CAPITOLO SESTO: GIOCHI D’INCASTRO.
Spesso la storia si ripete, pensava Andromeda liberando le guizzanti catene, che saettarono nell’aria per contrastare il nuovo assalto che Managarmr, guerriero del Lupo della Luna, gli aveva rivolto contro. Da una decina di minuti i due si stavano affrontando, proprio tra le rovine della torre di guardia dove l’anno precedente il ragazzo aveva duellato con Mime. E ancora una volta Andromeda era costretto a fronteggiare un avversario che a stento poteva definire tale.
Per quanto infatti a lui ostile, Managarmr era un ragazzino, di quindici anni scarsi, che lottava più per fedeltà a chi gli aveva donato l’armatura, per sentirsene degno, che non per reale convinzione alla causa. Il suo cosmo, Andromeda poteva sentirlo, non era affatto oscuro, ma questo non gli impediva di scatenare attacchi rapidi e selvaggi, simili al fugace balzo di una fiera che s’abbatte sulla preda.
"Fuoco del Lupo e del Dragone!" –Tuonò il guerriero, portando avanti il pugno destro, mentre migliaia di sagome di energia, simili a fiere stilizzate, saturavano l’aria mattutina, obbligando Andromeda a scagliare la catena, per trapassarle tutte.
Dopo tre attacchi che Managarmr aveva portato, il discepolo di Albione aveva capito il suo trucco, che gli permetteva di sdoppiarsi in molteplici copie, concentrando il grosso del cosmo in una di esse e infondendone una stilla alle altre, che servivano soltanto a distrarre l’avversario. Ma certo non avrebbe immaginato che questi avrebbe disposto dell’arma più utile per vanificare la sua tecnica.
"Catena di Andromeda, trova il nemico!" –Gridò il ragazzo, mentre la punta a triangolo squarciava le varie forme di lupo, facendole quasi evaporare all’istante. Solo una rimase, poco distante dal fianco destro, e su essa Andromeda scatenò tutta la furia delle catene, convinto di aver individuato il servitore di Loki. Ma, con sorpresa e delusione, dovette accorgersi, quando la sagoma di energia svanì, che la catena aveva trapassato una colonna di pietra.
"Uh?!" –Si chiese come fosse possibile che la sua arma avesse potuto sbagliare in maniera così grossolana, tanto più contro qualcuno che percepiva come un nemico.
"E infatti non ha sbagliato, Andromeda!" –Lo richiamò una voce giovanile, prima che un pugno dal basso lo obbligasse a balzare indietro, venendo raggiunto solo di striscio dall’onda d’urto generatasi. –"Ma è stata troppo lenta! Troppo lenta per afferrare l’agile lupo della luna, raggiungendo solo la mia immagine residua!"
"Non vantarti troppo, ragazzino! La modestia è spesso l’arma migliore in battaglia!" –Esclamò Andromeda, spingendolo indietro con un’onda di energia, che Managarmr seppe in parte evitare, saltando di lato, atterrando sulle braccia e dandosi la spinta per balzare in cima ad un muro diroccato.
"Non mi vanto, dico il vero! Che son agile e desto, al punto che fino ad ora la tua infallibile, e devo dire meravigliosa, catena non mi ha mai afferrato! Sguscio via in fretta dalla sua presa, e devo farlo o ne sarei stritolato!"
"Potresti evitare tale sorte, se tu vorresti, Managarmr! Perché io non sono qua per lottare con te, ma per raggiungere la cittadella e aiutare chi mi è caro!" –Disse Andromeda, sperando di convincere il ragazzo a desistere.
"Che tu lo voglia o meno dovrai affrontarmi, Cavaliere! Questo è il mio compito, la ragione per cui Loki mi ha investito dell’armatura, e a lui devo obbedienza!"
"Loki?! Vuoi dire il leggendario Dio dell’Inganno che a lungo ha tramato per rovesciare Odino?! È lui che ha scatenato quest’ondata di freddo improvvisa?"
"Quest’inverno prodigioso è chiamato Fimbulvetr, perché è molto più rigido del solito, come fossero tre inverni sovrapposti! Ma a questo clima di neve, ghiaccio e vento dovrai abituarti, perché impererà su tutta la Terra dopo che Loki avrà scalzato Odino dal trono di Hliðskjálf e sostituito i suoi Einherjar con noi, i valenti Sigtívar, gli Dei di Vittoria, che hanno ricevuto in dono le corazze proibite di Asgard!"
