CAPITOLO TRENTADUEESIMO: SULLE TRACCE DI ATLANTIDE.
Ascanio aveva letto molti libri su Atlantide, scritti nell’età della Grecia Classica, da autori successivi a Platone, il primo a parlare di un’isola immensa, situata al di là delle Colonne d’Ercole e sprofondata nel mare a causa di cataclismi straordinari. Da allora scrittori e scienziati si erano abbandonati alle teorie più stravaganti sulla localizzazione del continente perduto e sulle cause del suo inabissamento e, sebbene qualcuno avesse avuto idee più interessanti di altri, nessuno l’aveva mai trovato, né aveva saputo portare all’attenzione dell’opinione pubblica e della comunità scientifica prove inconfutabili della sua esistenza.
Questo perché non possedevano le giuste chiavi di lettura! Commentò il ragazzo, con un sorriso vittorioso, quasi divertito, sul volto, lasciandosi cullare dalla fredda brezza atlantica che gli soffiava sul volto.
Era una splendida giornata nel Golfo di Cadice e le temperature, sia pur basse, non erano paragonabili alle tormente di gelo che imperversavano nell’Europa centrale e settentrionale. Segno che l’espansione dei ghiacciai, da molti tanto temuta, aveva incontrato difficoltà inattese.
Ascanio sorrise, riflettendo che i seguaci di Atena e di Odino, e i Cavalieri delle Stelle suoi compagni, stavano dando nuova prova del loro valore. Avrebbe voluto essere con loro, a combattere in prima linea contro le tenebre del passato, a liberare i draghi di cui era custode e ad osservarli divorare le creature infernali che Loki aveva risvegliato. Ma Avalon era stato chiaro al riguardo: Zeus aveva richiesto la sua presenza altrove e, essendo anche un Cavaliere Celeste, legato al Re dell’Olimpo, avendogli questi concesso quindici anni addietro l’onore di guidare la Legione Nascosta, non aveva potuto rifiutarsi, per non dare vita ad un inutile scontro.
Inoltre, e di questo Ascanio era ben cosciente, Avalon aveva il suo interesse affinché uno dei suoi Cavalieri fosse presente in quell’impresa, in quell’operazione difficoltosa di cui neppure lui poteva prevedere gli esiti. Ed egli, dei sette, era colui a cui il Signore dell’Isola Sacra concedeva maggior fiducia, il suo allievo prediletto.
"Voglio che tu sia i miei occhi, Ascanio!" –Gli aveva detto, accompagnandolo al molo di legno, dove una barca a remi già lo attendeva per condurlo sull’altra sponda del lago. Ascanio aveva annuito, mentre il maestro gli sfiorava il volto, chiudendogli gli occhi neri e lasciando che una seconda Vista lo guidasse. La stessa che avrebbe permesso all’uomo dalle vesti argentee di seguire gli eventi nel Pozzo Sacro.
"Siamo in posizione!" –Una voce fresca lo distrasse dai suoi pensieri, costringendolo a voltarsi verso il ragazzo che aveva appena parlato. Il ragazzo che aveva incontrato pochi mesi prima, ai piedi del colle chiamato Tor, e al cui fianco aveva combattuto.
"Molto bene!" –Annuì, seguendo il Luogotenente dell’Olimpo sul retro della nave, ove erano state posizionate le casse con l’equipaggiamento che Julian Kevines aveva fornito loro per l’immersione.
Aiutati dal personale di bordo, i ragazzi indossarono le tute protettive, le pinne e le maschere, dotate di un faretto per illuminare l’ambiente, mentre un tecnico ripeteva le istruzioni di funzionamento di queste ultime, collegate con le bombole d’ossigeno che avrebbero portato sulle spalle. Ascanio e il suo compagno annuirono per non destare sospetti, ben consapevoli che, una volta raggiunte le profondità oceaniche, avrebbero agito a modo loro. In un modo che forse la scienza non avrebbe compreso.
