CAPITOLO TRENTACINQUESIMO: SUPERSTITI.
Odino era impallidito. Ed era bastata una sola parola a estinguere ogni suo ardore bellico.
"Surtr!" –Mormorò. Il Nero.
Spostò lo sguardo al di là delle danneggiate mura di confine, oltre Fensalir e oltre Thund, fino a perdersi nelle vampe di fuoco che striavano la coltre di fumo nero che saliva dalla città di Asgard. Non ebbe bisogno di Huginn e Muginn per vedere quel che la cappa di nubi celava, la creatura maestosa e terribile che torreggiava sui resti degli antichi edifici in fiamme. No, quell’immagine Odino l’aveva ben fissata nella sua mente, per quanto mai si fosse recato a Muspellsheimr per incontrarlo, o per incontrare alcuno dei Giganti di Fuoco, terrorizzato dal loro aspetto, dal loro potere… o forse da una profezia a cui non voleva prestare orecchio?
Il Signore delle Schiere sospirò, prima di abbassare lo sguardo verso Loki, il cui sorriso bieco gli fece capire di essere stato lui a risvegliare il Distruttore.
"Non propriamente!" –Sogghignò il Burlone Divino, intuendo i pensieri della sua nemesi. –"Un amico si è offerto per recarsi al mio posto nelle profondità di Muspell. Sai, non apprezzo i luoghi di villeggiatura troppo incandescenti. Basto già io ad infiammare l’ambiente! Ah ah ah!" –Rise, prima di liberare un’onda di energia e spingere indietro Odino e Pegasus. Quindi, approfittando del momento in cui i due combattenti si rimettevano in piedi, diede loro le spalle, saltando sulla cima di un muro e dandosi la spinta per balzare in alto e assumere la forma di un’aquila d’argenteo piumaggio.
A tale vista, Odino impugnò Gungnir, sollevandola e prendendo la mira, quando le urla di Eir lo distrassero.
"Allföðr! Padre degli Dei, venite presto! La Signora del Cielo sta morendo!" –Esordì l’Asinna, spuntando di corsa tra le macerie dell’ingresso di Fensalir.
Sospirando, e osservando Loki volare sempre più in alto, fino a portarsi sopra la coltre di nubi, Odino abbassò la lancia, incamminandosi dietro ad Eir per i corridoi della Sala Paludosa, prontamente seguito da Pegasus che non smetteva di tempestarlo di domande.
"Chi è Surtr? Perché Loki è così sicuro di vincere, adesso?"
"Surtr il Nero è il guardiano di Muspellsheimr, il regno dell’incendio universale, una terra simile alle descrizioni che gli scriba medievali hanno lasciato dell’inferno. È una creatura ancestrale, composta di fuoco e lava, che annienta ogni oggetto o persona cui venga in contatto!" –Spiegò Odino, prima di entrare nella stanza ove Frigg era stata adagiata, guardata a vista da Eir e Idunn, anch’elle ferite. –"Come sta?!"
"Le ustioni che Loki le ha procurato… sono più profonde di quanto credessi. Non solo le hanno danneggiato la pelle ma hanno scavato fino a bruciarle gli organi interni. Inoltre…" –Aggiunse a bassa voce la Dea guaritrice, senza trovare il coraggio di guardare Odino. –"Credo che la morte di Balder, il concretizzarsi delle sue paure, le abbia tolto la voglia di vivere, non sento in lei volontà di combattere, solo di abbandonarsi ad un eterno languire."
"Frigg… Tutto questo era più grande di te? Di noi?!" –Mormorò il Padre delle Schiere, inginocchiandosi accanto al letto e prendendole una mano tra le proprie. Socchiuse l’occhio, determinato a cederle parte del suo cosmo, per guarirla, quando un’esplosione di immagini gli riempì la testa. Scene già viste, cui lui stesso aveva partecipato, o squarci di un futuro a lungo temuto.
"Cosa difenderà questo posto quando la fiamma di Surtr brucerà il cielo e la terra?" –Era la domanda che da tempo risuonava nel suo animo.
Per un paio di minuti rimase in silenzio, finché un sospiro di Frigg non spinse Odino a riaprire l’occhio, in tempo per non perdersi l’ultimo sorriso dell’Asinna amata per secoli. Conscia che il suo sposo aveva capito, la Dea roteò la testa e morì.