"Quali corazze?! Non sapevo ve ne fossero altre oltre alle sette indossate da Orion e dagli altri Cavalieri! Una per ogni stella dell’Orsa Maggiore!"
"Quello fu un tardivo abbinamento, Cavaliere! Non sei abbastanza informato sulla storia del nostro popolo!" –Ironizzò Managarmr. –"Altrimenti sapresti che millenni addietro, poco dopo la costruzione della fortezza di Midgard, Loki aveva già tentato di prenderne possesso! Invidioso che Odino avesse un avamposto nel reame degli uomini, da lui sempre considerato terreno fertile per i suoi scopi, in virtù delle innate debolezze che dominano il cuore umano, si ingegnò per occuparla, in modo da farne una testa di ponte nella guerra che in futuro lo avrebbe opposto ad Asgard! Così irretì quattro uomini, spingendoli a fare domanda per entrare nella guardia della cittadella, e poi si unì loro, sotto mentite spoglie, approfittandone per carpire informazioni che potessero tornargli utili! Aveva seguito, da lontano, la costruzione della reggia, simile ai grandi complessi fortificati che dominano Asgard, e aveva capito fin da subito che un attacco frontale sarebbe stato inefficace, ma un assalto dall’interno, quello era invece possibile!"
"Ed era in perfetto stile di Loki! Viscido e ingannatore!"
"Se così ti piace vederlo! Io lo considero astuto! Così facendo avrebbe potuto conquistare Midgard senza sprecare forze e, soprattutto, senza attirare l’attenzione scomoda di Odino e degli Asi! Chi avrebbe potuto, degli uomini mortali, opporsi al potere di cinque guerrieri dotati di cosmo, uno dei quali era in realtà un Dio?! Inoltre all’epoca i rapporti con gli altri culti erano inesistenti! Atena, Zeus, l’Olimpo, miraggi lontani, niente di più! Gli uomini del Recinto di Mezzo erano soli!"
"Perché usi il condizionale? L’ingegnoso piano del tuo mentore fallì?"
"Ahimé, due fattori il mio Signore aveva sottovalutato, per quanto ben li conoscesse! La determinazione, che a volte permette a persone di infima levatura di compiere miracoli, elevandosi e divenendo eroi, e la debolezza intrinseca nel cuore degli uomini, che spinge molti di loro a continui voltafaccia! Proprio uno dei quattro compagni infatti lo tradì, avvisando il conestabile del tentato colpo di stato e permettendo ad alcuni esponenti della famiglia reale di salvarsi dal massacro scatenato dagli altri! Odino in persona, avvisato di un simile crimine, comparve e uccise tre dei guerrieri traditori, ma del quarto nessuno aveva più notizie! Fu quella l’ultima volta in cui il Dio degli Asi scese su Midgard, deluso e affranto dal comportamento degli uomini, che non riuscivano a trattenersi dal farsi la guerra tra di loro. In sua memoria gli abitanti della città eressero una grande statua, scavando nella montagna, con la spada rivolta verso il basso, a simboleggiare la protezione di Odino sulla loro terra, protezione che, ne erano certi, non sarebbe mai venuta meno. Il conestabile diventò il nuovo Celebrante, dando inizio a una dinastia che tuttora perdura, quella dei Polaris, che scelsero di legare i Cavalieri di Asgard, non più cinque ma sette, alle stelle dell’Orsa Maggiore, vicina e sorella più grande dell’Orsa Minore, simbolo del loro casato! Le cinque armature furono nascoste nelle segrete e, essendo state usate per versare sangue nella cittadella anziché difenderla, fu fatto divieto di usarle di nuovo! Nessun combattente di Midgard avrebbe più potuto indossare una delle corazze maledette, rappresentanti un lupo, un gigante, un’aquila, un guerriero e il simulacro che Loki fece creare per sé, posando come modello!"
"Immagino che l’ultimo traditore, colui che riuscì a fuggire, fu proprio Loki!"
