CAPITOLO PRIMO: IL REAME DELLA LUNA SPLENDENTE.
Quando Pegasus riaprì gli occhi si accorse di essere ancora vivo. E quello era di sicuro un buon inizio. Sbatté le palpebre un paio di volte, per liberarsi dal fastidioso riverbero di luce ancora impresso sulla retina, cercando i compagni con lo sguardo. Erano tutti attorno a lui, nella stessa posizione in cui erano disposti alla Tredicesima Casa, sebbene fosse chiaro a tutti che non erano più al Grande Tempio. Né in Grecia.
Guardandosi intorno, Pegasus vide che si trovavano su un pianerottolo rialzato, in cima ad una rampa di scale che poi proseguiva divenendo un sentiero lastricato che conduceva a un ampio complesso templare, che si stagliava marmoreo contro lo sfondo di un cielo scuro. Un’architettura simile ai tanti santuari eretti in onore agli Dei greci, pur non avendolo mai visto fino ad allora.
Fu una candida voce femminile ad attirare l’attenzione dei presenti, facendoli voltare verso il basso, laddove una donna rivestita di argentei abiti aveva appena iniziato a salire lungo la scalinata.
"Avete superato ogni mia aspettativa! Rapidi e solerti, me ne compiaccio! Ma soprattutto vi ringrazio!" –Esclamò, raggiungendo infine la piattaforma sopraelevata dove Atena, Avalon e i loro Cavalieri attendevano.
Là, Pegasus poté osservarla meglio, notando le vesti sontuose, come quelle che aveva visto addosso a Era o a Demetra, la lunga chioma violacea, costellata da numerose trecce, e la coroncina argentea con una luna intarsiata che riluceva tra i capelli. E capì che colei che aveva di fronte era una Dea. Ne percepì, pulsante, l’essenza vitale, il cosmo che fluiva attorno a loro, solleticandoli, studiandoli e infine abbracciandoli.
"Divina Selene!" –Commentò allora Avalon, inchinandosi. –"Con piacere vi rivedo, sebbene le circostanze non siano di festa, e con eguale piacere vedo che la vostra bellezza è rimasta intatta!"
"Il piacere è mio, Signore dell’Isola Sacra. Piacere e riconoscenza per aver risposto al mio appello ed aver portato validi aiuti. Cos’altro potrei aspettarmi, del resto, da una Divinità che così tanto ha lottato per difendere l’umanità e il loro diritto alla vita ogni qual volta l’oscurità abbia tentato di sopprimerla?" –Sorrise la Dea, spostando lo sguardo su Lady Isabel. –"Non ci incontriamo da millenni, e il tuo corpo era ben diverso, ma riconosco il tuo cuore, così pieno d’amore e speranza per il futuro!"
"Anch’io ti ho riconosciuto e ti ringrazio per averci accolto nel tuo regno!" –Rispose la fanciulla dai capelli viola, accennando un inchino, prima che l’altra Divinità la pregasse di rialzarsi, non essendo il tempo né il luogo per le riverenze. –"Pegasus, Cavalieri, permettete che vi presenti Selene, la Dea della Luna, figlia dei Titani Iperione e Tia, e sovrana del Reame della Luna Splendente!"
"Se… Selene?!" –Balbettarono i Cavalieri dello Zodiaco, ancora troppo confusi dal rapido susseguirsi degli eventi.
Jonathan sorrise, comprendendo lo stupore dei ragazzi, prima di poggiare una mano sulla spalla di Pegasus, invitandolo a guardarsi intorno, veramente intorno, spaziando con lo sguardo laddove l’occhio fosse capace di arrivare, fino a perdersi nell’oscurità che riluceva oltre l’orizzonte. Una notte così profonda da sembrare irreale.
"Non… è possibile…" –Mormorò il Cavaliere, iniziando a comprendere.