Fu l’allievo di Avalon il primo a tuffarsi, subito seguito dal Cavaliere dell’Eridano Celeste, puntando con decisione verso l’abisso. La luce del sole presto li abbandonò, incapace di arrivare in profondità, e dovettero usare i fari per rischiarare un affascinante mondo nascosto, di cui avevano sentito soltanto parlare in precedenza, o di cui avevano letto nei libri, senza mai esservi venuti in contatto. Li invase una sensazione di piacere per quella nuova esperienza che stavano vivendo e, se avessero potuto, avrebbero trascorso altro tempo ad esplorare il fondo marino, con tutte le sue specie animali e vegetali. Ma il tempo era loro nemico e Ascanio ricordò al compagno, con un semplice gesto, che avevano una missione da compiere.
Per questo si inoltrarono in recessi ancora più profondi, guidati dal cosmo di Zeus che stava seguendo i loro movimenti dall’alto dell’Olimpo. Non fu semplice muoversi con agilità poiché, sebbene entrambi ben allenati, non avevano mai praticato immersioni fino ad allora, e più di una volta dovettero combattere con correnti contrarie, sbagliando strada e ritrovandosi tra le rocce del fondale marino.
Impiegarono quaranta minuti per raggiungere il luogo indicato loro dal Signore degli Dei, una particolare conformazione rocciosa che, vista da vicino, sembrava quasi innaturale. Per quanto levigate dalle correnti continue, quelle rocce infatti parevano essere state disposte ad arte, in tempi antichissimi, in modo da formare un simbolo caro all’Imperatore dei Mari. La punta di un tridente.
Seguirono la direzione che indicava, giungendo all’ingresso di un tunnel nascosto da un ammasso roccioso, dall’interno del quale proveniva un’oscurità così fitta che neppure con i fari delle maschere i due ragazzi riuscirono a distinguere alcunché. Un portale verso le tenebre, così Ascanio definì quell’apertura, prima di farsi coraggio ed entrarvi, subito seguito dal condottiero olimpico. Non dovettero fare molta strada poiché si accorsero, dopo dieci metri, che la strada era sbarrata, da quella che a prima vista sembrava una roccia liscia e perfettamente levigata. Poi, osservandola meglio, Ascanio notò che non era una semplice roccia, bensì l’anta di una porta, su cui era stato scolpito il tridente di Nettuno.
Seguendo con una mano le scanalature del simbolo, il ragazzo trovò il centro del rustico portone, dove le due immense pietre si toccavano, celando quello che, secondo Zeus, era l’ingresso per l’antica Atlantide.
"Tutto quello che dobbiamo fare adesso è soltanto… spingerlo!" –Esclamò Ascanio, parlando tramite il cosmo. Il compagno annuì, sia pur titubante, sistemandosi di fianco alla porta e iniziando a premere su di essa con la spalla destra. Ascanio fece altrettanto, ponendosi di fronte a lui, ma per quanti sforzi vi profondessero non ottenero altro risultato che stancarsi e respirare più difficilmente.
"Così non va!" –Si disse il Comandante dei Cavalieri delle Stelle, ritenendo che non avrebbero ottenuto niente in quel modo. –"Questo portone è rimasto celato per migliaia di anni, dal termine della Prima Guerra Sacra tra Nettuno e Atena! Non potrà certo cedere di fronte a una spallata!"
L’altro seguace di Zeus gli fece un cenno con le mani, sbattendo il pugno nel palmo dell’altra, dando a intendere di aprire l’ingresso con la forza, usando i propri colpi segreti. Ma Ascanio scartò anche quell’ipotesi, non soltanto offensiva verso il Dio dei Mari, ma anche pericolosa.