"Precisamente! Smessa la corazza per lui forgiata, quella che adesso indossa il nostro comandante, assunse i tratti di un abitante della città, mescolandosi alla folla e evitando la collera di Odino. Vagò per giorni nelle foreste di Járnviðr, finché non si imbatté in una donna, brutta come una strega, la cui fame era così grande da spingerla a gettarsi su di lui, con un pugnale sguainato. Loki la fermò, spezzandole i denti, ma restò ammirato dal suo coraggio, grande al punto da spingerla contro un Dio! Così la sfamò con il suo cosmo, unendosi a lei e generando due lupi, progenitori della stirpe che popolò la Foresta di Ferro. So che tuttora, per quanto non ami raccontarlo, per non apparire sdolcinato, il mio Signore si reca in visita alla vecchia, negli antri più nascosti del bosco, con la scusa di controllare lo stato di salute delle creature! Lo stimo davvero tanto, per la sua intelligenza e per la sua capacità di adattarsi alle turbolenze del mondo! Come un gatto, egli è stato capace di atterrare sempre in piedi, ogni volta in cui è caduto! E oggi onorerò quel che ha fatto per me, sconfiggendo coloro che osano opporsi al suo grandioso progetto di rivalsa!"
"È solo per questo che combatti? Perché lo devi a chi ti ha donato una corazza, peraltro maledetta da una guerra civile? Non riesci a discernere se quel che il tuo maestro fa, e ha fatto, sia lecito o meno?!"
"Per la verità non mi interessa! Lui è il mio mentore e saprà meglio di me cosa sia giusto! Mi ha tenuto con sé fin da quando mi ha trovato, abbandonato in un cesto nella Foresta di Ferro, da chissà quale mostruosa famiglia che, incapace di sfamarmi o disinteressata nell’accudirmi, aveva preferito darmi in pasto ai lupi! Glielo devo, non credi? Per ricompensarlo di avermi fatto crescere e di avermi istruito alle arti del cosmo e del combattimento!" –Affermò fiero Managarmr, per quanto la sua voce tradisse una leggera emozione, e forse anche sofferenza, al ricordo della sua infanzia. –"Ho visto le bestie che popolano Járnviðr e, per quanto orribili, non sono peggio di altre che invece hanno due gambe e si fregiano del nome di uomini!"
"Capisco quel che hai provato... Essere abbandonati è quanto di più triste possa accadere a chiunque! Noi Cavalieri orfani lo sappiamo bene! Nessuno dovrebbe restare solo! Nessuno!" –Sospirò Andromeda. –"Ma anche se le tue motivazioni sono nobili, nella pratica sono errate, perché il tuo signore sta scatenando una guerra, te ne rendi conto? Non ti interessano le conseguenze? Perché vuoi condannare altri allo stesso destino di privazione in cui saresti potuto incorrere tu?"
"Non mi curo degli altri più di quanto si siano curati di me! A Loki devo la vita, e onorerò ciò in cui credo!" –Esclamò Managarmr, espandendo il proprio cosmo. –"Lui!" –E si lanciò in alto, per piombare poi sul Cavaliere di Atena, a gamba tesa, con il tacco carico di energia cosmica.
"Sei proprio cocciuto!" –Mormorò Andromeda, liberando la catena, che si abbatté sul ragazzo, scheggiando gli schinieri della sua armatura, sbilanciandolo e obbligandolo ad un atterraggio poco composto, che gli strappò un gemito, di dolore e di fastidio per essere stato ferito.
"Bastardo! Vuoi umiliarmi? Nessuno è più veloce di me! Terrò fede al nome che porto, al nome che Loki mi ha dato! Un lupo così veloce da riuscire a raggiungere la luna e a sbranarla!" –Sibilò, scattando verso il Cavaliere di Atena, muovendosi come fosse un felino. Evitò una raffica di catene che Andromeda gli diresse contro, balzando lesto a destra e a manca, ma quando tentò di attaccare si accorse che la catena con il cerchio si era già arrotolata al suo braccio, strattonandolo con forza. –"Urgh, lasciami!" –Ringhiò, agitandosi, e la afferrò con l’altra mano, per liberarsene.