A quella visione Idunn si gettò a terra, scoppiando in lacrime, mentre Eir iniziò a cantare una nenia funebre in norreno antico. Pegasus avrebbe voluto dire qualcosa, offrire al Nume le proprie condoglianze, ma la vista di Frigg, distesa sul letto priva di vita, gli riportò alla mente un timore che lo accompagnava da tempo. La paura di non riuscire a dire a Isabel tutto quello che avrebbe voluto prima che uno dei due morisse.
"Non accadrà, Cavaliere di Pegasus! Non oggi!" –Esclamò Odino, rubando il ragazzo ai suoi pensieri e costringendolo a voltarsi verso il Dio, rimessosi in piedi e già pronto per tornare in battaglia. –"La fiamma di Surtr non è certo più potente di quel sentimento che voi esseri umani definite amore."
"È davvero così temibile questo Gigante di Fuoco?" –Chiese Pegasus, cambiando di proposito argomento e seguendo Odino verso l’uscita di Fensalir.
"Non è un semplice Gigante di Fuoco, come Beli o gli altri. Surtr racchiude in sé l’essenza stessa della creazione, e della distruzione!" –Spiegò il Dio, fermandosi non appena giunsero all’aperto. –"Gli stoici dell’antica Atene, ove tu sei stato allenato, vedevano nel fuoco una forza produttiva e ordinatrice del cosmo. Era stato il fuoco artigiano a generare il mondo, il quale sarebbe stato distrutto proprio dal fuoco stesso, in una concezione ciclica di conflagrazione universale. Ebbene Pegasus, questa è la nostra ecpirosi, questo è l’incendio che metterà fine a ogni cosa!"
"Io… non ci credo!" –Strinse i pugni il giovane. –"La fiamma di Surtr può essere spenta! Deve essere spenta!"
"La Volva non lo credeva, bensì riteneva che la fiamma di Surtr purificasse il mondo!" –Sorrise il Signore di Asgard. –"Ed infatti la sua profezia si chiude con la nascita di un meraviglioso mondo nuovo, ove gli umani e gli Dei superstiti potranno riunirsi e vivere in pace, una terra verde e bella in cui i campi cresceranno senza bisogno di coltivarli. Allora tutti siederanno insieme e converseranno, ricordando l’arcana sapienza e parlando degli avvenimenti accaduti prima."
"Mio Signore, io non credo molto in profezie o leggende. Credo nel presente, in quel che vedo! E vedo un nemico alle porte di Fensalir! Un nemico che però, unendo le forze, possiamo sconfiggere! Ma per farlo ho bisogno di voi, Asgard ha bisogno di voi, coloro che ancora vivono e lottano per un futuro! I miei compagni sono qua, sento pulsare i loro cosmi, e con il loro aiuto argineremo l’ardente minaccia!"
"C’è del vero nelle tue parole, Cavaliere! Darò ordine di ripiegare all’interno del Valhalla! Le sue solide mura ci difenderanno, in attesa di trovare una soluzione…"
"La troveremo!" –Esclamò fiero Pegasus, sbattendo un pugno nel palmo dell’altra mano. –"Ricordatevi la profezia, il nuovo mondo che ci attende!"
Odino non disse alcunché, per non spegnere l’entusiasmo del ragazzo, lo stesso giovanile ardore che lo aveva dominato agli albori del mondo, quando, assieme ai fratelli Vili e Vé, aveva ucciso Ymir, il primo Gigante di Ghiaccio. Pur tuttavia era certo che non sarebbe vissuto abbastanza per camminare su quella nuova meravigliosa terra. Le visioni che Frigg gli aveva passato in punto di morte, affinché sapesse, erano chiare. Così come risultava chiaro a Odino che neppure Pegasus avrebbe mai visto alcun mondo nuovo.
***
Ásaheimr era in fiamme. Le vie della città erano sature di roghi e fumo, i palazzi crollati e le acque di Thund straripate in più punti, allagando edifici e piazze, dopo che Sirio il Dragone le aveva sollevate contro i Muspells megir, per spazzarli via. Adesso il Cavaliere di Atena giaceva in una conca, l’Armatura Divina chiazzata di fango e aloni di bruciato, la bocca impastata e sporca di terriccio. Dopo aver evocato le Acque della Cascata, era crollato a terra per lo sforzo, perdendo i sensi finché un suono non l’aveva risvegliato. Che cosa fosse, Sirio non seppe spiegarlo, ma in cuor suo era certo che le preghiere di Fiore di Luna lo avessero salvato ancora una volta.