"Generare un’esplosione in questo ristretto condotto rischia di farci crollare tutti i massi addosso! No, io credo che… Ma sì…" –Rifletté Ascanio, guardandosi intorno e capendo come sarebbero riusciti ad aprire il celato ingresso, usando la stessa natura, lo stesso oceano che per millenni l’aveva protetto. Socchiuse gli occhi, espandendo il cosmo e lasciando che fluisse attorno a sé, espandendosi a macchia e rischiarando le profondità marine. Sfiorò le rocce, avvolgendole in un silenzioso abbraccio, si fuse con le correnti d’acqua, mescolandosi al loro sapore salato, finché non le sentì dentro di sé, finché non se ne sentì padrone.
"Saranno proprio queste correnti a spalancarci la via!" –Disse, riaprendo gli occhi e dirigendo dei flussi d’acqua contro il centro del portone, facendo cenno al compagno di mettersi alle sue spalle. Con forza sempre maggiore, Ascanio premette sul punto di contatto tra i due millenari massi, scatenando l’impeto della natura oceanica che adesso sentiva parte di sé, che adesso poteva controllare, come era nei suoi poteri di Cavaliere delle Stelle. –"Apritevi, portali di Atlantide! Che il continente perduto sia infine ritrovato!!!"
Tanta fu la pressione che infuse alle correnti d’acqua che le rocce alla fine cedettero, aprendosi verso l’interno, quasi fossero realmente un portone. Ma i servitori di Zeus non ebbero tempo di gioire che vennero risucchiati da una forza allucinante, che li trascinò all’interno del tunnel, oltre le porte aperte, sballottandoli e strappando loro persino i fari e le bombole di ossigeno. Per un attimo si sentirono perduti, vinti da sepolcrali correnti poste a difesa di un mondo che nessun uomo aveva raggiunto in migliaia di anni. Poi cercarono di reagire, facendo appello alla loro energia interiore, e sebbene non potessero vedere alcunché, né capire dove stessero andando, riuscirono a vincere le correnti di profondità e a puntare verso l’alto, fino a sbucare fuori.
Fuori? Si chiese Ascanio, realizzando che l’acqua attorno alla sua testa era scomparsa. Aprì la bocca e realizzò di poter respirare, come pure il Cavaliere dell’Eridano, emerso alla sua destra e intento a tossire e a sputare acqua dai polmoni.
"Ho creduto davvero che saremmo morti così, affogati a tremila metri di profondità!" –Esclamò il figlio di Elena e Deucalione. –"Ma… dove siamo finiti?!"
Entrambi si guardarono attorno, confusi e stupefatti, e realizzarono di trovarsi in una conca, dove confluivano le correnti dal basso, separati dal resto dell’oceano da una rozza copertura di pietre che generava una caverna. Nuotarono fino alla riva, togliendosi poi le pinne e incamminandosi tra le rocce, diretti verso il bagliore che pareva provenire al di là di esse, l’unica fonte di luce nell’oscurità oceanica.
"Per gli Dei dell’Olimpo!!!" –Affermò l’Eridano Celeste, fermandosi di scatto e rimirando il paesaggio che si apriva alle spalle di quell’ammasso roccioso. Un paesaggio sterminato, che neppure nei sogni avrebbe potuto immaginare.
Davanti a loro, il terreno degradava leggermente, trasformandosi poi in una rozza pavimentazione che costituiva il basamento su cui sorgevano una serie di costruzioni rocciose che non potevano essere che edifici. Non pietre disposte secondo casualità, ma vere e proprie costruzioni di cui rimanevano le tracce nei portoni, negli archi, nelle finestre e nelle terrazze. Una sequela di edifici in mezzo ai quali Ascanio e il suo compagno si ritrovarono a camminare, osservandoli sbalorditi e affascinati.