"Errore fatale!" –Mormorò Andromeda, abbassando lo sguardo, mentre violente scariche di energia sprigionate dall’arma avvamparono attorno al gracile corpo di Managarmr, scheggiando parte della sua corazza e lasciandolo stramazzare al suolo, tra sangue e lamenti. –"Grazie al settimo senso, sei ben allenato nella corsa e nel confronto a distanza, ma per quanto tu raggiunga la velocità della luce non sei più veloce di un Cavaliere Divino! La disattenzione che ti ha gettato a terra la devi all’inesperienza e alla facilità con cui hai creduto di vincermi! Mi dispiace, ragazzo, ma se sei ancora in vita è perché io odio uccidere, e non cambierò mai opinione al riguardo! Soprattutto davanti a chi, come te, paga le colpe di chi l’ha cresciuto!"
"Quali colpe?" –Rantolò Managarmr, cercando di rimettersi in piedi. –"Avermi sottratto alla morte per darmi un po’ d’affetto è un male, Cavaliere di Andromeda? Forse quel che dici è vero, forse Loki è davvero un guerrafondaio, e allora? Dovrei per questo cancellare il ricordo di quel che ha fatto per me, concedendomi di vivere e facendomi da padre? Mai!!!" –Gridò, avvampando nel suo cosmo verde oliva. –"Che le zanne del Lupo della Luna ti sbranino, millantatore di Dei!" –E gli volse contro le fauci di una fiera dai denti rossi di sangue.
"Perdonami…" –Si limitò a commentare Andromeda, liberando entrambe le catene. Quella di offesa fronteggiò le mortifere zanne del lupo, zigzagando al suo interno e spezzandole tutte, mentre quella di difesa si disponeva a tagliola, frenando la corsa del servitore di Loki e chiudendosi sulle sue gambe, fino a farlo ruzzolare a terra.
"Aaargh!" –Mormorò il ragazzo, annaspando nella neve, che si stava tingendo di rosso, di fronte agli occhi di Andromeda, che non riusciva a provare odio nei suoi confronti, soltanto pena. Un infinito senso di pena.
La stessa che aveva dominato il suo animo negli anni dell’addestramento, quando aveva dovuto affrontare i compagni al cui fianco aveva vissuto, sopportando assieme le stesse difficoltà e le asperità del clima. Al pari di Managarmr, Reda e Salzius, Glauco e Marzio e gli altri allievi di Albione erano uniti da qualcosa che non era mai riuscito a comprendere, qualcosa che andava al di là del comune sentimento di vittoria, di superamento della sfida che la conquista dell’armatura rappresentava. Qualcosa che, agli occhi di Andromeda, avrebbe condotto alla guerra e alla morte. E che per questo paventava.
Anche col tempo non era cambiato, per quanto avesse accettato il suo ruolo e non fosse più disposto a sacrificarsi con facilità. Anche dopo anni di battaglie ancora non riusciva a dare il colpo di grazia al suo avversario senza essere invaso da remore.
"U… uccidimi… che aspetti?" –Balbettò Managarmr, rubandolo ai suoi pensieri.
Il ragazzo stava ancora lottando con la catena che lo avvolgeva, stringendogli le gambe e impedendogli di rimettersi in piedi.
"Perché?" –Gli chiese Andromeda.
"È questo che fanno i guerrieri quando vincono, no? Uccidono i loro avversari, come io avrei fatto con te!"
"Possa il fato volere che tu non debba mai compiere un simile atto…" –Mormorò Andromeda. –"Perché non è eroico come si crede, uccidere non lo è mai! Se tu avessi già le mani sporche, ne sentiresti senz’altro il peso! Ma dato che, da questo punto di vista, sei ancora vergine, vorrei tu lo restassi!"
"Che stai dicendo?!" –Ringhiò, cercando di rialzarsi. –"Mi tratti come un bambino?! Ma i bambini non hanno i miei artigli! Fuoco del Lupo e del…"
Fu allora che Andromeda strattonò con forza le catene, gettando di nuovo il ragazzo nella neve, stavolta con le ossa delle gambe spezzate. Sospirò in silenzio, ritirando le sue armi, e poi gli diede le spalle.
"In questo stato non sarai più un pericolo per nessuno! Incapace di camminare, potrai solo trascinarti fino alla cittadella e chiedere perdono a Ilda per i tuoi sbagli! Forse la Celebrante di Odino, dall’alto della sua misericordia, ti grazierà! Nell’attesa, avrai tempo per pensare, a cosa significa indossare un’armatura, a cosa significa avere dei poteri come i nostri e all’uso che deve esserne fatto! Addio, ragazzo!" –Esclamò, prima di lanciarsi lungo il sentiero che dalle rovine conduceva al palazzo di Midgard, incurante delle grida di Managarmr alle sue spalle.