Oltre la piattaforma sopraelevata, oltre il complesso templare, il terreno digradava leggermente, quasi fossero in cima ad una collina, ma al termine di essa, oltre la curva dell’orizzonte, Pegasus non vide niente. Vide soltanto un cielo scuro macchiato di stelle che parevano fissarlo da lontano, burlandosi della sua ingenuità, e un pianeta, verde e azzurro, avvolto da strati di nuvole bianche. Un’immagine che, come Phoenix e Andromeda, aveva ammirato più volte negli atlanti scolastici. Del resto la Terra vista dalla Luna appariva davvero così.
"Non possiamo essere davvero…"
"Sulla Luna?!" –Ironizzò Jonathan. –"Certo che ci siamo! È stato lo Scettro dei Sogni a portarci qua, aprendo un varco dimensionale!"
"E qua sarebbe…?"
"Il Reame della Luna Splendente, di cui sono Dea e sovrana!" –Intervenne allora Selene, facendo cenno ai presenti di seguirla lungo la scalinata. –"Non dovresti essere troppo sorpreso, Cavaliere di Pegasus! Da quel che so, non è certo il primo mondo divino che visiti! Hai camminato sul fondo del mare, respirando tranquillamente; hai varcato la soglia di Ade, pur senza morire…"
"Per non parlare dell’Olimpo e della vera Asgard, oltre le nuvole!" –Puntualizzò Avalon.
"Forse non trovi il mio regno abbastanza attraente? Chissà che le mie figlie non riescano a farti cambiare idea!" –Rise Selene, giunta ormai ai piedi della gradinata, dove un uomo dai capelli celesti, rivestito soltanto di un chitone bianco, la attendeva. Sorridendo, la Dea gli prese le mani tra le proprie, prima di baciarlo sulle labbra, per poi voltarsi verso il gruppo e presentarlo. –"Il mio sposo, Endimione!"
"Sono onorato di incontrare guerrieri così valorosi! Le gesta dei Cavalieri di Atena costellano le leggende, anzi creano esse stesse le leggende!" –Parlò allora l’uomo, prima di dare il braccio a Selene e incamminarsi assieme verso il Santuario della Luna, presto seguiti da Atena e Avalon e dai loro sei Cavalieri.
"Non capisco! Come può esistere una simile struttura sulla luna? E come è possibile che i satelliti non l’abbiano mai individuata?" –Bofonchiò Pegasus, agitandosi tra Andromeda e Phoenix.
"Come il Grande Tempio è protetto da scudi invisibili, sorretti dalla Divina Volontà di Atena, ugualmente il Reame Beato è celato dal cosmo di Selene, impedendo a qualunque essere non divino di localizzarlo!" –Chiarì Jonathan, aggiungendo tra sé. –"E non soltanto!"
"Del resto, se la tecnologia e la scienza terrestri superassero i poteri di un Dio, la stessa esistenza degli Dei verrebbe meno, non trovi Pegasus?!" –Intervenne Reis, mentre Matthew, al suo fianco, si guardava intorno ammirato e esterrefatto. Per quanto fosse stato in precedenza informato riguardo alla loro destinazione, trovarsi lì, in un altro mondo, fu una sensazione straniante, ma se Avalon lo aveva scelto, concedendogli il privilegio di quella prima missione, doveva sentirsi onorato e conscio delle proprie potenzialità.
Non dovettero camminare molto per arrivare ai cancelli della residenza della Dea della Luna, la cui struttura ricordava quella di una delle Dodici Case di Atene, con un corpo centrale di forma rettangolare, circondato da ampi colonnati. L’unica differenza era costituita dalla presenza di un piano superiore, di forma sferica, che pareva risplendere di luce cristallina. Vista dal basso, quella cupola somigliava proprio ad una gobba della luna, come Pegasus l’aveva spesso vista sedendo sul molo della Darsena assieme a Lamia o a sua sorella.
