempio di Inti.

Facendosi forza, Jonathan sporse la testa e osservò la violenza consumarsi in fretta, al centro di quello spazio, dove gli invasori del tempio avevano radunato i sacerdoti e le sacerdotesse superstiti, uno sparuto gruppo impaurito, che sembrava aggrapparsi alla veste di una donna dal carattere fiero.

"State violando il tempio del Dio del Sole! La sua ira vi coglierà tutti, servi delle tenebre! Alla prima luce del giorno, di voi resteranno solo ceneri!" –Gridò la vestale, prima di essere zittita dal manrovescio di un uomo.

"Taci, serva, e mostraci i segreti del tempio! So che custodite ancora antiche pozioni di guarigione, arti magiche da utilizzare in guerra, veleni naturali e forse anche la formula dell’immortalità? Igh igh igh!" –Ghignò un uomo rivestito da una tunica nera, fermata in vita da una fascia grigia. –"Prendete tutto quel che ci può essere utile! Fate razzia di ogni elemento che possa aiutarci a comprendere questo mistero!" –Gridò, rivolto agli uomini che lo accompagnavano.

"Fermi! Smettetela! Ma cosa state facendo? Cosa volete? Perché ci avete assalito?! Inti è un Dio di pace!"

"Conoscenza. È questo che cerchiamo!" –Rispose l’uomo, placando infine la voce. –"Il mio signore ritiene che questo santuario celi un segreto perso dagli albori del tempo. Difficile a dimostrarsi, in verità, poiché nessuno conosce la forma di questo così importante, e al tempo stesso evanescente, manufatto. Per tale motivo io, che sono ben più pratico, preferisco concentrarmi sulle cose materiali dell’esistenza, anziché inseguire fatui sogni di dominio. Io, che della Regina Nera sono l’ultimo alchimista!"

"La Regina Nera?! La leggendaria isola da cui provengono i guerrieri oscuri, figli delle tenebre?" –Tremò la donna prigioniera.

"Delle loro corazze sono l’artefice. Athanor, per servirvi." –Ironizzò, facendo un inchino, prima di berciare nuovi ordini ai suoi scagnozzi.

Fu allora che Jonathan spuntò fuori dal suo nascondiglio, balzando agilmente sulla schiena di un invasore e tranciandogli la gola con una lama. A tal vista, gli altri uomini si lanciarono su di lui, lance in pugno, ma il bambino fu svelto a evitare gli affondi, cercando riparo dietro gli arredi della sala.

"Tut tut." –Mormorò Athanor, facendo cenno ai suoi servitori di abbassare le armi e tornare a occuparsi delle loro faccende prioritarie. Quindi, voltandosi verso Jonathan, ne bloccò i movimenti, inchiodandolo sul posto con lo sguardo. –"Inutile che tu tenti di fuggirmi, bel bambino, sforzeresti soltanto i tuoi muscoli per niente. Sei prigioniero della mia morsa telecinetica, ma lo sarai per poco, il tempo necessario per tagliarti la gola, come tu l’hai tagliata al mio collaboratore. Sai come si dice? Occhio per occhio…" –Commentò calmo, obbligando con la forza della mente il braccio di Jonathan a spostarsi verso la sua carotide, con la lama pronta a reciderla.

"Nooo!!!" –Gridò la donna, perdendo tutta la sua flemma e gettandosi in avanti, subito fermata dalla scorta dell’alchimista nero, che sogghignò serafico, contento di aver colpito nel segno.

"Pare che tu non sia un orfanello smarrito. Non è così?" –Esclamò, voltandosi verso la donna che, in lacrime, non toglieva lo sguardo da Jonathan. –"Sacerdotessa e madre, a quale dei due doveri sarai più fedele?" –Le chiese, afferrandole il mento e obbligandola a guardarlo negli occhi. –"Lo scopriremo presto." –E, nel dir questo, sbatté Jonathan contro un tavolo, piantandogli la lama nel palmo aperto di una mano.

"Brutto bastardo, lascialo andare!!!" –Ringhiò furibonda la madre del ragazzo.


"Dimmi cos’è che il mio padrone sta cercando, che cosa disperatamente invade i suoi sogni costringendoci a vagare per il pianeta e a saccheggiare tutti i sacri templi che incontriamo! Quale talismano è mai nascosto in questa putrida isoletta dimenticata dagli Dei, persino dal vostro? Parla vacca, o lo sgozzo come un agnello sacrificale!!!" –Gridò Athanor, stritolando il collo della donna e fiatandole in faccia il suo mortifero proposito.