Per un momento ad Andromeda parve di sentire la voce di Phoenix dentro di sé. –"Facciamo tutti degli errori, ma non sempre ci viene data la possibilità di ripararli! Tu, fratello, sarai sempre convinto che tutti la meritino, vero?"
"Non è forse per questo che ci siamo ritrovati?!" –Ironizzò, continuando a correre lungo la strada che già conosceva, mentre l’ombra di un maestoso uccello scivolava accanto a lui.
Andromeda si fermò un istante, sollevando lo sguardo verso il cielo plumbeo, per ammirare un’aquila volare ad ali aperte, poi riprese a correre. Se avesse osservato meglio, avrebbe notato l’immenso uccello dal manto arancione discendere verso la radura e le sue forme farsi umane.
"Sei stato vinto in fretta!" –Esclamò, planando accanto al corpo spezzato di Managarmr. –"Per essere stato per anni il pupillo di Loki, dalle labbra di miele, gli hai dato ben poca soddisfazione, ben poco onore, tranne quello che riusciva a carpirti nei vostri momenti intimi! Non credi, ragazzino?!"
"Aiutami… le mie gambe…" –Rantolò il Lupo della Luna, strascicandosi a terra, incapace ormai di rialzarsi.
L’altro guerriero lo fissò per un attimo, con sguardo reso inespressivo dalla maschera che indossava, che nascondeva la più totale indifferenza, prima di chinarsi su di lui e girargli il corpo, in modo che il viso fosse rivolto al cielo.
"A questo punto, fossi un Cavaliere, dovrei caricarti sulle spalle e portarti in salvo, nella speranza che il tuo amato Loki, o chi per lui, ti salvi!" –Commentò, senza tradire alcuna emozione. –"Ma non lo farò!" –E nel dir questo trapassò il petto del ragazzo con il braccio teso, facendogli sputare sangue e bava, prima di osservarlo afflosciarsi, morto. –"Perché non sono un Cavaliere, ma un mercenario! Siamo in guerra, si vince o si perde, e agli sconfitti non resta che una strada!" –Quindi sollevò il corpo sanguinante di Managarmr, trasportandolo fino al ciglio, mentre una raffica di vento freddo proveniente dal basso lo investiva, smuovendo il manto di pelle che portava fissato sotto i coprispalla e i biondi capelli che spuntavano dall’elmo.
"Ma consolati! Forse, se sarai forte abbastanza, la tua anima potrà varcare il fiume Gyoll e raggiungere Hel, per unirsi ai demoni e agli spiriti di quei bastardi senza gloria che non sono ascesi al Valhalla! E allora potrai di nuovo essere utile a Loki!" –Detto questo lo gettò nel vuoto, osservandolo precipitare nel burrone e perdersi tra le nebbie. Spalancò le braccia, lasciando ondeggiare il lungo mantello, prima di buttarsi a sua volta e planare in aria, sollevandosi poco dopo con maestria.
Volò fin sopra la cittadella di Midgard, osservando Andromeda venir fermato da una pattuglia di lupi e Soldati di Brina e Pegasus e gli altri impegnati a lottare all’interno delle mura, con Skoll incombente su di loro. Sogghignò, prima di dirigersi verso il retro della fortezza, dove il comandante dei Sigtívar lo attendeva per partire.
Il drakkar che un tempo aveva costituito la base dell’immensa statua di Odino era stato liberato dal ghiaccio ed era pronto per salpare. Sul ponte di comando si ergeva Erik il rosso, come lo definivano con scherno gli altri guerrieri, ricordandogli che, per quanto gli piacesse attribuirsi simili appellativi storici, per darsi una certa importanza, in realtà era un bastardo loro pari, senza antenati ricchi né nobili.
"Ben arrivato Hræsvelgr!" –Esclamò Erik, osservando l’uomo con l’armatura a forma di aquila planare sul ponte. –"Hai portato a termine la ricognizione di Midgard?"