Già, Patricia. Si disse il ragazzo, abbandonandosi a un sospiro. Nonostante l’avesse ritrovata, al termine della Guerra Sacra contro Ade, a volte si chiedeva se era davvero così, non riuscendo mai a trascorrere del tempo con lei. Anche adesso non la vedeva da una settimana, da quando aveva lasciato Nuova Luxor per volare ad Atene e affrontare la minaccia dell’inverno. Le aveva fatto mandare un messaggio, per tranquillizzarla, ma avrebbe voluto vederla di persona, abbracciarla, correre con lei come facevano da bambini, quasi a voler dimostrare a entrambi che il tempo non aveva vinto, che erano ancora giovani e pieni di vita.
A volte mi chiedo se è davvero così. Se sia mai stato così.
La voce maestosa del Signore dell’Isola Sacra distrasse il Cavaliere dai suoi pensieri, portandolo a sollevare lo sguardo verso l’ingresso del Santuario della Luna, dove una moltitudine di ragazze si era radunata per salutare gli ospiti. Sgranando gli occhi, e strappando un sorriso imbarazzato a Phoenix e Andromeda, Pegasus non poté non notare la bellezza di tutte quelle giovani, abbigliate come ninfe, dai visi solari e dai capelli lucidi come stelle.
"Sono certo che non le hai dimenticate, Atena." –Stava dicendo in quel momento la Dea della Luna. –"Sono le mie cinquanta figlie! Ma ti dispenso dall’onere di ricordare tutti i loro nomi!"
"Dimenticare simili bellezze sarebbe impossibile!" –Commentò Jonathan, guadagnandosi un sorriso di approvazione da parte di Matthew e un’occhiata torva di Reis, cui rispose con un colpo di tosse, rimettendosi in posizione di guardia.
"Le mie figlie si occuperanno di rendere confortevole il vostro soggiorno, per quanto questi tempi oscuri possano permetterlo! Non esitate a chiedere qualunque cosa possa soddisfare le vostre necessità!" –Chiarì Selene, congedando poi le ragazze, che tornarono alle loro mansioni, prima di invitare Avalon e Atena all’interno del tempio.
Fu mentre ne varcavano la soglia che un pizzicare d’arpa li raggiunse. Una musica soave cullò i loro affannati spiriti, donando pace e freschezza.
Voltando lo sguardo, Pegasus vide un giovane dai capelli castani seduto su un muretto tra le colonne, lo sguardo perso nel cosmo, le mani intente a solleticare le corde dello strumento musicale in suo possesso, pur senza guardarle, profondo conoscitore di una melodia che aveva scelto per dare loro il benvenuto.
Atena parve riconoscerla, anche se non seppe dirsi dove e quando l’avesse udita. Fu Avalon a venirle in aiuto, mentre il ragazzo depositava l’arpa, avvicinandosi per salutare gli invitati greci.
"Mount Badon. Diciotto anni dopo il crollo dell’Impero Romano d’Occidente."
La Dea dai capelli viola trasalì, mentre ricordi di un passato lontano le affastellavano la mente. Immagini di sangue e battaglie, in cui aveva indossato la sua Veste Divina e lottato al fianco di suo padre, stretta tra l’Egida e Nike, per combattere l’oscurità. E quella melodia… quella melodia l’aveva suonata un bardo e doveva ricordarle qualcosa. Un avvertimento forse?
"Dea Atena, permettimi di presentarti Asterios, il Principino della Luna!" –Esclamò Selene, baciando in fronte il giovane musicista, che poi si inchinò, prendendo la mano della Vergine Dea e posandovi sopra le labbra carnose.
"Incantato!" –Sorrise amabile.
"Non sapevo tu avessi anche un figlio." –Commentò Atena, rivolgendosi a Selene, che si limitò a rispondere sibillina.
"Infatti. Ho solo figlie femmine!"
"Quante smancerie!" –Bofonchiò Pegasus a denti stretti, prima che Andromeda lo colpisse con una gomitata, sferragliando le loro corazze. –"E non abbiamo ancora capito cosa ci facciamo qua. Bah, sulla luna! Dove andremo la prossima volta? A combattere contro i Marziani?"