La sacerdotessa di Inti, con gli occhi iniettati di sangue e lacrime, guardò un’ultima volta il bambino biondo bloccato sul tavolo dalla telecinesi del nemico, accennando un sorriso, troppo breve e troppo poco sentito per racchiudere tutto quel che provava. Tutto quel che avrebbe perduto. Poi spostò lo sguardo su Athanor, risalendo dalle labbra avvizzite lungo il naso deforme e fissandolo negli occhi, con tutta la risolutezza che poté trovare in quel momento di disperazione estrema. Lo fissò e gli sputò in faccia, di fronte agli sguardi attoniti dei sacerdoti e dei soldati invasori. E lo avrebbe fatto di nuovo, se l’alchimista oscuro non le avesse torto la testa in una posa innaturale, fino a schiantarle l’osso del collo.

Morta, il suo corpo si afflosciò sul pavimento, tra i singhiozzi dell’alto clero e le grida del bambino.

Stanco di quei drammi familiari, Athanor scaraventò Jonathan contro il resto dei sacerdoti, gettandoli a terra, prima di dare l’ultimo ordine ai suoi scagnozzi.

"Incendiate tutto!" –Esclamò, prima di incamminarsi a passo svelto nei corridoi del tempio, diretto verso l’esterno.

Anche quella missione, come quelle ai templi di Cuzco e di Chichén Itzá era stata inutile, un nulla di fatto. Che cosa stesse cercando Flegias, o Anhar come a volte si faceva chiamare, lui ancora non l’aveva capito e forse non l’avrebbe mai compreso. Del resto Athanor viveva per sopravvivere, e per farlo doveva servire il Rosso Fuoco, fintanto che l’alleanza avrebbe fruttato ad entrambi. Così da queste razzie in America Meridionale aveva recuperato alcuni papiri antichi, ricette per veleni e medicamenti, istruzioni per lavorare i metalli e ogni altro tipo di informazione utile per accrescere la sua continua fame di sapere. Ma di fantomatici talismani creati all’alba dei tempi da una cricca di saggi, Athanor non aveva trovato traccia.

Uscito fuori dal complesso templare, si portò due dita alla bocca e fischiò, attendendo che l’enorme Roc planasse su di lui per recuperarlo e portarlo via da quell’ennesimo insuccesso. Almeno quel magnifico esemplare, risvegliato e manipolato dall’oscuro potere della Pietra Nera di Flegias, era stato un suo trionfo, e anche il figlio di Ares lo aveva apprezzato.

***

Alla vista della madre uccisa di fronte ai suoi occhi, Jonathan esplose in un urlo furioso. Per tutto il tempo in cui era stato bloccato dalla psicocinesi di Athanor, aveva cercato di rimanere calmo, di concentrare i sensi, come il suo precettore gli aveva insegnato, di raffreddare l’ardore del suo spirito, ma gli era stato impossibile sfuggire alla morsa mentale dell’alchimista oscuro.

Del resto aveva soltanto nove anni. E anche se in seguito si sarebbe maledetto e colpevolizzato per non aver saputo fare di più, in quel momento piangere per la madre morta era tutto quel che gli era concesso. Fu allora che, mentre carezzava il corpo spezzato e le mani prive di vita, le mani che l’avevano cullato e protetto per anni, il fuoco che covava dentro riuscì infine a trovare la via per accendersi.


"Aaahhh!!!" –Gridò, stringendo i pugni e alzando lo sguardo, mentre un’aura color avorio lo avvolgeva, una luminescenza così accesa che obbligò tutti i presenti a coprirsi gli occhi.

Quando riuscirono di nuovo a vedere, notarono che il bambino si era rimesso in piedi e che in mano stringeva una lunga asta dorata, apparsa dal nulla.

"Inqa." –Mormorò Jonathan, assaporandone la potenza intrinseca. Con un balzo fu sugli aggressori, mulinando l’arma come una spada e colpendoli uno dopo l’altro, gettandoli a terra o spingendoli indietro, mentre l’aura attorno al suo corpo cresceva di intensità, stupendo persino i sacerdoti ancora vivi.