"Atlantide…" –Mormorò infine il Comandante dei Cavalieri delle Stelle, non avendo più alcun dubbio. L’avevano trovata davvero, la città perduta, inabissatasi per lo scontro violento tra gli Dei e schiantatasi sul fondo del mare. –"Inannzi a quella foce stretta che si chiama Colonne d’Ercole, c’era un’isola. Ed era un’isola più grande della Libia e dell’Asia messe insieme!" –Mormorò, citando il Timeo di Platone. –"Quel che non capisco è come abbia potuto conservarsi così a lungo…"
"Né come possa non esserci l’acqua qua sotto, a tremila metri di profondità!" –Gli fece eco l’amico, tirando uno sguardo verso l’alto e accorgendosi di un riflesso azzurro che pareva circondare l’intero regno sommerso.
"Credo che sia dovuto al cosmo di Nettuno!" –Rispose Ascanio. –"Lo sento! Adesso che posso concentrarmi meglio, percepisco la sua antica potenza! Permea questa terra, rinchiudendola all’interno di una bolla, separandola in questo modo dal resto dell’oceano e impedendo che le acque la divorino! Deve essere il motivo per cui mai nessuno l’ha trovata, né alcuna tecnologia moderna ne ha mai rivelato l’esistenza!"
"Non semplice cosmo pervade questo luogo sacro, ma la Divina Volontà del mio Signore!" –Esclamò allora un’acuta voce femminile, sorprendendo i due ragazzi, che si fermarono e guardarono attorno con circospezione, increduli che potesse esservi qualcuno oltre a loro.
Sopra i resti di un palazzo videro allora quella che da lontano avrebbero potuto scambiare per una statua. La sagoma di una sirena distesa su un fianco. Una sagoma che, mentre la osservavano, si caricò di una luce colorata, espandendosi sempre di più fino ad abbagliarli.
"Chi ha parlato? Un’armatura vuota?!"
"No, non è vuota, ma destinata ad ospitarmi!" –Riprese la voce sconosciuta, mentre fasci di luce esplodevano dalla sagoma della sirena e la corazza stessa si scomponeva, aderendo al corpo perfetto di una ragazza dai lunghi capelli biondi. –"Il mio nome è Titis, Cavaliere Sirena al servizio di Nettuno!" –Si presentò, prima di balzare a terra e camminare fino a portarsi di fronte agli invasori del tempio sottomarino. –"Vi avevo visto conversare con Julian a Capo San Vicente e qualcosa, forse il mio sesto senso, o il mio istinto di donna, mi aveva suggerito che non foste semplici amanti della subacquea! Avrei voluto fermarvi prima ma ho avuto bisogno di tempo per completare la mia trasformazione, non avendo previsto che, in quest’epoca, sarei dovuta tornare a vestire la corazza della Sirena per proteggere il mio Signore!"
"Trasformazione?! Ma cosa sei?!" –Mormorò il Luogotenente dell’Olimpo, mentre Ascanio scrutava la ragazza con sguardo attento, per leggere al di là dell’apparenza.
"Un metamorfo!" –Rispose infatti al posto suo. –"Detti anche mutaforma, sono esseri capaci di modificare il loro aspetto, trasformandosi nel simbolo del loro potere!"
"Ne hai sentito parlare?!" –Commentò Titis. –"Beh non mi sorprende! Siamo rari, questo è vero, ma non al punto da impedire che ogni armata divina ne abbia un esemplare! Tra gli Spectre ve ne è infatti uno che può mutarsi da bruco in farfalla e Dragone del Mare mi informò che ad Asgard viveva un Cavaliere in simbiosi con i lupi! Nettuno può contare invece su di me, l’ultimo della schiera dei Cavalieri Sirena, da lui incaricati di proteggere il suo regno, soprattutto questo, che ne è il cuore!"
"Capisco, e ti ringrazio per non averci attaccato a tradimento, giovane sirena! Permetti che anch’io mi presenti! Sono Nikolaos dell’Eridano Celeste, Luogotenente dell’Olimpo al servizio del Padre degli Dei, e questi è il mio compagno Ascanio Pendragon, Cavaliere delle Stelle fedele ad Avalon! Siamo qua per ordine diretto di Zeus!" –Esclamò il ragazzo, spiegando le motivazioni che li avevano condotti così in profondità. –"È desiderio del Signore Supremo dell’Olimpo che suo fratello torni ad ammirare la luce del sole, schierandosi al suo fianco nell’ultima guerra!"