In quel momento il suolo sotto di loro tremò, anticipando un fragoroso boato e il tipico rumore che i Cavalieri avevano associato al crollo di un edificio. Voltandosi verso destra, videro luci scarlatte e dorate rischiarare l’orizzonte, contorcendosi come fulmini e incastrandosi tra loro. E da quella direzione arrivò correndo un uomo, rivestito da un’armatura di colore indaco e avorio, di fattura simile a quelle dei Cavalieri Celesti.
"Capitano! Cos’è accaduto?" –Incalzò Selene, presto raggiunta dall’uomo, che si inginocchiò ai suoi piedi, senza perdersi in saluti verso gli ospiti.
"Il nono cerchio è stato preso! Chandra sta cercando di contrastarli ma non potrà impedire che penetrino all’interno del perimetro. Anzi, qualcuno è già entrato!"
Endimione, a tali notizie, strinse le mani di Selene, il cui volto tradiva adesso nervosismo e tristezza. Anche alcune ragazze, rimaste fuori ad osservare incuriosite i nuovi arrivati, si agitarono, abbandonandosi a improvvisi pianti e grida impaurite. Asterios, in mezzo a loro, rimase impassibile, ma a Pegasus parve di vedere il suo sguardo cercare quello di Avalon e fissarlo per un paio di interminabili secondi.
"Entriamo. Non c’è più tempo!" –Disse allora il Signore dell’Isola Sacra, scuotendo la Dea della Luna da quelle tragiche notizie.
Selene annuì, conducendo i presenti al piano superiore dell’edificio, all’interno di quella bolla che in realtà era un’unica grande sala dalle pareti trasparenti. Una sfera attraverso la quale era possibile ammirare l’intera superficie lunare correre ai loro lati, fino a scivolare bassa all’orizzonte.
Come la Dea ebbe modo di spiegare, il Reame della Luna era diviso in nove cerchi concentrici che si allargavano attorno al nucleo centrale, sito in cima ad un leggero rilievo. Guardando attraverso i vetri, i Cavalieri dello Zodiaco videro le mura dei vari cerchi ergersi sotto di loro. Contarono sette recinti, ma quando giunsero all’ottavo videro fumo, fiamme e lampi di luce sormontarlo.
"Ecco perché siete qua!" –Chiarì Selene, la voce per la prima volta incrinata dal dispiacere. –"Per aiutarmi a salvare questo mondo perfetto, che mai aveva conosciuto una guerra in tutti questi millenni. Per confortare una Divinità illusa che aveva davvero ritenuto possibile vivere fuori dai tumulti del mondo."
"Non parlare così, mia adorata!" –La sorresse allora Endimione, aiutandola a sedersi al proprio scranno. –"Hai sempre governato con saggezza, ne siamo tutti consapevoli. E non hai certo causato tu questo vile attacco!"
"Chi vi sta attaccando? E perché?" –Chiese allora Pegasus, che percepiva violente energie cosmiche scontrarsi presso la cinta più esterna delle mura.
"Dovresti riconoscere almeno un cosmo, Pegasus! È quello di un tuo vecchio nemico, con cui ti sei duramente confrontato!" –Esclamò allora Avalon, invitando il ragazzo a concentrarsi, ancora di più, fino a percepire la sanguinaria e bellicosa natura del cosmo di un Dio creduto perduto.
"Non può essere!!!" –Gridò, cercando con lo sguardo Phoenix e Andromeda, anche loro atterriti dall’inaspettata rivelazione.
Era l’infuocato cosmo del figlio di Zeus che avevano affrontato pochi mesi addietro nelle Stanze del Grande Sacerdote, ad Atene, e che adesso stava squassando la tranquillità del Reame della Luna Splendente.
Ares, Nume della Guerra, e funesto ai mortali.