"Cos’abbiamo qua?!" –Gli sembrò d’un tratto di udire una ruvida voce. –"Un bel damerino in armatura lucente?!"
Sirio fece per rimettersi in piedi, ma si sentiva ancora debole e stordito e ricadde con la faccia del fango, salvo poi venir sollevato a testa in giù da un uomo robusto che lo aveva appena afferrato per una caviglia.
"Non mi sembra che ci conosciamo!" –Esclamò questi, osservandolo incuriosito. –"Sono Bjuga delle Svalbard, uno dei cinque Dei di Vittoria al servizio di Loki! E tu chi sei? Non mi rispondi, maleducato? Ti ho fatto una domanda!" –Detto questo, il guerriero scosse Sirio, sbattendogli più volte la testa a terra, facendogli perdere l’elmo nell’urto.
"Sai che la tua armatura non è male? Ripulita dal fango sarebbe tutta bella luccicosa e a Bjuga piacciono le cose che luccicano! Nelle isole da cui provengo splende spavalda l’aurora boreale, una luce che resiste al freddo più intenso, proprio come me! Sì, mi piace la tua corazza! E dato che a te non serve più la prendo io, la offrirò a Loki come dono quando siederà su Hliðskjálf! Però queste ali non mi piacciono, sono ingombranti, e Loki non ne ha bisogno per volare! Allora le tolgo, sì le tolgo!" –E sollevò l’altro braccio, sfoderando una lama ricurva con cui colpì più volte la schiena di Sirio, nel punto di attaccamento delle ali all’armatura. –"Ma come sono fastidiose, non vogliono venire via!" –Brontolò, prima di sentire nell’aria odore di bruciato.
Tirando su con il naso, si guardò intorno, senza notare niente di diverso da prima. Quando fece per tornare alla sua opera distruttiva, sentì un calore intenso dilaniargli la mano con cui stava reggendo la caviglia di Sirio. Un cosmo verde acqua circondava il corpo del ragazzo, ben più vivido sulle gambe, lo stesso cosmo che aveva arso il guanto protettivo della sua armatura, ustionandogli la mano al di sotto.
"Aaargh!!!" –Gridò Bjuga, lasciando la presa e soffiando sull’arto bruciacchiato.
Libero dalla sua stretta, Sirio, che aveva approfittato di quei minuti per recuperare le forze, roterò su se stesso, evitandosi di cadere a terra, e allungò un calcio verso la gamba destra del Sigtivar. L’impatto fu devastante e Bjuga crollò indietro con l’arto spezzato all’altezza del ginocchio. Stringendo i denti per il dolore, il robusto guerriero sollevò lo sguardo verso Sirio, fissandolo con astio, prima di aprire le braccia di lato e scagliarli contro due lame rotanti.
Il Cavaliere di Atena balzò indietro, portandosi sull’altro lato della conca ed evitando di essere ferito dalle armi, ma quando si preparò per contrattaccare notò che le lame avevano deviato direzione, puntando su di lui e replicandosi in migliaia di copie.
"Un’illusione?!" –Si disse Sirio, convenendo comunque di non rimanere ad attenderle e concentrando il cosmo sul braccio. –"Excalibur!" –Gridò, liberando l’attacco energetico che falciò un centinaio di lame presenti sulla sua traiettoria o coinvolte dall’onda d’urto. Le altre però, non raggiunte, continuarono la loro corsa, alcune abbattendosi su Sirio e stridendo sull’Armatura Divina, pur senza danneggiarla.
Per liberarsi da quella fastidiosa pioggia, il Cavaliere espanse il cosmo, caricando il Drago Nascente, che fluttuò attorno al suo corpo, annientando tutte le lame rotanti, per poi dirigersi verso Bjuga, a fauci aperte.
Il Dio di Vittoria aveva intanto trovato la forza per rialzarsi, nonostante il ginocchio ferito, e scagliò una nuova lama rotante, caricandola di tutto il suo cosmo. L’arma falciò a metà il colpo segreto di Sirio, deviandolo e disperdendo parte della sua carica distruttiva, permettendo a Bjuga di non esserne travolto.
