CAPITOLO QUARANTESIMO: CREPUSCOLO.
Atena e i Cavalieri dello Zodiaco si fermarono per la notte a Midgard, ospiti del casato di Polaris, rappresentato adesso dalla giovane Flare, il cui diritto alla successione, benché evidente in virtù del legame di sangue con la sorella, era stato rafforzato da un testamento che Ilda aveva lasciato e che Enji aveva subito mostrato ai nobili della città. Pegasus e gli altri amici avrebbero voluto trattenersi per qualche giorno, per visitare la città, come spesso avevano promesso di fare, ma avevano le loro vite da cui tornare, le loro esistenze continuamente messe in gioco da un destino più grande di loro.
Pegasus voleva rivedere sua sorella con cui, da quando aveva recuperato le memorie passate, aveva trascorso ben poco tempo. Sirio voleva tornare da Fiore di Luna, per concretizzare quell’amore che la vista di Cristal e Flare insieme aveva risvegliato. Ugualmente Andromeda voleva riabbracciare Nemes, e anche Phoenix, benché non avesse nessuno da rivedere, aveva intenzione di recarsi in un certo posto, ove avrebbe potuto rendere omaggio ad una donna.
Cristal li capiva, capiva tutti loro, ma il suo cuore era diviso in due, lacerato tra la ragione e gli affetti. Fu Atena a venirgli incontro, concedendogli di rimanere un po’ di tempo con Flare, per aiutarla a superare la perdita della sorella e a muovere i primi passi da Regina di Midgard.
"Anzi di Asgard!" –Come ebbe a dire quella sera, all’improvvisato banchetto messo su in fretta per ristorare i Cavalieri che avevano combattuto duramente.
Molte sale della reggia erano state danneggiate dagli attacchi dei Guerrieri di Brina, di Skoll e dei Giganti di Fuoco, alcuni soffitti erano crollati e il gelo di Asgard stava penetrando all’interno della roccaforte. Ma gli spazi disponibili erano comunque in abbondanza, e in molti di essi era stata alloggiata la popolazione che aveva perduto la propria abitazione negli scontri.
"Gli antichi culti non devono andare perduti, mia sorella non lo vorrebbe." –Disse, parlando con Atena e i Cavalieri dello Zodiaco, quella sera stessa, a tavola assieme a Mur, Kiki, Enji, Bard e ad alcuni fedeli nobili e guardie della cittadella. –"Per questo motivo, dato che la vera Asgard è ormai scomparsa dal tempo, ritengo che questo sia il nome che la nostra città dovrà continuare a usare. Così ci conosce il mondo, città di uomini e Dei, e chissà che, in qualche futuro prossimo, gli stessi Dei non tornino dall’oblio per camminare assieme a noi lungo i sentieri lastricati del regno, raccogliendo le scacchiere d’oro anticamente possedute."
"Sono certa che questo è anche il desiderio di Ilda." –Commentò Atena, sfiorandole una mano con tenerezza, prima di rinnovarle il giuramento di alleanza tra i due regni, due mondi così diversi eppure uniti dalle stesse preoccupazioni per la propria gente.
Quella notte passò molto velocemente, per tutti i presenti, con Mur e Kiki impegnati a prendersi cura degli amici, aiutati dal cosmo di Atena, prima di assistere le donne di Asgard a medicare i feriti del luogo, e con i Cavalieri invasi dall’ansia di rivedere le persone a loro care. Flare trascorse la nottata nella Torre della Solitudine, assieme a Cristal, alternando lacrime a sospiri d’amore, per prepararsi al meglio ai giorni che sarebbero arrivati e alla sua incoronazione ufficiale, per cui non si sentiva ancora pronta. Una prospettiva che finora non aveva considerato.
Rilesse più volte la lettera di Ilda, cercando di trovare un perché alle sue parole, un quid che giustificasse le sue azioni, ma tutto ciò che trovò fu solo un immenso dispiacere per non essere stata al suo fianco in quel momento, per aver trascorso un’adolescenza felice e spensierata, ben poco curandosi degli affanni del mondo, mentre lei l’aveva spesa in vista di un destino ultimo. Un destino con cui aveva protetto l’amata sorella e la sua gente.
Sarebbe stata lei in grado di fare altrettanto?