"Uhm…" –Rifletté Titis, spostando lo sguardo da Nikolaos ad Ascanio, per osservarli meglio. Forse era vero, forse quei due ragazzi in muta erano davvero al servizio di Zeus, del resto non era impresa da poco trovare la via che conduceva ad Atlantide. Nessuno, nel corso di millenni, vi era mai riuscito, e quei pochi giunti al portale erano morti schiacciati dalle correnti di profondità, che giocavano con la vita di coloro che ardivano violare la cripta dell’Imperatore dei Mari. Eppure costoro hanno superato anche quella prova… Si disse, prima di rispondere al Luogotenente dell’Olimpo. –"Non posso compiacere la vostra richiesta, mi dispiace! Se anche siete chi dite di essere, il mio compito è comunque quello di proteggere questo santuario, impedendo a chiunque, persino a Zeus, di violarlo! Per questo sono stata investita e non ho intenzione di infrangere il giuramento che mi lega al mio Signore, soprattutto adesso che i sette Generali sono morti!"
"Cavaliere Sirena, la nostra missione non presuppone fallimenti! Siamo consapevoli della tua devozione a Nettuno, ma ti assicuro che né tu né il tuo Dio ne sarete danneggiati!" –Continuò Nikolaos nel perorare la loro causa.
"Se Zeus vuole risvegliare Nettuno, che venga di persona a bussare alla sua porta! Troverà chi la custodisce!" –Replicò Titis, balzando indietro ed espandendo il suo cosmo. –"Tornate indietro o dovrò combattervi!"
"Tsè!" –Rise Ascanio, infastidito dall’imprevisto ostacolo. –"Non c’è storia, mia bella sirena! Non è nostra intenzione farti del male! Non darcene motivo!"
"Insolente!" –Bofonchiò Titis, mentre già il suo cosmo invadeva l’aria. –"Sottile trama corallina!" –Un canto melodioso si diffuse per l’intera Atlantide, incantando per un momento i due ragazzi, il tempo necessario affinché le loro gambe venissero bloccate, ricoperte da uno strato di coralli che si faceva sempre più consistente.
"Che diavolo…?!" –Mormorò Nikolaos, cercando di liberarsi, prima che la morsa di coralli si chiudesse sul suo viso, impedendogli persino di respirare.
"Umpf… Quanto spreco di tempo e energie!" –Commentò Ascanio, bruciando per la prima volta il suo cosmo e liberandolo con una vampata di energia che salì fino al cielo del tempio, incenerendo i coralli che lo avvolgevano e liberando anche l’amico.
"Incredibile!!!" –Balbettò Titis, muovendo un passo indietro, intimorita e affascinata da quell’esplosione energetica dalla forma di due serpenti intrecciati. Una potenza devastante che non aveva percepito in nessun’altro Cavaliere. –"Seconda soltanto al mio Signore Nettuno!"
"Adesso che hai capito l’inutilità dei tuoi sforzi, ti prego, Cavaliere Sirena, cedi il passo! Come tu hai la tua missione, noi abbiamo la nostra!" –Esclamò Ascanio, puntandole contro un dito e liberando un fascio di energia che trafisse Titis in pieno, schiantandola a terra poco distante con la corazza danneggiata.
"Io… Proteggerò Atlantide ad ogni costo!" –Rantolò la giovane, affannando nel rimettersi in piedi, mentre Nikolaos cercava un modo per evitare ulteriore spargimento di sangue.
"Se questo è il tuo volere…" –Commentò Ascanio, tirando su la manica della tuta e sfiorando i serpenti tatuati sul suo polso.