Infine, come fosse un gesto che aveva sempre compiuto, sollevò l’asta, la cui sommità rivelò un fiore in procinto di sbocciare, e mormorò alcune parole.

"Scettro d’oro, illumina la via!!!" –E mille strali luminosi sgorgarono dalla cima dell’arma, trafiggendo gli invasori del tempio di Inti e ponendo fine alla loro vita.

Ammirati, gli officianti rimasti vivi si inginocchiarono attorno a lui, alzando e abbassando le mani, in onore al ritorno del loro signore. Non ebbero dubbi, il Signore del Giorno era tornato a Isla del Sol per salvare le loro vite.

Jonathan, stanco per l’improvviso sforzo e confuso dal rapido succedersi degli eventi, non seppe cosa dire, accasciandosi a terra a pochi passi dalla madre, che tentò di raggiungere allungando un braccio.

Fu così che li trovò Andrei, quando arrivò correndo seguito dai soldati inca che era riuscito a riorganizzare in fretta. Vicini, eppure ormai separati per l’eternità.

Con palese tristezza nel volto, il Signore del Fuoco si avvicinò al bambino, sollevandolo e avvolgendolo in una coperta, prima di affidarlo ad alcune badanti che provvedessero a medicare le sue ferite e a nutrirlo. Quindi si chinò sul corpo della sacerdotessa di Inti.

Juana. Mormorò l’uomo, spostandole i capelli rossicci dal volto, in un tenero gesto che molte volte aveva ripetuto nella loro intimità.

Hai scelto di morire pur di non rivelare la verità. Perdonami se ho tardato, perdonami se non sono riuscito a salvarti. Pianse Andrei, lasciando che le lacrime cadessero sul volto della donna che aveva amato. Aveva sentito spegnersi la sua vita, mentre correva nel cuore del complesso templare, aveva sentito le grida disperate quando Juana credeva che Athanor avrebbe ucciso suo figlio, ma ancor di più aveva udito le ultime parole che la donna gli aveva diretto.

Proteggi nostro figlio. Egli nasconde la luce che illuminerà il mondo.

Andrei annuì, pulendosi le lacrime e sollevando la donna, adagiandola su un tavolo vicino, fissandola per l’ultima volta.

Avalon aveva ragione, si disse. Non avrebbero dovuto legarsi con gli esseri umani, non avrebbero dovuto condividere gioie e dolori con loro, perché ciò li avrebbe resi deboli e li avrebbe allontanati dalla loro missione di garanti dell’equilibrio.

Forse era vero. Eppure, in fondo al cuore, Andrei non poté nascondere un sorriso, pensando al figlio che aveva avuto con Juana. Un bambino che nascondeva un segreto celato da millenni. Uno dei Talismani per cui Anhar aveva dato fuoco al tempio di Inti, e che Andrei era quasi riuscito a perdere. Cosa sarebbe accaduto se Jonathan fosse morto?

Il Signore del Fuoco scosse la testa, preferendo allontanare simili nefasti pensieri, lasciando ad Avalon le speculazioni filosofiche sugli incroci possibilistici della vita. Quel che era davvero importante, adesso, era addestrare Jonathan al gravoso compito che lo attendeva, fortificarlo, proteggerlo e prepararlo al secondo avvento.

Egli è uno dei Prescelti. Il cosmo di Menara è in lui.

"Ti insegnerò tutto quello che so!" –Gli disse, qualche ora dopo, quando il bambino riprese i sensi, in una capanna usata come rifugio per i feriti. –"Sui Talismani in generale, e in particolare sul tuo, lo Scettro d’Oro o Scettro dei Sogni!"

"Scettro dei Sogni?!" –Borbottò Jonathan, non comprendendo.

"Sì, questo è il nome che il suo creatore gli diede. Perché vedi, Jonathan, l’asta che impugni non è soltanto uno scettro, ma una chiave, che apre il varco che conduce ad altri mondi. Varco di cui tu, Cavaliere dei Sogni, sarai il guardiano!"

***

"Non dire niente, ti prego. Ne sono consapevole!" –Esclamò Andrei, mentre la figura dalle vesti argentee si avvicinava, frusciando leggera tra l’erba, senza neppure schiacciarla.

"Oh, lo so!" –Sorrise Avalon infine, fermandosi al centro del cerchio di monoliti. –"Quel che importa è che tu lo sia davvero, e che tu sia pronto per andare avanti!"