Con quell’interrogativo nel cuore alla fine si addormentò, crollando sul letto poco distante da Cristal, la mano che sfiorava la pelle dell’amato. Fu svegliata da Enji, qualche ora dopo, che si scusò per l’ora tarda, spiegandole che la sua presenza era richiesta d’urgenza.
"C’è una visita per voi." –Chiarì, incamminandosi assieme a Flare verso il salone principale, reggendo una torcia.
"Una visita?!" –Rifletté pensierosa la nuova Regina di Asgard.
Nel Salone del Fuoco la attendevano tre figure incappucciate, sorvegliate a vista da Bard e dalla Guardia della Cittadella, sebbene fu chiaro a Flare, quando li riconobbe, che da loro non sarebbe venuto alcun pericolo.
"Ma voi siete…?!" –Balbettò incredula, prima di inginocchiarsi di fronte ai tre.
"Non tutti gli Dei di Asgard sono caduti!" –Si limitò a commentare uno dei viandanti, facendo poi cenno alla ragazza di alzarsi.
"La Volva lo aveva predetto." –Intervenne allora la donna al suo fianco. –"Una corte si leverà alta, più bella del sole e ricoperta d’oro. Una nuova Asgard sorgerà!"
"Questa cittadella, che si erge a picco sul mare, sfidando le intemperie del mondo, sarà il simbolo della rinascita, della nuova età dell’oro degli Asi, dei Vani e degli uomini, liberi adesso di vivere assieme, e noi saremo ben lieti di contribuirvi!" –Concluse il primo ospite, accennando un sorriso alla giovane Regina.
***
L’indomani all’alba Atena, Mur e i Cavalieri dello Zodiaco tornarono ad Atene, apparendo, grazie al divino cosmo della vergine dai capelli viola, direttamente alla Tredicesima Casa, nelle Stanze del Sacerdote, laddove, un giorno prima, si erano ritrovati per discutere sulle strategie da seguire.
Sembrava che fossero passati settimane, ma Cristal li aveva avvisati che ad Asgard il tempo scorreva in maniera diversa rispetto al resto del mondo, così come sull’Olimpo. Proprio il Cigno aveva salutato gli amici al termine di quella notte pensierosa, rimanendo ad Asgard assieme a Kiki, per stare vicino a Flare. Scherzando, ma neanche troppo, Pegasus aveva detto all’amico che si sarebbero rivisti per il loro matrimonio, e Cristal era arrossito, suscitando l’ilarità generale.
Un sorriso. A volte ci vuole. Commentò Atena, osservando i volti stanchi degli eroi che ancora una volta per la Terra avevano combattuto. Costa ben poco e dura per sempre. Spesso ne siamo avari, eppure non dovremmo. Sospirò, stringendo la presa sullo Scettro di Nike, che continuamente le ricordava la sua posizione, la sua condizione, il suo sentirsi un ibrido tra Divinità e donna. E forse nessuna delle due.
Le porte della sala si aprirono poco dopo e Ioria e Dohko ne entrarono a passo svelto, inchinandosi di fronte alla Dea Guerriera, per riferirle quanto accaduto.
"Che ne è del Cavaliere di Virgo?" –Domandò allora Atena, mentre ascoltava il resoconto sull’attacco condotto da Erik. –"Come mai non è qui con noi?"
Libra, in ginocchio di fronte al trono, si voltò verso Ioria, rimasto con lo sguardo fisso sul tappeto rosso, cercando le parole migliori, per quanto certo che nessuna frase sarebbe servita per attenuare il dolore. Ma quando fece per aprir bocca, un rumore di passi alle loro spalle lo fece voltare, anticipando l’ingresso del Cavaliere d’Oro.
"Perdonate il mio ritardo, Dea della Guerra! Ero immerso in profonda meditazione ed ho perso, lo ammetto, la cognizione del tempo!" –Esclamò il biondo Custode di Ade, genuflettendosi a fianco dei parigrado, che lo fissavano con occhi sgranati. –"Chiedo venia per il mio increscioso ritardo nel rendervi omaggio!"
"Non hai niente di cui scusarti, Cavaliere! Sono lieta di rivedervi tutti e di apprendere che state bene!" –Commentò Atena. –"È stata una battaglia lunga e complessa e temo che non sia ancora finita. No, percepisco un’ombra immensa avvolgere il pianeta, al punto da affievolire la luce del sole."