Annaspando, Dragone sollevò il braccio destro, deciso a liberare di nuovo la sacra lama, quando notò un veloce spostamento di ombre tra le rovine degli edifici attorno. Anche Bjuga se ne accorse, scagliando le lame rotanti in quella direzione e falciando un paio di uomini che crollarono a terra sanguinanti. Seguendo la scena senza intervenire, Sirio fu sorpreso di notare che indossavano soltanto pelli di lupo.
Proprio come… Rifletté, prima che un grido selvaggio lo costringesse a riportare l’attenzione su Bjuga.
Un’agile figura lo aveva raggiunto alle spalle, balzando sulla sua schiena e conficcandogli lunghi artigli nel collo. Il guerriero delle Svalbard annaspò, fece per sollevare le braccia, ma l’aggressore spinse in profondità, mozzandogli la carotide, prima di saltare all’indietro, proprio mentre Bjuga crollava a terra sanguinante.
"Il tuo rispetto verso gli esseri umani non è cambiato, a quanto vedo." –Commentò Sirio, che aveva riconosciuto il guerriero dalle vesti di lupo.
"Non è cambiato per chi non merita di averlo!" –Si limitò a rispondere Luxor.
A guardarlo, Sirio ritenne che il ragazzo doveva aver affrontato numerose battaglie, essendo sporco e pieno di tagli e ferite sul corpo, coperto soltanto attorno alla vita da una cintura di pelliccia, imbrattata di sangue e terriccio. –"Luxor io…"
"Niente ringraziamenti, non ero qui per te, stavo solo correndo di là dal Thund con gli ulfhednir rimasti prima che lui arrivi. Ti consiglio di fare altrettanto!"
"Lui?!" –Ripeté Sirio, non comprendendo le parole del guerriero.
"Sì, lui, il Distrut…" –Ma Luxor non riuscì a terminare la frase che dovette piegarsi in avanti, lo stomaco sfondato in modo così brutale da una lama che fuoriusciva dalla sua schiena.
"Urgh…" –Mormorò Bjuga, crollando a terra, dopo aver usato le sue ultime forze per brandire l’arma mortifera.
"Luxor!!!" –Sirio corse verso di lui, afferrandolo prima che crollasse al suolo in una pozza di sangue. –"Resisti, ti curerò!"
"No!" –Rispose semplicemente l’antico Cavaliere di Asgard, sfiorando la mano di Sirio con la propria, quasi stesse cercando quel contatto umano che in vita aveva sempre rifiutato. –"Quel che è stato, è stato. Vattene…"
D’un tratto, mentre gli ulfhednir rimasti si riunivano attorno al giovane che li aveva guidati nel giorno di Ragnarök, Sirio annusò l’aria, percependo un caldo innaturale, persino superiore a quello sprigionato dai Giganti di Fuoco.
Una frusta fiammante sbucò dalle nubi sopra di loro, avvolgendosi attorno ai corpi di un paio di ulfhednir e bruciandoli. Gli altri gridarono e guairono, ma prima che potessero fuggire vennero raggiunti a loro volta, stritolati e lasciati agonizzare a terra, prigionieri di roghi dentro cui divennero presto cenere.
Sollevando lo sguardo, Sirio intravide una gigantesca sagoma fiammeggiante apparire tra la coltre di fumo, la stessa sagoma che reggeva la frusta di fuoco che aveva appena sterminato i più fedeli seguaci di Odino. Intuendo il pericolo, Dragone balzò indietro, correndo quanto più velocemente potesse verso il fiume e tuffandosi poco dopo nelle sue tempestose acque. A fatica, e con l’armatura che rendeva goffi i suoi movimenti, Sirio nuotò in profondità, fino al letto di Thund, rivolgendogli silenziose preghiere affinché potesse placare il suo spirito inquieto e concedere riparo a chi delle acque aveva sempre avuto rispetto.
Per qualche minuto, Sirio rimase in apnea, mentre il rumoreggiare agitato di Thund parve placarsi, quindi, spinto dal bisogno di ossigeno e dalla curiosità, il ragazzo riemerse, affacciando la testa propria al centro del fiume e guardando in direzione di Ásaheimr. La gigantesca sagoma che aveva intravisto poc’anzi era adesso quasi del tutto visibile, ma sembrava non curarsi affatto di lui. Dopo aver bruciato tutto quel che aveva incontrato nel suo cammino, il Gigante di Fuoco stava adesso seguendo il corso di Thund, dirigendosi verso la piana di Vígridhr, laddove ancora molti cosmi splendevano. Cosmi che Sirio, tremando, riconobbe.