"Sì, Erik! Managarmr, come sospettavo, è caduto, sconfitto da uno dei Cavalieri di Atena, che adesso combattono sul lato occidentale della fortezza! Immagino che puntino alla liberazione della Regina di Polaris!"
"Non mi sorprendo, di nessuna delle due notizie! Dei cinque Sigtívar scelti dal Dio dell’Inganno, il Lupo della Luna era il più giovane e inesperto! Sebbene sarei stato più felice se fosse riuscito a portare qualche avversario con sé all’inferno!"
"E cosa ti aspettavi da un ragazzino ancora in pubertà?" –Intervenne allora una voce rauca, facendo voltare Erik e Hræsvelgr. –"Drepa mi ha detto che non aveva ancora i peli sotto le ascelle, ed è strano perché era cresciuto tra i lupi!"
"Bjuga delle Svalbard, la tua mancanza di tatto è simile alla tua carenza di materia cerebrale! Che sia dovuta alle botte che hai preso in testa dalle tue lame rotanti?!" –Ironizzò Erik, osservando il gigantesco guerriero, che superava i due metri di altezza.
"Eh?!" –Bofonchiò l’altro, non comprendendo le parole del suo comandante, che si limitò a muovere la mano a spazzare, scuotendo la testa, per poi rivolgersi nuovamente a colui che indossava la corazza dell’Aquila dei Venti.
"Skoll e i Soldati di Brina che abbiamo lasciato qua si occuperanno dei Cavalieri di Atena! Pare che oggi al bel lupo dal morbido crine sia stato tolto il piatto da sotto il naso e che per questo motivo sia piuttosto affamato! Ah ah ah!" –Rise, prima di dare gli ultimi ordini per la partenza.
"Sono curioso di sapere come arriveremo ad Asgard! Prendere una nave per andare in cielo è un modo piuttosto strambo di navigare!" –Commentò Bjuga.
"Detto da te è tutto un dire!" –Esclamò una quarta voce, unendosi al gruppo sul ponte di comando.
"Drepa!" –Esclamò Bjuga, riconoscendo il Mietitore Silente, con l’arco d’argento affisso alla cinta dell’armatura e una faretra piena di frecce affissa sulla schiena.
"I poteri messi in campo da Loki superano ogni aspettativa!" –Continuò l’uomo chiamato Drepa, che conduceva per mano un’esile figura vestita di stracci. –"Modhgudhr adesso ve ne darà un assaggio!"
Era costei una fanciulla, sebbene di femminile non avesse più niente, neppure il nome, pallida e dal volto scavato, su cui lampeggiavano due occhi completamente neri, privi della cornea. Molti soldati ne avevano timore, considerandola figlia del demonio, ed Erik non poteva biasimarli, conoscendo la storia della sua nascita. Ma a lui, come agli altri Sigtívar, Modhgudhr serviva per la guerra.
E in guerra non esistono superstizioni! Solo braccia abbastanza forti per reggere un’ascia, e altre troppo deboli, destinate a perire! Si disse il comandante, dando cenno alla fanciulla di procedere.
Quest’ultima non mosse neppure lo sguardo, perso nel vuoto atemporale successivo alla sua nascita, limitandosi a sollevare le braccia e a liberare il suo cosmo violetto, che scivolò sull’intero drakkar, saldandosi ad esso. Dopo pochi istanti la nave si sollevò, vittima della telecinesi di Modhgudhr, virò di novanta gradi e iniziò a dirigersi verso la cima della montagna alle spalle di Midgard.
Fu allora che Erik sogghignò, impugnando l’ascia fissata alla sua schiena e caricandola di oscura energia. –"Se anche qualcuno dovesse sfuggire alla furia di Skoll, troverà comunque difficile recarsi ad Asgard!" –Disse, muovendo il braccio a spazzare e lanciando la scure energetica contro la parete di roccia, dove si piantò poco dopo, liberando una violenta esplosione che fece tremare l’intera montagna, portandola a crollare su se stessa.
Tonnellate di neve e roccia, immobili da millenni, crollarono sulla statua di Odino, spezzandone gli arti e piegandola di lato, mentre Erik e gli altri Sigtívar osservavano soddisfatti l’immensa valanga abbattersi sul piazzale retrostante il castello di Midgard e scuoterlo, distruggerlo, sommergerlo, travolgendo anche una parte della reggia.