"Quand’anche il sole dovesse spegnersi e le stelle smettere di brillare, il nostro cosmo splenderà ancora. Per Atena e per la speranza!" –Esclamò allora Pegasus, e i suoi tre compagni annuirono.
La Dea sorrise, prima di congedare tutti loro, dando ordine a Libra di rafforzare le difese del Grande Tempio, potenziando soprattutto gli incursori e i sorveglianti esterni, temendo una qualche rappresaglia. Mur disse ad Andromeda di scendere con lui alla Casa dell’Ariete, dove avrebbe potuto visitarlo con attenzione, preoccupato dalle emicranie continue che il giovane accusava, e Phoenix andò con loro, mentre Sirio faceva cenno a un esitante Pegasus di seguirlo. Avrebbero fatto una doccia negli alloggi dei soldati prima di tornare a casa.
Sulla scalinata di marmo, mentre discendevano verso la Dodicesima Casa, Ioria e Libra chiesero a Virgo cosa fosse accaduto al Sesto Tempio.
"Credevamo ti fossi perduto! Non riuscivamo più a percepire il tuo cosmo!"
"Così è stato, per un momento almeno! Lo scontro con Modhgudhr è stato estenuante ed ha fiaccato il mio spirito al punto che quasi mi sono sentito smarrito tra le dimensioni. Così mi sono disteso sotto gli Alberi Gemelli, per ritemprare le mie forze, assorbendo l’energia interiore che trasuda dall’antico Giardino di Sala, e discutere con il Buddha, che a volte mi appare nelle mie illuminazioni!"
"E che mi dici del simbolo dell’uroboro? Cosa volevi dirci?" –Incalzò allora Libra, ricevendo in risposta uno sguardo sorpreso, quasi interrogativo.
"Niente. È stata solo una casuale macchia di sangue. Sto bene e vi sono grato per le vostre premure, ma non preoccupatevi troppo, anche voi siete stanchi e feriti, pensate a riposarvi. Temo che le parole di Atena non cadano nel vento, e che presto saremo chiamati a lottare di nuovo per tutto ciò in cui crediamo. Tutto ciò per cui vale la pena vivere." –Sorrise loro il Custode della Porta Eterna, prima di allontanarsi, senza fugare appieno i dubbi di Ioria e Dohko.
***
Tisifone osservava le coste inglesi scomparire in lontananza dalla poppa della nave mercantile su cui si trovava. Aveva passato gli ultimi giorni in Gran Bretagna, spostandosi in fretta lungo le frastagliate coste scozzesi, per aiutare i pescherecci e le altre imbarcazioni intrappolate tra i ghiacci o sorprese da temporali improvvisi.
Grazie ai suoi poteri non le era stato difficile spaccare il ghiaccio e permettere alle navi di rientrare in porto. Meno semplice era stato spiegare agli abitanti del luogo la natura delle proprie capacità, ma ormai, di questo Tisifone era certa, stava arrivando un tempo in cui l’esistenza dei Cavalieri sarebbe stata svelata al mondo intero.
Avvolta nei suoi pensieri non si occorse di Cliff O’Kents finché il ragazzo non le fu accanto, allungandole una tazza di the caldo. Era stata Atena ad affidargli il comando della missione, diretta in una terra che ben conosceva, essendovi nato e cresciuto, e sempre con lui la Dea aveva concordato la rotta di ritorno che, dalle coste scozzesi occidentali, scendeva giù attraverso il Mare d’Irlanda, per rifinire nel Mare Celtico.
Si erano appena lasciati alle spalle il promontorio della Cornovaglia quando la nave sussultò all’improvviso, facendo ruzzolare a terra Tisifone, Cliff e altri membri dell’equipaggio.
"Che diavolo succede?!" –Bofonchiò il marinaio, rialzandosi e correndo verso la cabina del comandante. –"Il tempo è sereno e certo non ci sono scogli affioranti in mare aperto!"
Una nuova scossa fece sobbalzare la nave, spingendo Cliff di lato fino a sbattere la spalla contro il parapetto. Aggrappandosi ad esso, per rimettersi in piedi, il giovane guardò oltre, sgranando gli occhi per quell’imprevista visione. Aggrovigliato attorno alla prua, con la lunga coda squamosa che sbatteva contro una fiancata della nave, c’era un gigantesco serpente di mare.