***
Andromeda giaceva tra le braccia di Jonathan, riparati dalla guerra in corso dalla gigantesca carcassa di Fenrir. La forza persuasiva del Lupo di Fama lo aveva spinto ad uno sforzo mentale eccessivo, gettandolo infine in quello stato di trance inquieta cui aveva iniziato ad avere accesso dopo aver sfiorato il sangue di Biliku. Uno stato di visioni continue che Andromeda stava ancora cercando di controllare, per quanto fosse difficile. Passato e presente tendevano a mescolarsi e, se quel che Arvedui gli aveva detto era vero, anche il futuro.
Mugolando per l’emicrania che quel viaggio mentale gli costava, Andromeda lasciò scorrere le immagini. Vide se stesso affrontare Fenrir, e Fenrir venire incatenato con l’inganno in un’isola nel profondo inferno. Vide la nascita del lupo, di un gigantesco serpe e di un’orrida donna, dal cuore di una gigantessa che un uomo aveva ingoiato. Poi vide quell’uomo condotto a forza in una caverna e torturato, costretto a guardare la morte dei suoi figli prima di essere abbandonato nelle tenebre. Infine vide quelle stesse tenebre prendere forma, divenire un corpo di pura ombra su cui spiccavano due occhi di brace, due occhi scaltri che allungarono all’uomo imprigionato una pietra dal colore dell’ebano. La stessa pietra che Andromeda aveva visto al collo di Crono.
Flegias! Si agitò, preoccupando Jonathan che non sapeva cosa stesse accadendo al ragazzo e che nient’altro poteva fare se non cullarlo con il proprio cosmo, sperando di lenire qualunque dolore lo affliggesse.
Quel contatto permise alla mente di Andromeda di vedere ancora. Vide un bambino biondo e dagli occhi vispi crescere per mano ad una donna dai tratti andini, mentre un uomo alto e robusto, rivestito da una fiammeggiante armatura rossastra, lo osservava felice. Vide quello stesso bambino crescere e divenire un ragazzo, addestrare il corpo e lo spirito fino ad essere investito di un’armatura lucente, dotata di un lungo scettro dorato. E vide quel ragazzo inginocchiarsi e giurare obbedienza ad un uomo dal volto austero che Andromeda ben conosceva.
"Proteggi lo Scettro d’Oro con la vita, Jonathan. Il suo segreto non deve essere rivelato prima del tempo." –Aveva detto Avalon un giorno.
Jonathan aveva annuito, sia pur stranito dalle potenzialità di un manufatto che non avrebbe mai creduto destinato a tale scopo.
Le visioni cambiarono ancora, mentre tutto attorno esplodevano grida di guerra e morte. Andromeda vide i Giganti di Fuoco uscire da Muspellsheimr e invadere gli altri mondi. Vide alte creature deformi lottare per la loro sopravvivenza, cadendo travolte dalle fiamme. Vide i nani rimasti a Svartálfaheimr travolti da un calore più intenso di quello delle loro fornaci. Infine vide Arvedui, l’elfo che l’aveva accolto a Álfaheimr, correre a dare l’allarme. Troppo tardi per qualunque azione difensiva gli elfi avessero deciso di approntare. Il loro mondo era condannato e uguale sorte avrebbero incontrato gli altri otto.
Fu allora che Andromeda si svegliò, tirando su la testa di scatto e atterrendo persino Jonathan.
Attorno a loro, nella piana di Vígridhr, Orion guidava gli einherjar superstiti alla carica contro quel che restava dell’esercito dei morti di Hel. Privi della guida di Loki e della Regina degli Inferi, testimoni delle sconfitte di Garmr, Jormungandr e Fenrir, i defunti erano allo sbando e parevano combattere solo per incorrere in una nuova morte che li liberasse da ogni obbligo.
"Continuate a lottare!" –Gridò Orion, sovrastando i rumori di lotta. –"La vittoria delle nostre schiere è vicina!"
Reis, vicino a lui, menava fendenti di spada a destra e a manca, in tandem perfetto con Brunilde e la sua lancia. Fu la Regina delle Valchirie ad accorgersi dei gesti che Jonathan stava facendo, per attirare la loro attenzione sul risveglio di Andromeda. Sbaragliando gli ultimi avversari, Orion e le due donne si avvicinarono alla carcassa di Fenrir, per sincerarsi delle condizioni dell’amico.