"L’unico volere che conta è quello del Padre degli Dei!" –Intervenne un’imperiosa voce, mentre una sagoma di pura luce appariva poco distante dai tre combattenti.
"Ma voi siete…?!" –Balbettò Nikolaos, mentre il manto di luce scemava di intensità, permettendo loro di osservare un uomo alto e snello, ricoperto da una celeste Veste Divina, dello stesso colore dei suoi occhi. In mano stringeva un anfora che tutti subito riconobbero: il Vaso di Atena, ancora sigillato. –"Ermes, il Messaggero degli Dei!"
"Non ci sarà bisogno di lottare!" –Esclamò il Dio, avvicinandosi e porgendo una mano a Titis, per aiutarla a rialzarsi. –"Gli ordini di Zeus Olympios sono legge per gli appartenenti di qualsiasi culto, compresi i servitori del suo adorato fratello! Non è così, Cavaliere Sirena?!"
Titis esitò ancora un secondo, incapace di ammettere la sconfitta. Se anche avesse voluto opporsi sarebbe bastato il gesto di uno di loro per spazzarla via. E in quel modo sarebbe dovuta morire, lottando in nome della causa che aveva giurato di difendere. Ma c’era qualcosa, nelle parole sincere del Messaggero degli Dei, nel suo dolce sguardo senza età, che le diceva che poteva fidarsi. E che Nettuno stesso avrebbe capito. Questo, quantomeno, fu quel che si disse per convincersi mentre chinava il capo, accettando infine le richieste di Ermes.
"Molto bene! Fai strada, dunque!" –Esclamò l’Olimpico Messaggero, seguendo Titis nel dedalo di strade di Atlantide.
"A giudicare dalla solidità degli edifici e dalle decorazioni, Atlantide doveva essere un regno molto prosperoso! Su qualche parete ancora permangono sbiaditi affreschi che neppure il tempo ha cancellato! È difficile pensare che ci troviamo su un’isola che un tempo godeva della luce del sole!" –Commentò Nikolaos.
"Ed una splendida città era infatti! Nettuno vi costruì il tempio più bello che sia mai stato eretto al di là delle Colonne d’Ercole! Fu qua che il Dio si asserragliò con tutti i suoi fedeli, al termine della Prima Guerra Sacra, e qua affrontò i Cavalieri che Atena gli inviò contro! Ne seguì uno scontro così violento che l’intera isola si inabissò!" –Spiegò Ermes, ed anche Titis annuì, ben conoscendo la storia di quella disfatta.
Dopo qualche minuto giunsero sul punto più alto della città, un rialzo sul quale si ergeva un tempio di mura robuste, più solide, a vedersi, del resto degli edifici. Le porte, sia pur usurate dal tempo, erano in oro massiccio e ornate dal simbolo che Ascanio e Nikolaos avevano visto sul portale esterno. Il tridente di Nettuno.
"In questo mausoleo riposa il corpo del Signore dei Mari! Da tempi immemori il suo sonno non è mai stato interrotto, avendo egli preferito ricorrere a un simulacro piuttosto che rischiare di rovinare il suo vero aspetto!" –Spiegò Titis, fermandosi all’esterno assieme ai tre fedeli di Zeus. –"Sommo Ermes… Siete davvero sicuro che sia la scelta migliore?"
"Che lo sia o meno, questa è la volontà di Zeus Tonante, e non sarà un semplice emissario a metterla in dubbio!" –Rispose pacato l'ambasciatore del Dio del Fulmine, facendo cenno a Titis di procedere.
La ragazza sospirò, prima di avvicinarsi al portone e spingere un’anta con forza. Fece per spalancare anche la seconda, quando si sentì afferrare per una gamba e sbattere a terra con violenza, da un sinuoso tentacolo violaceo che la trascinò all’interno.