"Che hai visto?! Che c’è?!" –Intervenne Tisifone, correndo al suo fianco e notando a sua volta l’orrida creatura. Sebbene entrambi non fossero certo digiuni di mostri come quello, non riuscirono a nascondere il disgusto né la preoccupazione. –"Me ne occupo io!" –Esclamò, dirigendosi verso la sua cabina per recuperare l’armatura del Serpentario. Ma, mentre correva, la Sacerdotessa venne raggiunta da un fascio di energia che la scagliò indietro, schiantandola contro alcune casse di merci. Quando si rialzò fu sorpresa di trovare tre donne di fronte a lei.
Ritte sul ponte più alto della nave, le tre figure slanciate indossavano corazze scure, dai misti riflessi violacei e scarlatti, di fattura chiaramente greca, sebbene Tisifone non fosse in grado di indicarne la schiera di appartenenza.
"Ma guarda, una Sacerdotessa Guerriero!" –Esclamò una delle tre, prima di scoppiare a ridere. –"Da tempo non ne incontravo! Credevo che quella puritana di Atena si fosse finalmente decisa ad abrogare quella stupida legge e lasciare che le donne mostrassero il loro volto! Soprattutto se è bello come il mio! Ih ih ih!"
"Chi siete?!" –Incalzò subito Tisifone, osservandole preoccupata.
"Ha importanza per te? Per noi no, per noi conta solo la nostra missione! Per cui se vuoi essere così gentile da rivelarci dove si trova il prezioso carico che trasportate, forse ti lasceremo vivere e ti permetteremo di udire i nostri nomi! Anche se non so quanto questo ti convenga!" –Rispose una seconda donna, alta e snella.
"Come piratesse valete ben poco se non sapete distinguere un carico pregiato da un mucchio di fieno. Avreste dovuto farvi insegnare da mia sorella." –Le derise Tisifone, spiegando che quella era semplicemente una missione di soccorso.
"Il capitano della nave è stato piuttosto maleducato! Ti consiglio di non esserlo!" –Intervenne allora la terza, la cui voce sottile e tagliente allarmò Tisifone. –"Sai, non ha voluto rivelarci l’ubicazione del carico. Un ragazzo davvero cattivo. Sì, proprio cattivo. Ih ih ih!" –E sollevò il corpo di un uomo, gettandolo sul ponte di sotto.
Tisifone riconobbe il comandante dai vestiti che aveva indosso, certo non dal viso, sfregiato da unghiate così profonde da avergli asportato pezzi di pelle. Lo osservò trascinarsi a terra, macchiando di sangue il ponte di comando, terrorizzato dalle torture subite.
"Maledette! Ve la farò pagare! Cobra incantatore!!!" –Gridò il Cavaliere d’Argento, sollevando il braccio destro e dirigendo violente scariche di energia contro le tre sconosciute, che prontamente si divisero, balzando in direzioni diverse e lasciando che l’attacco di Tisifone esplodesse contro la balaustra del ponte.
"Mi piace l’enfasi che imprimi al tuo urlo di guerra!" –Commentò una delle donne, spuntando accanto a Tisifone prima ancora che lei potesse voltarsi e fissarla. –"Alala ne sarebbe affascinata!" –Aggiunse, per poi concentrare una sfera di energia sul palmo della mano e colpire la Sacerdotessa, scagliandola in alto, i vestiti bruciati dall’esplosione cosmica, fino a farla schiantare sul devastato ponte di comando.
Nell’impatto Tisifone perse la maschera, che roteò sul pavimento fino a fermarsi ai piedi di una delle tre guerriere, la prima che aveva parlato. La seconda invece, la donna dal fisico slanciato, già si ergeva su di lei, calando il tacco della sua corazza sulla schiena di Tisifone e sprofondandola tra le frantumate assi di legno.
"Parla! Dove si trova il manufatto divino?" –Ringhiò, non ottenendo risposta e costringendosi a colpire di nuovo l’inerme schiena.
Bang!!!
Uno sparo assordante ruppe il silenzio del mare aperto, anticipando la caduta della donna che stava picchiando Tisifone, con un proiettile piantato nella schiena, all’altezza della spalla destra. Un secondo colpo troncò ogni suo tentativo di rialzarsi.