"La via è chiusa!" –Commentò Erik, mentre l’ascia tornava nelle sue salde mani e il drakkar fluttuava silenzioso in cielo, dirigendosi verso l’altro versante della montagna. –"Questa, per Asgard, sarà la sua ultima alba!"
***
Dei nove mondi, Muspellheimr era quello dove il tempo sembrava non essere mai trascorso, lasciando l’intera landa al momento della creazione. Non vi erano stati crescita né progresso, né case o templi erano stati eretti, né uomini vi avevano mai viaggiato, inorriditi soltanto dalla prospettiva di precipitare negli abissi vulcanici che lo componevano o di venire avvolti dalle lingue di fuoco che si innalzavano verso il cielo. Tutto, in quel mondo, pareva trasudare della fiamma della creazione, la forza primordiale del caos lasciata libera di esprimersi incontrollata.
Persino Odino non vi si era mai recato, né alcuno degli Asi o dei Vani, preferendo le belle regge di Ásaheimr alle distese di magma della regione dove dimoravano coloro che avevano forgiato il mondo e che, molti temevano, lo avrebbero distrutto.
Soltanto Balder lo Splendente si arrischiava ad entrarvi, risentendo in maniera minima dell’aria torrida che si respirava e delle temperature eccessive, essendo lui stesso rivestito di un manto di luce che non soltanto lo proteggeva dagli attacchi dell’oscurità ma gli permetteva bene di adattarsi a condizioni simili.
Periodicamente il figlio di Odino discendeva lungo il tronco di Yggdrasill e giungeva a Muspellheimr, fermandosi ad osservare le sconfinate lande percorse da vampe di fuoco, chiedendosi affascinato come potesse il grande frassino sopravvivere anche in così disagevole situazione. E spesso si sorprendeva a sorridere, ritenendo che l’Albero Cosmico traesse la sua forza dall’essere parte e perno di ciascuno dei nove mondi, pur nella loro diversità.
Ogni volta, sulle rocce attorno a Yggdrasill, l’unico luogo di Muspellheimr che non fosse dominato dalle fiamme, Balder incontrava alcuni dei Giganti di Fuoco, gli operosi abitanti del regno, commissionando loro ordini da parte di Odino o dei nani. Oppure ordini personali, come aveva richiesto qualche mese prima, facendo riparare le armature d’Oro dello Scorpione e dell’Ariete e facendo riforgiare quelle del Leone, della Vergine e della Bilancia, potenziandole con la forza primigenia di quelle terre.
Ma quel giorno Balder non c’era, né i Giganti di Fuoco parevano disposti a lavorare più per Odino, che a loro non pensava, né mai li incontrava, limitandosi a sfruttarli quando ne necessitava. Questo l’ombra aveva mostrato loro, qualcosa che non avevano compreso fino ad allora. Un sospetto che infiammò i loro animi a dismisura, portandoli persino a scontrarsi tra loro, ognuno per esporre le proprie ragioni.
Una guerra interna, un frammento di caos. Così l’ombra aveva definito il suo operato, il magnifico lavoro che da secoli aveva intessuto per servire il suo creatore, colui che presto sarebbe tornato a prendere ciò che gli spettava. Ciò che era suo.
"Al principio era il tempo, quando nulla esisteva; non c’era sabbia né mare, né gelide onde; terra non si distingueva né cielo in alto: il baratro era spalancato e in nessun luogo erba!" –Mormorò, ripetendo i versi di un antico poema, mai come allora prossimi a ritornare realtà.
Si ergeva su uno scoglio in mezzo al mare di lava, ripensando al mondo com’era all’inizio dei tempi. Nulla di ciò che gli uomini avrebbero potuto vedere, nulla di ciò che avrebbero potuto immaginare. E neppure l’ombra avrebbe potuto, se non gli fosse stato mostrato da colui che il mondo a quell’epoca avrebbe presto riportato.
Ovunque si spalancava un baratro immenso, vuoto e oscuro, che i popoli del nord chiamarono Ginnungagap. A nord di esso si estendeva una regione gelida chiamata Nifhleimr, mentre a sud avvampavano le fiamme di Muspellheimr. E il baratro era proprio in mezzo ai due poli, motivo che permise la nascita della vita. Quando la brina proveniente dal Niflheimr si incontrò con il soffio caldo del sud, il ghiaccio infatti si sciolse e gocciolò, e quelle gocce viventi presero forma d’uomo, generando Ymir, il gigante primordiale sorto tra il ghiaccio e il fuoco, il capostipite dei giganti.