***
Ascanio era in ginocchio e teneva la mano dell’Antico, disteso su una branda di paglia e foglie nella sua capanna sull’isola di Avalon. Passava ore al suo capezzale, aiutando le sacerdotesse ad accudirlo, sebbene ben poco da fare vi fosse rimasto.
Il Primo Saggio giaceva incosciente da quando lo spirito tenebroso di Flegias aveva abbandonato il suo corpo, lasciandolo fiacco e svuotato. Così lo aveva trovato Ascanio, quando era ritornato all’Isola Sacra dopo aver aiutato Nikolaos ad Atlantide, stupendosi di quanto apparisse invecchiato, di quanto la sua vera età stesse salendo in superficie, un cancro che ormai non poteva più essere arginato. Sospirò, ricordando gli eventi degli ultimi giorni, consapevole che l’ora oscura a lungo paventata era arrivata.
Aveva appena lasciato Atlantide quando il cosmo del suo mentore lo aveva raggiunto, pregandolo di raggiungere Jonathan e Reis in Nord Europa e di condurli ad Avalon quanto prima. Prontamente aveva obbedito, recuperando i compagni e comparendo assieme a loro sull’alto colle del Tor, vicino alla cittadina di Glastonbury. Là, in quel tardo pomeriggio, i tre Cavalieri delle Stelle avevano sgranato gli occhi, di fronte a quel cumulo di bruma oscura che pareva avvolgere l’Isola Sacra, una caligine di origine nient’affatto naturale. Avevano tentato di farsi strada tra le nebbie, capendo ben presto di non poter andare oltre, e capendo anche perché Avalon aveva voluto che Jonathan rientrasse. Solo lui infatti poteva aprire il varco, eludendo l’ombra che era calata sull’isola.
Il ragazzo dai capelli color cenere aveva annuito, evocando il potere dello Scettro d’Oro e traslando se stesso e i due Cavalieri nel cuore dell’Isola Sacra. Avalon era andato loro incontro, affannando nel raccontare quel che era accaduto, dall’attacco di Flegias alla possessione dell’Antico fino al sorgere di quella cortina di tenebra, sicuramente un ultimo regalo del suo antico compagno di addestramento. Tutti segni, a suo dire, dello scoccare dell’ora fatidica.
"È tempo di metterci in cammino!" –Aveva commentato sibillino, scambiando qualche parola con Andrei in privato, prima che quest’ultimo lasciasse l’isola, accompagnato da Jonathan, per tornare sul lago Titicaca.
Reis si era ritirata nel suo giaciglio, per rinfrescarsi e riposarsi, e Ascanio era rimasto lì, a pochi passi dal Signore dell’Isola Sacra il cui sguardo sembrava per la prima volta preoccupato. Ma poi, quando aveva sollevato il volto, fissando il ragazzo, Avalon aveva sorriso, parlando per tranquillizzarlo.
"Non hai niente da temere, figlio dell’Isola Sacra! I serpenti che porti tatuati sulle braccia sono indice della tua saggezza, della conoscenza antica che ti permetterà di far fronte ad ogni difficoltà. Ho fiducia in te, Ascanio, più che in ogni altro Cavaliere delle Stelle. Oserei dire che per me sei come un figlio, ma sarebbe un’affermazione errata in quanto tu vali molto di più. Sei il mio erede, destinato a succedermi alla guida dell’Isola Sacra!"
Quelle parole avevano colpito nel segno, stordendo il cuore pensoso del Comandante dei Cavalieri delle Stelle, che non si sarebbe mai aspettato una simile confessione, da parte di un uomo che ben celati teneva sempre i suoi sentimenti. Avalon aveva compreso lo smarrimento del ragazzo, lo aveva rassicurato con una pacca su una spalla e lo aveva invitato a riposarsi un po’, poiché presto avrebbero avuto bisogno di tutte le forze disponibili.