"Come sta? Si è ripreso?" –Esclamò Reis. Ma prima che Jonathan potesse rispondere, tutti volsero lo sguardo verso il cadavere del Lupo di Fama accesosi improvvisamente di una luce rossastra. Vampe di fuoco si sollevarono verso il cielo, incendiando quel che rimaneva del figlio di Loki e obbligando i Cavalieri superstiti ad allontanarsi.
"Che diavolo?! Altri Giganti di Fuoco?!" –Mormorò Jonathan, che reggeva l’ancor stordito Andromeda sotto braccio.
"Non altri… soltanto uno." –Precisò Orion, fissando la gigantesca sagoma di fuoco che si ergeva al limitare della vasta piana e che incendiava tutto ciò con cui veniva a contatto. Terra e alberi, rocce e cadaveri, tutto veniva inglobato in un incendio universale. –"Surtr!" –Aggiunse, memore delle antiche leggende.
"Il Distruttore?!" –Brunilde rabbrividì, conscia di ciò che la sua presenza significasse.
Quasi come se li avesse uditi, Surtr avanzò nella loro direzione, appiccando roghi continui ovunque camminasse, se camminare poteva dirsi l’incedere continuo di un fuoco che nessuna pioggia avrebbe potuto spegnere.
"Maledizione! Dobbiamo ritirarci, nessuno di noi può affrontare Surtr il Nero!" –Esclamò Orion, cercando di riunire le fila degli einherjar.
"Non capisco, perché scappiamo? Vuoi permettergli di occupare Vígridhr proprio adesso che siamo a un passo dalla vittoria?!" –Brontolò Jonathan.
"Guarda la spada di Surtr, il sole al tramonto degli Dei soavi! Nessuno può sopravvivere al suo tocco! Neppure le vostre corazze!" –Orion lo afferrò per un braccio, incitandolo a ritirarsi sull’altra sponda di Thund. –"Il fiume ci permetterà di guadagnare del tempo! E le mura del Valhalla ci proteggeranno!"
"Non lascerò i nani qua a morire per coprire la mia fuga indecorosa!" –Esclamò il Cavaliere dei Sogni, vedendo le piccole ma robuste creature venire travolte dalle fiamme del Distruttore.
"Andate, Cavaliere mithril!" –Intervenne allora la ruvida voce di Durin.
Rispetto al loro incontro nelle caverne, l’aspetto del nano era ancora più terribile, con l’armatura danneggiata in più punti e ferite imbrattate di sangue rappreso. Persino la barba gli era stata strappata in più punti, da un morto che, a sentir le storie del Signore dei Nani, ci si era aggrappato con forza.
"Le nostre guarnigioni copriranno la ritirata degli einherjar! I nostri scudi sono stati progettati per resistere ad alte temperature, non temete!" –E diede ordine a Dvalin e agli altri nani di riunirsi in formazione serrata e marciare contro il Distruttore.
Nonostante il suo aspetto e l’altezza straordinaria, i nani non parevano esserne impressionati, ben avvezzi al calore estremo delle loro fornaci. Pur tuttavia, quando l’avanguardia venne annientata dalle fiamme di Surtr, che fusero gli scudi dei nani in pochi secondi, gli altri si arrestarono dubbiosi.
"Per i Sette Saggi! La fiamma di Surtr è davvero portatrice di distruzione e morte!" –Esclamò Jonathan, per poi spostare lo sguardo su Durin, rimasto al suo fianco ad osservare la carneficina cui il suo popolo stava andando incontro. Il capo dei nani non disse alcunché, limitandosi ad afferrare la sua ascia e a lanciarsi avanti, mentre le fiamme di Surtr piovevano dall’alto a massacrare la sua gente.
Jonathan cercò l’appoggio di Reis, il cui sguardo eloquente gli diceva di obbedire ai consigli di Orion, per poi pregare la ragazza di sorreggere Andromeda.
"Non posso abbandonarli!" –Si limitò a dire, prima di correre dietro a Durin, con lo Scettro d’Oro in mano, liberando migliaia di raggi luminosi diretti contro Surtr. Con immenso stupore, Jonathan vide i fasci energetici trapassare l’ancestrale creatura senza provocargli alcun danno. Riprovò più volte, con lo stesso risultato, salvo dover ammettere l’inutilità dei propri poteri.