"Titis!!!" –Esclamò Nikolaos, correndo avanti, seguito da Ermes e da Ascanio. Nuovi tentacoli sfrecciarono nella loro direzione, intrappolando i tre combattenti in una ferrea morsa e sollevandoli in aria, fino a sbatterli contro il soffitto del tempio e contro le mura laterali, permettendo loro di rimirare l’ancestrale creatura che li aveva catturati. –"Una… piovra gigantesca…"
"Aaargh!!!" –Gridò Titis, la cui corazza stava andando in frantumi, stritolata da quella morsa violenta.
"Non è solo una piovra. È un guardiano!" –Esclamò Ascanio, sballottato contro un muro dal gigantesco animale che occupava l’intero spazio del corridoio che conduceva alla cella centrale. –"Ben più efficiente della graziosa sirenetta, aggiungerei!" –Ironizzò, prima che una stretta della creatura gli mozzasse il respiro.
"Il Cavaliere di Avalon ha ragione! Deve essere stato incaricato da Nettuno di presiedere il suo regno, ergendosi come ultima difesa e uccidendo chiunque tentasse di violare la sacra soglia!" –Intervenne Titis.
"E come diavolo ha fatto a sopravvivere per tutto questo tempo?!" –Gridò Nikolaos.
"Grazie al cosmo di Nettuno, di cui si è nutrito!" –Spiegò Ascanio, che sentiva provenire dalla bestia un baluginare di cosmo, fioco ma percettibile. Il plancton che gli aveva permesso di perdurare per quei lunghi millenni di solitudine.
"In effetti… il livello della bolla è molto calato!" –Commentò Titis, prima che la piovra le sbattesse il cranio contro un muro, spaccandole l’elmo e inzuppandole la faccia di sangue. –"Prima copriva una porzione di mare molto superiore, adesso raggiunge a malapena i dieci metri di altezza!"
"Mi dispiace per questo povero animale che non ha colpa alcuna tranne la devozione sconfinata al suo Signore, per il quale ha tutta la mia stima!" –Esclamò allora Ermes. –"Ciononostante niente potrà fermare la mia missione!" –E cercò di muovere un braccio per raggiungere il Caduceo che portava affisso alla cintura dell’armatura.
Quasi come la piovra avesse percepito le sue intenzioni, la pressione dei tentacoli aumentò, troncando a metà il tentativo del Messaggero degli Dei e torcendogli un braccio all’indietro. Nikolaos espanse allora il proprio cosmo, ma sentì chiaramente che più lo faceva ardere più gli veniva portato via, sottratto dall’ancestrale creatura che pareva trarne forza e nutrimento.
"Lasciate… fare a me!" –Mormorò Ascanio, chiudendo gli occhi.
Titis, Nikolaos e Ermes lo osservarono per qualche secondo, trattenendo il fiato dallo stupore quando si accorsero che la piovra pareva essersi fermata e aver diretto il proprio sguardo verso il Cavaliere delle Stelle. Ascanio liberò il cosmo, lasciando che la creatura ne venisse in contatto, lasciando che lo sentisse fluire dentro sé, impressionando Titis, che capì cosa stava facendo. Trovò conferma ai suoi pensieri poco dopo, quando sentì allentarsi la presa dei tentacoli, quando sentì che la piovra li stava lasciando liberi, consapevole di non aver niente da temere da loro, consapevole che non avrebbero recato danno alcuno al tempio del suo creatore.
"Quel che avevo detto sulle truppe di Ade e Nettuno, vale anche per Avalon a quanto pare!" –Disse il Cavaliere Sirena, mentre i tentacoli la depositavano a terra. –"Sei un metamorfo anche tu, capace di entrare in comunione con le forze della natura, capace addirittura di trasferire l’anima in un altro essere, tramite la trasmigrazione della stessa. La metempsicosi."