"Vorrei averne, davvero!" –Mormorò, stringendo le nodose dita dell’Antico tra le proprie, quasi potesse ridar loro la vitalità di un tempo, quando il mondo era giovane e Tegel era uno dei Sette. Uno dei primi epta sophoi che affrontarono l’ombra.
"Gu.. guarda…" –Frusciò la debole voce dell’Antico, parlando per la prima volta dopo giorni. Ascanio ne fu stupefatto e si mosse per chiamare qualcuno che potesse curarlo, ma l’uomo prevenne ogni suo gesto, afferrandolo per la mano e ripetendo a fatica. –"Guarda!"
Quel tocco fece vibrare i loro cosmi, dando ad Ascanio la consapevolezza di quel che avrebbe dovuto fare, di quel che l’Antico si aspettava da lui. Inspirò profondamente, concentrando i sensi, prima di usare quel potere.
"Metempsicosis."
La trasmigrazione dell’anima, che permise alla sua coscienza di fluire dentro il corpo del Primo Saggio, e di sapere.
Le visioni arrivarono repentine, travolgendo il ragazzo e impegnandolo in uno sforzo mentale per dominarle, per mantenerle in ordine. E per apprendere, finalmente, quel che accadde millenni addietro. Fu così che li vide, giovani e armati, rivestiti di lucenti armature di mithril, le stesse che tutt’oggi Jonathan e gli altri Cavalieri delle Stelle indossavano.
"Attento alle spalle, Vasteras!" –Gridò una voce, avvisando l’amico di balzare indietro e puntando l’arma che custodiva contro l’ombra. Una scarica di energia azzurra riempì l’aria, dilaniando nel profondo la creatura tenebrosa e impedendogli di mietere una nuova vittima. –"Allontanati! Non… posso resistere a lungo!"
"Sono con te!" –Intervenne allora un’agile figura, sfoderando la lama capace di tagliare le stelle. –"Spada di luce!!!"
Il rinnovato assalto spinse l’ombra indietro, dirigendola verso il cuore della piana desertica dove Galen la stava aspettando, disposto in cerchio assieme agli altri compagni. I tre sfiniti combattenti si scambiarono un’occhiata convinta, annuendo e espandendo il proprio cosmo, concretizzandolo in luminosi talismani di energia.
"Ora!!!" –Gridò Galen, impugnando il manufatto e liberando un’intensa fiamma scarlatta, presto seguita da uno scintillante arcobaleno energetico e da un’onda di pura luce, che investirono la grande ombra, facendola avvampare e infuriare.
"Il momento solenne è arrivato!" –Risuonò allora la voce di Tegel, ergendosi in volo al di sopra dei presenti, mentre il talismano da lui custodito fluttuava in aria di fronte a sé, assorbendo la maligna aura del loro nemico. –"Un patto è un patto, e noi lo abbiamo appena suggellato! Che le nostre anime ne siano testimoni, che i nostri spiriti possano essere dannati in eterno se mai verremo meno all’estremo impegno!"
"Non accadrà!" –Risposero in coro i sei compagni dell’uomo, infondendo ai talismani la loro massima potenza. –"Ktêma es aei!"
Una gigantesca esplosione riempì l’aria, distorcendo il tempo e lo spazio e annientando le visioni nella mente di Ascanio, lasciando soltanto un nulla immenso. Quel che era accaduto in seguito, lo aveva appreso nel corso degli anni da Avalon e dallo stesso Primo Saggio, unico sopravvissuto dei sette combattenti originari.
"Come avete potuto vivere così a lungo?" –Gli chiese, intuendo parte della risposta.
"Grazie all’energia spirituale che permea ogni essere vivente, fonte di vita e di morte. Come credi che sia nato, il cosmo, Ascanio? È un dono del nostro creatore. Imparando a conoscerlo e a controllarlo, può limitare l’invecchiamento di un corpo terreno, permettendo allo spirito di perdurare. Fino ad oggi."