In quel momento Surtr calò la spada di fuoco, falciando le vite di decine di nani e gettandoli a terra, mutilati, sanguinanti e avvolti dalle fiamme. Anche Dvalin cadde tra loro, ma non per questo Durin arretrò di un passo, lo scudo affisso al braccio, l’ascia salda nell’altra mano. Vedendoli morire, Jonathan si infervorò, caricando di cosmo il talismano e puntandolo verso quel che pareva essere il volto di Surtr.
"Scettro d’Oro…" –Esclamò, proprio mentre la frusta fiammeggiante del Nero saettava verso di lui.
Andromeda lo avvolse appena in tempo nella sua catena, strattonandolo e tirandolo indietro, lasciando che la frusta di Surtr afferrasse l’aria, ritraendosi sconfitta.
"Non rischiare la tua vita!" –Gli disse, aiutando il ragazzo a rimettersi in piedi. –"Per quanto onorevole sia cadere a difesa di coloro che chiami compagni, la tua missione è ben più importante, come il segreto del Talismano che sei chiamato a difendere!"
"Come… lo sai?!" –Sgranò gli occhi Jonathan.
"Questo non ha importanza!" –Tagliò corto Andromeda, il volto emaciato e sudato. –"Ti capisco, dico davvero, darei la vita per coloro che amo. Eppure, in fondo al cuore, so che non servirebbe a salvare il mondo."
"Attenti!!!" –Gridarono Reis e Orion, mentre vampe di fuoco esplodevano attorno a loro, gocce di energia ardente che Surtr stava dirigendo loro contro. –"Occhi del Drago!" –Ringhiò il Principe degli Einherhar, distruggendo il suolo e disperdendo le fiamme letali. Così facendo però espose il fianco ad un attacco diretto del Nero, che fece guizzare la frusta nella sua direzione.
Brunilde lo spinse fuori dalla traiettoria appena in tempo, venendo afferrata al posto suo, stritolata da spire di fuoco cui la Valchiria non poteva opporsi. Poté soltanto sorridere al discendente di Sigfrido, il discendente dell’uomo che aveva amato un tempo e a cui così tanto assomigliava, prima che un furioso strattone le mozzasse la testa, gettando il suo cadavere mutilato alle fiamme.
Reis aiutò Orion a rimettersi in piedi e a raggiungere Andromeda e Jonathan, incitandolo a farsi forza. Per le lacrime avrebbero avuto tempo. O forse no? Si chiese il Cavaliere di Luce, consapevole che l’esistenza dell’antico guerriero della stella Alpha era legata al consumarsi di Ragnarök, al termine del quale sarebbe svanito.
Le fiamma di Surtr divorarono il terreno attorno a loro, cingendoli d’assedio, mentre Andromeda disponeva la catena a cerchio, roteandolo a velocità così elevata da essere soltanto lambita dal calore. Orion, dal suo canto, concentrò il cosmo sull’indice, liberando la Spada di Asgard, che scavò un solco nel suolo attorno ai quattro combattenti, sollevando un muro di cosmo su cui le fiamme si schiantarono.
"Non servirà a molto, temo."
"Abbi fede, Cavaliere di Odino! Il vento cambia sempre!" –Esclamò una voce nuova, mentre un gruppo di diverse sagome appariva alle loro spalle, ai margini opposti della piana di Vígridhr. Tra loro Orion riconobbe subito la solida postura di Njörðr, Dio del Vento e della Navigazione, che aveva appena parlato, intento a radunare il suo cosmo.
Subito un forte vento iniziò a soffiare, un vento carico di pioggia, il cui intenso odore accompagnò le raffiche che tempestarono la pianura, spegnendo i roghi sparsi.
Indispettito, Surtr fece per avanzare, accorgendosi soltanto allora di un rozzo strato di ghiaccio che era comparso ai suoi piedi, spegnendo le fiamme e permettendo ai nani superstiti di allontanarsi e riunirsi assieme agli altri guerrieri.
"Cristal!" –Mormorò Andromeda, riconoscendo il cosmo, sia pur affaticato, del Cavaliere del Cigno, al cui braccio Flare si aggrappava ansiosa.
"E non soltanto!" –Commentò una voce maschile che Andromeda ben conosceva. Quella di suo fratello Phoenix.