"Qua, dove tutto ha avuto inizio, tutto adesso avrà fine!" –Sogghignò l’ombra, prima di percepire alcune presenze attorno a sé. Si voltò, mentre una decina di Giganti di Fuoco prendevano forma, sollevandosi dal magma che scorreva libero, quasi fossero modellati dalle mani esperte di uno scultore. L’ombra non si mosse, nient’affatto intimorita, e si erse di fronte al gruppo, chiedendo loro se avessero scelto.
"Orgoglio o vergogna? Di cosa sono fatti i figli di Muspell?"
"La prospettiva di una guerra non ci attrae! Sebbene Odino e gli Asi non rappresentino niente per noi!" –Parlò uno dei Giganti di Fuoco.
"Così voi per loro! In questo modo scialbo vi hanno sempre considerato! Una fucina, niente più! Un serbatoio a cui attingere in caso di bisogno!" –Sibilò l’ombra. –"Non furono forse Odino e gli altri figli di Bor a prendere le scintille che correvano libere nella vostra terra e a porle in cielo, affinché illuminassero la loro terra? Diedero un posto a tutte le luci e lo fecero usando quel che era vostro! Come hanno usato i vostri poteri, la vostra sapienza, per secoli! Per fortificarsi, per generare armi in grado di vincere i nemici, sebbene non ne fossero loro gli artefici materiali! E hanno vinto! Credetemi, abitanti di Muspellheimr, i figli di Bor, da cui sono discesi gli Asi, hanno ottenuto tutto! Una vita lunga e felice, scevra di preoccupazioni, palazzi sontuosi ove vivere con le loro famiglie, ricchezze, potere, benessere, senza curarsi più delle loro origini, da cui hanno cercato di sfuggire il più possibile! E voi? Cosa avete ottenuto invece? Questo torrido inferno senza fine?!"
Nessuno dei Giganti di Fuoco parlò, limitandosi a guardarsi l’un l’altro con espressione disorientata, lasciando campo libero all’ombra di infervorarsi ancora.
"Sollevatevi, figli di Muspell! Sollevatevi, distruttori del mondo! E uscite dalle tenebre di questa notte di fuoco per portare ovunque il marchio del vostro potere, il simbolo della vostra esistenza! Che le fiamme di questa landa ardano su Asgard e ricordino ai suoi abitanti che l’eternità di cui si sono imbevuti è solo illusoria!!! Che il sole degli Dei caduti abbagli i mondi!"
"Sì! Sììì!!!" –Esclamarono allora alcuni Giganti di Fuoco, prima che altri li seguissero, eccitati dalle parole dell’ombra, dalla prospettiva di uscire finalmente dal guscio e liberare il fuoco che tenevano dentro.
"Il sole oscurato, nel mar giù la terra, cadranno dal cielo le stelle lucenti! Vapori si levano e fiamme copiose raggiungono alte il cielo stesso!" –Sogghignò l’ombra, osservando centinaia di Giganti di Fuoco sorgere dal magma che scorreva ovunque attorno a lui, armarsi di spade fiammeggianti, da loro forgiate, e incamminarsi verso la verde terra da cui erano sempre stati lontani.
È stato facile! Si disse, riflettendo che i figli di Muspell disponessero di ben poco discernimento, facilmente influenzabili da chiunque avesse avuto un briciolo di influenza. E l’ombra, di tendenza al comando, ne aveva abbastanza.
Del resto era stato proprio lui il liberatore di Loki, quando, secoli addietro, aveva iniziato a tessere la tela del suo grandioso progetto, vedendo nel Dio dell’Inganno un alleato prezioso, con cui condividere un cammino comune.
Fintantoché gli scopi saranno gli stessi! Precisò, sogghignando, prima di volgere le spalle alla schiera di Giganti di Fuoco che avanzava compatta e dirigersi verso il cuore dell’inferno universale. Aveva ancora una cosa da fare prima di lasciare quella landa. Aveva ancora qualcuno da incontrare, sebbene non fosse affatto certo che si sarebbe fatto avvicinare.