"Una forma estrema di rallentamento cardiaco, come uno dei miei maestri ricevette in dono da Atena." –Intuì il Comandante dei Cavalieri delle Stelle, ottenendo un cenno d’assenso dall’Antico. –"E allora perché non usate il cosmo per ringiovanire? Per ritornare l’aitante giovane di un tempo?"
"Perché quel tempo è passato, Ascanio. Ogni cosa ha un posto nell’universo, ogni persona ha un ruolo, e il mio quest’oggi si è esaurito. Ultimo dei sette saggi, porterò a termine la missione che ci demmo quel giorno, rispettando la promessa fatta ai miei compagni. Trovare degni custodi cui affidare i talismani, e proteggerli per sempre." –Sospirò, rompendo la sincronia tra le loro menti. A fatica, l’anziano mentore di Avalon sollevò il braccio destro, sfiorando con le dita la fronte del ragazzo. –" Ktêma es aei!" –Ripeté, lasciando che tutta la sua energia vitale, tutta la sua forza celata, fluisse in lui.
"Ma… magister, cosa fate? Così facendo voi…" –Tentennò Ascanio, terrorizzato da una simile prospettiva. Ma l’Antico lo tranquillizzò con un sorriso.
"Il corpo è solo un temporaneo contenitore di una potenza ben più grande, che travalica i limiti stessi dell’esistenza. Lo imparerai anche tu, come io l’ho appreso in migliaia di anni, preparandomi a questo. I Talismani, presi singolarmente, sono solo oggetti materiali, ben lavorati ma non così diversi da altri manufatti divini. Ciò che li rende unici, e ciò che Anhar non ha mai compreso, è l’essenza che li permea, la coscienza dei forgiatori che permane dentro di loro. Ti sei mai chiesto perché i Talismani appaiano quando voi li invocate? E perché quello sciocco che tradì la gilda dell’equilibrio non li abbia mai trovati mentre Jonathan e gli altri sono riusciti a risvegliarli? Perché in essi vive il cosmo di coloro che li hanno forgiati e che hanno atteso, in silenzio, il passare dei secoli, aspettando i cuori impavidi che li avrebbero impugnati un giorno. Il giorno dell’ira." –Spiegò l’uomo, mentre tutta la sua coscienza interiore passava dalle rachitiche dita dentro ad Ascanio, fino all’ultima stilla di cosmo. –"Quando Galen morì, quindici anni fa, la sua forza non andò perduta, ma fluì dentro lo Specchio del Sole, che Febo dopo poco risvegliò. Ugualmente quest’oggi io muoio felice, Ascanio, perché so che il Talismano da me preservato troverà degno custode. Dei sette, ve ne è uno che non è mai stato usato, perché il saggio che lo aveva creato non vi aveva ancora fatto confluire la sua anima. È il momento di chiudere il cerchio. È il momento di farti dono dell’ultimo dei Talismani, il più potente dei Sette. Va a te, discendente di re, a te che possiedi i dragoni intrecciati di vita e di morte. Sai dove trovarlo, adesso… ti appartiene." –E spirò, l’ultimo dei grandi eroi del Mondo Antico.
Ascanio rimase in silenzio per qualche minuto, lasciando che le lacrime scivolassero sul suo volto ruvido, incapace di trattenerle. Adagiò la mano del Primo Saggio sul giaciglio di foglie e la osservò ingiallire, travolta da un autunno improvviso. Privo del cosmo che lo manteneva in vita, il corpo dell’Antico appassì, sgretolandosi dopo pochi istanti e divenendo polvere. Si concesse ancora qualche istante, l’allievo di Avalon, prima di mettersi in piedi e cacciar via i tristi ricordi.
Uscì a passo svelto dalla tenda, dirigendosi verso l’alto colle dell’isola, laddove si ergeva da secoli il pozzo dalle sacre acque, riparato dalla cinta di megaliti. Proprio in quel luogo, intriso di mistica energia, Avalon anni addietro glielo aveva mostrato e adesso sapeva di poterne disporre, sapeva che avrebbe dovuto disporne per affrontare la prova ultima della loro esistenza.