Andrei annuì, immaginando quel che l’antico compagno gli avrebbe detto. Quel che gli avrebbe chiesto.

"Tuo figlio rimarrà ad Avalon, terminerò il suo addestramento! Non ci vorrà molto, è un ragazzo sveglio, di mente acuta, ed è stato istruito bene, sia da te, che dai sacerdoti del tempio di Inti! Conosce la forza dei misteri così come del tirar di spada! A Reis farà piacere avere qualcuno della sua età con cui confrontarsi!" –Quindi si zittì un attimo, prima di concedersi una risata genuina, così cristallina da stupire lo stesso Andrei. –"Tuo figlio, uno dei Sette?! Il destino gioca in modo imprevedibile con le nostre vite! Anche se questo non modifica il nostro obiettivo finale! Egli non dovrà mai sapere che sei suo padre, gli diremo che è orfano, come Reis, come tanti altri giovani ed eroici combattenti, e ciò gli dovrà bastare! Nella solitudine troverà la forza, l’affetto lo renderebbe debole! E la debolezza è dote che i custodi dei Talismani non devono possedere! Devono essere forti e intransigenti per reggere l’unica luce in grado di rischiarare l’universo!"

"Io… sono d’accordo con te! Per lui sarò solo il suo maestro! Nessuno, comunque, al di fuori della gilda conosce la sua paternità!" –Commentò Andrei, stringendo i pugni. –"Chiarito questo, che ne è di Anhar? Dove si è nascosto quella carogna infame?"

"Nelle stesse ombre dietro cui si cela da secoli, nascondendosi persino alle acque del Pozzo Sacro! Ombre da cui furtivamente esce, di tanto in tanto, per spargere ulteriori semi di disgrazia! In Africa ho percepito la sua presenza l’ultima volta, tra le dune sabbiose del Sahara! E non è un caso che poche ore dopo abbia avvertito un fremito, un incresparsi improvviso nelle acque della visione…"

"Cosa vuoi dire?!" –Incalzò Andrei, mentre entrambi si avvicinavano all’orlo del Pozzo Sacro, osservando al suo interno.

Le calme acque si agitarono all’improvviso, mostrando una violenta tempesta imperversare in un canale marino, sollevando navi e scagliandole contro gli scogli o ribaltandole sulle spiagge, tra le grida disperate dei marinai. Su tutto aleggiava una oscura presenza, un vento di fiamme nere carico di un rancore covato per secoli.

"Che cos’è questo luogo?"

"Mar Ionio. Canale di Sicilia." –Chiarì Avalon, lasciando che l’amico metabolizzasse l’informazione. E capisse.

"Tifone?! È stato risvegliato?!"

"I suoi sigilli si sono improvvisamente indeboliti e di certo l’odio che affama il suo cuore potrebbe spingerlo a liberarsi quanto prima. Per questo sto lavorando, per ripristinarli in fretta, prima che provochi ulteriori danni."

"Vado a ucciderlo!" –Affermò Andrei. Ma Avalon lo bloccò, afferrandolo per il braccio e scuotendo la testa.

"Torna a Isla del Sol, la ricostruzione del tempio di Inti deve procedere! Il tuo popolo ha bisogno di speranza, di fiducia, della tua rasserenante presenza, perché un giorno, non lontano, dovrà tornare a combattere! E, se vuoi che lo facciano con determinazione, devi dare loro un motivo, una guida da seguire!"

"Che ne sarà di Tifone?"

"Un mio allievo se ne sta occupando." –Commentò schivo Avalon, prima di riportare lo sguardo sulle acque del Pozzo Sacro. Là, tra il mulinare delle correnti e il luccichio delle anime perse, la sagoma di un uomo apparve poco dopo. Il Signore dell’Isola Sacra lo riconobbe subito, anche se il suo corpo era celato da un mantello, e sorrise.

Presto i Talismani sarebbero stati riuniti e Micene di Sagitter avrebbe ricevuto in dono la luce più pura. Lui, soltanto lui, poteva essere il Cavaliere della Leggenda. Di questo, il suo maestro era assolutamente sicuro.

E Avalon non sbagliava mai.

Estratto dalle Cronache di Avalon.

Ventunesimo anno prima del secondo avvento.

Fine.