A fatica Tisifone sollevò il capo, osservando Cliff puntare una pistola contro le due donne rimaste, che balzavano in ogni direzione con felina agilità, la stessa destrezza che anch’ella aveva sempre dimostrato in battaglia. Un proiettile prese di striscio la più piccola delle tre, quella che aveva raccolto la maschera di Tisifone, ma non fu sufficiente per frenarne la carica. Con un balzo fu su di lui, disarmandolo con un calcio rotante, prima di tempestarlo di pugni. A nulla servì l’intervento di alcuni membri dell’equipaggio, armati di fucili e di fiocine, che incontrarono la stessa fine violenta.
"Bastaaa!!!" –Gridò la Sacerdotessa. –"Cosa volete? Lasciateci in pace! Stiamo tornando da una missione di soccorso, non esiste alcun manufatto divino!"
"Menti! Sappiamo cosa state trasportando! Noi sappiamo tutto! Nasconderla in un cargo non è servito a farci perdere le sue tracce!" –Ringhiò la terza donna, strappando Cliff dalle mani della sua compagna e sbattendolo contro la parete di una cabina. All’istante le sue unghie si allungarono, divenendo artigli che si piantarono nella spalla del ragazzo, strappandogli urla di dolore. –"Occhio per occhio…"
Tisifone fece per rialzarsi ma bastò che la prima donna sollevasse un dito per colpirla con un fascio di energia che la scagliò dall’altro lato del ponte, sfondando il parapetto e precipitando in mare. Sarebbe morta così? Non poté evitare di chiedersi. Senza sapere chi fossero le guerriere esaltate che li avevano attaccati, né conoscere la verità sulla loro missione. Avevano parlato di un manufatto divino ma, per quel che ne sapeva, non vi era niente di così prezioso a bordo della nave. Atena glielo avrebbe detto certamente.
Eppure…
Soltanto allora, mentre l’oscurità la avvolgeva e il respiro diventava sempre più affannoso, Tisifone si ricordò che, su richiesta di Cliff, la nave aveva effettuato una piccola sosta lungo le coste del Galles. Questioni commerciali si era limitato a dire il ragazzo. Ma ora Tisifone era certa che vi fosse qualcosa di più, e lei sarebbe morta senza sapere cosa.
"Ci siamo!" –Esclamò la più piccola delle tre donne, dopo aver trovato la cassaforte nella cabina del comandante. La sua compagna non perse tempo a cercare una combinazione, dilaniandone il metallo con artigli incandescenti. Sorridendo soddisfatte, Kydoimos e Proioxis afferrarono lo scrigno contenuto al suo interno, aprendolo e trovando quel che cercavano.
Una mela d’oro.
***
Pegasus stava esitando di fronte al portone. Aveva già salutato Phoenix, rimasto a vegliare sul fratello alla Prima Casa, pregandolo di abbracciare Andromeda quando si sarebbe svegliato, e avrebbe dovuto incontrarsi con Sirio nell’arena dei tornei, dove il jet della Fondazione era pronto per partire. Avrebbero fatto un breve scalo in Cina, per permettere a Dragone di tornare da Fiore di Luna, e poi sarebbero ripartiti per il Giappone. Pegasus aveva già inviato un messaggio a sua sorella, per tranquillizzarla e dirle che presto si sarebbero rivisti, eppure, adesso che poteva partire, adesso che i suoi impegni di Cavaliere erano giunti a termine, qualcosa lo frenava, qualcosa lo legava ancora ad Atene.
Da mezz’ora fissava le massicce porte che conducevano alla Sala del Sacerdote, avvicinandosi e sollevando il pugno per bussare e fermandosi ogni volta prima di sfiorarne la superficie. C’era silenzio alla Tredicesima Casa, con le guardie intente nella quotidiana ronda all’esterno, un silenzio così intenso che poteva udire il suo respiro e l’affannato battito del suo cuore, che pareva accelerare ogni volta in cui si avvicinava al portone d’ingresso, quella stessa soglia che neppure due anni prima aveva varcato spavaldo per affrontare Arles.
"Non ce la farò mai." –Si disse, voltando di nuovo le spalle alla Sala del Sacerdote e sospirando, conscio che ammettere i suoi sentimenti avrebbe significato tradire tutti gli ideali in cui aveva riposto fede fino ad allora. Tradire i suoi compagni, la memoria delle loro imprese e soprattutto tradire lei, la sua Dea, obbligandola ad una scelta che non avrebbe dovuto compiere. L’egoismo di un amore non deve mettere in pericolo gli equilibri del mondo. Rifletté, muovendosi per allontanarsi.