Giunse sulla cima del colle, camminando a piedi scalzi sull’erba, fino a poggiare le mani sulle sponde del pozzo e guardare al suo interno. Socchiuse gli occhi ed espanse il cosmo, entrando in sintonia con le correnti energetiche che spiravano sull’alto colle e che gli diedero ulteriore vigore. Quanto gli bastò per risvegliare l’ultimo Talismano.
Le acque del calice ribollirono all’improvviso, mentre un’intensa luce rischiarò la cima dell’isola, proveniente dalle profondità della stessa. Una colonna chiara e vivida che dal pozzo si innalzò verso il cielo, sfondando la coltre di tetra foschia. E là, all’interno di quel pilastro di luce, apparve il manufatto di cui era appena divenuto custode. Lo vide per pochi istanti, prima che venisse di nuovo risucchiato dalla luce, la stessa che fagocitò l’intero spiazzo. Il pozzo tremò, l’erba cresciuta all’esterno venne incenerita da un’intensa fiamma, rivelandone i bordi e le fattezze, mentre l’intera struttura si sollevava e le acque si riversavano al di fuori, invadendo l’alto colle di Avalon.
Ascanio focalizzò il cosmo sul pozzo, rivelandolo per quello che era realmente, e sorrise, lieto e fiero di indossare infine la sua armatura. La struttura si scompose all’istante, mentre i vari pezzi che la componevano andavano ad aderire al fisico prestante del ragazzo, rivestendolo poco dopo. Adesso il suo percorso poteva dirsi completo, il percorso iniziato anni addietro in Cina, proseguito ad Atene e infine a Glastonbury. Ma per esserne degno avrebbe dovuto affrontare l’ultima prova, il motivo per cui Avalon lo aveva richiamato sull’isola.
"Ve ne andate?!" –Aveva borbottato stupefatto, qualche ora prima, quando il suo mentore aveva spiegato che lui, Reis e Matthew avrebbero raggiunto Atene, dove Jonathan li attendeva. –"Credevo che fosse impossibile, per voi, superare questa coltre di tenebra."
"Dovresti aver capito, Ascanio, che ben poche sono le cose che non sono in grado di fare." –Gli aveva sorriso Avalon. –"Non era per liberarmi che ti ho chiesto di tornare. Ma per vedere se tu sei in grado di uscire."
E adesso avrebbe dovuto dimostrarlo. Adesso, in piedi sul molo di legno che fungeva da attracco per le barche che sfidavano il lago, con la bieca foschia che gli turbinava attorno, nascondendo l’isola agli occhi di chiunque.
"Tu puoi aprire le nebbie! Sei l’unico, oltre a me, che possa farlo! Sei il Cavaliere della Natura, il Comandante dei Sette, iniziato ai misteri di Avalon! Pensa a cosa è importante nella tua vita e trai forza da ciò!" –Gli aveva detto il Signore dell’Isola Sacra.
Ascanio socchiuse gli occhi, espandendo il proprio cosmo, portandolo fino al parossismo, forte dell’eredità ricevuta, da suo padre e dal Primo Saggio, e sollevò il braccio destro al cielo, invocando le nebbie di Avalon. Quando riaprì gli occhi, non poté trattenere un sorriso compiaciuto alla vista del varco che si era aperto di fronte a sé, un varco che conduceva a Glastonbury.
Si voltò verso l’isola e solo allora notò la processione di druidi, sacerdotesse e fedeli che lo aveva raggiunto intonando un lamento funebre. Uno dopo l’altro, avevano atteso che il custode del drago bianco e del drago rosso mostrasse loro la via e adesso erano in ginocchio di fronte a lui, riconoscendone l’autorità. In quel momento Ascanio capì che quel che Avalon gli aveva detto era vero. Un giorno sarebbe stato il suo erede e il nuovo Signore dell’Isola Sacra.