"Faccio solo quel che è nei miei poteri!" –Commentò blando Ascanio, senza perdere la concentrazione con la mente della piovra, conducendola, quasi fosse soggiogata da un incantesimo, all’esterno del mausoleo di Nettuno e osservandola allontanarsi, libera finalmente dal legame che la vincolava a quella tenebrosa prigionia. –"Hai servito bene il tuo padrone! Egli potrà soltanto essere fiero di te! Vai in pace, abitante degli abissi! Io, Ascanio Pendragon, Cavaliere della Natura, ti dono la libertà!"
Nikolaos lo affiancò poco dopo, anch’egli, come l’amico, con la tuta strappata in più punti e la pelle arrossata a causa della stretta dei tentacoli. Ermes, alle loro spalle, stava curando le ferite aperte di Titis, bloccando l’emorragia al cranio.
"Dobbiamo andare!" –Esclamò il Comandante dei Cavalieri delle Stelle. I suoi compagni annuirono e si inoltrarono nel mausoleo di Nettuno.
Oltre, Avalon non poté vedere.
La superficie del pozzo sacro si oscurò, impedendogli di continuare a seguire le gesta del suo allievo, e al Signore dell’Isola Sacra parve che un’ombra immensa fosse scesa sulla Terra. Rabbrividì, stringendosi nelle sue vesti argentee, e discese nell’erba della radura, trovandola per la prima volta fredda.
"Cos’è quest’inquietudine?!" –Si chiese. –"Così grande non l’ho mai provata prima!"
Dopo l’incontro con Ioria si era sentito sollevato, libero da un peso che per anni gli aveva oppresso il cuore. La guerra ad Asgard infuriava ancora, ma l’avanzata dei ghiacciai si era fermata, grazie anche al cosmo dei druidi che da ore ormai pregavano sull’alto colle di Avalon. Eppure non riusciva a scrollarsi di dosso quella sensazione terribile che l’aveva invaso, un brivido nient'affatto dovuto all’inverno nordico. No, è un inverno diverso quello che mi gela l’animo. Un inverno primordiale.
"L’ombra è vicina!" –Capì. Ma prima che potesse muoversi per tornare alla propria residenza e conferire con il Primo Saggio, un suono lo distrasse. Una voce stridula che non avrebbe mai immaginato di tornare a udire.
"Più vicina di quanto tu non creda, Gran Tessitore!"
"Chi è là?" –Avvampò Avalon, muovendo il braccio mentre si voltava e generando un’onda di energia cosmica che rischiarò la cima dell’Isola Sacra, abbattendosi, senza effetto alcuno, sulla nera sagoma che era appena sorta al limitare della radura.
"Ah ah ah! Il grande Avalon ha forse paura? E di cosa esattamente?!" –Ridacchiò una voce, palesemente divertita, mentre la figura fatta di ombra avanzava all’interno del cerchio di pietre sacre, senza risentire del suo effetto difensivo. –"Della morte? O del fallimento dei suoi progetti? Il che, a ben vedere, è la stessa cosa!"
"Questa voce… non puoi essere tu!!!" –Esclamò il Signore dell’Isola Sacra, sgranando gli occhi inorridito. –"Tu… dovresti essere morto!!!"
"Dovrei?! Da quando un condottiero tuo pari è passato a usare il condizionale? Forse da quando ha compreso quale infinito e oscuro potere ha deciso di sfidare?! Perché, e di questo siine certo, contro la grande ombra non vi è speranza alcuna di vittoria!"
Avalon non disse niente, fendendo le nebbie con lo sguardo e trovando conferma ai suoi peggiori sospetti. L’ombra che si ergeva dinanzi a lui era un’entità senza corpo, composta di odio e tenebra, che egli conosceva bene. Era colui che avrebbe voluto prendere il suo posto alla guida dell’Isola Sacra, rimodellandola a forma di trono nero e facendone dono al suo signore, il giorno in cui sarebbe ricomparso dall’esilio.
Era la sua nemesi, e un tempo era stato suo fratello.
Flegias, figlio di Ares, Flagello di Uomini e Dei e Gran Maestro di Ombre.