Proprio in quel momento gli parve di percepire una presenza tra le colonne laterali, una sagoma indistinta che tacita lo stava osservando. In tutta fretta Pegasus afferrò una fiaccola, orientandola verso la sua destra, per illuminare una trasparente figura di luce. Un giovane della sua età, alto e ben piazzato, con vispi occhi neri, che Pegasus non aveva mai visto, sebbene fosse invaso da una sensazione di dejà-vu, una sensazione che andò aumentando quando, guardandolo meglio, riconobbe l’armatura che aveva indosso.
I suoi colori bianco e rosso, le poche parti che la componevano, l’elmo a forma di testa di cavallo non lasciavano adito a dubbi. Quel ragazzo indossava l’armatura di Pegasus, la stessa che anch’egli aveva sfoggiato ai tempi della Guerra Galattica e della corsa attraverso le Dodici Case. E… gli somigliava. Sì, aveva il suo stesso sguardo.
"Ehi tu!" –Esclamò Pegasus, incamminandosi verso di lui. Ma bastò che muovesse qualche passo che la figura scomparve, dissolvendosi nell’ombra e lasciando nuovi dubbi nell’animo dell’eroe.
Uno scricchiolio alle sue spalle anticipò lo spalancarsi del portone. Pegasus si voltò e trovò Isabel davanti a lui, un braccio leggermente teso, che lo invitava ad entrare.
***
La Sesta Casa dello Zodiaco era immersa nell’oscurità, le fiaccole spente, i portoni e le feritoie sbarrate. Radi fasci di luce lontana filtravano da un rosone intarsiato che Pavit aveva creato per il suo maestro. Quel giorno, ad opera compiuta, Virgo si era quasi commosso per lo splendore dell’opera. Adesso, fissandolo contrariato, avrebbe voluto distruggerlo.
Continuando a camminare, e lasciandosi il rosone alle spalle, il Cavaliere d’Oro giunse al centro della magione e carezzò il trono a forma di fiore di loto ove era solito riposare. Lo sfiorò, lasciando fluire il cosmo dalle sue mani, un cosmo rossastro e incendiario, fino a riempirlo di fiamme, come fosse un braciere. E nelle fiamme si specchiò.
"Una nuova era è iniziata quest’oggi." –Commentò. –"Un’era di tenebra senza fine. Immenso è il potere dell’ombra se persino sul Santuario della Vergine Dea ha potuto stendere il suo manto, senza che nessuno se ne accorgesse."
Di scatto sogghignò, ammirando il suo volto demoniaco allungarsi nelle vampe di fuoco. Si era stupito nell’apprendere che il Cavaliere di Virgo avesse intuito chi si nascondesse dietro gli eventi in corso, non credendo disponesse di un simile potere, per ripercorrere a ritroso la storia del mondo, fino alle origini.
Ab Iove principium.
"Ma a forza di tirarlo, l’elastico si rompe." –Ridacchiò, apprezzando l’abile mossa del suo Signore, l’aver tolto di mezzo quella Vergine saccente e averla sostituita con il suo più fedele collaboratore, il cui vero volto poteva essere rivelato solo dalle fiamme, sue compagne di vita.
Lui, l’araldo dell’ombra, Flegias, Flagello di Uomini e Dei, avrebbe distrutto dall’interno l’esercito di Atena.
***
C’era silenzio a Villa Thule.
Gli addetti alle pulizie se ne erano andati da poco, sotto i tiepidi raggi della prima giornata di sole che da tempo non rischiarava Nuova Luxor, e adesso la villa era vuota.
L’unico rumore sembrava provenire dallo studio della Duchessa di Thule, dove un telefono continuava a squillare incessantemente. Era la linea privata di Lady Isabel, il cui numero aveva dato solo a pochi fidati membri della Grande Fondazione. E uno di loro da ore cercava di contattarla, senza poter fare altro che lasciarle messaggi in segreteria.
"Lady Isabel? Sono ancora il Professor Rigel. Mi richiami quanto prima! C’è stato un imprevisto, anzi è proprio il caso di dire che abbiamo un problema!"